Terapia medica e indicazioni chirurgiche

 

Prof Stefano Ruggieri, Dipartimento di Neurologia, Università la Sapienza di Roma;  IRCCS Neuromed, Pozzilli

 

Past- President LIMPE

 

La malattia di Parkinson e’ caratterizzata da sintomi a carico del sistema extrapiramidale quali il tremore, la bradicinesia e la rigidita’. La degenerazione della substantia nigra con perdita dell’ apporto dopaminergico ai gangli della base e’ alla base di questa malattia progressiva. Ai sintomi iniziali subentrano col tempo instabilita’ posturale e demenza.I sintomi possono avere esordio  prevalente espressione  monolaterale ma nella maggioranza dei casi la malattia coinvolge entrambi i lati. La buona risposta alla somministrazione di dopamina e’ un fondamentale criterio per distinguere il morbo di Parkinson da altri disturbi del sistema extrapiramidale che possono presentarsi con simile sintomatologia( parkinsonismi).  La terapia della malattia di Parkinson è molto articolata. Nelle fasi iniziali è preferibile usare farmaci dopaminoagonisti non ergot derivati (pramipexolo e ropinirolo), e solo come seconda scelta è opportuno ricorrere ai dopaminoagonisti ergot derivati (cabergolina e pergolide). Questi ultimi possono infatti indurre valvulopatie cardiache, essendo dotati di proprietà agoniste sui recettori serotoninergici presenti sui fibroblasti cardiaci; la stimolazione di tali recettori determina la attivazione dei fibroblasti con conseguente rischio di fibrosi valvolare. I farmaci dopaminoagonisti riescono ad assicurare un beneficio clinico soddisfacente solo per i primi anni, e con l’evoluzione della malattia diviene ad un certo punto indispensabile l’associazione con la levodopa. Questo farmaco risulta di indubbia efficacia, ed assicura sempre al parkinsoniano un miglioramento notevole delle condizioni motorie. Ma anche la terapia con la levodopa mostra col passare del tempo i suoi limiti: la durata d’azione di una singola dose si riduce, ed è pertanto necessario aumentare il dosaggio e ridurre gli intervalli di somministrazione. Per aumentare la durata d’azione della levodopa si possono associare farmaci che ne inibiscono il catabolismo: l’entacapone come prima scelta, ed in caso di insoddisfacente risposta, il tolcapone. Si può ricorrere  anche alla selegilina. Nonostante le varie associazioni disponibili, la levodopa induce inesorabilmente dopo diversi anni di terapia complicanze motorie: le fluttuazioni on-off e le discinesie.

La perdita progressiva dei neuroni dopaminergici non consente un adeguato accumulo di levodopa ed un suo rilascio costante; il beneficio del farmaco risulta pertanto strettamente legato alla somministrazione di una dose e si esaurisce rapidamente: il paziente fluttua  da fasi in cui conserva una buon mobilita a fasi in cui è bloccato, durante le quali può presentare anche dolorose distonie.

L’alternanza di queste fasi, dapprima prevedibile, può divenire anche irregolare e non prevedibile. Inoltre, durante le fasi di on, possono insorgere movimenti involontari a variabile distribuzione, spesso con interessamento polidistrettuale e coinvolgimento prevalente del distretto cervicale e dei 4 arti.

Tali movimenti potrebbero essere legati ad una eccessiva stimolazione dei recettori dopaminergici post-sinaptici, legata ad un rilascio di levodopa non più regolare e costante, ma improvviso, massivo da parte dei neuroni superstiti ed ad un rilascio irregolare da parte delle cellule gliali, che acquisiscono la capacita di immagazzinare la levodopa sostituendo in qualche modo i neuroni dopaminergici mancanti.

La comparsa delle fluttuazioni motorie comporta ulteriori modifiche terapeutiche, nell’ambito delle quali la più efficace è il ricorso ad una stimolazione dopaminergica continua attraverso la somministrazione per via sottocutanea di un farmaco dopaminoagonista: l’apomorfina, derivato semisintetico della morfina ma privo di affinita’ per i recettori degli oppiacei. La terapia con l’apomorfina non è scevra da complicazioni: il farmaco può non essere assorbito bene e può accumularsi nel tessuto sottocutaneo, oppure l’ago può staccarsi. Soprattutto, l’apomorfina può non essere efficace, ed il controllo delle discinesie essere insufficiente.

Nell’ultimo decennio, una nuova terapia e’ stata proposta per la malattia di Parkinson in fase avanzata: la stimolazione bilaterale con specifici elettrodi del nucleo subtalamico.L’ intervento e’ indicato in pazienti con buona risposta alla somministrazione di dopamina nel momento in cui si sviluppano le complicanze motorie tipicamente indotte dalla somministrazione cronica del farmaco ( discinesie, fluttuazioni motorie, fenomeni on-off).