Test provocativi nella valutazione del nefropatico cronico
dr Lelio Taberini
AO S CamilloForlanini Dipartimento Cardioscienze
UOSD DH Unificato del Dipartimento
Le malattie renali sono molto diffuse: ne è colpito almeno il 10% della popolazione generale e l'insufficienza renale cronica, in Italia, ha una prevalenza media dell'1-1,5%. Sin dalla metà degli anni '90 molti studi hanno messo in evidenza come l’interessamento del rene fa aumentare sia la morbilità che la mortalità per eventi cardiovascolari. Diversi studi hanno poi messo in luce come la principale causa di morte nei pazienti uremici (responsabile di oltre il 40% della mortalità totale) sia di tipo cardiovascolare e, nell'insieme, come la mortalità per malattie cardiovascolari nei nefropatici sia circa il 9% per anno, cioè trenta volte maggiore rispetto alla popolazione generale.
La malattia renale cronica non necessariamente progredisce sino allo stadio di insufficienza renale terminale ma contribuisce in maniera significativa ad aumentare il rischio cardiovascolare. Nonostante ciò, poiché asintomatica (non provoca dolore), aumenta il rischio di mancata diagnosi precoce e ciò spiega come possa evolvere indisturbata (silent killer). Emerge così che il vero rischio della malattia renale cronica non è quello di evoluzione verso la dialisi ma quello di complicazioni cardiache. Morbilità, mortalità cardiovascolare e danno renale sono strettamente correlati e questa relazione esiste indipendentemente dal fatto che l’evento iniziale sia renale o cardiaco. E' stato appurato che il danno del cuore e dei vasi inizia molto precocemente nella storia naturale della nefropatia; pertanto la sua precoce identificazione e cura adeguata comportano una protezione cardiaca duratura nel tempo. La compromissione dell’apparato cardiovascolare nei nefropatici è molto elevata e lo è ancor di più nella fase dialitica. Al III- IV stadio di insufficienza renale si realizza il massimo di vulnerabilità cardiovascolare che spesso conduce a morte i pazienti che non raggiungono così la fase dialitica. Le complicanze cardiovascolari rimangono, inoltre, le più temibili complicanze interdialitiche.
Ben conosciamo come i pz con malattia cardiovascolare accertata, diabete, microalbuminuria e/o con livelli molto elevati dei singoli fattori di rischio, sono già ad aumentato rischio di malattie cardiovascolari e devono quindi essere sottoposti a trattamento di tutti i fattori di rischio. Il cardiologo, pertanto, dovrà essere molto attento nel ricercare la presenza di una insufficienza renale (anche solo una proteinuria), ed essere consapevole che ogni cardiopatico nel quale all’inizio non si constata un interessamento del rene potrebbe, nel corso del tempo, divenire un nefropatico. Molta attenzione andrà pertanto posta a tutti quei fattori che possono precipitare un danno renale quali ad esempio l'anemia, gli interventi chirurgici (soprattutto per aneurisma e bypass), l'uso di taluni farmaci (antibiotici, FANS, ipotensivi, antiacidi), o di mezzi di contrasto a scopo diagnostico (TC- RMN-scintigrafia), gli squilibri idroelelttrolitici (in seguito a chirurgia o patologia acuta gastrointestinale; le alterazioni del metabolismo calcio-fosforo), le infezioni, la malnutrizione.
Per i motivi sopra detti, appare dunque chiara la necessità di ricercare con adeguati mezzi diagnostici, i segni di malattia cardiovascolare sin dall'inizio della malattia renale.
Un problema a parte è costituito dalla ricerca di danno miocardico attraverso l'uso di marcatori di necrosi (troponine). Il rimodellamento sfavorevole nell’ipertrofia ventricolare, gli elevati livelli di stress emodinamico e l’ischemia miocardica silente (frequenti nei pazienti nefropatici) così come le oscillazione elettrolitiche dei pazienti dializzati si associano a rilascio cronico di biomarkers cardiaci. É bene a questo punto ricordare che un incremento di troponina non è predittore specifico di coronaropatia (in 1/3 casi l'angiografia è negativa) mentre risulta un potente predittore di cardiomiopatia uremica e di mortalità cardiovascolare. Quindi, nel paziente con insufficienza renale cronica, il riscontro di aumentati valori plasmatici di troponina rappresenta il più delle volte un irrisolvibile dilemma diagnostico.
