La sindrome metabolica.
M. SCOPPIO
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già da alcuni anni ha
posto l’attenzione su quella che viene ormai comunemente definita una “epidemia
di obesità e diabete” (“globesity”) da cui purtroppo neanche l’Italia - un tempo
patria della dieta mediterranea - oggi è immune.
Alle basi di tale “epidemia” c’è un’alimentazione troppo spesso caratterizzata
dal consumo eccessivo di proteine, grassi saturi, zuccheri e sale, cui si
aggiuge una crescente sedentarietà e una sempre minore attitudine al movimento e
all’attività fisica, sia sul luogo di lavoro sia nel tempo libero. La
conseguenza è che oltre la metà della popolazione italiana (adulta e giovanile)
è in sovrappeso, mentre ben 4 milioni di persone (il 25% in più rispetto a 10
anni fa) risultano obese. Anche la presenza di casi di diabete
insulino-resistente è sostanzialmente raddoppiata (un problema che tocca ormai
il 6-8% degli italiani), mentre i decessi per malattie cardiovascolari ammontano
ogni anno a circa 250 mila, risultando la prima causa di morte (40% del
totale)Se si aggiunge che 1 italiano su 3 soffre di ipertensione arteriosa e 1
su 5 di ipercolesterolemia, ecco riassunto il preoccupante quadro clinico di
quella che, da circa 40 anni, viene definita “sindrome metabolica”: una
pericolosa associazione di sintomi che vede coesistere ipertensione, obesità,
diabete e dislipidemia in soggetti che diventano perciò ad altissimo rischio di
eventi cardiovascolari.La
sindrome metabolica consiste di molteplici fattori di rischio di origine
metabolica, tra loro correlati, che sembrano promuovere lo sviluppo della
malattia cardiovascolare aterosclerotica.
I fattori di rischio metabolici comprendono: dislipidemia aterogenica ( elevate
concentrazioni di trigliceridi ed apolipoproteina B, particelle LDL di piccole
dimensioni e bassi livelli di colesterolo HDL ), elevata pressione sanguigna,
elevata glicemia, stato protrombotico, stato proinfiammatorio.
I fattori di rischio sottostanti che possono precipitare la sindrome metabolica
sono l’obesità addominale e la resistenza all’insulina.
Altre condizioni associate sono: l’inattività fisica, l’età, la predisposizione
genetica ed etnica.
Diagnosi clinica
Nel 2001, il National Cholesterol Educational Program ( NCEP ) Adult Treatment
Panel III ( ATP III ) ha proposto una semplice serie di criteri diagnostici
basati su comuni misure cliniche comprendenti: circonferenza del giro vita,
trigliceridi, colesterolo HDL, pressione sanguigna e glicemia a digiuno.
La presenza di alterazioni in 3 di queste 5 misure costituisce una diagnosi di
sindrome metabolica.
I criteri diagnostici NCEP-ATP III per la sindrome metabolica sono i seguenti:
- elevata circonferenza del giro vita: maggiore o uguale a 102cm negli uomini e
88cm nelle donne;
- elevati livelli di trigliceridi: maggiore o uguale a 150mg/dl ( 1.7mmol/l );
- ridotti livelli di colesterolo HDL: minore di 40mg/dl ( 1.03mmol/l ) negli
uomini e di 50mg/dl ( 1.3mmol/ ) nelle donne;
- elevata pressione sanguigna: maggiore o uguale a 130mmHg per la pressione
sistolica ed 85mmHg per la pressione diastolica;
- elevata glicemia a digiuno: maggiore o uguale a 100mg/dl.
L’International Diabetes Federation ( IDF ) ha proposto una serie di criteri
clinici che sono simili ai criteri ATP III aggiornati.
Infatti, i valori soglia sono identici per quanto riguarda i trigliceridi, il
colesterolo HDL, la pressione sanguigna e la glicemia.
La principale differenza è rappresentata dalla circonferenza del giro vita, i
cui valori dovrebbero essere aggiustati per i diversi gruppi etnici.
Secondo i criteri IDF, l’obesità addominale incorpora sia il concetto di obesità
sia di resistenza all’insulina.
Management clinico
L’obiettivo primario del management clinico della sindrome metabolica è ridurre
il rischio di malattia aterosclerotica clinica.
Inoltre, un obiettivo strettamente correlato è quello di ridurre il rischio di
diabete mellito di tipo 2 in quei pazienti che non hanno ancora i segni
manifesti della malattia.
Riguardo alla riduzione degli eventi della malattia cardiovascolare
aterosclerotica, gli interventi di prima linea sono quelli di ridurre i
principali fattori di rischio: evitare di fumare sigarette e ridurre il
colesterolo LDL, la pressione sanguigna ed i livelli di glicemia agli obiettivi
raccomandati.
La scelta, e l’intensità, degli interventi finalizzati a ridurre i fattori di
rischio dipende in parte dal rischio assoluto dei pazienti.
I pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica e diabete sono ad alto
rischio nel breve periodo ( entro 10 anni ) e richiedono intervento intensivo.
Per i soggetti senza malattia cardiovascolare aterosclerotica e diabete il
rischio a 10 anni dipende dal punteggio di Framingham.
Il rischio nel lungo periodo per i pazienti con sindrome metabolica è elevato
senza riguardo al punteggio di Framingham.
