‘Funus acerbum’ e offerte funebri nel Lazio antico*
Sonia Modica
Il tema dell’offerta funebre, fondamentale nel complesso delle azioni rituali destinate ai defunti, è stato più volte oggetto di studio e riflessione nell’ambito della ricerca relativa alla c.d. ‘archeologia funeraria’, con ruolo determinante nella prassi sostitutiva e di separazione dal mondo dei vivi[1].
Pratiche selettive relative al periodo liminale[2] sono ‘materializzate’, infatti, da oggetti, resti vegetali/animali e strutture che contribuiscono a fornire casistiche qualificate di categorie rituali non altrimenti definibili, in particolare, fuori da una congrua documentazione di fonti scritte [3].
Per quanto riguarda i defunti in età prematura, in particolare, si osserva che l’articolazione del repertorio disponibile è tale da dimostrare una certa variabilità nelle azioni deposizionali messe in atto, sebbene il quadro atteso possa far pensare ad un esito meno diversificato, data l’evidente abitudine alla mortalità infantile come è evidente dai commenti degli autori antichi.
Va sottolineato, infatti, che, mentre è possibile proporre un immaginario mitico e culturalmente meglio definito per riti funerari relativi alla fascia d’età postpuberale e, soprattutto, quella adulta, quando si tratta di defunti impuberi è necessario assumere come ambito di riferimento una tradizione scritta scarsamente rappresentativa e prevalentemente orientata verso categorie di decesso straordinarie (infanticidio: per azione sacrificale, atti criminali, controllo demografico selettivo, sterminio diretto)[4].
Su questo sfondo trovano rilievo, in età protostorica e arcaica, i contesti di deposizione infantile del Lazio. Deposizioni infantili con corredo e offerte di vario genere, fra cui resti di cibo, sono presenti, d’altra parte, anche in contesti di necropoli fin da un momento iniziale della cultura laziale, come sinteticamente riportato, con una distinzione fra area pedemontana e comprensorio tiberino e costiero, quest’ultimo, in un momento successivo (almeno dall’inizio dell’VIII sec. a.C. fino all’inizio del V sec. a.C,) interessato da un rituale che, per connotazione spazio-funzionale, riguarda gli abitati, accanto a meno frequenti deposizioni in necropoli[5].
La documentazione fra abitati e necropoli: l’area pedemontana.
Dall'entroterra premontano (Guidonia) provengono le più antiche tombe infantili attualmente individuate, che attestano per il momento più antico della cultura laziale l'esistenza di due tipologie rituali, seppure in fasi sensibimente distinte del primo momento della cultura laziale, tra fine XI e X sec. a.C.: l'una del genere ad incinerazione singola deposta in un vaso-ossuario globulare contenente il corredo di oggetti miniaturizzati, l'altra a deposizione "multipla", coi resti cremati dell'individuo adulto (probabilmente una donna) deposti nel dolio mentre quelli del piccolo defunto si trovano conservati nell'urna[6]. Quest'ultima, se è di notevole interesse in quanto registra un genere di ossuario con riscontri isolati nel comprensorio Tevere-Aniene[7], in un quadro di leggibili caratteri di prestigio[8], è significativa in quanto la compresenza di più sepolture nella stessa deposizione ricorre, come si è visto anche in un contesto romano del periodo successivo[9], con, oltretutto, l'uso del banchetto funebre, entrambe, viceversa non documentati per i contesti infantili ad Osteria dell'Osa, in un quadro, più volte sottolieato, di poco spiccata connotazione dei contestii[10]. Resti di offerte funebri, in qualità di cibo deposto nella sepoltura prima della chiusura nella cerimonia "a fossa aperta", sono peraltro documentati a Roma anche in coeve sepolture di adulto dall'area del Foro Romano, a conferma del carattere di rilievo della deposizione[11].
I dati della fase successiva, provenienti da Osteria dell'Osa, indicano piuttosto il carattere uniforme del rituale, appiattito sulle connotazioni di genere (maschile o femminile) degli impuberi, come proiezione del trend generalmente riscontrato negli adulti[12] e che prosegue nella fase successiva. Da questo quadro omogeneo si distaccano particolari casi in cui le caratteristiche interne del contesto (tipologie vascolari ed elementi strutturali) emergono per singolarità ed eccezionalità. Senza riprendere nel dettaglio la casistica già affrontata in altra sede[13], vale la pena indicare i quattro casi di enchytrismòs in dolio, di cui un solo contesto corredato di vasi d'accompagno (3 tazze ed una scodella) quasi a segnare nel semplice rituale in vaso il significato assoluto della deposizione, di un genere completamente sconosciuto alle altre fasi della necropoli[14]. Lo stesso vale per l'unica incinerazione infantile attestata per il periodo più antico della necropoli e probabilmente generatrice del gruppo di appartenenza, in coppia con un'altra incinerazione d'età indeterminata[15].
A tali evidenze del rituale si associa la dislocazione spaziale, in relazione all'individuo adulto, fenomeno che si osserva nella necropoli durante le due fasi iniziali[16].
