Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna. una rivoluzione dimenticata[1].
Lucio Russo[2]
Ringrazio il Prof. Perrone per questo invito che mi onora. Quello che vorrei fare è esporre la tesi che la scienza antica, in particolare la scienza ellenistica sia stata in realtà molto più ricca, sia dal punto di vista dei risultati, ma soprattutto dal punto di vista della metodologia, di quanto in genere non si pensi.
Pensavo di cominciare con alcuni cenni all’astronomia antica, perché in genere l’idea che viene trasmessa e rimane anche dalla scuola è che l’astronomia antica era sostanzialmente quella tolemaica contro cui si è dovuto poi fare la battaglia in età moderna per la vittoria del copernicanesimo. C’è un famoso libro di Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito, secondo cui un’astronomia antica sarebbe un’astronomia che vedeva la terra al centro di un mondo chiuso, all’esterno c’era un cielo delle stelle fisse che era pensato come qualcosa di solido, di cristallino in cui le stelle sono incastonate e all’interno si muovono i pianeti su orbite circolari. Poi questo vecchio armamentario è stato superato con la grande rivoluzione copernicana che in qualche modo apre la strada alla modernità.
Se tuttavia si vedono le cose un po’ più da vicino, se per esempio si legge la Prefazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico, si vede che Copernico comincia col dire che lui per arrivare al suo nuovo sistema del mondo quello che aveva fatto era sfogliare le pagine di tutti i filosofi finché non aveva trovato che qualcuno sosteneva che la terra non era ferma ma girava e si era imbattuto evidentemente nell’antica teoria di Aristarco di Samo. E quindi si scopre che l’idea dell’eliocentrismo risaliva in realtà ad Aristarco di Samo nel III secolo a.C. Però in genere si dice che quella di Aristarco era un’idea isolata che non ha avuto molto peso nello sviluppo della storia della scienza. Uno degli argomenti che viene sempre usato per diminuire il peso della teoria eliocentrica di Aristarco è che si tratterebbe di un’idea isolata ma che i tempi non erano maturi, tanto è vero che Aristarco fu accusato di empietà come ci ricorda Plutarco. Quando però andai a leggere un’edizione critica del Dialogo di Plutarco mi stupii che due manoscritti che ci avevano trasmesso quel brano, tutti e due dicevano che era stato Aristarco a accusare di empietà Cleante, che nessuno aveva accusato di empietà Aristarco e che in realtà la teoria eliocentrica era largamente accettata. Tolomeo riprese lo studio dell’astronomia avendo alle spalle un vuoto di due secoli in cui nessuno aveva fatto delle ricerche astronomiche per cui dovette cercare di ricostruire, senza maestri e soltanto leggendo vecchi libri, cosa fossero le teorie astronomiche. Comunque quello che è certo è che l’eliocentrismo era stato proposto da Aristarco di Samo, era stato rifiutato da Tolomeo in epoca imperiale per essere poi ripreso da Copernico.
Però ancora con Keplero stiamo esattamente con l’universo chiuso da una sfera solida, di cristallo. E quando viene abolita la sfera di cristallo che forse si può considerare la vera rivoluzione astronomica? Quando si capisce che le stelle sono a distanza variabile, non sono gemme incastonate nel cristallo, e che sono anche mobili, non sono fisse, insomma. L’abolizione del cielo delle stelle fisse diventa chiara quando si scopre che le stelle sono mobili. La cosa è attribuita in genere a Halley che nel 1718 rileva che la posizione di tre stelle Sirio, Arturo e Aldebaran era mutata rispetto a quella antica riportata nel catalogo stellare di Tolomeo. Quindi abbiamo dovuto aspettare dall’epoca di Copernico fino al 1718 per scoprire che le stelle sono mobili. Tuttavia se leggiamo la Naturalis Historia, Plinio dice che Ipparco aveva pensato che le stelle cosiddette fisse in realtà fossero mobili ma si muovessero così lentamente che il loro moto non poteva essere apprezzato durante una vita umana, allora aveva deciso di preparare un catalogo per segnare le posizioni con esattezza in modo che i posteri avessero potuto misurare lo spostamento. Questo significa che la scoperta di Halley è la conclusione di un esperimento che era cominciato duemila anni prima, ma chi l’aveva ideato era stato Ipparco. Quindi il cielo cristallino delle stelle fisse era qualcosa che all’epoca di Ipparco non c’era mentre c’era ancora all’epoca di Keplero. E quando era sparito? Era sparito ancora prima di Ipparco, era sparito ancora prima di Aristarco, era sparito con Eraclide Pontico un contemporaneo di Platone che era stato il primo a pensare ad una terra mobile e non aveva ipotizzato ancora l’eliocentrismo ma aveva ipotizzato la rotazione diurna. Quindi una rivoluzione che aveva “abolito” il cielo delle stelle fisse sin dall’epoca di Platone ha richiesto in epoca moderna vari secoli per essere attuata, ma seguendo sempre indicazioni che venivano dall’antichità: questa è una cosa che mi sembra impressionante.
