L’immunosoppressione nel trapianto epatico
Marzia Montalbano*
L’idea di poter sostituire organi non più funzionanti affascina l’uomo da molto tempo e ne troviamo testimonianza già nell’800. Tuttavia solo nel 1900 si comprende che i limiti del successo del trapianto non sono tanto quelli tecnici legati alla chirurgia ma piuttosto affondano le radici nell’immunologia; si cominciano a comprendere i meccanismi del rigetto. Proprio per gli studi sull’immunologia del rigetto d’organo Medawar vince il Nobel per la medicina nel 1960. In realtà già nel 1954 era stato eseguito il primo trapianto di rene con successo. Si tratta di un trapianto fra due fratelli gemelli omozigoti, in questo caso l’immunosoppressione era stata ottenuta con irradiazione sub letale di raggi X ottenendo una sopravvivenza di 8 anni del ricevente. Per il primo trapianto epatico bisogna attendere il 1963, ma per il primo successo dobbiamo aspettare il 1967, sempre negli stati uniti con T. Starzl. Nel 1968 il primo trapianto epatico in Europa ad opera di Sir Roy Calne. Come già chiaro al Dr. Medawar il limite più grande al successo del trapianto restava tuttavia come controllare e prevenire il rigetto d’organo. Dopo il trapianto, l’organo viene riconosciuto come estraneo dalle cellule presentanti l’antigene attivate sia del donatore che del ricevente, queste muovono verso gli organi linfoidi primari e secondari, qui si ha l’attivazione e l’espansione dei linfociti i quali tornano verso l’organo trapiantato provocandone colangite, endotelialite e sostanzialmente il rigetto. Andando a guardare il processo più nel dettaglio: nel momento in cui l’organo trapiantato viene riconosciuto come estraneo le antigen presenting cells (cellule dendritiche, macrofagi…) migrando presentano gli antigeni alle cellule T native del ricevente ed alle memory cell, attivando così i linfociti (evento chiave). Questa attivazione avviene attraverso due segnali: segnale 1 che agisce attraverso i recettori TCR ed il complesso CD3 delle cellule T; ed il segnale 2 dato da una costimolazione dei linfociti attraverso l’interazione dei markers sulle cellule dendritiche con il recettore CD 28 dei ly T. Ciò porta alla produzione di tutta una serie di citochine Queste citochine portano attraverso il segnale 3 (costituito principalemte dai targhet per la rapamicina) alla proliferazione cellulare sia di cellule T che di cellule B e NK. E’ con le varie fasi di questa cascata che dobbiamo interagire per bloccare il processo immunitario del rigetto. Andando a guardare lo stesso processo a livello molecolare vediamo come i vari farmaci immunosoppressivi vadano ad interagire con le varie fasi di questo processo. Ad esempio la ciclosporina ed il tacrolimus (inibitori della calcineurina) bloccano l’attivazione cellulare bloccando il patway calcio/calcineurina; oppure MMF od azatipioprina bloccano l’espansione cellulare bloccando la sitesi nucleotidica o il ciclo cellulare.
