L’assistenza per intensità di cura in area medica: necessità o tendenza?

 

U. Recine

 

 

Introduzione

Negli ultimi 20 anni i bisogni di salute della popolazione sono profondamente mutati per tipologia e intensità e la maggior parte dei nostri ospedali fatica ad adeguarsi alle richieste anche per la difficoltà di coniugare i cambiamenti con la loro sostenibilità.

In particolare, l’”area medica” più che la Medicina Interna (MI) deve far fronte a maggiori complessità e eterogeneità dei pazienti, innovazioni tecnologiche, empowerment dell’utenza e sostenibilità del sistema1,2,3, modificando i “processi produttivi” e i flussi dei pazienti per massimizzare efficacia e efficienza3.

In letteratura negli ultimi 25 anni sono comparse numerose sperimentazioni in strutture ospedaliere che hanno disegnato percorsi diagnostico-terapeutici (PDT) diversi in funzione di diversi livelli di rischio clinico dei pazienti definito con un semplice score eseguito all’ammissione del malato in Ospedale4,5,6,7,8.

La riorganizzazione degli ospedali (ma infine anche del SSR) secondo un modulo così rivoluzionario che tenga conto delle reali esigenze del paziente indipendentemente dalla branca di pertinenza costituirebbe una rivoluzione copernicana nell’assistenza pubblica. Essa dovrebbe smontare i rigidi confini dei reparti specialistici per riconsegnare i posti letto alla macrostruttura in modo che servano a “prendersi cura” del paziente nel posto in cui sono disponibili strumenti e competenze adeguati, con recettività modulabile in funzione della domanda e in cui lo specialista di riferimento prenderà in carico il paziente dovunque esso sia stato ricoverato. Ciò costituisce da decenni il sistema delle Case di Cura “private” che per tale aspetto andrebbe emulato.

 

Metodologia

Siamo partiti dall’analisi della popolazione assistita in Medicina Interna, valutando il livello di criticità che presentavano i pazienti all’ammissione con lo score mEWS9 in 8 strutture ospedaliere del Lazio (tabella 1). Abbiamo raccolto in 2 periodi di 3 mesi ciascuno, nell’autunno 2011 e nella primavera 2012, 1103 schede delle quali 800 riportavano anche l’esito delle cure, distinto in: evento avverso (morte o trasferimento verso reparti ad alta intensità, Rianimazione, UTIC o UTIR) o esito positivo (dimissione per guarigione, miglioramento o stazionarietà del quadro a domicilio, riabilitazione, post-acuzie, hospice). Ciò è servito anche al dimensionamento della popolazione che necessita di un monitoraggio continuo dei parametri vitali perché a più alto rischio di scompenso d’organo o morte.

Successivamente abbiamo esaminato modelli d’intensità di cura applicati in realtà diverse per valutare diversità, criticità ed eventuali soluzioni adottate. Infine abbiamo proposto un modello logistico applicabile presso il Polo Ospedaliero S.Spirito in Saxia, l’ospedale più antico di Europa. Nel format dello score (figura 1), oltre ai 5 items previsti dal mEWS, abbiamo aggiunto 3 parametri abitualmente rilevati nella valutazione quotidiana dei nostri pazienti per valutarne l’impatto ai fini prognostici: età, SO2 e comorbidità.

Al fine di stabilire la significatività dei singoli items è stata condotta una regressione logistica univariata. L’accuratezza diagnostica del mEWS è stata stimata attraverso l’area sottesa alla curva ROC (AUC). La correla-zione tra parametri è stata valutata con il coefficiente di correlazione di Spearman. Un p-value inferiore a 0,05 è stato considerato significativo. Le analisi statistiche sono state effettuate con il softwere statistico SPSS 16.0.

 

 

Risultati

Su 1103 pazienti la degenza mediana è stata di 7 gg (0-84). Il mEWS all’ingresso variava tra 0 e 14. Il 36,6% ha riportato un punteggio 0;  il 20,7% ≥ 3.

Delle 1103 schede esaminate, 303 sono risultate incomplete per mancanza dell’annotazione di esito e pertanto sono state utilizzate solo per i dati di ammissione. Sugli 800 pazienti con schede complete, 718 (gruppo A) erano ricoverati in MI di Ospedali con PS mentre 82 provenivano da Ospedali senza PS (gruppo B. Il 22,6% del gruppo A aveva all’ingresso un mEWS ≥ 3 vs il 9,9% del gruppo B. L’incidenza di eventi avversi e la mortalità erano rispettivamente il 13,1 e 12% per il gruppo A vs il 4,9% per entrambi gli esiti nel gruppo B. Pertanto la prima conclusione dello studio è che lo score mEWS è uno strumento efficace per identificare una popolazione “clinicamente fragile” o “ad elevato rischio di morte” in MI. Uno score 3 è risultato predire un evento avverso nel corso del ricovero con sensibilità del 72%, specificità del 62%.

