CROSS-REATTIVITA’ NELL’ALLERGIA ALIMENTARE
E. Nucera, S. Mezzacappa, AG. Ricci
L'allergia alimentare costituisce attualmente uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Essa rappresenta infatti (soprattutto in USA e in UK) la causa più comune di reazioni anafilattiche trattate nei Reparti di Pronto Soccorso; da qui nasce l’esigenza di effettuare una corretta diagnosi eziologica al fine di attuare una terapia specifica in grado di modificarne il decorso clinico.
Le sindromi da cross-reattività, caratterizzate dall’associazione di due o più allergie contemporanee, si verificano quando la risposta del sistema immunitario ad un particolare antigene induce una reattività ad altri antigeni: ciò accade quando diverse proteine allergeniche condividono almeno il 35% della sequenza aminoacidica in un frammento di 80 AA o hanno una completa identità di 6-8 aminoacidi. Le cross-reattività si verificano generalmente tra alimenti filogeneticamente correlati, anche se negli ultimi tempi si assiste con sempre maggiore frequenza alla comparsa di allergia ad alimenti appartenenti a specie tassonomiche diverse.
La cross-reattività nell’allergia al latte
Il latte contiene più di venti differenti proteine, ma solo poche di esse (in particolare l’alfalattolabumina, la betalattoglobulina e la caseina) sono coinvolte nelle reazioni allergiche e sono responsabili di fenomeni di cross-reattività sia tra il latte derivante da diversi mammiferi sia tra questo ed altri alimenti. Tale cross-reattività è associata alla similarità delle conformazioni proteiche tridimensionali o alla similarità delle sequenze aminoacidiche. I diversi tipi di latte non possiedono lo stesso potere allergenico: da diversi studi emerge che il 92% dei pazienti allergici al latte vaccino reagisce anche al latte di capra e di pecora; in contrasto solo il 4 % dei bambini allergici al latte vaccino presenta reattività clinica al latte di cavalla. Il latte d’asina e di cammella sembrano essere meno allergenici del latte di mucca, mentre possono verificarsi delle reazioni avverse solo al latte di pecora e di capra in pazienti che tollerano il latte vaccino1-3. Nonostante sia accertato il diverso potere allergenico dei diversi tipi di latte, una volta fatta diagnosi di allergia al latte è consigliabile evitare tutti i tipi di latte e derivati fino a quando non si raggiunge la tolleranza.
Esistono inoltre in letteratura dati riguardanti la prevalenza dell’allergia alla carne nei pazienti allergici al latte che sembra aggirarsi tra il 10 ed il 20%: la causa di tale cross-reattività è da ricondursi alla sieroalbumina bovina, proteina parzialmente termolabile da considerare come un marker di allergia al latte in soggetti con allergia alla carne. 4-5
La cross-reattività nell’allergia alla carne
Fenomeni di cross-reattività possono verificarsi oltre che tra carne e latte, anche tra carne di specie affini e tra carne ed epiteli animali. Gli allergeni più studiati sono le albumine e le immunoglobuline, anche se altre proteine come l’actina, la miosina, la tropomiosina la parvalbumina possono essere coinvolte nelle reazioni allergiche. 6-7 Raramente pazienti con allergia respiratoria al gatto presentano reazioni avverse dopo ingestione di carne di maiale. Tale sindrome, definita pork-cat syndrome è dovuta ad una analogia strutturale tra l’albumina felina Fel d 2 e l’albumina porcina responsabile della cross-reattività tra i 2 allergeni.
La cross-reattività nell’allergia all’uovo
Gli allergeni principali coinvolti sono l’ovoalbumina e l’ovomucoide. Talvolta in soggetti allergici all’uovo può verificarsi una concomitante allergia respiratoria alle piume e allergia alla carne degli stessi o di differenti uccelli. Generalmente l’allergia respiratoria precede quella alimentare, ed è dovuta principalmente ad una sensibilizzazione alle sieroalbumine aviarie e alle alfa-livetine, anche se può esserci un coinvolgimento dell’ovotransferrina. Tali proteine sono parzialmente termolabili: infatti tali pazienti spesso tollerano l’ingestione delle uova e della carne di pollo ben cotte.
La cross-reattività nell’allergia al pesce
Il substrato molecolare dell’allergia al pesce è rappresentato dalle parvalbumine, proteine del sarcoplasma muscolare che controllano il flusso di Ca2+, responsabili dell’estesa cross-reattività fra i pesci di varie famiglie: circa il 50% dei pazienti allergici ad una specie reagisce ad almeno un’altra; generalmente i pesci più tollerati appartengono agli sgombroidi e ai salmonidi. 8-9
Una cross-reattività allergenica si riscontra spesso anche fra gli invertebrati marini, coinvolgendo soprattutto i vari tipi di crostacei e, meno frequentemente, crostacei e molluschi o crostacei, molluschi, acari ed insetti: gli allergeni implicati sono rappresentati dalle tropomiosine, panallergeni responsabili di sindromi da cross-reattività nel 75% dei casi10, in grado di causare sensibilizzazione sia per inalazione che per ingestione.