La relazione spaziale con le deposizioni adulte è ancora più forte nel sepolcreto tiburtino di Rocca Pia, dove una deposizione infantile dell’VIII sec. a.C. risulta deposta allineata al di sotto di due tombe di adulti, una maschile ed una femminile, proprio nel tratto in cui queste sono contigue. Forse di poco anteriore a quella maschile, la deposizione così caretterizzata in termini spaziali suggerisce un preciso disegno di seppellimento, legato a particolari vincoli di parentela, la cui lettura è resa suggestiva dal tipo della deposizione femminile, priva di corredo, con le mani appoggiate sul ventre, diversamente dall'uomo a braccia distese[17]. Il rapporto stretto con il gruppo adulto che occupa l’area di sepoltura, nel caso delle sepolture infantili in necropoli, risulta, ancora una volta, marcatamente distante dal carattere costantemente individuale delle deposizioni finora attestate in abitato, come sottolineato in altra sede[18].
Al contrario segnatamente individuale, pure se collegata all'area di sepoltura comunitaria, risulta l'altra sepoltura infantile da Tivoli, i cui elementi di caratterizzazione personale sono evidentemente legati alla funzione del tessere, come si nota dalla presenza delle fuseruole, di cui una finemente decorata[19]. Gli elementi di prestigio della sepoltura - di cui si è detto - confermano il valore d'importanza di questo tipo di attribuzione, come emerge dai contesti di Osteria dell'Osa, anche nelle deposizioni attestate nel corso dell’VIII sec. a.C. A questo proposito va notata, nel medesimo sito, l'incidenza anomala delle classi di età degli adulti e degli anziani proprio per questa fase, che esclude quasi totalmente nel suo momento avanzato le deposizioni di impuberi, con un solo caso documentato[20].
Tale fattore insieme agli altri elementi di distribuzione spaziale e al numero complessivo delle tombe (rade e sparse), ha permesso una lettura collegata al processo di trasformazione urbana del centro di Gabii, attraverso la quale è possibile vedere in questa evoluzione della necropoli la trasformazione di una comunità la cui struttura e organizzazione non corrisponde più a quella residenziale delle fasi precedenti[21].
Allo stesso complesso momento di trasformazione, cui ci si riferisce a proposito dei contesti della fine dell’VIII sec. a.C. nel comprensorio tiberino e costiero, si lega anche il gruppo di deposizioni nel sito di Colonna, in analogia con lo sviluppo di gruppi familiari, verso una nuova evoluzione degli insediamenti. In questo caso i gruppi, riconosciuti per distribuzione e caratterizzazioni interne delle sepolture[22], indicano un inizio di stanziamento verso il principio dell’VIII secolo, in termini di precocità rispetto a quanto indicato in area romana[23]. Fra gli oggetti deposti, spiccano un modellino fittile di barchetta, strumenti da taglio e, in particolare, armi, presenza che è estranea ai contesti deposizionali infantili in abitato, non solo contemporanei, ma anche assegnabili alle altre fasi del rituale di sepoltura in ambito abitativo[24].
Documentazione di deposizioni infantili in area tiberina e costiera
Il territorio tiberino e costiero costituisce l’ambito ristretto entro il quale è concentrata gran parte della documentazione attualmente disponibile, soprattutto in rapporto al momento di evidente documentazione del rituale in abitato, pure se la testimonianza dell’uso di deporre i defunti impuberi fuori dall’area di comune sepoltura trova riscontro anche nell’ambito del c.d. ‘Latium adiectum’, con almeno un caso attribuibile fra i resoconti di scavo editi[25]. La documentazione attualmente disponibile ha indicato, in quest’area, una continuità di attestazioni dei rituali di deposizione infantile a partire dalla fine del X fino al termine dell’VIII sec.a.C., con una riduzione, se non totale scomparsa, in particolare, dei contesti di sepoltura prepuberali (ovvero dei più piccoli della categoria infantile) in corrispondenza della seconda metà del IX e i primi decenni dell’VIII.
Per lo stesso ambito geografico il carattere di esiguità dei dati disponibili risulta insufficiente alla ricostruzione di un quadro complessivo adeguatamente esauriente, soprattutto per le fasi più antiche. Caratteristica delle due fasi che vanno dalla fine del X agli inizi dell’VIII, è il ricorrere del c.d. "banchetto funebre" di cui sono note le attestazioni nell'area del Foro Romano, e che si riscontra analogamente anche nelle deposizioni di adulti[26], i cui esiti sono documentati a Roma fino all'orientalizzante medio[27], ma a Ficana anche in contesti dell'orientalizzante recente[28]. Per quanto riguarda tale pratica "a fossa aperta", un ulteriore elemento di differenziazione, già sottolineato in altra sede [29], risulta dalla pressoché totale assenza di resti vegetali nel rituale osservato nelle tombe di Ficana (con resti di caprovini, suini e bovini) mentre a Roma sono documentate anche varie specie di cereali e legumi, sia nei contesti più antichi ascrivibili ad area di necropoli, sia in quelli più recenti d'abitato. A Ficana, tuttavia, tracce di vegetali compaiono nei materiali del riempimento di alcune deposizioni[30]
Eccettuato il singolare caso, già dal IX secolo, di un gruppo di sepolture dal Capitolium, pertinenti a livelli di attività artigianale e con sepolture non esclusivamente infantili, è al principio dell'VIII che si può collegare l'inizio del rituale di seppellimento infantile in ambito abitativo, le cui più antiche attestazioni accomunano i centri di Ardea e Roma, in coerenza con un quadro generale di affinità tra queste aree già a partire dall'età del bronzo[31]. Tali contesti, privi di qualsiasi ornamento, lasciano aperto il campo alla possibilità che si tratti di deposizioni maschili, per confronto con la notata assenza di ornamenti nei contesti infantili di genere maschile ad Osteria dell'Osa, per tutto il corso della fase II della necropoli. Mancano comunque ulteriori dati di confronto nell'area costiera e tiberina che permettano di qualificare ulteriormente questi contesti in assenza di pubblicazioni dei dati antropologici riconducibili alle singole sepolture[32]; è inoltre da considerare la completa assenza, per il periodo compreso tra la fine del IX e gli inizi dell’VIII, di dati relativi ad aree di necropoli in questo comprensorio[33].
