OLFATTO E DEFICIT COGNITIVO
Prof. V. Marigliano, Dr.ssa A. Servello
“Sapienza” Università di Roma
Dipartimento di Scienze cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche
Il sistema olfattivo è il più antico dei cinque sensi ed in alcune specie risulta essere il senso maggiormente sviluppato per la rilevanza del ruolo sui meccanismi di comunicazione, di sopravvivenza, di riproduzione e di orientamento. Nel corso degli anni il sistema olfattivo è stato protagonista di numerose ed interessanti scoperte riguardanti il meccanismo di trasduzione del segnale e la processazione centrale delle informazioni, tanto da divenire un esempio di plasticità neuronale. Il deficit della funzione olfattiva si riscontra frequentemente nelle malattie neurodegenerative, in particolar modo nella demenza di Alzheimer e nel morbo di Parkinson, ma la condizione neuropatologica alla base del deficit olfattivo non è ancora del tutto chiara, nonostante numerosi studi suggeriscano la presenza di alterazioni in vari livelli del sistema olfattivo incluso l’epitelio olfattivo, il bulbo, la corteccia olfattiva e le zone ad essa correlate. Inoltre, durante l’invecchiamento è facile osservare una riduzione della funzione olfattiva di origine non ancora definita, ma spesso correlata a prestazioni patologiche nei test di memoria semantica ed episodica. Il processo di percezione olfattiva comincia con l’inalazione dell’aria ambiente che porta la miscela gassosa contenente le sostanze odorigene a contatto con la mucosa nelle narici nasali, si sviluppa attraverso una serie di meccanismi di trasduzione, trasmissione ed elaborazione dell’informazione portata dallo stimolo olfattivo, e si conclude con la stimolazione di una o più regioni del cervello che controllano il pensiero, le emozioni ed il comportamento dell’uomo. A livello delle strutture cerebrali la trasmissione avviene principalmente attraverso due vie: il sistema limbico, struttura “primitiva” del cervello, che governa le componenti inconsce ed emozionali della percezione, con l’ippocampo, responsabile della memoria olfattiva, ed il talamo che con la corteccia frontale sono coinvolti nell’interpretazione cognitiva dello stimolo olfattivo (tipo di odore, intensità, sgradevolezza).
Lobo limbico e sistema limbico sono ampiamente coinvolti nei processi di memorizzazione. Il sistema limbico è costituito da un insieme di strutture filogeneticamente antiche, anatomicamente localizzate attorno al tronco dell’ encefalo e collegate in un sistema che media memoria, comportamento ed emozioni. L’ippocampo è coinvolto nel consolidamento della working memory a breve termine e nella memoria dichiarativa a lungo termine. Nell’uomo le nozioni conservate come memorie esplicite vengono inizialmente elaborate in una o più delle cortecce associative (corteccia prefrontale, limbica e parieto-temporo-occipitale). Da qui le informazioni vengono trasferite alle cortecce paraippocampica e peririnale, e quindi alla corteccia entorinale, al giro del cingolo, all’ ippocampo, al subiculum ed infine di nuovo alla corteccia entorinale. Dalla corteccia entorinale le informazioni sono nuovamente inviate alla corteccia paraippocampica e peririnale ed infine ancora alle cortecce associative della neocortex. Dunque, la corteccia entorinale rappresenta la principale porta d’ingresso verso l’ ippocampo attraverso la via perforante che proietta al nucleo dentato. Essa rappresenta, inoltre, il più importante canale di output dell’ippocampo stesso. E’ per tali motivi allora che le lesioni della corteccia entorinale risultano gravi e riguardano tutte le modalità sensoriali (non a caso, proprio le prime alterazioni che si osservano nel morbo di Alzheimer, che è la forma degenerativa più importante che colpisce la memoria esplicita, si localizzano a livello della corteccia entorinale).
