Le moderne tecnologie radioterapiche al servizio della Clinica Oncologica
L. Trodella, C. Greco, A. Iurato
La Radioterapia è una delle tre specialità cliniche, insieme alla Chirurgia e all’Oncologia Medica, di cui può beneficiarsi il malato oncologico.
L’effetto biologico delle radiazioni ionizzanti, utilizzate in radioterapia, si esplica prevalentemente a livello del nucleo cellulare, attraverso alterazioni del DNA ed RNA (rotture di singola o doppia elica) e degli enzimi vitali.
Poiché tali effetti biologici si osservano inevitabilmente anche sulle popolazioni cellulari normali, è evidente che l’impegno del Radioterapista Oncologo è sempre stato volto ad ottenere il completo controllo del tumore inducendo, invece, solamente danni reversibili alle cellule e ai tessuti sani.
La possibilità di agire selettivamente sul tumore non deriva solamente dalla maggior sensibilità intrinseca delle cellule neoplastiche ma si basa su meccanismi più complessi che si evidenziano in modo particolare quando l’irradiazione è protratta e frazionata nel tempo.
La radioterapia svolge un ruolo essenziale nella cura dei tumori o di alcuni sintomi della malattia come il dolore.
Si stima che circa il 60% di tutti i pazienti affetti da cancro necessitino di un trattamento radiante, e circa la metà di questi con intenti curativi.
La radioterapia è una branca in continua espansione. Si calcola che nel prossimo decennio ci sarà un incremento della richiesta del 22%.
L’evoluzione tecnologica ha condotto negli anni ad un progressivo evolversi delle modalità con cui si attuano i trattamenti radioterapici, con conseguente miglioramento della prognosi dei pazienti.
In principio, sin dai primi anni del 1900, fu sperimentato l’impiego delle radiazioni per il trattamento di neoplasie superficiali visibili ad occhio nudo (es.: tumori cutanei, del labbro, del cavo orale e ginecologici). Si utilizzavano principalmente apparecchiature a kilovoltaggio (plesio e/o roentgen terapia) o preparati radioattivi. In particolare le apparecchiature a kilovoltaggio producevano radiazioni a bassa energia e ridotta penetranza (10-500 kv) che permettevano di trattare prevalentemente neoplasie superficiali quali ad esempio i tumori cutanei, mentre i preparati radioattivi sotto forma di aghi infissi nella neoplasia o placche radioattive alloggiati in applicatori dedicati a loro volta inseriti in cavità anatomiche (es.:vaginale, uterina, orale), venivano utilizzati per il trattamento di neoplasie ginecologiche o del distretto otorinolaringoiatrico. In questi tipi di trattamento radiante, il medico individuava la lesione visivamente e centrava il collimatore dell’apparecchio in uso (plesio e/o roentgen terapia) sulla lesione o inseriva gli applicatori con i preparati radioattivi a contatto o all’interno delle lesioni individuate (Radioterapia 1D).
A partire dal 1950, con l’introduzione degli apparecchi di tele terapia (telecobaltoterapia e telecesioterapia), in grado di produrre radiazioni di elevata energia e penetranza (MV) e pertanto di irradiare organi localizzati in sede profonda (non visibili), si è reso necessario individuare e definire la sede di trattamento. A tal fine sono state impiegate immagini radiologiche quali i film radiografici in 2 dimensioni che raffiguravano la sede anatomica dove era presente la neoplasia da irradiare (es.: torace, addome, pelvi), per l’impostazione, l’esecuzione e la verifica del trattamento stesso. Su tali film venivano identificati i limiti del campo di irradiazione sulla base dei quali venivano realizzate delle schermature personalizzate realizzate con materiali attenuanti ad es. il piombo (Radioterapia 2D).
Successivamente, con l’avvento degli Acceleratori Lineari, della Tomografia Computerizzata e dei software informatici integrati, è stato possibile ottenere la ricostruzione tridimensionale dell’anatomia del paziente. Ciò ha portato ad uno studio più approfondito dei volumi di interesse (neoplasie da irradiare ed organi a rischio) e allo sviluppo di tecniche radioterapiche quali la radioterapia conformazionale e la radioterapia ad intensità modulata. Per l’applicazione di tali tecniche è stata di fondamentale importanza l’introduzione di un collimatore aggiuntivo multi lamellare (MLC) in grado sia di conformare il fascio che di modularne l’intensità grazie al movimento lamellare (Radioterapia 3D). Grazie alla definizione e ricostruzione in tre dimensioni dell’anatomia del paziente e dei volumi di interesse mediante l’utilizzo del collimatore multilamellare è oggi possibile conformare la dose al target riducendone la somministrazione agli argani a rischio (Radioterapia conformata).