Nel pieno dell’VIII secolo, i dati provengono, ancora una volta, soprattutto dalle aree d'abitato. E' il caso di Roma e Lavinium, quest'ultima con documentazione tuttora inedita dalle sepolture connesse ai livelli di capanne nel settore sud-orientale dell'abitato moderno di Pratica di Mare, con attestazioni di vita dall'VIII fino alla prima metà del VII[34]. Anche in questo caso, un arricchimento dei dati di contesto, sulla base di ulteriori analisi del complesso, potrebbero offrire nuovi spunti di lettura, laddove si indica la presenza di sepolture d'età superiore ai quattro anni[35]. Il dato è tanto più importante in quanto lo si può collegare alle citate più antiche attestazioni del rituale funerario in abitato. Tali sepolture, infatti costituiscono un unicum nel quadro complessivo ricostruito[36] e pongono la questione della mancanza, nel momento di più antica attestazione del rituale in abitato, di coeve attestazioni di sepolture di individui in età neonatale o di pochi mesi, viceversa registrate pure fra le sepolture infantili a Lavinium come avviene, più in generale tra le sepolture documentate in abitato nel corso dell’VIII e fsuccessivamente[37]. Al momento finale di questo periodo è attribuibile un consistente aumento delle attestazioni, che vede affiancare ai dati funerari d'abitato anche quelli in diversi settori di necropoli, in corrispondenza al manifestarsi di quei meccanismi di concentrazione di ricchezza e occupazione del territorio collegati a complessi e progressivi fenomeni di stratificazione sociale[38].
In questa direzione è interpretabile, nel comprensorio romano, l’evidenza di gruppi omogenei per caratteristiche di distribuzione spaziale ed elementi di cultura materiale, i quali indicano l'esistenza di tradizioni interne, pertinenti ceppi familiari distinti,: è il caso del sito di comune sepoltura a Tor de' Cenci dove, ad un circolo di tombe nettamente definito come raggruppamento si associa una sepoltura infantile (t.2), contemporanea alla probabile generatrice del gruppo (t. 3)[39]. Questa sepoltura si pone in contemporanea con le più note deposizioni poste in relazione con la fase di capanne nel Foro Romano; fra queste la nota tomba M, il cui corredo comprende tipi ad anse crestate dell'anfora e della tazza troncoconica baccellata, in contesti databili tra la fine dell'VIII -inizi del VII e che risultano anche nel corredo di un enchytrismòs infantile dagli strati anteriori ai livelli della prima Regia.
La consistenza del corredo per le sepolture di questo orizzonte cronologico, riferibili ad età superiore ai due anni, laddove coeve sepolture in dolio (ma talora anche in fossa: cfr. Satricum), testimoniano una maggiore ristrettezza degli elementi d'accompagno, rivela forse una tendenza ad una maggiore moderazione degli "omaggi" funebri riservati agli infanti (0-1 anno d'età). Questo risulta tanto più vero in quanto le sepolture in dolio, nei casi meglio documentati, pur conservando i resti del corredo all'interno del dolio, sono associate alla fossa, sottoutilizzata[40] (in ogni caso, anche alle sepolture di infanti del momento finale dell’VIII secolo, non si addice il funebris paratus modicus, menzionato da Tacito a proposito dell'esclusione dal rituale dei consueti omaggi riservati ai defunti, evidentemente rappresentati, seppure in forma ridotta, dalla presenza delle forme base del corredo [41].
Fuori dalle necropoli, su un campione che sfiora le 70 unità, suscettibile di integrazione grazie ai sempre più frequenti contributi delle indagini in abitato, si rileva che, tranne due casi certi a Roma con deposizioni su nuda terra (dal Foro Romano e dal Carcer-Tullianum)[42] nella totalità dei casi i defunti sono collocati, con specifica custodia e privi di relazione contestuale con sepolture di defunti adulti, accompagnati sempre da uno specifico corredo, di vasi o di oggetti d’ornamento personale.
Lasciando fuori dalla breve sintesi diacronica su esposta lo sviluppo compositivo dei corredi, per il cui esame in dettaglio si rimanda alla trattazione in altra sede, è certo che lo studio dei contesti chiarisce nella sostanza e definisce nella forma le affinità del rituale in abitato con quanto noto in area di necropoli, pur tuttavia aprendo la strada a considerazioni legate all’organizzazione dello spazio interno all’insediamento e alle differenze per singola area culturale e centro insediativo[43]. Vale a dire che la scelta degli spazi doveva essere regolata da precise disposizioni di carattere comunitario, ancor più di quanto si osserva per la selezione degli spazi in necropoli[44]. E’ per questo che, al di là delle interpretazioni variamente proposte sul significato delle deposizioni infantili in abitato[45], la collocazione delle medesime non a caso risulta relativamente concentrata in aree circoscritte degli insediamenti: pochi gli elementi stratigrafici che definiscono la relazione con edifici prossimi alle medesime sepolture[46]. La documentazione va letta, ancora una volta con una valenza di privilegio rispetto a quanto già osservato, in generale, per le morti in età infantile: rispetto al gran numero dei defunti atteso, a pochi era tributato un rito funerario codificato convenzionalmente; di questi pochi, un numero ristretto trovava deposizione in necropoli, un’altra parte in abitato…
Negli abitati, come si è visto, il rituale coincide, in gran parte, con quanto noto per il rito funerario praticato in necropoli, salvo che per le circostanze spazio-funzionali e per la già rimarcata connotazione strettamente individuale delle sepolture.