Nell'ambito della diagnosi di malattia ischemica il test da sforzo e l'imaging cardiaco vengono utilizzati per confermare la diagnosi, documentare la presenza di ischemia nei pazienti con sintomatologia stabile, stratificare il rischio, facilitare la scelta delle opzioni terapeutiche, ovvero sono in grado di fornire allo stesso tempo una valutazione sia diagnostica che prognostica. Sono metodiche in costante evoluzione ed il cui utilizzo avviene non solo sulla base delle linee guida e dell'EBM, ma anche in base alle possibilità locali e/o dei costi o del rimborso. A tal fine è necessario precisare come, rispetto ad un esame ecocardiografico, la TC o la scintigrafia abbiano un costo di poco superiore al triplo (rispettivamente 3.1 e 3.27), la RM abbia un costo superiore al quintuplo (5,51) mentre una PET o il cateterismo siano gravati da costi eccessivi (rispettivamente 14,03 e 19,96). Nel prendere in considerazione un qualsiasi test per identificare la presenza di CAD, occorre anche valutarne i relativi rischi correlati all'esercizio, agli agenti utilizzati per i test provocativi, ai mezzi di contrasto, alla procedura invasiva, all'esposizione a radiazioni ionizzanti. In pratica, come riportato dal documento di riferimento della diagnostica per immagini in Italia (Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali - giugno 2008) questi esami “comportano spreco di risorse, allungamento dei tempi di attesa e, se eseguiti con radiazioni ionizzanti, una indebita irradiazione del paziente, con un aumento della dose collettiva della popolazione” e quindi dei rischi a lungo termine. Per evitare quindi di incorrere in prescrizioni inutili se non addirittura dannose sarà necessario, per gli interventi in elezione, stabilire la probabilità pre-test di malattia (calcolata sulla base dei fattori di rischio, dei sintomi e del sesso):i pazienti che presentano una probabilità intermedia di CAD ostruttiva saranno sottoposti al test da sforzo.
Le indicazioni fornite dall'Assessment for renal transplantation UK Renal Association (4th Edition 2008) sono a favore dell'esecuzione di un test da sforzo per tutti quei pazienti che abbiano raggiunto i 50 anni di età, siano affetti da diabete mellito, mostrino anomalie elettrocardiografiche o segni di ipertrofia ventricolare sn, o, infine, abbiano una malattia vascolare cerebrale o periferica, uno scompenso o una malattia ischemica cronica.
Il test ergometrico è il test più frequentemente utilizzato per confermare la natura anginosa dei sintomi e per fornire un riscontro obiettivo di ischemia inducibile. Ha un'alta specificità (85%) ma la sua accuratezza è limitata, specie nei soggetti di sesso femminile. Comunque se utilizzato al meglio delle proprie potenzialità ha una grandissima rilevanza prognostica. Ormai non ci si accontenta più della sola comparsa del sintomo (angina) o dei segni elettrocardiografici (sottoslivellamento o sopraslivellamneto del tratto ST), ma nella valutazione globale del test si tiene conto della capacità di esercizio sia in termini di tempo che in termini di equivalenti metabolici (METS), della variazione della frequenza cardiaca (che è fattore indipendente predittivo di morte) e della pressione arteriosa (con il calcolo del doppio prodotto - ovvero il prodotto tra FC e PAS al picco - che è considerato il parametro più significativamente associato alla mortalità cardiaca nell'anziano), della comparsa di aritmie ventricolari (favorito dall'aumento delle catecolamine, dall'acidosi metabolica, dall'eventuale ischemia indotta dallo sforzo) soprattutto se a comparsa durante la fase di recupero (associati ad aumentato rischio di morte).