La Radioterapia ad Intensità Modulata (IMRT) è una modalità evoluta di trattamento radiante conformazionale che è in grado di generare distribuzioni di dose strettamente conformate a target complessi, mediante la modulazione dell’intensità, permettendo un aumento della dose (‘dose escalation’) al tumore senza un incremento dei danni radio indotti oppure di erogare la stessa dose di radioterapia riducendo l’incidenza e la severità degli effetti collaterali.
In alcuni casi, l’IMRT è impiegata con l’obiettivo, oltre che di ridurre la tossicità ai tessuti sani adiacenti, di rendere più uniforme la distribuzione di dose all’interno del target.
Le neoplasie del distretto cervico-cefalico costituiscono una delle più frequenti sedi di applicazione dell’IMRT grazie alla possibilità di generare un’elevata conformazione dell’alta dose a volumi di forma complessa, risparmiando gli organi a rischio adiacenti di cui questa sede è particolarmente ricca (midollo, ghiandole salivari, cavo orale, encefalo, polmoni). Inoltre, la relativa ipomobilità delle strutture anatomiche in questione e la possibilità di ottenere una buona immobilizzazione rendono la gestione delle incertezze geometriche meno problematica che in altri distretti.
Ad esempio, come si evince da una recente analisi su oltre seimila pazienti trattati per neoplasie della glottide in stadio iniziale, la radioterapia consente di ottenere gli stessi risultati di trattamenti chirurgici aggressivi quali la laringectomia totale, sia in termini di controllo locale sia di sopravvivenza, con un netto vantaggio in termini di costi e di qualità vita grazie alla preservazione d’organo.
La radioterapia rappresenta l’opzione standard da sola o in associazione al trattamento chemioterapico nel trattamento dei tumori rinofaringei. In questi casi è possibile ottenere un controllo loco regionale del 98% con un tasso di sopravvivenze a 4 anni del 88%.
La IMRT in particolare, consente il risparmio delle parotidi e pertanto la prevenzione della xerostomia.
Grazie a queste tecniche si possono attualmente ottenere risultati eccellenti anche nella patologia prostatica, paragonabili a quelli raggiunti con la chirurgia, sia in termini di controllo locale sia si sopravvivenza, ma con tasso di complicanze dell’apparato uro-genitale nettamente inferiori.
L’IMRT, se da un lato produce un incremento di dose al tumore, potenzialmente vantaggiosa per la probabilità di controllo locale della malattia, e un maggior risparmio degli organi a rischio, impone dall’altro un’attenzione particolare nella gestione delle incertezze geometriche (dovute agli errori di set-up e al movimento d’organo) e dovrebbe essere associata all’adozione di dispositivi per l’Image Guided RadioTherapy (IGRT), quando applicata a distretti sensibili al movimento. Le tecniche IGRT consentono anche di evidenziare nel corso del trattamento eventuali variazioni del volume bersaglio.
La crescente necessità di controllare e verificare le problematiche relative alla variabile ‘tempo’, come il riposizionamento del paziente (set-up), i movimenti (organ motion) e le variazioni morfologiche (tumor shrinking) degli organi bersaglio e degli organi a rischio nel corso dell’intero trattamento radiante ha condotto allo sviluppo della Radioterapia 4D, dove la quarta dimensione è il tempo.
Infine, con la diffusione del bio-imaging in oncologia è nata la Radioterapia 5D, in grado di tener conto della biologia del tumore, della diversa radiosensibilità delle varie componenti dello stesso, permettendo di modulare il trattamento sulla base di queste caratteristiche. Ciò comporta l’integrazione delle metodiche di imaging comunemente in uso per la pianificazione del trattamento radiante (TC, RMN) con metodiche di imaging molecolare e funzionale che utilizzano radionuclidi marcati come la tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT) e la tomografia ad emissione di positroni (PET). Tuttavia anche la risonanza magnetica funzionale e spettroscopica può essere particolarmente utile nella definizione del volume biologico di malattia (Biological Target Volume-BTV) come avviene ad esempio nelle neoplasie encefaliche o prostatiche.
