SINDROME METABOLICA, INFIAMMAZIONE E DEMENZA
V. Marigliano, G. Viscogliosi
I paesi occidentali stanno assistendo ad una vera e propria epidemia di sindrome metabolica e diabete mellito di Tipo 2. Dati provenienti da molteplici studi indicano come la prevalenza della patologia sia in espansione nella popolazione generale, ma incida nettamente di più nell'anziano. In virtù di questo trend, è proprio in ambito geriatrico che assistiamo alla più alta probabilità di co-morbilità connessa al diabete mellito.
Due fattori sono sicuramente responsabili di questo fenomeno: l'incremento esponenziale della prevalenza di obesità a livello mondiale da una parte, e l'invecchiamento della popolazione dall'altra.
Per comprendere il reale impatto che il diabete sta esercitando sulla popolazione, bisogna tenere conto della enorme comorbidità che invariabilmente lo accompagna. Il diabete mellito di tipo 2 infatti, alla luce delle attuali conoscenze epidemiologiche e fisiopatologiche, non può essere considerato come una patologia a sé stante. Esso infatti appartiene sempre ad un cluster di alterazioni metaboliche che costituiscono la cosiddetta Sindrome Metabolica. Quest’ultima viene definita dalla co-occorrenza di diverse alterazioni metaboliche in uno stesso individuo, che comprendono: i) ipertensione arteriosa; ii)dislipidemia aterogena; ii) iperglicemia a digiuno/diabete. I moventi eziopatogenetici fondamentali comuni a tutte queste alterazioni sono l'obesità viscerale, la resistenza periferica all’insulinica e l'infiammazione cronica. Non esiste nessun caso di diabete mellito di tipo II che non sia sostenuto all'inizio da uno stato di resistenza insulinica, ed è estremamente raro che la resistenza insulinica in età adulta non derivi dall’iper-accumulo di tessuto adiposo viscerale. L'infiammazione, caratteristica fondante della sindrome metabolica, è anch’essa promossa e sostenuta dall’ obesità patologica.
Il diabete mellito di tipo II e la sindrome metabolica raggiungono la prevalenza più alta nelle fasce di età anziane. In questa ottica, le comorbidità più frequenti nel paziente diabetico, prima fra tutte la demenza ed il declino cognitivo, sono sostenute dalle alterazioni metaboliche che accompagnano il diabete stesso; dall'iperglicemia e soprattutto dalla resistenza periferica all'insulina; dalla infiammazione cronica.
Una scolastica classificazione delle demenze, è quella che distingue in forme primitive e secondarie. Le forme primitive, sostenute per la quasi totalità dei casi dalla malattia di Alzheimer, sono quelle classicamente "neurodegenerative", con molteplici fattori eziologici putativi sottostanti, in larga parte ancora ignoti. Le forme secondarie, quasi sempre a malattia cerebrovascolare, sono quelle che compromettono la funzione cerebrale mediante lesioni in aree strategiche, conseguenti a malattia vasale, sia di tipo ischemico che emorragico. Quando pensiamo al diabete mellito, è lecito aspettarsi una maggior componente cerebro-vascolare, in virtù della ben nota angiopatia diabetica.
Da qualche anno, in virtù delle recenti acquisizioni, tale paradigma è stato quasi rovesciato. Sono proprio le forme neurodegenerative, prima tra tutte la malattia di Alzheimer, ad essere maggiormente rappresentate nella popolazione affetta da diabete e sindrome metabolica. Sempre maggiori evidenze sono disponibili circa l'importanza dei fattori di rischio cardio-metabolici nella patogenesi dell'Alzheimer.
Le prime evidenze della stretta associazione tra sindrome metabolica, diabete e demenza, sono di tipo epidemiologico. Dati pubblicati dall'organizzazione mondiale della sanità nel 2004 (WHO Report 2004) mostrano come le curve della prevalenza in funzione dell'età, di diabete, sindrome metabolica e demenza di Alzheimer, abbiano un andamento praticamente sovrapponibile. Queste osservazioni hanno gettato il presupposto per indagare il reale impatto dei fattori di rischio cardio-metabolici nella genesi dell' Alzheimer.
L'Alzheimer è classicamente suddiviso in forme ad esordio precoce (generalmente prima dei 60 anni di età) e tardive. Le forme tardive, rappresentanti il 95% dei casi totali, sono proprio quelle dove i fattori di rischio cardio-metabolici hanno il ruolo maggiore.
Come già accennato, la demenza di Alzheimer è la forma più probabile nel soggetto diabetico. In letteratura, svariati studi clinici hanno dimostrato che tutti i classici fattori di rischio cardiovascolari, presi isolatamente, come l'ipercolesterolemia, il fumo, l'ipertensione e, appunto, il diabete e la resistenza insulinica, aumentano indipendentemente il rischio di malattia di Alzheimer nel soggetto portatore.
L’anziano affetto da diabete va incontro con estrema facilità a malattia dei piccoli vasi cerebrali, con riduzione del flusso regionale, ischemie sottocorticali focali e stroke.