I pazienti che non sono in grado di eseguire un test da sforzo massimale o comunque sufficiente al raggiungimento di un carico adeguato di lavoro cardiaco (pensiamo ad esempio ai pz uremici che costantemente lamentano astenia), vanno sottoposti ad un test di imaging.
Allo stato attuale la SPECT rappresenta la principale tecnica con miglior rapporto costo/beneficio. Ha un'altissima sensibilità (85-90%) ed un'alta specificità (70-75%). E' un esame adeguato nella grande maggioranza dei pazienti, in grado di diagnosticare le alterazioni della riserva di flusso non necessitando della risposta ischemica e di ottenere la determinazione simultanea della perfusione, della funzione segmentaria, della frazione d'eiezione e dei volumi ventricolari a riposo. Ha come limiti una grande esposozione a radiazioni (17,5 mSv pari a circa 875 Rx torace), necessita di protocolli più lunghi per l'acquisizione delle immagini, presenta alcune difficoltà nella valutazione della parete inferiore e può dare falsi positivi in caso di BBsn, pre-eccitazione ventricolare e ritmi da PMK. Le indicazioni classiche alla scintigrafia miocardica sono la diagnosi in pz sintomatici con probabilità pre-test intermedia (o in casi selezionati di pz asintomatici), la valutazione funzionale di cardiopatia ischemica nota, la stratificazione del rischio cardiovascolare (estensione, gravità e sede dell'ischemia), la presenza di ischemia residua post infartuale, la selezione di pazienti da rivascolarizzare, la stratificazione del rischio prima di interventi chirurgici non cardiaci.
Una valida alternativa alla scintigrafia, laddove non è possibile che il paziente esegua uno sforzo, è l'ecocardiografia da stress farmacologico. Seppur dotata di minore sensibilità rispetto alle tecniche di imaging, presenta però una maggiore specificità (84-86%). E' più sensibile e più specifico nella diagnosi di ischemia inducibile rispetto al test ergometrico ed ha una maggiore sensibilità nei multivasali vs monovasali e per stenosi superiori al 70% vs 50-70%. Purtroppo è ancora oggi altamente operatore dipendente; è richiesta una risposta ischemica (se questa è di lieve entità si può avere rapido recupero delle alterazioni della contrattilità di parete); non sempre sono possibili studi completi e di buona qualità; nonostante i tempi e la procedura occorrente è rimborsata alla stregua di un normale esame ecocardiografico.
Una considerazione a parte va fatta per la cosiddetta TC coro. Fino al 2006 è stato considerato come test inappropriato nei pazienti a basso e medio rischio e fortemente dubbio in quelli ad alto rischio. Era gravata da elevate dosi di radiazioni (10-25 mSv pari a 500-1250 Rx torace). Controindicata in caso di instabilità clinica, insufficienza respiratoria, capacità di mantenere apnea inspiratoria compatibile con il tempo di scansione, elevata frequenza cardiaca (gli artefatti di movimento riducono progressivamente il numero dei segmenti visualizzati correttamente), grave insufficienza renale (nefropatia da mezzo di contrasto). La recente implementazione della tecnica (ECG triggering prospettico) ha ridotto sensibilmente la dose delle radiazioni (1-4 mSv) ed ha attenuato gli artefatti da alta FC, ha aumentato la capacità di valutare le stenosi coronariche significative come riduzione del >50% del diametro luminare e la visualizzazione di circa il 98% dei segmenti. Ha un altissimo potere predittivo negativo: l'assenza di calcio esclude la malattia coronarica con valore predittivo negativo dell'84-100% mentre la sua presenza comporta un aumento del rischio relativo di eventi maggiori. Il paziente ideale da sottoporre a TC coro è un paziente a rischio intermedio, sintomatico (con dolore toracico tipico o atipico). Altri campi di applicazione possono essere pazienti con dolore toracico tipico e test da sforzo negativo o con dolore toracico acuto, ECG non diagnostico e livelli di troponina alti. Infine può trovare applicazione nello screening di malattia coronarica in paziente da sottoporre ad intervento chirurgico importante non cardiaco. Non vi è però correlazione tra calcio coronarico e significato fisiologico o anatomico di una stenosi. La tendenza è una sovrastima della gravità dell'ostruzione aterosclerotica. Ancora oggi le arterie fortemente calcifiche (spesso presenti nel nefropatico cronico) rappresentano un ostacolo importante in quanto in questi segmenti il lume non può essere visualizzato (effetto blooming) e la performance (in termini di ripetibilità) risulta ancora operatore dipendente (pertanto, in caso di positività, può richiedere l'esecuzione di ulteriori test funzionali).