A queste due connotazioni - convenzionalmente funeraria e spiccatamente individualizzata - partecipano le deposizioni in abitato, anche sotto il profilo degli oggetti deposti. Da un lato le manifestazioni riguardano il corredo che accompagna il defunto fisicamente, nel senso che sono veri e propri manufatti, di carattere personale o proiezione degli individui adulti, che vengono deposti presso il defunto, dall’altro i resti relativi al banchetto, nell’ambito di azioni comunitarie assegnate alla fase liminale, documentate diffusamente, nei contesti del Lazio. Nel primo caso (corredo d’accompagno) si presentano due categorie di manufatti: l’insieme dei vasi che richiamano simbolicamente l’uso alimentare (fig.1), e quegli oggetti legati al’abbigliamento e all’ornamentazione personale (fig. 2).
Nel caso di pratiche legate alle azioni rituali del gruppo adulto in rapporto al periodo liminale, cioè quella fase che sta tra la morte e la chiusura della deposizione, in cui è sancita la perdita, da parte della comunità, dell’individuo, si osserva, nel Lazio, con riferimento statisticamente significativo ad Osteria dell’Osa (necropoli dell’antica Gabii, lungo il lato NO della via Prenestina antica), che la pratica di deporre cibo è diffusa nelle deposizioni di adulti in tutte le fasi della cultura laziale, tuttavia con una concentrazione in contesti con connotazioni di prestigio. In particolare, nella necropoli gabina, tale pratica è maggiormente attestata nei primi due periodi della cultura laziale (vale a dire tra la fine del X e gli inizi dell’VIII) ove tale presenza è esclusiva delle classi di età dai giovani agli anziani. Per i momenti successivi (tutto il corso dell’VIII e fino al VI) i contesti con deposizioni di cibo divengono isolati con due o tre casi per fase[47]. A parte la citata documentazione da Guidonia, riferibile ad un momento assai risalente della cultura laziale, è del tutto eccezionale riferire resti di cibo a deposizioni infantili, per di più non connesse a deposizioni di adulti.
Al contrario, le attestazioni in abitato pertinenti deposizioni infantili, documentano un largo uso, sul campione attestato, della pratica di deporre cibo, al momento della chiusura o contestualmente alla deposizione del corpo e dei manufatti mobili che lo accompagnano. La conservatività del rituale riconosciuta attraverso la documentazione esaminata permette di gettare uno sguardo d’insieme al campione in ambito abitativo.
Presenze di resti faunistici sono variamente documentati sia a Ficana che a Roma, con differenze di specie animali presenti. Per le deposizioni identificate sia a Satricum che ad Ardea, non è possibile dare una lettura puntuale, data l’alterazione dei contesti, in gran parte danneggiati dalle successive fasi di vita, che hanno compromesso sia il livello di giacitura che quello di riempimento.
I contesti meglio conservati e con resoconti di scavo più articolati in quantità e qualità di dati leggibili, indicano una diversa collocazione dei resti faunistici: a Roma all’interno della fossa, nei vasi accanto al corpo, a Ficana nel riempimento. Tale circostanza ha fatto supporre che a Ficana non si tratti di un elemento vero e proprio del rituale, anche se, ancora una volta nel riempimento di una tomba, la presenza di un imbuto, collegabile con libagioni, non escluderebbe tale ipotesi[48].
A Roma la presenza di resti vegetali e animali contestuale alla deposizione del corpo e a quella degli oggetti suggerisce una vera e propria offerta di cibo, non necessariamente vincolata all’uso del banchetto comunitario a fossa aperta, ma con probabile destinazione selettiva al defunto: una sorta di rituale ‘cibo del morto’, deposto in quantità simboliche e forse legate alle consuetudini in vita. A questo proposito, vale la pena osservare un interessante indicatore rappresentato dalla presenza di resti di uno strumento in metallo all’interno della coppa della tomba I del Foro Romano (fig. 1, a). In questa coppa, contrassegnata da segni alfabetici sulla parte esterna del fondo[49], Giacomo Boni, rilevava la consistenza nella terra compatta e argillosa, di resti faunistici e vegetali:”La ciotola era spostata, come gli altri vasi, e inclinata in guisa che parte del contenuto, una fanghiglia nerastra e viscosa, mista a frammenti arrugginiti, ed a vertebre e spine di pesce, si era versata sul fondo della tomba”[50]. Al suo interno era contenuto uno strumento in ferro (fig. 1, g), simile ad un cucchiaio “senza concavità” o ad una forchetta “senza denti”, al quale si accompagnavano i resti del grande pesce, un muggine, privo dei segni di bruciatura per la cottura da arrostimento, di cui ci si aspetterebbero tracce. Questo fatto, insieme alle dimensioni del pesce, ha fatto supporre a Boni che l’animale potesse “rappresentare la guida o la difesa della piccola defunta”, interpretazione subito smentita dallo stesso autore a causa della presenza dello strumento metallico, identificato con una ligula, ricordata dalla tradizione[51]. Il nesso con l’uso alimentare non è trascurabile. I resti di cereali e chicchi d’uva identificati sul fondo della fossa, indicano una prassi di distribuzione del cibo, dal simbolismo articolato su cui più volte si è esercitata l’indagine degli studiosi, in base a quanto ricordato dalla tradizione letteraria[52].