Tutti e tre i parametri aggiunti al mEWS, età, SO2 e comorbidità, si sono dimostrati significativi, ma con peso diversificato: l’età impatta maggiormente se > 80 anni, SO2 se < 92% e la comorbidità solamente con >5 patologie concomitanti. Globalmente, però, l’aggiunta di età e SO2 modifica in misura marginale sensibilità (71%) e specificità (67%) del mEWS originale. 

 

Discussione

Il cambiamento della tipologia di pazienti ricoverati in MI è dovuto a molteplici cause: a) invecchiamento della popolazione con comorbidità e multi farmacologia, b) migrazioni da Paesi extracomunitari e turismo di massa per eventi straordinari; c) malattie croniche embricate con il disagio socio-economico; d) “spostamento” in ambito medico conservativo di patologie in passato di pertinenza chirurgica;  e) sviluppo tecnologico diagnostico e terapeutico f) ricerca esasperata di efficienza in Sanità con contrazione dei p.l. ospedalieri; g) influenza sulle scelte diagnostico-terapeutiche di farmaco-economia e medicina difensiva3,4.

D’altra parte il ruolo insostituibile dell’internista è stata riaffermato soprattutto negli ospedali di piccole-medie dimensioni dove in MI confluiscono tutte le specialità di area e l’internista è di fatto il vero regista di diagnosi e cura che si avvale delle indicazioni specialistiche, adattandole alla realtà clinica. Spesso i ricoverati in MI sono anziani o molto anziani (età media degenti MI Ospedale S.Spirito: 76,9 anni, dati SIO, 2012), ma proprio per questo solo gli internisti riescono a coniugare speranza di vita e salvaguardia della sua qualità con sostenibilità e ragionevolezza dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA). In generale, il PDTA deve intendersi come il percorso più adatto a realizzare le performance attese del processo (efficacia) in uno specifico contesto organizzativo di riferimento e con le effettive disponibilità di risorse.

Anche se la maggioranza dei pazienti ammessi in MI ha score di rischio 0-1, esiste mediamente un 15-20% di malati che, al contrario, necessita di stretta monitorizzazione dei parametri vitali per cogliere tempestivamente l’evoluzione negativa del quadro clinico. Questa popolazione non deve occupare posti di Terapia intensiva in quanto non ha necessità di ventilazione assistita, ma può richiedere interventi altamente tecnologici o rianimatori per prevenire o trattare lo scompenso di uno o più organi. Per questi pazienti, lo strumento organizzativo più efficiente potrebbe essere una piastra di MI, gestita dagli internisti, dotata di presidi e personale infermieristico dedicato in grado di erogare un’alta intensità assistenziale, l’high care o area cure speciali internistica. Il suo compito è continuare a monitorizzare pazienti provenienti dalle unità di rianima-zione o terapia intensiva cardiologica o respiratoria e stabilizzare il malato prima di trasferirlo in degenza ordinaria dove l’assistenza è meno intensa. In quest’ultima sezione, la più consistente delle MI, alcuni posti letto devono essere attrezzati per favorire l’utenza con ridotte richieste cliniche ed elevati bisogni infermieristico-riabilitativi: alza malati elettrici, materassi antidecubito, strumenti fisioterapici semplici, etc. In altre parole i reparti di MI devono essere modificati in modo da poter graduare l’intensità assistenziale erogata12,13,14,15,16 in 3 diverse aree: bassa, intermedia e cure speciali.

Circa 2 su 10 pazienti della MI hanno bisogno di monitorizzazione continua multi parametrica e controlli clinici ed infermieristici frequenti. Questi pazienti vanno gestiti nell’area Cure Speciali, ma, appena stabilizzati, dovranno passare a quella di Intensità Intermedia o Degenza ordinaria, mentre se nel corso della degenza un paziente in DO diviene instabile (p.es. scompenso cardiaco refrattario) dovrà essere trasferito nell’area CS. Per i pazienti con livello assistenziale basso, sappiamo per esperienza, come spesso sia impossibile l’affidamento in tempi congrui a lungodegenza, riabilitazione, RSA o Assistenza domiciliare: parliamo di allettati affetti da malattie incurabili o in coma stabile o malati con multipatologia e/o malnutriti. Per loro le MI ospedaliere devono prevedere un 20% circa della recettività a gestione prevalentemente infermieristica, fino al trasferimento in una struttura più idonea.

