La nutrizione tra genetica e stile di vita
V. Marigliano, W. Verrusio
È noto da tempo come un corretto stile di vita rappresenti uno dei fattori più importanti per conseguire un invecchiamento di successo, libero da malattie e da condizioni di disabilità. Alimentarsi in modo sano e corretto rappresenta un momento importante di costruzione del nostro benessere psico-fisico ed interviene positivamente nel controllo e, in alcuni casi, nella cura di diverse patologie1. Il termine “Dieta” deriva dal greco δίαιτα, “modo di vivere”, e si riferisce all’insieme delle pratiche, delle rappresentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, delle abilità, dei saperi e degli spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una sintesi tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale, l’universo mitico e religioso intorno al mangiare. Emerge, quindi, un ruolo prominente della dieta Mediterranea, dichiarata nel 2010 dall’Unesco patrimonio immateriale dell’Umanità, quale strumento di promozione di un corretto stile di vita. Numerosi studi confermano come l’aderenza a questa tipologia di dieta sia associata ad una minore mortalità e ad un ridotto rischio di incorrere in patologie neoplastiche, cardio-vascolari, neuro-degenerative e in disturbi del tono dell’umore2. In particolare, analizzando i meccanismi molecolari con cui i vari nutrienti influenzano i processi biologici del nostro organismo, appare evidente come le sostanze presenti nei cibi possano regolare il processo dell’invecchiamento attraverso una modulazione sia dello stress ossidativo che dei processi di attivazione della risposta infiammatoria (meccanismi coinvolti nei processi di morte cellulare e nella patogenesi di numerose condizioni morbose tipiche dell’anziano). Ad esempio, si è scoperto che l’olio di oliva, elemento base della dieta Mediterranea, è particolarmente ricco di acidi grassi monoinsaturi (MUFA), principalmente l’acido oleico, un componente essenziale delle membrane biologiche che può progressivamente sostituire gli acidi grassi polinsaturi. Le membrane cellulari ricche in acidi grassi monoinsaturi hanno un’ottima fluidità e subiscono meno la perossidazione lipidica. Altri componenti dell’olio di oliva sono l’alfa tocoferolo, i composti fenolici e il coenzima Q, che contribuiscono a contrastare gli effetti tossici dei prodotti residui del metabolismo dell’ossigeno e prevengono la formazione dei radicali liberi, proteggendo la cellula dal danno ossidativo. L’olio di oliva ha anche proprietà anti-infiammatorie: l’Oleocanthal è in grado, infatti, di inibire le ciclo-ossigenasi COX-1 e COX-2 nella sintesi delle prostaglandine3. I flavonoidi, presenti nel cacao ma anche nell’uva rossa, proteggono le cellule dai radicali liberi, riducono il colesterolo e la pressione sanguigna, inibiscono l’adesione piastrinica e migliorano l’irrorazione sanguigna. Il succo d'arancia sembra interferire con i meccanismi negativi infiammatori che vengono attivati dopo un pasto ad alto contenuto di carboidrati e di grassi. Il consumo di succo di arancia durante i pasti sembra prevenire lo sviluppo di insulino-resistenza e diabete mellito e, infine, ridurre gli eventi cardio-vascolari. Mangiare noci è un'altra abitudine alimentare che, come parte di una dieta bilanciata, può influenzare positivamente i livelli di lipidi nel sangue e ridurre il rischio di malattia coronarica fino al 40 %4.
Negli ultimi anni lo studio delle interazioni tra nutrienti ed espressione di geni, proteine e mataboliti ha portato alla nascita di due nuove scienze: la Nutrigenomica, che studia come le molecole contenute nei cibi siano in grado di intervenire sul DNA (sono comprese anche le modifiche che l’alimentazione della madre apporta al metabolismo del feto e quindi al nascituro), e la Nutrigenetica, che studia le differenze genetiche che causano risposte variabili dei singoli soggetti alla somministrazione di specifici nutrienti presenti nel cibo . Si è scoperto, ad esempio, che la dieta Mediterranea è in grado di down-regolare MCP1, proteina con attività chemiotattiche per i monociti. I polifenoli contenuti nell’olio di oliva determinano down-regulation di diverse citochine pro-infiammatorie e up-regulation di mediatori in grado di ridurre lo stress ossidativo5. L’Human genome Project ha dimostrato che due individui condividono il 99,9% delle sequenze del DNA. La differenza dello 0,1% tra soggetti può spiegare la diversa suscettibilità alla insorgenza di alcune patologie e la diversa risposta a fattori ambientali e nutrizionali. Sostituzioni a livello di singoli nucleotidi vengono definite Single-nucleotide polymorphism (SNP). Si definiscono SNP funzionali quelli che modulano l’espressione genica e le funzioni di specifiche proteine. Molti SNP sono diet-responsive6. Ad esempio, si è visto che la risposta tra colesterolo della dieta e livelli di colesterolo nel sangue è genotipo-dipendente e diversi sono i geni coinvolti (GENI ApoE, APOC3, LPL, CETP). La sensibilità al sodio alimentare e la sensibilità all’insulina sono legate alla presenza o meno di polimorfismi di specifici geni (Gene Angiotensinogeno AGT, genotipo GG salt insensitive per il sodio alimentare; Gene Peroxisome proliferator-activated receptors per l’insulina). È oggi possibile effettuare, attraverso un cytobrush delle cellule della mucosa buccale e gengivale del paziente, un test genetico per l’analisi di 50 polimorfismi genetici localizzati su 36 geni implicati in processi di detossificazione, infiammazione, attivita’ antiossidante, sensibilità all’insulina e danno cardio-vascolare. È possibile quindi immaginare di arrivare, in un prossimo futuro, ad una reale personalizzazione della dieta, individualizzata non solo sugli indici antropometrici e sui paramentri biochimici e strumentali del paziente, ma anche e soprattutto sulla relazione genoma-risposta dietetica del singolo individuo.