Valutando il sito di interazione si comprende anche come questi farmaci abbiano non solo maggiore o minore efficacia ma anche un differente effetto immunosoppressivo e dunque possano essere usati differentemente, da soli o in combinazione, per ottenere un diverso effetto terapeutico, ad esemipio l’induzione di immunosoppressione piuttosto che il controllo di un rigetto già in atto. Con l’aumentare delle conoscenze su base molecolare sono,ovviamente, aumentate le molecole a disposizione muovendo i primi passi, dall’irradiazione completa del primo trapianto renale, agli steroidi ed alla scoperta della Ciclosporina, considerata il primo immunosoppressore moderno che ha reso il trapianto un’opzione terapeutica modificando nettamente la sopravvivenza dei pazienti trapiantati. L’imunosoppressione varierà principalmente con l’aumentare del tempo dal trapianto. Nel periodo immediatamente post trapianto occorrerà una terapia che possa indurre tolleranza evitando il rigetto iperacuto. Nelle settimane e nei primi mesi post trapianto (3-6 mesi) avremo bisogno alte dosi di immunosoppressione ottenute anche con più farmaci (immunosooprressione “early” ed intensa) e ciò perché in questa prima fase il rigetto acuto è decisamente più frequente. Nel periodo successivo e soprattutto dopo i primi 12 mesi, si tenderà a ridurre gradualmente la terapia immunosoppressiva, senza tuttavia dimenticare la possibilità, anche se meno frequente, di rigetto acuto e soprattutto il rischio di un rigetto cronico nel caso di una terapia a lungo sotto dosata. Bisogna anche porre molta attenzione nel non cadere nella tentazione di massimizzare l’immunosoppressione per scongiurare il rigetto, con il rischio però di aumentare il rischio infettivo, tumorale o di mal funzionamento di altri organi dovuto agli effetti collaterali dei farmaci.
Gli immunosoppressori possono essere classificati come A) Farmacologici (piccole molecole): Corticosteroidi che inibiscono la produzione citochine;
Azatioprina che inibisce la sintesi di purine e DNA e previene la proliferazione dei linfociti T; Micofenolato, stesso meccanismi dell’azatioprina e disponibile come micofenolato mofetile (Cell Cept) e micofenolato sodico (Myfortic); Inibitoti della calcineurina (CNI), ossia Tacrolimus (FK 506) e Ciclosporina che inibiscono il segnale 2; gli inibitori di mTOR (Sirolimus ed Everolimus) che interferiscono nel segnale 3 e prevengono la proliferazione dei ly T. B) Biologici: a loro volta suddivisi in 1)T Cell-depleting agents: anti CD3 monoclonali (OKT3)che interferisce con il segnale 1; Anti TG che interferisce con segnale 1 e 3; Anti CD52 monoclonali (Compath (alemtuzumab) che porta alla delezione dei timociti T, LyB e monociti
l. 2) Non Cell depleting agens : anti recettore dell’IL2 (CD25) quali Basiliximab e Daclilumumab che inibiscono la proliferazione T ed il segnale 3; Balatacept che inibisce il segnale 2; Daclizumab che inibisce il segnale 2 competendo con CD28.
Risulta dunque chiaro che una stessa categoria di farmaci potrà essere utilizzata in più fasi del trapianto ma a dosi diverse e scopi differenti. Lo steroide nell’induzione sarà usato in boli e ad alte dosi e.v che andranno rapidamente scalate sino al raggiungimento dei 20 gr PO. Lo stesso potrà essere fatto in caso di rigetto, Gli stessi saranno usati a dosi via via minori e sino a sospensione nelle fasi succesive. Così come MMF o everolimus potrà essere usato sin nella fase precoce per ridurre gli effetti collaterali dei CNI e poi essere con questi ridotto oppure potrà essere inserito tardivamente per minimizzare i CNI in caso di effetti collaterali di quest’ultimi già presenti. Entrando nel dettaglio dei vari farmaci, vediamo come gli steroidi non abbiano un’azione mirata ma un’ampio spettro d’azione, pertanto, riducendo le difese in modo aspecifico sono responsabili sia di infezioni anche gravi ma anche di altri effetti collaterali come necrosi asettica, diabete, osteoporosi, obesità, iperlipidemia. Ciò giustifica i tentativi di ridurne rapidamente il dosaggio sino alla completa sospensione. I due CNI inibitori hanno lo stesso meccanismo d’azione (Inibiscono la trascrizione del gene dell’IL2 ed in modo reversibile l’attivazione e la proliferazione dei ly T