Però si dice che tutto questo ha un interesse relativo, la cosa importante è che in epoca moderna si è capito che si può fare una meccanica celeste, cioè esiste un’unica fisica che governa sia i moti terreni che i moti astronomici , mentre nell’antichità si pensava che ci fosse una distinzione qualitativa tra il mondo sublunare e il mondo degli astri . C’è un passo che credo non sia ancora famoso come dovrebbe nel De Facie quae in orbe lunae apparet dove Plutarco scrive “certo la luna è trattenuta dal cadere dallo stesso moto e dalla rapidità della sua rotazione proprio come gli oggetti posti nelle fionde sono trattenuti dal cadere dal moto circolare”, cioè se io faccio roteare una fionda c’è un equilibrio, diremmo noi, tra la tensione del filo e la forza centrifuga e questo permette di mantenere costante la distanza tra la mano che fa ruotare la fionda e il sasso che è nella fionda, perciò la luna non segue il suo peso che è equilibrato dall’effetto della rotazione. Quindi c’è questa idea che la luna pesa verso la terra che è un’idea completamente diversa dall’idea aristotelica per cui cadono sulla terra solo i corpi pesanti, la luna è un corpo celeste non è un corpo pesante quindi nella sua natura non c’è l’idea di raggiungere il basso, di cadere sulla terra ma di girare in moto circolare; evidentemente questa idea aristotelica nella fonte di Plutarco non era più seguita e si pensava che il moto della luna si potesse spiegare allo stesso modo del moto di una fionda, quindi esisteva una scienza unitaria dei fenomeni astronomici e dei fenomeni terreni.
Nei suoi Principia (Philophiae naturalis principia mahematica, Londra 1687) Newton applica sostanzialmente la meccanica a due fenomeni: alle leggi di Keplero e alle maree. La teoria della gravitazione serve a spiegare questi due fatti, perché valgono le leggi di Keplero per i pianeti e per i satelliti intorno ai pianeti e valgono anche a spiegare il perché dei cicli delle maree sulla terra. Le maree sono uno dei due aspetti e sono anche l’argomento principale del Dialogo dei massimi sistemi di Galileo, sono un argomento centrale della scienza moderna al suo sorgere, proprio perché forniscono la chiave per creare un ponte tra il celeste e il terreno, avvengono sulla terra e sono influenzate dalla luna, quindi se si capisce che ci sono leggi uniche che spiegano sia il moto degli astri che i moti terreni bisogna saper spiegare le maree. Attraverso un discorso che non c’è tempo di fare qui si capisce che tutte le idee che sorgono sulle maree in età moderna risalgono all’antichità ed essenzialmente a una teoria elaborata da Seleuco di Seleucia, che secondo Plutarco era riuscito a dare una dimostrazione dell’eliocentrismo proposto da Aristarco.