Numerosi studi hanno dimostrato come le alterazioni neurobiologiche caratteristiche della malattia siano presenti già molti anni prima che la demenza divenga clinicamente manifesta, per cui l’interesse dei ricercatori si è concentrato sullo studio della fase di transizione tra l’invecchiamento cerebrale fisiologico e la demenza, definita Mild Cognitive Impairment (MCI). Tale condizione predispone allo sviluppo di malattia di Alzheimer in circa il 20-25% di soggetti che ne risultano affetti ed è la forma clinica sulla quale si è concentrata l’attenzione della ricerca scientifica al fine di individuare sia trattamenti farmacologici efficaci nell’impedire l’evoluzione del deficit cognitivo in demenza che indici diagnostici in grado di condurre quanto più precocemente possibile alla diagnosi di demenza. Già nel 1996 Braak e Braak presentavano i risultati di un lavoro effettuato su 2261 soggetti sui quali era stata effettuata un’indagine autoptica dalla quale si evinceva che 1/5 dei soggetti analizzati di età media di 25 anni risultavano essere già in stadio I di Braak. E’ ormai noto che le alterazioni neuropatologiche della malattia conducono alla progressiva distruzione del sistema limbico e ad una compromissione delle aree corticali con deficit di memoria, attenzione, linguaggio, capacità visuo-spaziale e comportamento. Le aree degli organi di senso (vista, udito e capacità somatosensoriale) risultano invece minimamente colpite ad eccezione dell’olfatto: la percezione olfattiva è frequentemente compromessa nei pazienti affetti da Demenza di Alzheimer. Inoltre, le alterazioni della percezione olfattiva spesso coincidono con l’inizio della sintomatologia clinica correlata alla malattia o, addirittura, la precedono. Il deficit di memoria, primo sintomo di demenza di Alzheimer è correlato alla precoce atrofia delle struttre temporo-mediali, in particolar modo dell’ippocampo, tanto che l’evidente perdita di tessuto in tale specifica regione cerebrale ed a livello della corteccia entorinale, risulta essere predittiva di progressione del MCI verso la demenza di Alzheimer (AD). Ad oggi l’atrofia dell’ippocampo è considerata uno dei segni macroscopici più precoci della presenza della malattia. La regione ippocampale risulta attiva anche durante le funzioni cognitive in cui è implicato l’uso dell’olfatto ed il ricorso alla memoria olfattiva. Studi clinici evidenziano la presenza di deficit delle funzioni olfattive in circa il 90% dei pazienti affetti da AD e la presenza di aggregati di beta-amiloide e di proteina tau a livello del neuroepitelio nel 71% dei pazienti con Alzheimer sottoposti a studio autoptico e soltanto nel 22% dei soggetti normali. Il Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche dell’Università “Sapienza” di Roma, diretto dal Prof. Marigliano, ha condotto uno studio finalizzato a valutare il valore predittivo dei due indici, atrofia dell’ippocampo e deficit olfattivo, in una popolazione di soggetti affetti da MCI. I pazienti, seguiti per un arco temporale di 18 mesi, sono stati sottoposti al momento dell’arruolamento a valutazione neuropsicometrica completa, volumetria dell’ippocampo ed olfattometria tramite Sniffin’ Stick Extended Test (SSET). I pazienti sono stati quindi sottoposti ad un monitoraggio semestrale delle funzioni cognitive e dopo 18 mesi ad una rivalutazione cognitiva completa tramite SSET e valutazione neuropsicometrica. Dei 18 pazienti arruolati nello studio, tutti hanno concluso il periodo di osservazione clinica della durata di 18 mesi. In seguito alla valutazione iniziale eseguita al momento dell’arruolamento, 14 pazienti presentavano una riduzione patologica dei valori dell’ippocampo (HV) (valore medio 1,33 cm3 vs 2,51 + 0,13), 3 pazienti presentavano valori dei volumi ippocampali nella norma (valore medio 3,06 cm3 vs 2,51 + 0,13) ed un paziente presentava solo una lieve riduzione dei valori volumetrici dell’ippocampo (2,3 cm3 vs 2,51 + 0,13). L’analisi dei risultati ottenuti alla fine del periodo di studio ha messo in evidenza in 8 pazienti la presenza di alterazioni olfattometriche associate a riduzione del volume ippocampale bilaterale (46% del campione), in 6 pazienti una esclusiva riduzione del volume ippocampale bilaterale non associata ad alterazioni olfattometriche (34% del campione), in 1 paziente la sola alterazione delle prestazioni ottenute ai test olfattometrici (3%) associata ad un normale riscontro del volume ippocampale