ROBOTICA IN CHIRURGIA EPATOBILIARE
R. Santoro, G. Vennarecci, P. Lepiane, M. Colasanti, A. Scotti, A. Campanelli, M. Burocchi, L. Colace, D. Caporilli,
G. Levi Sandri, G. M. Ettorre
Lo sviluppo di nuove tecnologie e di una nuova generazione di chirurghi esperti in chirurgia minivasiva hanno permesso lo sviluppo dell’approccio mininvasivo anche nel campo della chirurgia resettiva epatica. Lo sviluppo della chirurgia robotica in campo epatobiliare è stata, come nelle altre branche chirurgiche, un evoluzione naturale dell’approccio laparoscopico. Questo campo della chirurgia generale è stato l’ultimo ad essere affrontato con tecniche mininvasive per le particolarità dell’anatomia dell’organo, per la necessità di controllare le perdite ematiche e per la necessità di avere un controllo oncologico sull’estensione della resezione. La standardizzazione di tecniche resettive epatiche convenzionali che consentono resezioni epatiche senza clampaggio vascolare e senza necessità di trasfusioni, seguendo piani anatomici virtuali identificati con l’ausilio della ecografia intraoperatoria sono i presupposti tecnici moderni per aver consentito di applicare le tecniche mininvasive a questo tipo di chirurgia specialistica. La Consensus Conference di Louisville tenutasi nel 2009, cui hanno partecipato tutti gli esperti di chirurgia epatica riconosciuti a livello mondiale, riconosceva la validità della tecnica laparoscopica, tuttavia identificava quattro punti chiave ed indispensabili per lo sviluppo di questa attività: la presenza nello stesso centro di 1) un team con grande esperienza in chirurgia epatica e di 2) un team con grande esperienza in chirurgia laparoscopica avanzata che possano collaborare sinergicamente a questo scopo, con 3) dotazione di tutti i supporti tecnologici più sviluppati per la chirurgia laparoscopica e 4) un personale infermieristico dedicato.
L’approccio laparoscopico è stato contestato in tutte le esperienze iniziali, sin dalla prima colecistectomia eseguita nel 1987. Questa tecnica è stata inizialmente contestata negli interventi di appendicectomia, ernioplastica, surrenectomia e nefrectomia, splenectomia, ma soprattutto nella chirurgia gastrica e colo-rettale. Tuttavia, dopo circa un quarto di secolo, il pregiudizio ha dovuto riconoscere i risultati dell’evidenza scientifica e l’approccio laparoscopica è diventato il “gold standard” per la maggior parte degli interventi addominali. In particolare, le acerrime discussioni tra chirurghi tradizionali e chirurghi “laparoscopisti” sulla chirurgia del cancro colo-rettale, che hanno dominato gli ultimi venti anni, fanno ormai parte della storia passata, avendo la chirurgia laparoscopica dimostrato risultati oncologici analoghi a quelli della tecnica “open” con risultati funzionali, estetici e di qualità di vita superiori.