Gli sviluppi dell' imaging radiologico e i nuovi sistemi di pianificazione dei trattamenti sempre più sofisticati hanno rivoluzionato il campo della radioterapia oncologica permettendo di incrementare la dose di radiazioni al bersaglio.
La radioterapia stereotassica, detta anche radiochirurgia, racchiude un gruppo di tecniche che con vari dispositivi consentono di erogare una dose elevata di radiazioni al tumore grazie all’alto gradiente di dose che si crea fra il volume bersaglio e i tessuti sani circostanti.
La dose di radiazioni somministrata in una o più sedute, è diretta ad un bersaglio di dimensioni limitate, riducendo l’esposizione degli organi a rischio. L’ipofrazionamento (ovvero l’erogazione di elevate dosi per frazione) sfruttando i vantaggi dal punto di vista radiobiologico, consente un miglioramento dell’indice terapeutico.
In sintesi, con una o poche sedute ad elevata dose per frazione, si può indurre un effetto biologico enormemente più elevato di quanto non ottenibile con varie settimane di terapia a frazionamenti convenzionali: questo e’ il principio della Dose Biologica Equivalente (BED).
L’erogazione di dosi elevate in poche sedute richiede una elevata accuratezza per il posizionamento del paziente e per l’esecuzione del trattamento.
Fondamentale nella radioterapia stereotassica corporea è il controllo dell’ “organ motion” respiratorio per la massima riduzione dei margini interni. Sono utilizzate varie tecniche, come la compressione addominale, le tecniche di “breath hold” o di gating respiratorio, fino alle più sofisticate di tracking respiratorio. Le attualissime tecniche IGRT (Helical Tomotherapy, Cone-beam CT) hanno il potenziale di assicurare che per ciascuna frazione di dose la posizione del target, relativa ad alcuni punti di riferimento, sia la stessa del piano di trattamento approvato.
Questa tecnica viene ampiamente utilizzata per il trattamento di lesioni primitive e secondarie a livello encefalico, e rappresenta il trattamento di prima scelta, quando la chirurgia tradizionale è ad alto rischio o controindicata.
Può essere impiegato dopo interventi chirurgici tradizionali non radicali, dopo e/o in sinergia con la radioterapia convenzionale, e in associazione con la chemioterapia.
Rappresenta inoltre l’unica alternativa terapeutica standard alla chirurgia, nel trattamento delle neoplasie polmonari negli stadi precoci.
Circa il 25% di questi pazienti infatti non sono in grado di sottoporsi ad un intervento di resezione chirurgica a causa di comorbidità cardiologiche e/o respiratorie.
Mediante la radioterapia con tecnica stereotassica è possibile ottenere un controllo locale di oltre il 90%, come confermato dai dati della letteratura e dalla nostra personale casistica, con tossicità sui tessuti sani decisamente accettabile.
Integrazione tra Radioterapie e Chirurgia
Le esperienza di integrazione tra chirurgia e radioterapia, fanno parte da molti anni dei protocolli clinici.
Le condizioni per realizzare un’ottima integrazione sono fondamentalmente relative alle caratteristiche del tumore. In alcuni casi può essere utile a limitare la demolizione chirurgica e quindi a meglio preservare la funzionalità d’organo o la cosmesi; in altri casi, ad esempio quelli più avanzati, dove il rischio di malattia subclinica è elevato, o in quelli in cui la chirurgia non è stata radicale, la radioterapia consente di incrementare il controllo loco-regionale che equivale a volte a migliorare le possibilità di sopravvivenza. L’associazione riconosce due possibilità:
- Radioterapia preoperatoria (neo-adiuvante)
- Radioterapia postoperatoria (adiuvante)
Radioterapia preoperatoria
Il razionale è basato sulla capacità di sterilizzare la malattia macroscopica presente oltre i margini di resezione chirurgica, sulla riduzione del rischio di impianto di nuove cellule neoplastiche durante l’atto chirurgico, sulla necessità di trattare aree linfatiche situate al di fuori del campo operatorio e infine sulla riduzione delle dimensioni del tumore, aumentando così le possibilità di un di intervento radicale o di conservazione d’organo.