ed in soli 3 pazienti una normale performance sia al test olfattometrico che alla valutazione del volume dell’ippocampo (17% del campione). La valutazione cognitiva effettuata sia all’inizio dello studio che dopo 18 mesi dalla prima valutazione ha mostrato conversione verso una condizione di demenza clinicamente manifesta in un totale di 5 soggetti (converters), con una tasso di conversione del 27,7%, mentre in 13 soggetti (non converters), corrispondenti al 72,2% del campione, i test di valutazione cognitiva hanno continuato ad evidenziare la presenza di deficit delle funzioni cognitive compatibile con un quadro di Mild Cognitive Impairment. Nei 5 pazienti con franca evoluzione verso la demenza è stato possibile porre diagnosi di demenza di Alzheimer in accordo con i criteri NINCS-ARDRA. L’analisi del campione dei soggetti “converters” affetti da AD alla fine del periodo di osservazione ha messo in rilievo la presenza di un’importante riduzione dei valori di volume dell’ippocampo destro e sinistro (<1,3 cm3) associata ad una performance patologica alle prestazioni ottenute allo SSET in un totale di 4 soggetti, mentre in 1 paziente è stata riscontrata solo una lieve riduzione dei valori volumetrici dell’ippocampo destro e sinistro non associata a prestazioni patologiche al test olfattometrico. Dall’analisi statistica dei risultati emerge una correlazione statisticamente significativa tra la condizione di MCI (CDR=0,5) e la presenza di atrofia dell’ippocampo (p<0,005), mentre non emerge una correlazione statisticamente significativa tra il punteggio derivante dalle prestazioni ottenute al MMSE e la volumetria dell’ippocampo (p>0,005). Inoltre, l’analisi dei valori del CDR al tempo T0 ed al tempo T1 mostra una significativa variazione dei valori nei pazienti con alterazione patologica del volume ippocampale. L’analisi dei risultati ottenuti al SSET mostra una correlazione statisticamente significativa tra i valori del test ed i valori di CDR ai tempi T0 e T1 (p<0,005). I valori del SSET non sono però correlati alle prestazioni ottenute al MMSE (p>0,005). Pertanto il valore di CDR nel tempo è statisticamente correlato con i valori patologici del SSET. Soggetti converters presentano valori patologici del SSET e della HV già al momento dell’arruolamento nello studio. Dopo 18 mesi di osservazione la variazione del valore CDR è accompagnata, in media, da un ulteriore peggioramento delle performance ottenute al SSET, con valori francamente patologici. Nei soggetti non converters si registrano, in media, prestazioni lievemente inferiori alla norma ai test olfattometrici seppur non francamente patologiche, mentre risultano essere francamente patologici i valori volumetrici dell’ippocampo. In quest’ultimo gruppo di soggetti le prestazioni olfattometriche risultano, inoltre, essere stabili nel corso dello studio. L’analisi delle prestazioni ottenute ai test olfattometrici evidenzia nei soggetti converters una diminuzione patologica dei valori di soglia olfattiva ed una diminuita capacità di identificare e discriminare gli odori. Nei soggetti non converters rimangano stabili nel tempo e di poco inferiori alla norma sia i valori di soglia che la capacità di identificare e discriminare gli stimoli. L’analisi dei valori olfattometrici nell’intero campione mostra in media prestazioni inferiori alla norma in tutte le funzioni esplorate: Inoltre, nel 77,7% dei soggetti affetti da MCI, è stato possibile rilevare la presenza di una chiara atrofia di entrambi gli ippocampi, mentre solo nel 5,5% del campione una condizione di ipotrofia ippocampale e, nel rimanente 16% di soggetti, valori considerati nella norma. L’analisi statistica dei dati mostra una correlazione statisticamente significativa tra il MCI ed il riscontro di atrofia dell’ippocampo (p<0,005). Dai dati emersi dallo studio, i soggetti affetti da Mild Cognitive Impairment (MCI) presentano una elevata frequenza di deficit della funzione olfattiva e di atrofia dell’ippocampo. Le due alterazioni, inoltre, quando associate nello stesso individuo, sembrerebbero predisporre ad un maggiore rischio di sviluppare Demenza di Alzheimer. Il tasso di conversione in AD rilevato nel campione rispecchia quello indicato nella maggior parte degli studi clinici: il 27,7% dei soggetti affetti da MCI sviluppa demenza di tipo Alzheimer dopo 18 mesi di osservazione, ma, dato di rilievo, è che quasi la totalità dei soggetti “converters” risulta affetto sia