La chirurgia mininvasiva del fegato ha anch’essa affrontato lo scetticismo, non tanto della vasta popolazione di chirurghi generali che sostanzialmente non praticano questo tipo di chirurgia, quanto proprio quello dei chirurgi epatici specialisti che erano cresciuti seguendo regole dogmatiche descritte dai pionieri della chirurgia epatica. Tra queste regole vi erano la grande laparotomia, la mobilizzazione completa del fegato, il clampaggio vascolare continuo o intermittente, la transezione parenchimale con digitoclasia o kellyclasia. Tutto ciò era ovviamente in contraddizione con l’approccio mininvasivo. Tuttavia, negli ultimi dieci anni molti centri di chirurgia epatica e hanno pubblicato i risultati di un nuovo approccio chirurgico in chirurgia “open” che, frutto della grande esperienza maturata nei decenni precedenti anche in campo resettivo e trapiantologico, ha permesso di eseguire resezioni epatiche con approccio anteriore senza mobilizzazione del fegato, senza clampaggio vascolare, grazie alla collaborazione del team anestesiologico, con strumenti di dissezione parenchimale anatomica e controllo selettivo dei peduncolo vascolari, che ben si adattano alla tecnica laparoscopica. Forti di questa nuova tecnica resettiva in chirurgia aperta, è stato possibile esplorare l’approccio mininvasivo in chirurgia epatica con risultati sorprendenti. Proprio per questo motivo, il riconoscimento della validità ed efficacia dell’approccio laparoscopico da parte degli operatori coinvolti è stato molto più rapido rispetto agli altri campi della chirurgia generale, e ne è diventato il “gold standard” per molti tipi di resezione e tutti i centri di chirurgia epatica hanno sviluppato e praticano frequentemente l’approccio laparoscopico. La resezione non anatomica dei segmenti II e III e lobectomia sinistra anatomica rappresentano indicazioni ideali come anche quella delle lesioni localizzate nei segmenti “anteriori” V e VI. Tuttavia, negli ultimi 3-4 anni, le indicazioni sono state estese addirittura ai segmenti “più difficili quali il VII e l’VIII ed anche il caudato in presenza di lesioni superficiali o affioranti, segmenti che in genere richiedono comunque una grande laparotomia per mobilizzare il fegato indipendentemente dall’estensione della resezione epatica. In particolare, l’esperienza accumulata in questi anni in chirurgia epatica laparoscopica nei centri ad alto volume ha consentito di affrontare il settore posteriore con il paziente ruotato in decubito laterale sinistro come per la nefrectomia destra. Lo sviluppo della chirurgia robotica agevola il compito del chirurgo in particolare in questi segmenti vista la possibilità di angolare gli strumenti robotici rispetto all’assialità degli strumenti laparoscopici. Sono quindi caduti tutti i dogmi fondamentali della chirurgia epatica che, tuttavia, rimangono capisaldi nelle resezioni che non possono essere affrontate per via laparoscopica, per volume della lesione neoplastica o per il coinvolgimento delle strutture vascolari principali.
L’ecografia intraoperatoria è uno strumento indispensabile in chirurgia epatica per identificare le strutture vascolari intraepatiche, definire la suddivisione dei segmenti epatici ed eseguire resezioni con margine sano di sicurezza rispetto al tumore. In chirurgia laparoscopica e robotica l’ausilio dell’ecografia intraoperatoria risulta ancora più indispensabile in quanto viene meno la percezione tattile che in alcuni casi aiuta il chirurgo durante la fase di transezione parenchimale in chirurgia “open”. E’ quindi necessario dotarsi della sonda ecografica laparoscopica prima di accingersi ad affrontare la chirurgia epatica per via mininvasiva.
L’epatocarcinoma ha rappresentato nei primi hanno l’indicazione più frequente. Con il passare degli anni si sono aggiunte tutte le altre patologie benigne o metastatiche da tumori non addominali in pazienti mai operati all’addome e quindi senza sindromi aderenziali postoperatorie che impedissero la creazione del pneumoperitoneo. Le matastasi epatiche da cancro colo-rettale sono state affrontate per via laparoscopica più tardivamente per due limiti oggettivi: la presenza di aderenze in caso di chirurgia colo-rettale “open”, e l’importanza di identificare eco graficamente tutte le lesioni presenti e resecarle con margine di sicurezza. Per tali motivi, benchè le metastasi epatiche da cancro colo-rettale rappresentino la principale indicazione alla resezione epatica nei centri specializzati, l’incidenza di questa patologia nelle casistiche laparoscopiche è molto limitata perché eseguita solo in pazienti selezionati. Tuttavia, la possibilità di eseguire l’approccio laparoscopico in pazienti sottoposti a laparotomia mediana, ed i vantaggi che questo offre in termini di riduzione delle aderenze postoperatorie, per eventuale chirurgia iterativa delle metastasi, porterà alla estensione delle indicazioni dell’approccio minivasivo anche nel trattamento delle metastasi da cancro colo-rettale.