Bibliografia
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4. McAllister Pryde M, Kannel WB. Efficacy of dietary behavior modification for preserving cardiovascular health and longevity. Cardiol Res Pract 2011, 1-8.
5. Konstantinidou V, Covas MI et al. Up-to date knowledge on the in vivo transcriptomic effect of the Mediterranean diet in humans. Mol. Nutr. Food Res. 2013, 57, 772–783)
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Prof. Vincenzo Marigliano, Dr. Walter Verrusio
“Sapienza” Università di Roma
Nutrizione e rischio cardiovascolare
W. Verrusio
Si stima che ritardare l’età d’insorgenze tipica delle patologie più comuni di soli sette anni diminuirebbe il rischio età-specifico di disabilità e morte del 50%, consentendo un sostanziale miglioramento sia nella durata della vita che, soprattutto, nella qualità di vita. Gli autori considerano questo lasso di tempo il “dividendo” per la longevità1. Dati recenti evidenziano come l’80% dei casi di patologia coronarica e diabete mellito di tipo II e ben il 40 % delle patologie neoplastiche potrebbero essere prevenute con una dieta sana, una regolare attività fisica e l’astensione da abitudini voluttuarie quali il fumo2. Un corretto stile di vita è pertanto una condizione necessaria per sperare di poter conseguire una vecchiaia priva di malattie e poter mantenere, così, una situazione di autosufficienza.
È ormai ampiamente dimostrato come una dieta sana possa ridurre il rischio d’insorgenza di diverse patologie e ridurre il rischio di mortalità da tutte le cause. Molti studi sono stati condotti prendendo come modello di alimentazione sana la dieta Mediterranea (Tabella 1).
Tab. 1 Mediterranean Diet (Evidence-based medicine) |
Antioxidant capacity |
Decreased inflammatory markers |
Decreased hypertension |
Decreased obesity |
Decreased insulin resistance |
Improvement in diabetes mellitus |
Reduced metabolic syndrome |
Improvement in cardiac mortality |
Improvement in overall cardiovascular mortality |
Decrease in incidence of some cancers |
Recentemente maggior rilievo è stato dato alla comprensione dei meccanismi con cui i nutrienti modulano i processi biologici del nostro organismo. La restrizione calorica (RC), caratterizzata da una riduzione del 30-40% rispetto all’assunzione considerata “normale” per la specie in esame, è stato uno dei modelli maggiormente studiati. Osservazioni in numerose specie (lieviti, elminti, mammiferi) hanno mostrato come la RC sia efficace nel ridurre o rallentare l’insorgenza di patologie età-correlate, favorire una maggiore resistenza allo stress e rallentare il declino funzionale, con effetti positivi in termini di prolungamento significativo del life-span3. Secondo la teoria dell’ormesi, si ritiene che la RC possa indurre un leggero stress che provoca una risposta di sopravvivenza nell’organismo, che si rafforza nei confronti delle avversità mediante cambiamenti metabolici, riuscendo così a contrastare le cause dell’invecchiamento. Analizzando le modificazioni biologiche indotte dalla RC si è visto come una riduzione dell’introito calorico possa indurre perdita di peso corporeo e possa esplicare una serie di effetti benefici sui livelli plasmatici di colesterolo e trigliceridi, nonché sulla pressione sanguigna. Inoltre, la riduzione dell’intake calorico evoca numerosi cambiamenti ormonali, fra i quali una diminuzione dei livelli di leptina ed un aumento di quelli di adiponectina. La RC, inoltre, modula l’espressione genica da un lato favorendo l’espressione di geni coinvolti nella riparazione cellulare, nel turnover e nella sintesi proteica, nella resistenza allo stress e nel metabolismo del glucosio, dall’altro down-regolando numerosi geni implicati nei meccanismi di stress ossidativo e nell’infiammazione4. Un’altra via metabolica modulata dalla restrizione calorica sembra essere quella delle Sirtuine, una famiglia di enzimi deacetilasici NAD-dipendenti recentemente individuata. Nei mammiferi sono stati identificati sette geni appartenenti a questa famiglia (SIRT1-7). In particolare, il gene SIRT1 che codifica per la proteina Sirt1, sembra essere in grado di deacetilare proteine nucleari e citoplasmatiche che controllano processi cellulari critici come l’apoptosi e il metabolismo. SIRT1 regola la produzione di insulina e glucosio, il metabolismo lipidico e, più in generale, la sopravvivenza cellulare5. Infatti le Sirtuine sono in grado di prevenire la morte cellulare attraverso la modulazione di protein-chinasi coinvolte nell’ eliminazione dei detriti intracellulari prima che diventino tossici e inducano apoptosi cellulare6. Sirt1 sembra esplicare anche un’azione protettiva nei confronti della funzione endoteliale, riduce i livelli di colesterolo periferici e produce down-regulation di diversi mediatori dell’infiammazione.