Per quanto riguarda l'angio risonanza magnetica i dati disponibili indicano che tale tecnica ha una minore percentuale di successo ed una minore accuratezza della TC nell'identificare la presenza di malattia coronarica. Di recente sono stati introdotti nella pratica clinica l'utilizzo di farmaci quali la dobutamina (per individuare le anomalie della cinesi parietale) e l'adenosina (per individuare i difetti di perfusione) ma i dati pubblicati sono limitati (in una recente metanalisi le alterazioni della cinesi parietale hanno mostrato una sensibilità dell'83% e una specificità dell'86% all'analisi basata sul paziente, mentre l'imaging perfusionale ha dimostrato una sensibilità del 91% e una specificità dell'81%).
Un ultimo accenno alla PET (tomografia ad emissione di positroni) gravata, come già detto da costi improponibili. Essa ha una capacità diagnostica di coronaropatia decisamente superiore alla SPECT con una sensibilità del 92% ed una specificità pari all' 85%.
Da quanto sopra esposto, in base alle linee guida attualmente in uso, si può notare (vedi tabella 1) come solo l'ecocardiografia con stress farmacologico e l'imaging nucleare abbiano un'indicazione di classe IA nella valutazione funzionale in pazienti con probabilità pre-test intermedia. In caso di positività a tali esami, in presenza dunque di alto rischio, è indicata una valutazione di tipo anatomica mediante angiografia invasiva (vedi anche algoritmo).
Concludo con l'amara analisi degli autori dell' American College of Radiology: Le vecchie abitudini di spensieratezza diagnostica erano alimentate da un rassicurante presupposto: quello che si ignora è, per definizione, poco importante e quello che non si paga di tasca propria non costa...la nostra generazione è forse l'ultima che ha potuto permettersi il lusso di prescrivere in assoluta libertà, nell'assenza totale di verifiche e controlli di appropriatezza, senza conoscere le dosi, negando i rischi e trascurando i costi e questo è (Bonow, Is appropriateness appropriate?) un lusso economico e intellettuale, che probabilmente oggi non ci possiamo più concedere!
Tabella 1
|
screening |
SINTOMATICO |
Valut progn + |
Valut progn - |
||
|
Probabilità pre-test |
|
||||
bassa |
intermedia |
alta |
||||
Valutazione anatomica |
||||||
angio-invasiva |
III A |
III A |
IIb A |
I A |
I A |
I A |
angioTC |
III B |
III B |
IIa B |
III B |
IIb C |
IIa B |
angioRMN |
III B |
III B |
III B |
III B |
III C |
III C |
Valutazione funzionale |
||||||
ecostress |
III A |
III A |
I A |
III A |
I A |
I A |
Imaging nucleare |
III A |
III A |
I A |
III A |
I A |
I A |
RMNstress |
III B |
III C |
IIa B |
III B |
IIa B |
IIa B |
PET perf |
III B |
III C |
IIa B |
III B |
IIa B |
IIa B |
Algortimo decisionale
Alta o intermedia probabilità pre-test |
||
↓ |
↓ |
↓ |
Imaging normale |
Difetto reversibile moderato |
Test ad alto rischio |
↓ |
↓ |
↓ |
Strategie di prevenzione |
Follow up con imaging |
Strategia invasiva |
Bibliografia
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