Le esperienza cliniche più significative si sono avute nei tumori del retto, in cui è possibile oggi ottenere, anche con l’integrazione con la chemioterapia, una risposta clinica globale in oltre il 60% dei casi, con un tasso di risposte complete del 26% con un incremento del controllo locale e della sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia.
Radioterapia postoperatoria
La radioterapia dopo l’intervento chirurgico, generalmente a distanza di 4-8 settimane, è vantaggiosa sotto diversi punti di vista: consente infatti di selezionare i pazienti sulla base dell’esame istologico definitivo, evitando terapie inutili a coloro che non ne avrebbero bisogno, di distruggere gli eventuali focolai di malattia residua, sia a livello del letto operatorio sia dei linfonodi.
Le indicazioni riguardano un gran numero di patologie neoplastiche, nei casi in cui è alto il rischio di recidiva locale (stadi avanzati, dubbi di radicalità chirurgica, linfonodi positivi) o con l’obiettivo di conservazione d’organo.
L’esempio paradigmatico di quest’ultima condizione è il carcinoma della mammella operato in modo conservativo che deve essere necessariamente seguito dalla radioterapia. L’omissione di quest’ultima è infatti associata ad un incremento significativo delle recidive locali.
Come dimostrato da una recente analisi su oltre diecimila pazienti arruolate in 17 studi randomizzati, la radioterapia dopo chirurgia conservativa, oltre a ridurre l’incidenza di recidiva locale, riduce la mortalità da cancro e da altre cause.
Integrazione tra Oncologia Medica e Radioterapia
Esistono diverse evidenze sperimentali significative che testimoniano la capacità di numerosi farmaci di modificare i parametri della risposta cellulare alle radiazioni.
L’interazione può avvenire con modalità diverse, dall’aumento dell’iniziale danno genetico da parte della radiazione, alla modificazione dei meccanismi di riparazione del danno radio-indotto, dalle variazioni delle fasi del ciclo cellulare al cambiamento della frazione di crescita, alla riduzione del numero di cellule clonogeniche.
Il razionale della combinazione è basato sull’incremento dell’indice terapeutico, che può essere ottenuto mediante cooperazione spaziale, ovvero l’azione su bersagli indipendenti (la chemioterapia agisce prevalentemente sulla riduzione della metastasi a distanza), oppure con effetto additivo o sinergico, maggiore cioè di quello ottenuto con la somministrazione di una singola modalità terapeutica, migliorando i risultati in termini di controllo locale.
La sequenza temporale di somministrazione della chemioterapia e della radioterapia può essere concomitante o sequenziale (neoadiuvante o adiuvante).
Le patologie nelle quali il trattamento concomitante ha avuto una efficacia comprovata sono diversi.
Abbiamo accennato alle patologie del distretto cervico-facciale (tumore del rinofaringe, orofaringe, ecc) e al tumore del retto in fase neoadiuvante.
Nei tumori dell’esofago e dell’ano lo standard è, ad oggi, il trattamento radiochemioterapico in fase concomitante e adiuvante.
Anche per i tumori cerebrali, quali il glioblastoma multiforme, l’associazione tra radioterapia e Temozolomide in fase concomitante e adiuvante ha portato un significativo aumento di sopravvivenza.
Conclusioni
La Radioterapia rappresenta una specialità indispensabile per la cura del paziente oncologico, intesa come trattamento radicale esclusivo, da sola o in combinazione con le altre branche dell’oncologia, con finalità curative o con intento palliativo quando la malattia raggiunge uno stadio incompatibile con la possibilità di guarigione.
Requisito indispensabile è dunque l’integrazione, non solo clinica ma anche culturale, tra il radioterapista e gli altri specialisti dell’oncologia, al fine di realizzare un approccio multidisciplinare necessario per garantire migliori possibilità di cure per il paziente.
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Per la corrispondenza:
Professore Lucio Trodella Radioterapia Oncologica Università Campus Bio-Medico Roma
Email: l.trodella@unicampus.it;