Tuttavia, tenuto conto della connotazione prettamente ‘individuale’ dei contesti in abitato, rispetto a quanto noto in necropoli, vale la pena riflettere sulle connotazioni sociali e culturali di questa probabile destinazione al defunto di almeno parte del cibo, in gran parte deposto integro, come dimostrano anche da altri indicatori[53].
In assenza di un campione statisticamente qualificato, ma in presenza distribuita degli indicatori, tale, cioè, da stabilire una relazione fra più centri di attestazione del rituale, è forse più leggibile, accanto alle variabilità locali del costume funerario, una caratterizzazione specifica del rituale che interessa le offerte di cibo e che accomuna, al momento e in maniera maggiore, Roma e l’area tiberina, in contrasto con quanto noto in ambito costiero[54].
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
(Le abbreviazioni delle riviste sono quelle della Archäologische Bibliographie)
C. Ampolo, “Su alcuni mutamenti sociali nel Lazio tra l'VIII e il V secolo”, in DialA 1970-71, pp. 37-68.
C. Ampolo, “Periodo IV B”, in DialA 2, 2 1980, p. 165-192.
Ampolo 1980a
C. Ampolo, “le condizioni materiali della produzione. Agricoltura e paesaggio”, in DialA 1 1980, pp. 15-38..
Sepolti tra i vivi. Evidenza ed interpretazione di contesti funerari in abitato. Convegno Internazionale, Museo dell’arte classica, Odeon, Roma 26-29 aprile 2006, c.s.
M. J. Becker, “Human skeletal remains recovered from the Ficana excavation”, in Brandt 1996, pp. 453-474.
A. Bedini, “Tre corredi protostorici dal Torrino. Osservazioni sull'affermarsi e la funzione delle aristocrazie terriere nell'VIII sec. a.C. nel Lazio”, in QuadAEI 11, 1985, pp. 44- 63.
A. Bedini, “Tor de' Cenci (Roma). - Tombe protostoriche”, in NSc 1988-89, pp. 221-79.
A. Bedini, F. Cordano, “L'ottavo secolo nel Lazio e l'inizio dell'orientalizzante antico alla luce di recenti scoperte nella necropoli di Castel di Decima”, in PP 32, 1977, pp. 274-211.
A.M. Bietti Sestieri (a cura di), La necropoli laziale di Osteria dell'Osa, Roma 1992.
Boanelli-Di gennaro 2001
F. Boanelli, F. di Gennaro, “Settore 6. Via San Gimignano. Strutture urbane preromane e tombe romane (1990) (N. 16)”, in BCom CII, 2001, pp. 234-241.
M. Bonghi Jovino, “Tarquinia. Monumenti urbani”, Atti del Convegno di Studi Etruschi e Italici 2001, in stampa.
M. Bonghi Jovino, F. Chiesa (a cura di), Offerte dal regno vegetale e dal regno animale nelle manifestazioni del sacro, Atti dell’Incontro di studio, Milano 26-27 giugno 2003, Tarquinia, Tarchna/Supplementi 1, Milano 2003.
G. Boni, “Sepolcreto del Septimontium preromuleo”, in NSc 1903, pp. 375-427.
J. R. Brandt, Scavi di Ficana, 2.1. Il periodo protostorico e arcaico. Le zone di scavo 3b-c, Roma 1996.
P. Brulé, “Infanticide et abandon d’enfants. Pratiques grecques et comparaisons anthropologiques”, in DHA 18,2, 1992, pp. 53-90.
G. Colonna, “Un aspetto oscuro del Lazio antico. Le tombe del VI-V secolo a.C.”, in PP 32, 1977, pp. 132- 165.
J. De Grossi Mazzorin, “I resti ossei animali rinvenuti nella necropoli di Osteria dell'Osa”, in Bietti Sestieri 1992, pp. 487-489.
De Santis-Fenelli-Salvadei 2006
A. De Santis, M. Fenelli, L. Salvadei, “Implicazioni culturali e sociali del trattamento funebre dei bambini nella protostoria laziale”, in Atti Roma 2006.
F. Gabrieli (trad. a cura di), Platone, La Repubblica, Milano 2001.
G. Ghini, A. Guidi, “Colonna: nuove acquisizioni per l'Età del ferro”, in QuadAEI 6, 1983, pp. 63- 75.
E. Gjerstad, Early Rome II. The Tombs, Lund 1956.
M. Gnade, “Iron age cinerary urns from Latium in the shape of a hut. Indicators of status?” , in Bremer-van den Hout- Peters, Amsterdam 1994.
Guaitoli 1995
M. Guaitoli, “Lavinium: nuovi dati dalle necropoli”, in QuadAEI 24, pp. 551-562.
A. Guidi, A. Zarattini, “Guidonia: rinvenimenti d’età pre- e protostorica”, in QuadAEI 21, pp. 183-194.
Civiltà del Lazio primitivo, (catalogo della mostra a cura di G. Colonna), Roma 1976.