Nella loro analisi della riorganizzazione dell’Ospedale Civile di Foligno, Villa e coll. identificano in limitatezza delle risorse e resistenza al cambiamento del sistema i due ostacoli principali alla ristrutturazione dell’attuale modello ospedaliero, distinto in aree specialistiche ben distinte e con recettività blindata in un’organizzazione per aree assistenziali omogenee per quantità e qualità di cure erogate, svincolate dalla branca di riferimento. La recettività di tali aree può variare in funzione del mutare delle esigenze anche stagionali dell’utenza. Secondo questo modello la centralità del paziente è pienamente compiuta, poiché è lo specialista di riferimento (case manager) a spostarsi nelle aree a diversa intensità di cura per seguire l’evoluzione del”suo” malato che in quel momento del decorso ha necessità di quel grado di assistenza, ma che successivamente a giudizio dello stesso “curante” può modificare le sue richieste. Le esperienze di Forlì e Foligno, che hanno potuto progettare le nuove strutture ospedaliere sull’idea innovativa dell’intensità di cura delle aree di produzione, indipendentemente dalla completa o parziale realizzazione del modello, sono importanti per tutti noi ed in particolare per le strutture con caratteristiche e mission simili. I loro risultati, metodi e, ancora più importante, criticità risolte o meno nel percorso seguito sono preziosi per altri ospedali simili per capienza (p.es. Foligno, 240 p.l. più 35 di riabilitazione), contesto demografico dell’utenza (piccolo contesto cittadino più ampio territorio rurale) e mission assistenziale (DEA di I livello)12,13,14.

In sintesi, i reparti delle MI di Ospedali con PS devono diversificare la propria recettività in tre aree: l’High e Low care ciascuna delle quali ha il 15-20% dei p.l. globali con una piastra centrale con il 40-50% della recettività globale per i pazienti ad elevata complessità assistenziale, ma stabili o con scarsa probabilità di scompenso d’organo ed infine un “Ospedale di Giorno” con circa il 25% dei posti letto della UOC per l’attività H12 di DH e DS.  Le varie aree devono costituire contenitori “comunicanti” con il variare della situazione clinica del paziente. E’ necessario a questo scopo dotarsi di uno strumento semplice, oggettivo e riproducibile per stabilire a quale area attribuire un paziente. Esso può essere costituito da un elenco di patologie appropriate per i diversi livelli assistenziali o un elenco di parametri clinici semplici che fotografino una situazione funzionale del paziente indipendentemente dalla patologia di base e che corrisponda alla probabilità di scompenso d’organo dell’individuo. L’ospedale di Foligno ha preferito il primo sistema incontrando difficoltà di spostamento del paziente tra le aree, poiché pur se clinicamente stabilizzati la patologia di base rimaneva la stessa. Noi riteniamo più efficace una valutazione della criticità all’ammissione attraverso semplici parametri vitali, ripetibile nel corso del ricovero mediante strumenti mEWS-simili, indicativi del reale, contingente rischio clinico del paziente associati ad alcune condizioni patologiche la cui presenza, da sola, merita un’osservazione speciale sia pur con score che non raggiunge il cut off stabilito per l’accesso all’area assistenziale ad alto rischio. Il mEWS, pur essendosi rivelato un efficace strumento discriminante è probabilmente migliorabile come lo stesso Saube precisa nel suo lavoro. Anche lui sottolinea come l’età dovrebbe essere inclusa e la temperatura corporea elevata o alti valori di PA non costituiscano un rischio aumentato di evento avverso, dati confermati nella nostra analisi. Il lavoro di Kellet e Kim di validazione di un altro score, il ViEWS7,8, quale strumento di differenziazione del rischio di morte intra-ospedaliero su un’ampia casistica di pazienti ricoverati in un ospedale canadese differisce dal nostro studio per almeno due aspetti: a) prende in considerazione tutti i pazienti ammessi sia medici che chirurgici che specialistici; b) non considera fra i criteri lo stato di coscienza che nella nostra casistica si è rilevato all’analisi uni variata il più valido elemento predittivo della prognosi. Inoltre non considera l’età una discriminante utile ai fini della determinazione del rischio di evento avverso intra-ospedaliero.