La chirurgia epatica mininvasiva è probabilmente una delle branche chirurgiche che più beneficiano dei vantaggi specifici della strumentazione robotica. La chirurgia laparoscopica ha i vantaggi di essere più veloce sia nell’istallazione ed inizio della procedura e di essere eseguita con il controllo del chirurgo operatore al tavolo operatorio che può dominare i propri strumenti , che quelli dell’aiuto ed assistente quando necessario. Al tempo stesso, l’approccio laparoscopico ha lo svantaggio di essere ergonomicamente molto faticoso per l’operatore, in particolare nelle procedure complesse, che essere ostacolato nei movimenti dalla presenza degli altri operatori. L’utilizzo del robot consente di eliminare questi due limiti dell’approccio laparoscopico, ossia la fatica e l’interferenza tra i movimenti degli operatori, in quanto l’operatore controlla direttamente dalla consolle la telecamera e almeno due degli strumenti operatori, lasciando libero il campo operatorio per gli strumenti degli aiuti. Quello che emerge con il numero crescente di resezioni effettuate con l’utilizzo del robot è anche l’importante vantaggio tecnico nell’affrontare le lesioni dei segmenti cosiddetti “difficili”, ossia VII ed VIII, dove l’assialità degli strumenti laparoscopici non consente un controllo ideale della resezione, a volte impossibile. La capacità di angolazione degli strumenti robotici risolve brillantemente questo problema, permettendo di eseguire resezioni epatiche altrimenti non fattibili in laparoscopia con enorme vantaggio per il paziente. I tre limiti principali dell’utilizzo del robot non sono di interesse clinico. Il primo è la durata della preparazione della sala operatoria per iniziare l’intervento che nella esperienza iniziale allunga sensibilmente i tempi operatori, ma che con l’esperienza e la pratica abituale possono essere riportati nei limiti della normalità rispetto alla preparazione per un interventi laparoscopico. Il secondo è il fatto che l’operatore non si trova sul campo operatorio, ma alla consolle, e non può controllare direttamente gli strumenti degli assistenti, tuttavia la chirurgia robotica epatica è effettuata nel nostro paese solo in centri di alta specializzazione dove tutti gli operatori sono molto esperti in questo tipo di chirurgia, e dunque anche gli aiuti hanno l’esperienza per controllare eventuali problematiche che si dovessero presentare durante l’intervento. Il terzo problema è indubbiamente il costo, considerando l’acquisto iniziale del robot, il contratto di manutenzione annuale e i kit e gli strumenti per ciascuna procedura. Tuttavia, i vantaggi in termini clinici sono notevoli in particolari interventi in tutte le specialistiche, con significativa riduzione delle complicanze e della degenza postoperatorie. Dunque, una ragionata applicazione nell’ambito di un blocco operatorio multispecialistico in una grande struttura che punta ad affermarsi per le cure ad alta specializzazione può a affrontare i costi della chirurgia robotica senza gravare ingiustificatamente sul bilancio economico, fornendo prestazioni d’eccellenza e ponendo il nostro paese all’avanguardia nel panorama mondiale.
In conclusione, la chirurgia robotica in campo epatobiliare è l’evoluzione naturale dell’approccio minivasivo, in quanto permette di migliorare le performance raggiunte con la tecnica laparoscopica con possibilità di estensione delle indicazioni in casi altrimenti operabili solo con tecnica convenzionale. Per tali motivi sarebbe auspicabile un riconoscimento di tipo economico ai fini del rimborso alla struttura sanitaria come già approvato per altre procedure dove l’utilizzo del robot si dimostra indispensabile.
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U.O.C. Chirurgia Generale e Trapianti, Az. Osp. San Camillo-Forlanini