PROTOCOLLI DI TRATTAMENTO: TEMPI E MODI IN GRAVIDANZA E IN ONCOLOGIA

V. Scotto Di Palumbo

SINTESI

L’embolia polmonare è una delle principali cause di morte, dopo la malattia coronarica.

I pazienti oncologici con metastasi a distanza hanno un alto rischio di tromboembolia venosa, fino a 7 volte di più rispetto alla media.

Le principali forme tumorali a rischio di tromboembolia venosa sono il tumore ematologico, il tumore polmonare, il tumore gastrointestinale, il tumore ovarico.

I pazienti oncologici hanno un’evidente ipercoagulabilità del sangue potenziata dall’effetto dei farmaci chemioterapici, dall’assunzione di fattori di crescita e dalla necessità di subire un intervento chirurgico.

La chirurgia ginecologica ha una prevalenza tra le pazienti ricoverate fino al 40% di tromboembolia venosa, con un picco nei primi 5 giorni e tra 11 e 15 giorni dall’intervento.

I dati della letteratura dimostrano che la profilassi dovrebbe essere eseguita subito prima e poi 4 settimane dopo l’intervento.

I farmaci chemioterapici hanno effetti diversi sul rischio di tromboembolia venosa. Il Fluorouracile ha un rischio doppio rispetto al Platino. Il rischio degli Inibitori dell’aromatasi è minimo.

La profilassi con l’eparina a basso peso molecolare protegge da eventi tromboembolici durante la chemioterapia.

L’eparina a basso peso molecolare è il farmaco di scelta.

L’eparina non frazionata non ha nessun vantaggio rispetto all’eparina a basso peso molecolare e risulta meno maneggevole.

I tumori ginecologici con rischio di ascite, come il tumore ovarico, determinano effetti sistemici che aumentano la possibilità di tromboembolia venosa. Il tumore della portio e dell’endometrio non rientrano in questa lista.

La riduzione dell’aggregabilità del sangue che si ottiene con l’eparina a basso peso molecolare nelle forme avanzate di tumore ginecologico riduce il rischio di metastasi e rallenta la progressione della malattia.

In conclusione la profilassi con eparina a basso peso molecolare in ginecologia oncologica dovrebbe essere somministrata negli interventi di chirurgia maggiore, dovrebbe proseguire nel corso della chemioterapia, si dovrebbero prediligere i farmaci con un antidoto, nell’aspettativa di un effetto benefico sulla diffusione della malattia.

 

Per la corrispondenza:

prof. Pier Luigi Antignani

 

antignani@mclink.it