), la stessa efficacia e la stessa via metabolica di eliminazione per cui non vanno mai somministrate assieme. Hanno anche simili effetti collaterali ( nefrotossicità, neurotissicità ipomagensemia, diabete, ipertensione ecc…) e la scelta sul’uso dell’uno o dell’altro è per lo più basata sull’esperienza dei singoli centri, sule interazioni farmacologiche e sulla comparsa di effetti idiosincrasici. In merito al dosaggio vi è variabilità da centro e variano anche in base all’uso di terapie di associazione (diapositiva 21). Per la ciclosporina vi sono evidenze che la misurazione a due ore dalla somministrazione, rispetto quella a 12 ore dall’ultima dose, possa meglio riflettere i livelli medi di farmaco in circolo, va tuttavia detto che le misurazioni possono avere un errore di valutazione sino al 20%. Gli inibitori di M-TOR(rapamicina) agiscono bloccando la proliferazione B cellulare ma non l’attivazione, interferendo direttamente nel ciclo cellulare e nel segnale mediato da IL2 (promuove la tolleranza?) Essi legando FKB12 (lo stesso di tacrolimus) ma il restante pathway è diverso legando e bloccando mTOR e non calcineurina. Inoltre entra nella cellula usando lo stesso recettore usato da Cy e Tacrolimus per cui questi farmaci non vanno mai somministrati assieme ma ad almeno 2 ore di distanza. I loro effetti collaterali includono:ritardo nella guarigione delle ferite, ipercolesterolemia, edemi periferici non responsivi a diuretici, ulcere orali,alveoliti emorragiche
ecc. Proprio per i suoi effetti collaterali rapamicina raramente viene somministrata precocemente dopo il trapianto ed il suo uso è per lo più ritardato dopo i primi 3. Può essere usato in aggiunta o in sostituzione ai CNI per ridurre la tossicità di quest’ultimi. Il suo uso è diffuso nei pazienti con HCC avanzato nel pre trapianto per i suoi effetti anti-angiogenetici e di riduzione della proliferazione cellulare e tumorale. Fra gli antimetaboliti parliamo solo di micofenolato in quanto l’azatioprina, per la spiccata azione mielosoppressiva non solo sulla serie bianca ma anche quella rossa, è in disuso nel trapianto epatico. I suoi principali effetti collaterali sono la mielosoppressione (attenzione all’uso concomitante con altri mielosoppressivi per es. interferone) e gli effetti gastroenterici (diarrea). Non viene usato da solo ma in associazione ai CNI per ridurne la tossicità.
I farmaci biologici sono per lo più utilizzati nella terapia di induzione e per ritardare l’inserimento dei CNI (vedi diapositive per i dettagli sulla loro azione ed effetti collaterali). Oltre ai farmaci già discussi molte molecole sono attualmente in valutazione per i loro effetti immunosoppressivi, si tratta per lo più di farmaci già utilizzati in altre patologie, ad esempio quelle reumatologiche e nelle malattie intestinali croniche e rivestono interesse come farmaci da usare nell’induzione dell’immunosoppressione.
Ad oggi non è facile individuare l’immunosoppressione ottimale che potremmo definire usando una frase di J Fung: “Un’ immunosuppressione ottimale potrebbe essere definita come il livello di terapia farmacologica che produce un’ accettazione dell’organo impiantato con la più bassa soppressione dell’immunità sistemica”. Sappiamo che circa il 25% dei pazienti possono raggiungere l’operational clinical tollerance, ossia funzionalità epatica stabilmente nella norma in assenza di immunosoppressione di mantenimento, ma non siamo ad oggi in grado di individuare preventivamente questi pazienti. I nuovi studi sono oggi volti al monitoraggio immunologico che potrebbe consentire un livello di immunosoppressione individualizzata non basandosi, come ad oggi, sulla presenza/assenza di effetti collaterali o rigetto e sul dosaggio ematico dei farmaci, ma basandosi piuttosto sulla misurazione dell’attivazione immunitaria
*Marzia Montalbano (Dirigente Medico U.O.C. Malattie Infettive– Epatologia I.N.M.I. "L. Spallanzani" I.R.C.C.S.)