M. Lupi, L’ordine delle generazioni – Classi di età e costumi matrimoniali nell’antica Sparta, Bari 2000.
S. Modica, Sepolture infantili in abitato a Roma e nel Lazio tra VIII e VI sec. a.C., tesi di laurea discussa con la II cattedra di Etruscologia e antichità italiche dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", relatore G. Bartoloni, correlatore A. De Santis.
S. Modica, “Sepolture infantili nel Lazio protostorico”, BCom XCV, 1993, pp. 7-18.
S. Modica, “Speranza di vita e rituali nel Lazio antico”, in Atti della Accademia Lancisiana di Roma, 2005, XLIX-2, 2005, pp. 84-89
S. Modica, Rituali e Lazio antico. Deposizioni infantili e abitati, Milano, 2007.
Muggia 2000
A. Muggia, “La sfera infantile e il simbolismo iconografico: alcuni casi dalla necropoli di Valle Trebbia a Spina”, in RivAnt IX/1, 2000, pp. 87-94.
R. Peroni, “Comunità e insediamento in Italia fra Età del bronzo e prima Età del ferro”, in Storia di Roma 1, Torino 1988, pp. 7-37.
Rubini-Coppa 1989
M. Rubini, A. Coppa, “Resti Scheletrici provenienti dalla necropoli dell’Età del Ferro di Ardea (VIII-VII sec. a.C.)”, In RivAntr, LX-VII, pp. 161-180.
P. Sommella, “La necropoli protostorica rinvenuta a Pratica di Mare”, in RendPontAc 46, pp. 33-48.
Zaccaria Ruggiu 1990
A. Zaccaria Ruggii, “L’intervento pubblico nella regolamentazione dello spazio privato. Problemi giuridici”, in Rivista di archeologia XIV, pp. 77-94.
* Questo contributo è dedicato alla ricerca del significato manifesto nelle pratiche di elaborazione del lutto, quelle cioè che trasformano il dolore della perdita in quello profondo e lungo dell’assenza, secondo i costumi antichi della ‘morte immatura’: Verg. Aen. VI, 426-429:”Continuo auditae voces vagitus et ingens/ Infantumque animae flentes, in limine primo,/ Quos dulcis vitae exsortis et ab ubere raptus/Abstulit atra dies et funere mersit acerbo.”
[1] Si vedano i contributi proposti, di recente, in Bonghi Jovino-Chiesa 2003, con riferimenti anche al tema dell’offerta in contesti non funerari.
[2] Sul valore assunto, in ambito archeologico, dal concetto di ritualità liminale, dalla morte alla definitiva deposizione del defunto, la cui elaborazione in ambito antropologico si deve alle teorie di van Gennep, cfr. quanto ricostruibile per le pratiche funerarie in ambito di necropoli, in Bietti Sestieri 1992, p. 491 ss.
[3] Per il tema in oggetto, alcuni spunti derivanti dalla tradizione letteraria sono proposti in Modica 1993, p. 7, 10 ss; e da ultimo, Modica 2007, p. 220 ss.
[4] In generale, si rammentano, spaziando fra momenti e contesti culturali assai diversi, oltre alla complessa e dibattuta documentazione sulla ritualità sacrificale di ambito orientale e fenicio-punico, la narrazione omerica dell’uccisione achea di Astianatte, la questione dell’expositio infantile in ambito greco e romano, la testimonianza ciceroniana sull’uso comune dell’infanticidio o quella, dello stesso autore, in difesa di Cluenzio assassino della propria prole per motivi sentimentali: Cic., Cluent., 9, 27 e 9, 28; a titolo emblematico dell’immaginario, comune al mondo antico, sul peso irrilevante dei comuni decessi infantili, vale la pena richiamare, tra l’altro, la notazione usata da Platone, nella narrazione del mito di Er, in cui è esplicita la scarsa considerazione:“Su quelli che appena nati fossero morti, o vissuti breve tempo, egli diceva altre cose che non vale la pena di ricordare” (Platone, La Repubblica, X, 615c; testo e traduzione in Gabrieli, 2001, p. 753, 1050-1052) Di recente, sulla base delle fonti, è stato proposto uno studio dei criteri “generazionali” messi in atto, in particolare nella tardoarcaica e classica Sparta, in Lupi 2000; da un punto di vista antropologico e con riferimento ad un metodo comparativo di analisi della documentazione, alla luce delle scarse fonti disponibili, è opportuno tener ferme le perplessità esposte in Brulè 1992, soprattutto in merito al carattere aneddotico e non statistico delle fonti..
[5] Un nucleo di deposizioni riferibile almeno al IX sec. a.C. identificato sul Capitolium di Roma presenta connotazioni tali da far pensare ad un uso di aree non ‘convenzionali’ o comunque non legate a settori di comune sepoltura, quali le necropoli, già da tale epoca, sebbene il contesto sia stratigraficamente in connessione ad un ambito interessato da attività di metallurgia artigianale e con defunti sia in età infantile che tarda pubertà/età giovanile (per l’esame in dettaglio dei dati cfr. Modica 2007, p. 213).
[6] Mancano precise indicazioni antropologiche e caratteristiche del dolio-contenitore funerario: cfr. Guidi-Zarattini 1993, p. 191.
[7] Cfr. Guidi-Zarattini 1993 per l'evidenza dell'urna a capanna a Camporeatino, con bibliografia: p. 191.
[8] Da ultimo Gnade 1994.
[9] Gjerstad 1956, pp. 46-49 (t. PP).