da atrofia dell’ippocampo che da alterazioni patologiche del sistema olfattivo. Il deficit delle funzioni olfattive sembrerebbe, inoltre, essere maggiormente presente nei soggetti che presentano una notevole riduzione dei valori medi del volume ippocampale (<1,10 cm3), forse ad indicare una maggiore evoluzione della perdita di sostanza cerebrale attiva. Si potrebbe ipotizzare che la riduzione del volume ippocampale compaia negli stadi più precoci della malattia, rappresentando inizialmente l’unico segno patologico mentre, con l’estendersi del danno neuronale in tutte le aree ippocampali e paraippocampali, comincerebbe a manifestarsi anche il deficit della funzione olfattiva. La disfunzione olfattiva nel MCI e nell’AD, d’altronde, sembra essere strettamente correlata ai cambiamenti neuropatologici che avvengono in questi soggetti a livello del sistema olfattivo. Il bulbo olfattivo, il nucleo olfattivo anteriore e le strutture limbiche sono difatti i primi siti in cui avviene la deposizione delle proteine patologiche prodotte in corso di AD. Numerosi studi confermano che i primi siti bersaglio della malattia, nelle fasi ancora precliniche, sono, infatti, le strutture ippocampali, la corteccia entorinale, la corteccia piriforme e l’amigdala. I dati emersi dallo studio sembrerebbero supportare, d’altronde, queste osservazioni suggerendo che la precoce alterazione della funzione olfattiva può essere considerata una delle manifestazioni cliniche del MCI e strettamente correlata ad un preciso reperto neuromorfologico, quale quello dell’atrofia delle strutture ippocampali. Si può concludere che i soggetti affetti da MCI e con ridotta capacità di identificare e discriminare gli odori, presentino un rischio elevato di sviluppare AD, rischio ancora più elevato se l’alterazione della funzione olfattiva è associata ad atrofia dell’ippocampo. Lo studio ha sicuramente numerose limitazioni: in primo luogo, le osservazioni sono state condotte in un gruppo di pazienti affetti da una specifica forma di MCI, la forma amnestica, quindi i risultati potrebbero non essere applicabili ad altre sottocategorie della stessa patologia. Inoltre, il numero esiguo dei partecipanti e la non uniformità numerica dei sottogruppi di studio, può limitare la significatività statistica dei risultati ottenuti. Lo studio ci consente, comunque, di ipotizzare che soggetti affetti da una specifica condizione patologica quali il Mild Cognitive Impairment, considerata la fase preclinica della demenza, presentino già alla comparsa dei primi sintomi due alterazioni cliniche caratteristiche e facilmente rilevabili quali l’atrofia dell’ippocampo, valutabile tramite tecnica di risonanza magnetica cerebrale, e il deficit della funzione olfattiva, valutabile tramite test olfattometrico. Sia l’atrofia dell’ippocampo che la disfunzione olfattiva, possono essere considerati markers predittivi dello sviluppo di demenza; difatti, le due condizioni associate nello stesso individuo, aumetano notevolmente il rischio: nel campione studiato l’80% dei “converters” presentava sia atrofia ippocampale che iposmia al momento dell’arruolamento nello studio, quando ancora non era clinicamente manifesto il quadro di demenza. La riduzione della funzione olfattiva potrebbe essere considerata come un tipo precoce di agnosia: la distruzione delle aree cerebrali deputate alla memoria olfattiva condurrebbe ad una mancanza di consapevolezza dei propri ricordi olfattivi e quindi ad una difficoltà a riconoscere i diversi odori ed i differenti tipi di stimolo olfattivo. Questo tipo specifico di agnosia precederebbe di molto tempo l’agnosia da deterioramento diffuso delle funzioni cognitive. Sappiamo, inoltre, che la deposizione di beta-amiloide avviene precocemente a livello delle aree cerebrali deputate al corretto funzionamento della memoria, per cui l’atrofia cerebrale di tali aree riflette la perdita neuronale e la disfunzione sinaptica, correlate al processo neuropatologico tipico della demenza di Alzheimer. Si può pertanto affermare che, l’utilizzo di determinati indici, quali quelli analizzati nell’ambito dello studio, seppur con i limiti precedentemente elencati, può costituire un valido supporto all’inquadramento diagnostico del deterioramento cognitivo lieve e dare una indicazione sulla possibile evoluzione dello stesso e sulle eventuali precauzioni terapeutiche da adottare, nonché sulla programmazione di un idoneo monitoraggio della malattia.