La cross-reattività nell’allergia agli alimenti vegetali
Sebbene generalmente la cross-reattività si verifichi tra specie correlate dal punto di vista filogenetico, è sempre più frequente il riscontro di reazioni avverse a più alimenti appartenenti a famiglie botaniche differenti: ciò è dovuto alla sensibilizzazione ai panallergeni, strutture proteiche largamente diffuse in natura e fortemente conservate, con importanti funzioni biologiche strutturali o di difesa. I più importanti panallergeni dal punto di vista allergologico sono le Lipid Transfer Proteins (LTPs), le profiline e le PR-10. Le lipid transfer proteins sono delle proteine resistenti al calore e alla digestione peptica, motivo per cui possono indurre gravi reazioni sistemiche fino allo shock anafilattico. 11-13 Esse sono concentrate prevalentemente nella buccia della frutta fresca, ma si riscontrano anche nei vegetali e nella frutta secca. La pesca generalmente è il primo alimento sensibilizzante: la cross-reattività clinica può essere attribuita ad una primaria sensibilizzazione alla Prup3 ed ad una successiva cross-reattività sierologica con le LTPs omologhe contenute in altri alimenti vegetali (legumi, patate, pomodoro, ecc), infatti i pazienti sensibilizzati a più LTPs hanno spesso reazioni gravi in seguito all’ingestione di numerosi alimenti. Purtroppo, sulla base dell’analogia delle sequenze delle LTPs, non è attualmente prevedibile il rischio futuro di reazioni avverse ad alimenti responsabili di sensibilità cutanea o sierologica, ma ancora tollerati. Questi pazienti costituiscono un gruppo ad alto rischio di anafilassi, difficile da gestire. E’ pertanto essenziale istruirli sui vari fattori di rischio che possono scatenare o aggravare una manifestazione clinica. Le profiline sono proteine strutturali ubiquitarie e ben conservate dal punto di vista evolutivo: esse sono termolabili e sensibili alla digestione peptica, motivo per cui generalmente causano reazioni circoscritte al cavo orale conosciute con il nome di sindrome orale allergica (caratterizzata dalla comparsa di prurito orale, vellichio faringeo e/o edema delle labbra, del palato e della lingua pochi minuti dopo l’ingestione di alimenti vegetali per lo più crudi). Nell’ambito dell’allergia alla profilina, i sintomi sistemici sono meno comuni anche se sono stati segnalati casi di anafilassi dopo ingestione di zucchine o lychee.14-15 Le proteine appartenenti alla famiglia delle PR-10 sono anch’esse termolabili e sono responsabili dei fenomeni di cross-reattività tra pollini (soprattutto della betulla e delle composite) ed alcuni alimenti vegetali. La cross-reattività è limitata a pochi alimenti e la manifestazione clinica più frequente è anche in questi casi la sindrome orale allergica.
Iter diagnostico e approcci terapeutici
L’iter diagnostico, nell’approccio ad una sospetta allergia alimentare, prevede un’accurata anamnesi seguita dall’esecuzione di test in vivo (prick test con gli estratti commerciali e prick by prick con alimenti freschi) e test in vitro (dosaggio delle IgE specifiche) che possono essere completati dal test di attivazione dei basofili. Il test di provocazione orale rimane il “gold standard” per la diagnosi di allergia alimentare. Per la sua potenziale pericolosità, il test va eseguito in ambiente ospedaliero, da personale in grado di eseguire le manovre rianimatorie di base e di usare l’adrenalina. È inoltre opportuno che all’interno della struttura via sia un’unità di terapia intensiva con personale in grado di mettere in atto manovre rianimatorie avanzate. Una volta fatta diagnosi di allergia alimentare, la gestione terapeutica prevede l'eliminazione dell'alimento responsabile; quando non è possibile evitare l'alimento incriminato, trova indicazione la terapia desensibilizzante specifica che, allo stato attuale, rappresenta l’unica terapia eziologica e risolutiva in grado di ridurre la risposta immunologica e clinica dell’organismo: essa consiste nella somministrazione di dosi progressivamente crescenti dell’alimento incriminato al fine di indurne la tolleranza clinica.
Recentemente, nell’ambito dell’allergia ad alimenti di origine vegetale si sta sperimentando l’immunoterapia specifica con i panallergeni: risultati promettenti sono stati riportati in protocolli di desensibilizzazione con l’LTP. Secondo la nostra esperienza, la desensibilizzazione con l’allergene specifico come nel caso della profilina o con un alimento che lo contiene come nel caso della PR-10, permette al paziente di reintrodurre nella dieta gli alimenti incriminati. 16-17
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Servizio di Allergologia ed Immunologia Clinica, Policlinico “A. Gemelli”