Lo Studio ARAPACIS

 

D. Pastori

 

Lo studio ARAPACIS (Atrial fibrillation Registry for Ankle-Brachial Index Prevalence Assessment: Collaborative Italian Study) nasce nel 2010 per iniziativa del Past President della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), Prof. Francesco Violi con l’obiettivo di coinvolgere le sezioni regionali della SIMI in uno studio prospettico multicentrico che includesse pazienti affetti da Fibrillazione Atriale (FA) non valvolare.

La FA rappresenta la tachiaritmia sopra-ventricolare di più frequente riscontro in ambito clinico, interessando circa l’1-2% della popolazione generale, con una prevalenza che aumenta con l’aumentare dell’età. La FA rappresenta un fattore di rischio indipendente per ictus ischemico e mortalità, come dimostrato sin dai tempi del classico Framingham Heart Study  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (1, 2). Recentemente, in aggiunta al rischio di ictus è stato dimostrato come la FA si associ ad un aumentato rischio di infarto del miocardio  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (3, 4).

I due obiettivi principali dello studio ARAPACIS sono 1) stabilire la prevalenza in pazienti affetti da FA di Arteriopatia Obliterante Periferica (AOP) asintomatica degli arti inferiori tramite l’utilizzo di un metodo semplice e facilmente riproducibile quale l’Indice Caviglia- Braccio (Ankle-Brachial Index, ABI), e 2) stimare l’impatto di un ABI alterato sull’incidenza di eventi cardiovascolari a 3 anni di follow-up.

L’ABI è attualmente indicato dalle linee guida europee come test di prima linea per lo screening di AOP ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (5) con grado di raccomandazione IB. Valori normali di ABI sono considerati quelli compresi tra 0.91-1.30; un ABI >1.30 indica arterie non comprimibili; un ABI ≤0.90 indica la presenza di una AOP.

L’arruolamento dello studio ARAPACIS ha avuto una durata di due anni, da ottobre 2010 a ottobre 2012; il risultato è stata l’inclusione di 2027 pazienti affetti da FA in 136 centri SIMI distribuiti su tutto il territorio. L’ABI è stato misurato in tutti i pazienti FA al momento dell’arruolamento e di nuovo dopo 12 mesi.

L’età media dei pazienti è stata di 73 anni, 55% uomini e 45% donne. Rispetto al tipo di FA, 44% avevano FA permanente, 14% persistente e 42% parossistica. I pazienti inclusi nello studio erano ad alto rischio trombo-embolico, come dimostrato dal fatto che l’82% dei pazienti aveva una CHA2DS2-VASc score ≥2, che rappresenta la soglia attualmente raccomandata dalle linee guida internazionali per intraprendere una terapia antitrombotica per la profilassi delle complicanze ischemiche (6).

Inoltre, il 90% dei pazienti presentava almeno un fattore di rischio aterosclerotico; in particolare l’83% era affetto da ipertensione arteriosa, il 23% da diabete e il 29% soddisfaceva i criteri per la sindrome metabolica; il 15% dei pazienti dichiarava inoltre di essere fumatore.

Per quanto riguarda la distribuzione dell’ABI, il 69% dei pazienti aveva un ABI normale (0.91-1.30) , il 10% un ABI >1.3 e il 21% mostrava un ABI ≤0.90 alterato, rivelando la presenza di una AOP asintomatica.

Andando ad analizzare i fattori associati ad un ABI ≤0.90, abbiamo trovato come fattori indipendenti di un ABI alterato fossero l’abitudine tabagica [Odds Ratio (OR): 2.01; 95% CI (Confidence Interval): 1.49-2.71, p<0.0001], la presenza di diabete [OR: 1.99; 95% CI: 1.55-2.55, p<0.0001], un’età compresa tra 65 e 74 anni [OR: 2.08; 95% CI: 1.39-3.10, p<0.0001], età ≥75 [OR: 3.00; 95% CI: 2.04-4.42, p<0.0001], e una storia clinica caratterizzata da un pregresso ictus ischemico o TIA [OR: 1.66; 95% CI: 1.21-2.28, p=0.002].

Un altro interessante dato dall’analisi delle caratteristiche della popolazione era rappresentato dalla capacità dell’ ABI ≤0.90 di riclassificare significativamente i pazienti una volta inserito come variabile nella parte Vascolare (VASc) del CHA2DS2-VASc score  (7), suggerendo una utilità clinica dell’ABI nella ridefinizione del rischio clinico.

Da questo primo studio, molti altri ne sono derivati, che sono stati finora oggetto di pubblicazione  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (8-10).

Un dato interessante di più recente osservazione ha riguardato la relazione tra ABI ≤0.90 e funzionalità renale nei pazienti FA. Sappiamo infatti che l’insufficienza renale cronica (IRC) è una caratteristica frequente dell’età avanzata e della FA  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (11), e che conferisca un rischio aumentato di avere un evento ischemico o emorragico durante il corso della malattia  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (12).