Intorno alla metà del ‘700 si capisce che non solo la terra non è al centro dell’universo ma neppure il sole lo è: il sole è soltanto una delle tante stelle e quindi si ampliano enormemente gli spazi. Nello stesso tempo si ampliano enormemente anche i tempi, si scopre il tempo geologico; all’inizio del ‘700 in Europa si crede che l’età dell’universo sia pari alla storia umana, siano 6000 anni e poco più, per fare il conto esatto basta prendere il Genesi e fare i conti di tutte le età dei patriarchi, a che età hanno avuto i figli, fare le somme e si sa l’età esatta, 6237 e qualche mese, poco più di 6000 anni. Soltanto 50-60 anni dopo si cominciano a misurare i tempi della terra in milioni di anni, questa è un’enorme rivoluzione di importanza almeno pari a quella copernicana. Paolo Rossi ha dedicato un bel libro a questa rivoluzione dei tempi che in genere è molto meno popolare rispetto alla rivoluzione copernicana. Naturalmente uno dei principali argomenti per capire che c’erano state trasformazioni geologiche della crosta terrestre su tempi lunghissimi è stato il ritrovamento dei fossili, in particolare il ritrovamento di fossili marini in località molto lontane dal mare anche sulle montagne. È interessante confrontare cosa pensassero su questo argomento nel III secolo a.C. con quello che ne pensava Voltaire. Se si legge Strabone si apprende che questi aveva detto a Eratostene di aver trovato gusci di conchiglie marine molto lontano dal mare, in particolare nell’oasi di Siwa, a metà strada tra l’Egitto e la Cirenaica, un itinerario che lui, provenendo da Cirene, aveva probabilmente seguito. Ne deduceva che lì evidentemente una volta doveva esserci stato il mare e quindi si poteva pensare che la linea di costa si muovesse in tempi lunghissimi in modo tale che potesse esserci terra dove prima c’era il mare e viceversa. Strabone nello stesso passo cita l’opinione di Stratone di Lampsaco secondo il quale il Mar Nero sarebbe prima o poi scomparso perché i sedimenti portati dai fiumi l’avrebbero completamente colmato, e si capisce che stiamo parlando di tempi lunghissimi perché si sa più o meno il ritmo con cui arrivano i sedimenti, tempi più o meno dello stesso tipo di quelli cui pensava Eratostene quando parlava di quando il mare probabilmente copriva quella che oggi è l’oasi di Siwa. Cosa pensava invece Voltaire? Pensava che tutti i pesci e le conchiglie trovati sui monti o lontani dal mare fossero resti lasciati da qualche pellegrino o viaggiatore. Questo dà un’idea di come ci fossero ancora da recuperare idee importanti all’epoca, quando Voltaire rideva del sapere degli antichi: se avesse letto Strabone non avrebbe detto le sciocchezze sulle conchiglie gettate dai pellegrini.
Passando dal grande al piccolo volevo accennare all’atomismo. Tutti sanno che il concetto di atomo è un concetto antico, un concetto greco che ci è stato trasmesso, però in genere si pensa che l’atomo di cui parlavano gli antichi greci avesse poco a che fare con l’atomo di cui parlano i fisici moderni, quella era un’idea filosofica e poi i fisici moderni hanno scoperto l’atomo con i loro esperimenti. Secondo me questo modo di pensare va modificato, innanzi tutto ricordando che non c’è stato un momento in cui i fisici hanno scoperto l’atomo, l’atomo è stato ereditato dall’antichità. Newton parlava di atomi e si è continuato a parlare di atomi dopo di lui, tutti i fisici hanno continuato a parlarne finché via via non si son trovate tutte le proprietà chimiche prima e fisiche poi degli atomi. Però gli atomi li abbiamo “avuti gratis”, in eredità, e certamente ci hanno aiutato per costruire la teoria atomica, perché sapere che c’erano è stato il punto di partenza. Sono stati ritrovati soprattutto in Lucrezio e quando si è diffusa la lettura del De rerum natura l’atomismo si è affermato in Europa. Da allora in poi tutti hanno parlato in termini di atomi, questa è la prima osservazione. La seconda osservazione è che dagli antichi non ci è venuto solo il