Pertanto, il rischio nel lungo periodo deve essere considerato un’alta priorità
per il management clinico delle persone con sindrome metabolica.
Nel management del rischio di lungo periodo, così come per quello di breve
periodo, il cambiamento dello stile di vita rappresenta l’intervento di prima
linea per ridurre i fattori di rischio metabolici.
I principali interventi sullo stile di vita comprendono: perdita di peso nei
soggetti obesi o in soprappeso, aumentata attività fisica e cambiamento della
dieta aterogenica.
Per gli individui a maggior rischio a 10 anni devono essere prese in
considerazione anche terapie specifiche.
L’intensità della terapia deve essere commisurata allo stato di rischio a 10
anni.
Dislipidemia aterogenica
Il trattamento della dislipidemia aterogenica segue le raccomandazioni delle
linee guida NCEP.
Il target primario della terapia ipolipemizzante è rappresentato dal colesterolo
LDL.
Il livello di colesterolo LDL deve essere ridotto come raccomandato dalle linee
guida NCEP, in base alla categoria di rischio.
Quattro categorie di rischio a 10 anni per la malattia cardiaca sono state
identificate per la terapia di riduzione del colesterolo LDL: alto rischio ( >
20% ), moderatamente ad alto rischio ( 10-20%, con 2 o più fattori di rischio )
e basso rischio ( inferiore al 10%, con o senza alcun fattore di rischio ).
Le linee guida NCEP raccomandano come target i seguenti livelli di colesterolo
LDL: alto rischio ( livelli inferiori a 100mg/dl [ opzionale, < 70mg/dl ] ),
moderatamente alto rischio ( livelli inferiori a 130mg/dl [ opzionale, <
100mg/dl ] ), rischio moderato ( livelli inferiori a 130mg/dl ), basso rischio
(livelli inferiori a 160mg/dl ).
Per i livelli di trigliceridi maggiori o uguali a 200mg/dl, il colesterolo
non-HDL rappresenta un target secondario di trattamento dopo aver raggiunto
l’obiettivo primario rappresentato dal colesterolo LDL; l’obiettivo colesterolo
non-HDL è 30mg/dl più alto di quanto specificato per il colesterolo LDL.
Se i livelli di trigliceridi sono maggiori o uguali a 500mg/dl, la riduzione dei
trigliceridi a valori inferiori a 500mg/dl deve rappresentare l’obiettivo
primario, anche rispetto alla riduzione del colesterolo LDL, in modo da evitare
il rischio di pancreatite acuta.
Dopo che il target di colesterolo LDL e colesterolo non-HDL è stato raggiunto un
terzo obiettivo è rappresentato dal colesterolo HDL.
Per alcuni individui può essere necessario l’impiego di farmaci ipolipemizzanti,
come statine, Ezetimibe, sequestranti gli acidi biliari.
Altri farmaci che possono produrre moderate riduzioni del colesterolo LDL sono:
Acido Nicotinico, fibrati.
Deve essere usata precauzione nell’uso contemporaneo dei fibrati ( in modo
particolare del Genmfibrozil ) con le statine per un aumentato rischio di grave
miopatia.
I fibrati o l’Acido Nicotinico rappresentano la terapia di prima linea per i
pazienti con grave ipertrigliceridemia.
Elevata glicemia
In presenza di alterata glicemia a digiuno, la progressione a diabete mellito di
tipo 2 può essere ritardata o prevenuta mediante cambiamenti dello stile di
vita, specialmente riduzione di peso ed aumentata attività fisica.
Attualmente, le terapie farmacologiche atte a ridurre la glicemia o la
resistenza all’insulina non sono raccomandate per i pazienti con alta glicemia a
digiuno.
Una volta che il diabete si è sviluppato, la terapia farmacologica è spesso
raccomandata per raggiungere i target fissati dell’American Diabetes Association
per quanto riguarda l’emoglobina glicosilata ( HbA1c ) ( < 7% ).
Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2, oltre ai cambiamenti dello stile di
vita, dovrebbero anche essere prese in considerazione terapie farmacologiche per
la dislipidemia aterogenica e l’ipertensione.
Stati protrombotici e proinfiammatori
La maggior parte degli individui con sindrome metabolica presenta uno stato
protrombotico caratterizzato da aumenti del PAI-1 e del fibrinogeno.
Sebbene non ci siano specifiche terapie disponibili a trattare queste anomalie,
l’impiego dell’ Aspirina a basso dosaggio può essere raccomandata nei pazienti
con sindrome metabolica che presentano un rischio a 10 anni di malattia
coronarica, superiore o uguale al 10%, ed anche nei pazienti con diabete mellito
di tipo 2 o con malattia cardiovascolare aterosclerotica.
Nei pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica in cui l’Aspirina è
controindicata, si dovrebbe impiegare il Clopidogrel.
Inoltre, la sindrome metabolica è frequentemente accompagnata da uno stato
proinfiammatorio, caratterizzato da aumenti dei livelli di proteina C-reattiva.
Al momento, non esiste alcuna specifica terapia farmacologica in grado di
ridurre lo stato proinfiammatorio; tuttavia, diversi farmaci che trovano impiego
nel trattamento di altri fattori di rischio metabolico possono anche ridurre i
livelli di proteina C reattiva.