Obbiettivo del nostro studio (in corso di pubblicazione) è stato quello di analizzare la relazione tra ABI ≤0.90 e declino della funzione renale, definito attraverso una doppia determinazione di creatinina sierica, al basale e dopo una mediana di 2 anni. Abbiamo quindi calcolato il filtrato glomerulare (eGFR) in base alla formula CKD-EPI attualmente raccomandata e definito il declino annuo di eGFR, sia in termini assoluti (ml/min/anno) che come rapida progressione, rappresentata da un declino annuo >5 ml/min secondo le attuali linee guida KDIGO  ADDIN EN.CITE  ADDIN EN.CITE.DATA (13). L’eGFR di base era di 72.7 ml/min; il 28.7% dei pazienti al basale aveva un eGFR <60ml/min.

I pazienti con eGFR <60 ml/min mostravano una percentuale significativamente maggiore di ABI ≤0.90 rispetto a quelli con eGFR >60 ml min (34.1 vs. 16.6%, p<0.001).

La funzionalità renale si è significativamente ridotta durante il follow-up, con un tasso annuale di -2.0 [IQR -7.4/-0.4] ml/min, e il 32.4% dei pazienti ha mostrato un rapido declino della funzione renale.

Una analisi di regressione logistica multivariata ha dimostrato come l’ABI≤0.90 (OR: 1.516 95%CI 1.075-2.139], p=0.018) e la presenza di ipertensione arteriosa (OR: 1.830 [1.113-3.009], p=0.017) fossero predittori di un rapido declino dell’eGFR, mentre l’uso di ACE Inibitori/Sartani mostrava un effetto protettivo (OR: 0.662 [0.464-0.944], p=0.023).

Questi dati preliminari indicano come l’ABI possa essere uno strumento per individuare i pazienti a maggior rischio di avere un declino della funzionalità renale a distanza di un anno. Questi dati risultano ancora più importante alla luce dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) non monitorizzabili, il cui dosaggio va aggiustato in base ai valori di funzionalità renale. In merito ai NAO, una Survey tra i centri SIMI è attualmente in corso per stabilire quale sia l’uso da parte degli Internisti di questi nuovi farmaci per il trattamento della FA.

In conclusione, lo studio ARAPACIS sta fornendo dati clinici molto utili sulle caratteristiche dei pazienti affetti da FA nel nostro paese, e i nuovi dati derivanti dalla Survey forniranno informazioni importanti sulla gestione delle terapie antitrombotiche, in particolare dei NAO, da parte dei Centri di Medicina Interna Italiani.

 

Bibliografia

 ADDIN EN.REFLIST 1.            Wolf PA, Abbott RD, Kannel WB. Atrial fibrillation as an independent risk factor for stroke: the Framingham Study. Stroke 1991;22:983-8.

2.            Benjamin EJ, Wolf PA, D'Agostino RB, et al. Impact of atrial fibrillation on the risk of death: the Framingham Heart Study. Circulation 1998;98:946-52.

3.            Soliman EZ, Safford MM, Muntner P, et al. Atrial Fibrillation and the Risk of Myocardial Infarction. JAMA Intern Med 2013.

4.            Pastori D, Pignatelli P, Angelico F, et al. Incidence of myocardial infarction and vascular death in anticoagulated elderly patients with atrial fibrillation: Relation to atherosclerotic risk factors. Chest 2014.

5.            European Stroke O, Tendera M, Aboyans V, et al. ESC Guidelines on the diagnosis and treatment of peripheral artery diseases: Document covering atherosclerotic disease of extracranial carotid and vertebral, mesenteric, renal, upper and lower extremity arteries: the Task Force on the Diagnosis and Treatment of Peripheral Artery Diseases of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2011;32:2851-906.

6.            January CT, Wann LS, Alpert JS, et al. 2014 AHA/ACC/HRS Guideline for the Management of Patients With Atrial Fibrillation: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines and the Heart Rhythm Society. Circulation 2014;130:e199-267.

7.            Violi F, Davi G, Hiatt W, et al. Prevalence of Peripheral Artery Disease by Abnormal Ankle-Brachial Index in Atrial Fibrillation: Implications for Risk and Therapy. J Am Coll Cardiol 2013.

8.            Cangemi R, Pignatelli P, Carnevale R, et al. Cholesterol-adjusted vitamin E serum levels are associated with cardiovascular events in patients with non-valvular atrial fibrillation. Int J Cardiol 2013;168:3241-7.

9.            Raparelli V, Proietti M, Butta C, et al. Medication prescription and adherence disparities in non valvular atrial fibrillation patients: an Italian portrait from the ARAPACIS study. Intern Emerg Med 2014;9:861-70.

10.          Proietti M, Calvieri C, Malatino L, et al. Relationship between carotid intima-media thickness and non valvular atrial fibrillation type. Atherosclerosis 2015;238:350-5.

11.          Roldan V, Marin F, Fernandez H, et al. Renal impairment in a "real-life" cohort of anticoagulated patients with atrial fibrillation (implications for thromboembolism and bleeding). Am J Cardiol 2013;111:1159-64.

12.          Guo Y, Wang H, Zhao X, et al. Sequential changes in renal function and the risk of stroke and death in patients with atrial fibrillation. Int J Cardiol 2013;168:4678-84.

13.          Stevens PE, Levin A, Kidney Disease: Improving Global Outcomes Chronic Kidney Disease Guideline Development Work Group M. Evaluation and management of chronic kidney disease: synopsis of the kidney disease: improving global outcomes 2012 clinical practice guideline. Ann Intern Med 2013;158:825-30.

 Daniele Pastori Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche, “Sapienza” Università di Roma