concetto di atomo, sono venute una serie di idee sugli atomi per esempio l’idea che gli atomi siano animati da un moto incessante. Perché gli atomi dovrebbero essere animati da un moto continuo che nessuno vedeva? Come faceva Lucrezio a sapere che gli atomi sono animati di un moto continuo e caotico? C’è un passo molto bello nel De rerum natura (c’erano anche frammenti di Anassagora su questo stesso fenomeno, ma il brano di Lucrezio è particolarmente bello) in cui si parla del moto di un pulviscolo illuminato da un raggio di sole. Se un raggio di sole entra in una stanza e c’è del pulviscolo atmosferico si vedono queste particelle di pulviscolo animate di moti caotici e c’è una descrizione poetica molto bella di come il moto è caotico e irregolare. La spiegazione che dà Lucrezio di questi moti consiste nel dire che siccome gli atomi si muovono di moto caotico spingono particelle che sono più grandi di loro a muoversi anche loro di moto caotico, anche se un po’ meno caotico e più lento, queste urtano particelle un po’ più grandi e così un po’ alla volta questo moto emerge dall’infinitamente piccolo dell’atomo fino a particelle così grandi da riuscire ad essere viste dai nostri occhi, le particelle del pulviscolo. Quindi c’è questa idea anche gerarchica dell’emergere dei moti e si capisce anche da dove viene l’idea del moto degli atomi. Poi ci sono una serie di passi di Plutarco in cui si spiega che il moto degli atomi può essere di diverso tipo, per esempio il moto degli atomi di una pietra è un moto di oscillazione intorno a posizioni di equilibrio, mentre il moto degli atomi dell’aria è un moto indefinito in cui questi si allontanano senza avere una posizione fissa di riferimento.
Quando si scopre il moto browniano (Brown era un botanico che scoprì all’interno delle piante il moto di granuli di polline che si muovevano di moto casuale, caotico, continuo), la prima interpretazione che ne dà lo stesso Brown fu che le particelle si muovono perché sono vive. Il capire che questo moto era invece della stessa natura di quella descritta da Lucrezio e che andava spiegato allo stesso modo in cui era spiegato nel De rerum natura è un’idea di un italiano, Giovanni Cantoni, che a metà dell’ Ottocento scopre per la prima volta che è il moto caotico degli atomi a generare il moto browniano. Certamente Cantoni aveva letto il De rerum natura da ragazzo, al liceo e forse se non l’avesse letto avremmo aspettato qualche decennio in più. Quindi nell’Ottocento era ancora importante attingere a questo corpo di conoscenze antiche.
Un altro esempio su cui vorrei soffermarmi è il calcolo combinatorio. Si tratta di un argomento che mi è particolarmente familiare dato che ho insegnato per molti anni calcolo delle probabilità. In genere si dice che il calcolo combinatorio fosse un argomento sconosciuto all’antichità, i Greci non lo conoscevano, è nato in età moderna. Però c’era un passo di Plutarco che nessuno era riuscito a spiegare, un passo in cui significativamente Plutarco cita Ipparco. In questo passo si dice: “Crisippo sostiene che il numero di affermazioni ottenute congiungendo dieci affermazioni semplici supera il milione. Ma Ipparco lo contraddisse mostrando che congiungendole in modo affermativo possono ottenersi 103.049 affermazioni composte”. Questo passo è stato molto studiato dai filologi anche nell’ ‘800 e nessuno è riuscito a capire da dove uscisse fuori questo numero 103.049, perché componendo dieci affermazioni semplici in modo affermativo si dovessero ottenere 103.049 affermazioni composte. La questione ancora non è del tutto ovvia, però uno studente di Dottorato alla fine degli anni ’90 ha scoperto che 103.049 è il decimo numero di Schroder. I numeri di Schroder erano stati introdotti alla fine dell’ ‘800 dagli studiosi di matematica quindi i filologi che se n’erano occupati non avevano nessuna speranza di capire questo 103.049, non perché non conoscessero Ipparco ma perché non conoscevano la matematica in maniera sufficiente.