Sulla scorta dei nostri risultati abbiamo pertanto disegnato un nuovo score di rischio clinico “internistico” (tabella 2) che include 6 parametri, invece dei 5 del mEWS, inserendo età e SO2 ed escludendo T°, PAS e i valori elevati della PAD, perché parametri non sempre coerenti o comunque di peso statistico inferiore agli altri, accorpando gli stati di coma non reattivo e reattivo al dolore perché di impatto sovrapponibile. Abbiamo attribuito un peso diverso a Fc < 40/m’ o >130/m’, poiché in clinica hanno peso diverso. Lo score che ne deriva prevede un punteggio da 0 a 3 per singolo item. Un valore globale di 3 potrebbe discriminare la popolazione ad alto e basso rischio clinico di cui la prima dovrebbe essere ammessa nell’area HC. Allo score numerico abbiamo voluto aggiungere un elenco di condizioni che da sole mettono il paziente a rischio di serie complicanza, anche in caso non sia raggiunto il punteggio previsto per l’HC e se diagnosticate con elevata probabilità devono essere considerate criterio di accesso all’area cure speciali fino a ragionevole stabilizzazione clinica.

Lo strumento va validato in un trial sufficientemente ampio multistituzionale, possibilmente nazionale.

 

Considerazioni Finali

Siamo perfettamente d’accordo con Villa e coll. quando sostengono che nella Sanità esistono ampi spazi per innovazione e miglioramento, ma i cambiamenti devono avvenire in maniera coordinata e non a macchia di leopardo, basandosi sull’analisi dei bisogni e sulla responsabile valutazione delle risorse. Siamo altresì convinti che l’intensità di cura costituisca un’organizzazione potenzialmente molto utile al nostro sistema sanitario, ma non esiste un suo unico modello ugualmente utile per tutti gli stabilimenti ospedalieri: un DEA di I o II livello, un Policlinico Universitario, un ospedale con 800-1000 p.l. collocato al centro di una grande città ed uno di 150 p.l. senza le alte specialità in un contesto rurale non potranno applicare gli stessi processi o percorsi per realizzare il medesimo scopo.

La riqualificazione assistenziale e della rete ospedaliera deve essere calata nelle singole realtà e contestualizzate da un gruppo di lavoro coordinato da un regista unico il “project manager” (preferibilmente un medico di Direzione Sanitaria), con la collaborazione convinta dei professionisti, parte essenziale del progetto, che devono essere coinvolti nella programmazione e nelle proposte di modifiche ai processi e ai percorsi più adatti alla struttura e all’utenza di cui solo loro hanno una conoscenza vera.

 

Tabelle e figure

 

Tabella 1  Ospedali Partecipanti  allo studio FADOI- GIMI

 

Ospedale

Pazienti inseriti nello studio (%)

Pronto soccorso

S.Spirito

43,1%

SI

Colleferro

14,4%

SI

S.Camillo

9,4%

SI

S.Pertini

9,3%

SI

Vannini – Figlie di S.Camillo

9,3%

SI

S.Giovanni Battista Calibita – FbF

1,6%

SI

Policlinico Luigi Di Liegro

7,3%

NO

Civile di Marino

5,4%

NO

 

 

 

 

 

 

       

 

 

 

Figura 1 Score mEWS modificato

 

3

2

1

0

1

2

3

PA sistolica

<70

71-80

81-100

101-160

161 - 200

≥200

 

Freq. Cardiaca

 

<40

41-50

51-100

101-110

111 - 129

≥ 130

Freq. respiratoria

 

< 9

 

9 - 18

19 - 20

21 - 29

≥ 30

Temp (C°)

 

<35

 

35-38.4

37,5 - 38,5

≥ 38.5

 

AVPU score (coscienza)

 

 

 

Vigile

Reattivo alla voce

Reattivo al dolore

Non reattivo

Età

90 e oltre

81 - 89

75 - 80

<75

 

 

 

sO2

<70

70 - 85

86 - 92

>92

 

 

 

Comorbilità

5

4

3

 

 

 

 

Esito

Domicilio

Post acuzie

 

CR

UTIC

Riabilitazione

Hospice

 

 

Tabella 2 Proposta di  Score di Criticità Clinica GIMI  (gruppo intensità Medicina Interna)

 

0

              1

2

PAS, mmHg

>85

80-85

<80

Fc, rate/m’

< 130

>130

<40

FR, rate/m’

< 24

>24

 

Età, anni

<80

80-89

≥90

AVPU

Vigile o facilmente risvegliabile

Reattivo alla voce

Reattivo al dolore o non reattivo

SO2, %

≥90

85-89

<85

Score > 3 o una sola condizione tra le successive: RR di evento avverso aumentato

Acidosi metabolica o respiratoria (pH <7,30)

Sepsi severa

EPA

Aritmia cardiaca con necessità di monitoraggio

Shock

Ictus ischemico esteso o emorragia cerebrale

IpoNaemia severa (Na<120 mEq)

Anomalie ecg con markers di ischemia cardiaca anormali

 

 

        Bibliografia

 

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Direttore U.O.C. Medicina Interna Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma