LA TERAPIA ENDOVASCOLARE E ‘OPEN’
O. Martinelli, L. Irace, R. Gattuso, S. Venosi, C. Belli, B. Gossetti
La malattia diabetica rappresenta un fattore di rischio indipendente dell’arteriopatia ostruttiva cronica degli arti inferiori (AOCP). L’incidenza di AOCP nei pazienti diabetici varia tra il 18% ed il 22% delle esperienze di Jude1 e di Faglia2 fino addirittura al 50% dei casi con lesioni trofiche della casistica di Propers 3.
L’arteriopatia periferica nei diabetici si caratterizza non soltanto per la significativa incidenza ma anche per le caratteristiche della malattia stessa che la differenziano significativamente rispetto alla forma non associata al diabete.
Infatti, l’AOCP dei diabetici si inquadra nell’ambito di una malattia aterosclerotica polidistrettuale con alcune peculiarità istopatologiche e di distribuzione anatomica.
Queste alterazioni istopatologiche della parete arteriosa sono riconducibili alla disfunzione endoteliale ed al conseguente stress ossidativi indotti o peggiorati dall’iperglicemia cronica a cui si associa anche un persistente stato pro-infiammatorio ed un’ aumentata espressione delle molecole di adesione piastrinica 4. Ne deriva la formazione di placche ateromasiche caratterizzate da una elevata componente calcifica della tonaca media e dal coinvolgimento dell’intera circonferenza del vaso con prevalente tendenza all’occlusione dei vasi rispetto alle stenosi.
Da un punto di vista anatomico, l’arteriopatia diabetica presenta una localizzazione multipla, multi segmentaria, prevalentemente distale e simmetrica, prevalentemente in sede sottogenicolata con rapida progressione delle lesioni verso la completa ostruzione e scarsi circoli collaterali vicarianti.
La concomitante neuropatia sensitivo-motoria rende ragione del frequente esordio clinico della vasculopatia diabetica con lesioni ulcerative che sono un fattore prognostico negativo per l’ulteriore evoluzione fino all’amputazione maggiore.
Le caratteristiche anatomo-patologiche e cliniche rendono ampiamente ragione della necessità di procedere ad una rivascolarizzazione chirurgia open o endovascolare con interventi quanto più tempestivi ed efficaci possibile, spesso finalizzati al salvataggio dell’arto.
Gli obiettivi della rivascolarizzazione sono:
· la guarigione della lesione trofica ed il conseguente salvataggio dell’arto che è strettamente correlata al successo tecnico anche solo a breve termine della ricostruzione arteriosa effettuata.
· la correzione del maggior numero possibile di lesioni steno-ostruttive per ottenere una completa rivascolarizzazione dell’arto interessato.
Per quanto attiene l’opportunità di una rivascolarizzazione quanto più completa possibile, nel 2010 Peregrin ha riportato i risultati della PTA delle arterie infrapoplitee in pazienti diabetici con ischemia critica dimostrando che la percentuale di salvataggio d’arto è direttamente proporzionale al numero di arterie trattate (73%, 80% e 83% con 1, 2, 3 arterie trattate, rispettivamente) e, soprattutto, è decisamente inferiore in assenza di una continuità di almeno uno di essi con l’arcata plantare.
La scelta del tipo di trattamento da effettuare dovrebbe tenere anche conto della localizzazione delle lesioni steno-ostruttive rispetto alla sede della lesione ischemica. L’efficacia di una rivascolarizzazione dipende, infatti, dal trattamento del maggior numero di lesioni arteriose ma anche dalla scelta del vaso da rivascolarizzare; questa sc3elta dovrebbe essere basata sull’ adeguatezza della “landing zone” per l’anastomosi distale di un bypass ed eventualmente sull’angiosoma del piede in cui è localizzata la lesione ischemica.
Altri elementi rilevanti per l’indicazione e la scelta del tipo di rivascolarizzazione sono le condizioni generali del paziente e la sua aspettativa di vita (>2 anni), la possibilità di recupero funzionale dell’arto ischemico, l’estensione e la possibile infezione della lesione trofica eventualmente presente .
Per quanto attiene il tipo di rivascolarizzazione, fino agli anni ’90, l’orientamento prevalente era a favore della chirurgia open basata sul confezionamento di bypass femoro-distali anche “estremi” con anastomosi a livello del tratto distale delle arterie infrapoplitee o delle arterie plantari. Le procedure endovascolari di angioplastica (PTA) o stenting erano riservate a casi selezionati o venivano attuate nell’ambito di interventi ibridi per garantire un sufficiente run-in e run-off alla protesi impiantata.
A fronte di buoni risultati in termini di salvataggio d’arto e di pervietà a distanza del trattamento chirurgico open, vi è il limite legato alla necessità di impiegare come materiale protesico una vena di calibro adeguato (>3mm) o protesi composite, soprattutto nei casi di uno scarso run-off e o di un bypass con anastomosi distali a livello delle arterie sottogenicolate.
Negli ultimi 20 anni, il progressivi miglioramento dei materiali e delle tecniche di rivascolarizzazione percutanea ha portato ad una sempre più ampia applicazione di esse, soprattutto per il trattamento delle lesioni sottogenicolate.
Attualmente il trattamento endovascolare della AOCP del paziente diabetico trova una specifica indicazione nei casi in cui il confezionamento di un bypass sia controindicato per l’elevata co-morbilità con conseguente aumento del rischio operatorio e nei casi in cui non vi sia un vaso adeguato per l’anastomosi distale.
I risultati di numerosi studi hanno dimostrato che il successo tecnico di tali procedure si associa ad un miglioramento clinico immediato. In alcuni casi, tale miglioramento si protrae nel tempo anche oltre al durata della rivascolarizzazione stessa.
Il successo tecnico in una elevatissima percentuali di casi, la ridotta incidenza di complicanze delle procedure endoluminali giustificano la raccomandazione indicata nel documento di consenso TASC II 5 sull’impiego delle tecniche endovascolari come prima scelta rispetto alla chirurgia open in assenza, peraltro, di una specifica menzione della vasculopatia diabetica.
TASC II - Raccomandazione 35. Scelta tra le tecniche con risultati clinici a breve e a lungo termine equivalenti Nel caso in cui la rivascolarizzazione endovascolare e la riparazione a cielo aperto/bypass di una specifica lesione responsabile di sintomi da arteriopatia periferica diano gli stessi miglioramenti clinici a breve e a lungo termine, la tecnica endovascolare sarà la prima scelta. |
I vantaggi delle procedure endovascolari sono ampiamente dimostrati dai dati della letteratura 7-8-9 e sono riportati nella tabella 1.
Tabella 1 Vantaggi del trattamento endovascolare dell’arteriopatia diabetica
· Basso tasso di complicazione: 0.5-4% · Successo tecnico in circa il 90% · Permette di trattare steno-ostruzioni multiple di una o più arterie di afflusso e deflusso durante lo stesso intervento · Permette di trattare lesioni arteriose e molto distali · Durata della degenza più breve · Ottimizza il successo di bypass migliorando l’inflow e l’outflow · Valida alternativa in caso di inattuabilità della chirurgia · Bridge provvisorio per una terapia definitiva per i pazienti non trattabili chirurgicamente per gravi infezione alla gamba o IMA recente · Non esclude di by-pass, in caso di fallimento della PTA
|
Nella scelta dell’approccio terapeutico più idoneo vanno, tuttavia considerati anche i limiti del trattamento endovascolare 10-11-12 elencati nella tabella 2.
Tabella 2 Limiti del trattamento
endovascolare dell’arteriopatia diabetica
·
Pervietà a
lungo termine è inferiore al
bypass
·
Insufficiente
nei casi di lesioni trofiche
molto estese
·
Non è indicato
o fattibile per il trattamento di occlusioni lunghe e/o estese
calcificazioni e di lesioni gravi delle arterie plantari · L’impiego di stents può rendere rendere difficile un reintervento open
·
Elevata
incidenza di restenosi e
necessità di un re intervento.
|
Nonostante gli evidenti vantaggi del trattamento endovascolare, allo stato attuale, non vi è ancora una concordanza di pareri su quale sia il trattamento di prima scelta dell’ischemia critica nei pazienti diabetici.
I dati di letteratura 13-14-15 e la nostra esperienza indicano che il confezionamento di bypass in vena autologa garantisce i migliori risultati in termini di pervietà a distanza ma può essere condizionato dalle condizioni generali del paziente dalla disponibilità della vena e dalla esistenza di vaso ricevete idoneo.
La rivascolarizzazione endoluminale offre risultati a breve- e medio-termine soddisfacenti, soprattutto quando non vi siano lesioni ischemiche molto estese,; consente, inoltre, il trattamento di lesioni multiple e di più vasi di gamba nell’ambito della stessa seduta. Il trattamento endovascolare è’ tuttavia, gravato da una elevata percentuale di restenosi che rende ragione della necessità di un rigoroso follow-up clinico-strumentale.
L’impiego combinato della chirurgia open ed endovascolare può, in casi selezionati, rappresentare la modalità di trattamento più efficace e duratura.
La completa comprensione dei complessi e peculiari meccanismi patogenetici della arteriopatia diabetica è di fondamentale importanza non soltanto per un efficace trattamento “globale” farmacologico ed interventistico di tale patologia nell’ambito di un approccio mutidisciplinare per il progressivo miglioramento delle percentuali di salvataggio d’arto in questi pazienti.
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Ombretta Martinelli, Luigi Irace, Roberto Gattuso, Salvatore Venosi, Cristina Belli, Bruno Gossetti
UOC A Chirurgia Vascolare - Policlinico “Umberto I”
Università degli Studi di Roma “Sapienza”