Vorrei infine accennare ad un altro punto, il più interessante secondo me, quello dell’aspetto metodologico, perché è importante cercare di capire gli aspetti metodologici che hanno permesso lo sviluppo di tante idee in così poco tempo e da parte di una comunità, quella ellenistica, così ristretta rispetto a quella moderna. Ricordo delle cose banali, che in quell’epoca in cui nascono l’eliocentrismo, l’idea che gli atomi si muovono e che ciò può spiegare il caldo, l’idea che ci sono tempi geologici molto più lunghi di quanto si era creduto e così via, è anche l’epoca in cui nasce il metodo dimostrativo matematico, l’idea dei teoremi e io credo che nasca anche l’idea di esperimento, anche se questo, naturalmente, è stato oggetto di polemiche infinite. Comunque si possono citare molti esperimenti antichi e si possono citare i cosiddetti esperimenti medioevali, spesso è stato attribuito il metodo sperimentale a scrittori medioevali che non fanno altro che riportare esperimenti antichi (quando si scrive di un esperimento non è detto che lo si abbia eseguito; il più delle volte fino a prima del 1600 quando si scrive di un esperimento si sta scrivendo di un esperimento che si è letto).
Però il fatto che si possono fare delle dimostrazioni non significa che non si parli anche della realtà, cioè la matematica è un settore in cui si fanno modelli matematici di fenomeni reali e all’interno di questi modelli si usa il metodo dimostrativo, però si usano contemporaneamente anche regole di corrispondenza con il mondo vero. Quindi per fare un esempio se si legge il Trattato sui galleggianti di Archimede, nessun contemporaneo di Archimede avrebbe dubitato che quello fosse un libro di matematica, mentre noi pensiamo che un trattato sui galleggianti debba essere qualcosa di diverso, debba essere un libro di fisica. Però il libro di Archimede è un libro di matematica perché è una successione di teoremi e quindi in questo senso, a mio parere, un matematico deve accettare che si tratti di matematica.
Questa scissione tra matematica e fisica secondo me ha creato molti danni e non a caso è stata evitata da tutti i migliori scienziati moderni (Poincaré non era un matematico né un fisico ma tutte e due, anche i migliori esponenti della Scuola russa, che purtroppo ha fatto la fine che ha fatto, erano sia matematici che fisici). Allo stesso modo la parola fenomeno ha cambiato significato. Cosa erano i faenomena? Faenomena è ciò che appare e quindi ciò che appare non è un fatto ma l’apparenza, cioè dipende sia dall’oggetto osservato sia dall’osservatore, il fenomeno è un’interazione tra l’osservato e l’osservatore. Quindi dei fenomeni non si deve dubitare, sono il punto di partenza certo, poi si può sviluppare una teoria che salvi i fenomeni, questa è l’idea della scienza antica. Però si possono fare due teorie diverse che salvano gli stessi fenomeni, questo è detto in più fonti, cioè quella che poi è stata chiamata la sottodeterminazione delle teorie (c’è un passo di Simplicio che riporta chiaramente la cosa). Anche questa idea per esempio è stata dimenticata nella scienza moderna, dove invece che avere l’idea che esistono i fenomeni e poi la teoria che deve salvare i fenomeni, c’è l’idea che i fenomeni sono dei fatti che possono essere osservati, si fa la teoria e poi bisogna scoprire i fatti che salvino la teoria, questa è più o meno l’idea in voga negli ultimi decenni (…bisogna trovare la massa nascosta). La cosa si è completamente invertita, cioè siccome la teoria piace e non la si vuole abbandonare bisogna ad ogni costo trovare i fatti che siano compatibili con la teoria. Questa inversione a me non sembra che rappresenti una superiorità della scienza moderna rispetto a quella antica ma mi sembra che sia esattamente il contrario.
Credo di aver già abusato abbastanza del vostro tempo, ma penso anche di aver sufficientemente illustrato la mia tesi secondo cui sono da considerare erronee alcune opinioni abbastanza diffuse sulla “scienza antica” sintetizzabile con le tre affermazioni seguenti, da considerare false e tra loro connesse:
In realtà vi è stata nella memoria collettiva una rimozione di quanto fu conquistato dagli antichi e in particolare della rivoluzione scientifica sviluppatasi nel III secolo a.C. ed è questo quanto ho desiderato portare alla vostra attenzione.
bibliografia
Nel mio saggio La rivoluzione dimenticata: il pensiero scientifico greco e la scienza moderna. Feltrinelli, Milano 20013 il lettore interessato potrà trovare, oltre ad un più ampio sviluppo delle tesi qui riassunte, anche un ampio corredo bibliografico.