[10] Modica 1993, p. 8, con bibliografia in nota 18.
[11] Cfr. ad es. tomba Q, con urna a capanna: Gjerstad 1956, pp. 26-32.
[12] Cfr. Bietti Sestieri 1992, p. 212.
[13] Cfr. Bietti Sestieri 1992, p. 491 ss.
[14] Per l'uso del dolio cordonato nei contesti di adulti di Osteria dell'Osa, cfr. note 12-13.
[15] Cfr. note precedenti.
[16] Unica documentazione di vera e propria sepoltura "multipla" appartiene all'orientalizzante recente e presenta la deposizione in due fosse affiancate di un uomo, una donna e una bambina, con un solo loculo per il corredo: Bietti Sestieri 1992, cit. p. 215.
[17] Interessante notare che nella necropoli di Tivoli si segnalano altri due casi, tra quelli pubblicati, di postura analoga alla citata deposizione femminile, di cui una con la stessa tipologia della compresenza di individuo maschile e femminile in posizione opposta, l'uno a braccia distese, l'altra appoggiate sul ventre: Lazio primitivo 1976, p. 209 (t. XIII), p. 211 (XXXVII).
[18] Modica 1993, p. 10. Sulle connessioni culturali tra individualizzazione del defunto e fenomeni di “riflusso dalla comunità alla famiglia” si veda quanto ricostruito in Muggia 2000, in particolare p. 93.
[19] Cfr. n. prec.
[20] Si tratta della sepoltura di un bambino di ca. 4 anni: Bietti Sestieri 1992a, p. 844 (t. 175).
[21]Bietti Sestieri 1992, cit. p. 213.
[22] Ghini-Guidi 1983, p.
[23] Si veda Bedini 1989, p. 278; tale anticipazione di nuove strategie occupazionali del territorio si allinea con il quadro ricostruito per l'evoluzione della necropoli gabina in questa fase.
[24] Cfr. Modica 1993, p. 8.
[25] Proviene da Frusino, località Fraginale, la deposizione infantile identificata nell’ambito delle strutture di una capanna piuttosto ampia (ca. 10 metri); per la documentazione cfr. Modica 2007, p. 147 (contesto topografico e stratigrafico), p. 196 (dati osteologici).
[26] Cfr. cap. prec., per le sepolture di adulti; per un quadro generale della presenza di resti animali o vegetali nelle sepolture romane: Ampolo 1980, pp. 16, 44.
[27] Tombe D, G, I, K, FF: cfr. n. prec.
[28] Le indicazioni sui contesti di Ficana provengono dal dattiloscritto di Brandt, per quanto riguarda gli elementi di corredo a supporto della datazione (Modica 2007, p. 118 ss.) e ai dati fornitimi da De Grossi Mazzorin per resti ossei animali degli stessi contesti (cfr. Modica 1993, p. 13, fig. 9).
[29] Modica 1993, p. 13.
[30] Brandt 1996, passim.
[31] Per gli aspetti di analogia tra i due centri, in relazione allo sviluppo topografico e in alla distribuzione delle evidenze: Peroni 1988, pp. 18-19. Sui contesti dal Capitolium e la loro collocazione all’interno del campione documentato in abitato si veda quanto proposto da chi scrive in Modica 2007, pp. 209-210, nota 85 con bibliografia, pp. 213-214.
[32] Dati antropologici delle sepolture di Ardea, sono annessi ad una prima pubblicazione sui resti scheletrici di Campo del Fico, purtroppo con nomenclatura diversa dalle numerazione di scavo: Rubini-Coppa 1989, p. 68 ss.
[33] Cfr. ad esempio la necropoli lavinate di Pratica di Mare, tuttora parzialmente pubblicata: Sommella 1973, pp. 34-48 e da ultimo con una rassegna delle tipologie tombali: Guaitoli 1995.
[34] Si veda Modica 2007, p. 204, con bibliografia in nota 46.
[35] Secondo un primo esame dei dati preliminari di scavo, nelle fasi III-IVA, l'età dei defunti in questo abitato è compresa tra 0-10 anni (si vedano le riflessioni in Modica 2007, 195, in particolare in nota 42, con bibliografia); sulla base di più recenti indagini osteologiche lo spettro d’età si abbasserebbe notevolmente, come di recente documentato: De Santis-Fenelli-Salvadei 2006; ringrazio la dott.ssa De Santis per lo scambio d’opinioni e gli aggiornamenti proprio sull’esame dei resri ossei effettuati sui defunti impuberi di Lavinium.
[36] Confronta il quadro ricostruttivo della distribuzione diacronica dei gradi d'età osservati nei contesti d'abitato: Modica 1993, p. 12, fig. 8; si veda, a proposito delle attese di vita in rapporto ai dati ricavabili dalle deposizioni del Lazio protostorico, quanto indicato in Modica 2005, in particolare p. pp. 87-88.
[37] I dati "anagrafici" delle più antiche sepolture in abitato indicano un'età compresa fra i 7 e i 10 anni: Modica 2007, p. 193, tabella A (da Roma : t. EE), p. 196 (da Ardea, t. A).
[38] Sulla nascita di un ceto aristocratico legato allla proprietà e/o al possesso della terra: Ampolo 1971, p. 69 ss., Colonna 1977, p. 175 ss., partic. p. 186, n. 46; per le evidenze archeologiche in relazione a questo tipo di fenomeni: Bedini 1985, pp. 44-63, Bedini 1989, in part. pp. 278-79, Bedini-Cordano 1977.