Nonostante i risultati positivi della RC in termini di prolungamento del life-span, appare difficile l’applicazione di questo regime dietetico nell’uomo, soprattutto nei Paesi a più alta redditività, in cui il lo stile di vita è per lo più caratterizzato da sedentarietà ed eccessivo introito calorico. La scoperta che i fitochimici presenti in diversi cibi sono in grado di mimare gli effetti della RC ha dato il via a tutta una serie di studi volti alla ricerca di un modello dietetico sano e in grado di garantire un invecchiamento di successo7. Lo studio più famoso è il Seven Countries Study, basato sul confronto dei regimi alimentari di 12.000 soggetti, di età compresa tra 40 e 59 anni, sparsi in sette Paesi (Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e Jugoslavia). I risultati dimostrano come la mortalità per cardiopatia ischemica è molto più bassa presso le popolazioni del Mediterraneo rispetto a Paesi, come la Finlandia, dove la dieta è ricca di grassi saturi (burro, strutto, latte e suoi derivati, carni rosse)8. È ormai noto come la dieta Mediterranea (Tab.2), ricca in fitochimici come l’Idrossitirosolo, il Resveratrolo e la Quercetina, sia in grado di indurre effetti benefici in termini di riduzione del rischio cardio-vascolare modulando le medesime vie metaboliche (controllo dello stress ossidativo e dell’infiammazione, attivazione della via delle Sirtuine) attivate dalla RC.
Tab.2 Caratteristiche della dieta Mediterranea |
Elevato rapporto acidi grassi monoinsaturi/acidi grassi saturi |
Consumo di vino rosso (da basso a moderato) |
Alto consumo di legumi |
Notevole consumo di grano e cereali |
Notevole consumo di frutta e verdura |
Basso consumo di carne e derivati, aumentato consumo di pesce |
Moderato consumo di latte e latticini |
In particolare uno studio recente, il PREDIMED, ha evidenziato una riduzione del rischio relativo del 30% nei soggetti ad alto rischio cardio-vascolare che seguivano la dieta Mediterranea. Questo studio è importante non solo perchè ribadisce l’efficacia della dieta mediterranea nel proteggere da eventi cardio-vascolari, suggerendo possibili sinergie tra alimenti tipici di questa dieta e pathways intermedi del rischio cardio-vascolare (profilo lipidico, sensibilità all’insulina, resistenza all’ossidazione, infiammazione e funzione endoteliale), ma anche perché ha messo in evidenza come la dieta sia in grado di modulare l’espressione di geni coinvolti nell’insorgenza di patologie cardio-vascolari9. Infatti i ricercatori, analizzando il profilo genetico dei soggetti arruolati ed individuando quei pazienti maggiormente a rischio di eventi cerebro-vascolari perché portatori in omozigosi di un particolare polimorfismo, hanno dimostrato come la dieta Mediterranea possa modulare gli effetti di questo polimorfismo neutralizzando il rischio genetico di ictus cerebri10. La dieta Mediterranea è in grado, quindi, di modulare l’espressione genica attraverso la regolazione di meccanismi epigenetici come la metilazione del DNA, la modificazione degli istoni e la regolazione dei micro-RNA. Tuttavia la dieta Mediterranea non è l’unico modello studiato. Riprendendo i dati del Seven Countries si può notare come anche il Giappone sia caratterizzato da una minore mortalità cardio-vascolare. In questo caso il modello dietetico studiato è quello di Okinawa, caratterizzato da un’abbondante quota di frutta e vegetali e, quindi, ricca in fitochimici dalle proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie.
In conclusione, la dieta rappresenta un importante fattore di prevenzione dalle patologia cardio-vascolari e sebbene i regimi proposti siano diversi tra loro anche a causa delle diversità culturali che contraddistinguono le diverse Aree geografiche, alcune caratteristiche appaiono comuni a tutte le diete proposte per la riduzione del rischio cardio-vascolare11:
1. Elevato consumo di carboidrati non raffinati, a basso indice glicemico
2. Elevato consumo di ortaggi, legumi e frutta.
3. Moderato consumo di pesce.
4. Bassa assunzione di carne.
5. Uso controllato di erbe e spezie, regolare di olio d’oliva.
6. Consumo regolare di the o moderato di vino.
Bibliografia
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Dr. Walter Verrusio
“Sapienza” Università di Roma