[39] Per la tomba 2, Bedini 1989, pp. 224-227, per la lettura dei dati contestuali: idem, in partic. p. 278.
[40] Sulla lettura dell’analisi del chi-quadrato si veda quanto descritto in Modica 2007, p. 185.
[41] Una sintesi sugli spunti offerti dalla tradizione letteraria a proposito delle morti premature in Modica 1993, pp. 7, 11; Modica 2007, p. 220 ss.
[42] Ma vale la pena rilevare la possibilità che alcune deposizioni identificate a Ficana siano riferibili a defunti deposti con modalità “non convenzionali”, ovvero anch’essi su nuda terra e privi di fossa/custodia: si veda, per Ficana, quanto indicato in Modica 2007, p. 12, nota 20 (presenza di almeno un adulto e un bambino senza custodia), pp. 194-196, i casi di Roma a p. 116-117 e, per una prima lettura delle diverse valenze attribuibili alle diverse pratiche rituali, connotazioni sacrali e carattere privato delle stesse, p. 224 ss.; per specifici casi di deposizioni senza custodia, cfr. quanto indicato in Becker 1996, in particolare pp. 458-459.
[43] La sequenza analizzata in Modica 2007, p. 213 ss. è : assenza di oggetti d’ornamento nelle attestazioni più antiche, con ridotte connotazioni di genere ed età, come in necropoli, gradualmente sostituita da una sempre più consistente presenza degli stessi già a partire dalla prima metà dell’VIII, a cui si affianca, nel terzo quarto della stessa epoca la sempre più rilevante presenza di vasi, con repertorio legato alla moda del banchetto e tipologie mutuate dall’ambiente greco e orientale; gli oggetti d’ornamento personale, molto frequenti nei contesti tra fine VIII e inizi VII, diventano più irrilevanti nei contesti successivi e la loro presenza appare infine condizionata forse più dal costume locale che da prassi diffuse su larga scala.
[44] Per quanto riguarda l’analisi spaziale applicata all’assetto delle necropoli, si veda il citato lavoro sulla necropoli di Osteria dell’Osa, in Bietti Sestieri 1992; sul problema dell’intervento pubblico nella regolamentazione dello spazio privato, in particolare riguardo alla struttura/articolazione degli immobili, vedi Zaccaria Ruggiiu 1990, pp. 77 ss..
[45] Categorie descrivibili, oltre alle citate per contesti e tipologie, sono quelle fondate su elementi documentari osteologici o sul patrimonio noto dalla tradizione scritta; cito fra le tante, a titolo d’esempio: a) su base biologico-anagrafica: impuberi/puberi, con handicap, per decesso prenatale, perinatale, violento, naturale ecc.; b) per tipo di finalità rituale: consacrazione primiziale e/o per atti di fondazione/obliterazione, hostiae o victimae predestinate…
[46] Si rimanda alla recente identificazione di azioni rituali di fondazione e obliterazione nell’area del Foro Romano, per la lettura delle sepolture come contestuali a fasi costruttive e/o distruttive di edifici connessi: Modica 2007, p. 10, ss. con bibliografia, per i casi più recenti di Roma, in nota 13.
[47] Cfr. De Grossi Mazzorin 1992, pp. 487-488.
[48] Brandt 1996, p. 116, dal riempimento vengono registrate anche presenze vegetali, la cui entità, resta, tuttavia, irrilevante.
[49] Cfr. Modica 2007, p. 76; ringrazio G. Bagnasco Gianni per lo scambio di idee e gli utili suggerimenti; il prof. G. Colonna per le utili sollecitazioni ad un riscontro autoptico di tale documento arcaico; su questo attendo il riscontro di A. De Santis, essendo in corso il restauro dei manufatti provenienti dal Foro Romano.
[50] Boni 1903, p. 409.
[51] Boni 1903, p. 410.
[52] In particolare, sulla presenza di chicchi d’uva in sepolture infantili del Foro Romano (t. I e T. K) e sul riferimento a regolamentazioni dei rituali sulla base delle fonti: Ampolo 1980, p. 31, con riferimenti anche, nelle pagine precedenti, anche al quadro ricostruibile per la produzione cerealicola e le condizioni alimentari nel Lazio antico.
[53] Nel caso della tomba I il calice troncoconico, con resti di sostanze grasse animali e segni di lamelle giallicce, forse impronte di resti vegetali, “erbaggi tagliuzzati” come ricorda Boni.
[54] Un utile contributo potrà essere tratto dalla pubblicazione integrale dei dati pubblicati preliminarmente per Fidenae, Ove sepolture infantili riferibili ad areee abitative, in un orizzonte cronologico fra VII e VI secolo a.C, seppure omogenee per tipo di deposizione e classi d’età, offrono ulteriori elementi per indagare il tipo di rappresentatività simbolica richiamato da tali sepolture, essendo fra l’altro documentato, nell’apparato di corredo di una deposizione pure un lituo, insieme ai resti di cibo. Del corredo miniaturistico d’accompagno della deposizione entro sarcofago in tufo, indicati, oltre al lituo in ferro forse munito di sonaglio bronzeo e ad un guscio d’uovo, anche un’olletta-poculo, un bicchiere, un kyathos ed una scodella con piede ad anello: Boanelli-di Gennaro 2001, p. 239; sulla questione dell’interpretazione funzionale del lituo, di recente: Bonghi Jovino 2001a, p. 316