Anche se la maggiore espressività neuropatologica della malattia di Alzheimer risiede nella corteccia cerebrale e nell'ippocampo, si ritiene come in realtà l'insulto patologico primario si manifesti nella sostanza bianca profonda. Il coinvolgimento cerebrale ed ippocampale sembrerebbe conseguente alla "deafferentazione" dei neuroni ivi residenti rispetto alle connessioni (con significato trofico) con la sostanza bianca profonda. L'atrofia secondaria potrebbe essere addirittura antecedente alla deposizione di Beta-Amiloide. La produzione di placche amiloidee è dovuta da un lato all’iper-accumulo patologico degli oligomeri, dall'altro lato alla ridotta clearance extracellulare degli stessi. L'amiloide è fisiologicamente eliminata dal tessuto cerebrale attraverso i vasi sanguigni, verso i quali migra nel corso del suo tempo biologico (=anni). E' chiaro come uno stato di sofferenza cronica dei piccoli vasi cerebrali, dovuto alle anomalie metaboliche, renda tali vasi meno permeabili all'amiloide. Il risultato è l'accumulo di amiloide dapprima attorno a tali vasi (=angiopatia congofila), poi nel tessuto cerebrale (=placche amiloidee).
Un ulteriore movente patologico consegue alla deposizione di amiloide. L'amiloide insolubile può comportarsi da SUPERANTIGENE, attivando una risposta cronica infiammatoria sia umorale che cellulo-mediata. L'infiammazione tissutale è dapprima mediata dalla microglia attivata. Sia studi post-mortem che su biopsie, tramite immunoistochimica, hanno rivelato la presenza di microglia attivata nelle placche amiloidee. Studi immunoistochimici inoltre, hanno rivelato la positività per l’IL-1 (=marker di attivazione dell’immunità innata: macrofagi, microglia). L'insulto infiammatorio è probabilmente il maggior responsabile della perdita neuronale.
Molto interessante è il fatto, recentemente dimostrato, di un legame inscindibile tra infiammazione cerebrale e quella periferica. Come già accennato sia la sindrome metabolica che il diabete mellito sono caratterizzati da uno stato di microinfiammazione cronica. È stato definitivamente dimostrato come le citochine infiammatorie, soprattutto quelle derivate dal tessuto adiposo (TNFalfa ed IL-1, soprattutto), possano fisiologicamente entrare nella barriera emato-encefalica, anche integra. E' chiaro che, quando i piccoli vasi cerebrali sono cronicamente lesi, è ancora più agevole l'ingresso di tali mediatori flogistici. La neuro-infiammazione ad origine periferica tuttavia non è limitata ai mediatori umorali (=citochine); è altrettanto importante l'immunità cellulo-mediata. Oltre alla microglia (=macrofagi modificati), nuovi monociti sono continuamente reclutati dalla periferia verso il tessuto nervoso. Anche qui l'ingresso è facilitato in presenza di vasi lesionati, ed una volta arrivati, i monociti stimolati assumono il fenotipo macrofagico. La neuroinfiammazione è quindi un momento eziopatogenetico fondamentale nella genesi del deterioramento cognitivo e della demenza correlati al diabete mellito ed alla sindrome metabolica.
Altro momento eziologico fondamentale è rappresentato dalla resistenza all'insulina.
Nel modello murino si è osservato, in seguito a diabete spontaneo o indotto, lo sviluppo nel tempo di alterazioni neuropatologiche caratteristiche della malattia di Alzheimer: amiloidosi extracellulare ubiquitaria nella corteccia e nell'ippocampo; iperfosforilazione della proteina TAU con propensione alla formazione di grovigli neurofibrillari; perdita neuronale (Li et al., 2007).
AZIONI DELL'INSULINA A LIVELLO CENTRALE
L'encefalo era ritenuto nel passato un organo assolutamente insensibile all'insulina. Nel 1967 vennero le prime evidenze del passaggio fisiologico dell'insulina attraverso la barriera emato-encefalica. Si sa oggi che alcune zone cerebrali sono elettivamente coinvolte nell'azione insulinica. Queste sono soprattutto il bulbo olfattorio, la neocorteccia, il cervelletto e l'ipotalamo.
A livello del tessuto nervoso l'insulina lega uno specifico recettore ad attività tirosin-chinasica intrinseca. Tale via metabolica è implicata nell'attivazione di geni coinvolti nel trofismo neuronale e sinaptico, nella riparazione sinaptica dopo insulto tossico, e soprattutto nella modulazione della plasticità sinaptica nell'ippocampo, coinvolto nell'apprendimento e nella memoria. Una deficienza sistemica e/o la resistenza all'insulina, toglie all'encefalo il suo importante stimolo trofico. Altre azioni riconosciute all'insulina sono la fosforilazione dei recettori NMDA per il glutammato e la regolazione della sintesi di acetilcolina.
DIABETE MELLITO ED ALZHEIMER: STUDI CLINICI
In uno studio pubblicato nel 2011, è stato dimostrato come la presenza di diabete mellito, così come di altri fattori cardiovascolari (fumo, ipertensione, pregresso stroke, genotipo apoE4/4) sia un potente predittore indipendente di malattia di Alzheimer.
È stato stimato che l'81% dei soggetti affetti da malattia di Alzheimer presenta uno stato di iperglicemia a digiuno o diabete conclamato.
Nel Rotterdam Study è stato indagata l'associazione tra Diabete Mellito di tipo 2 ed il grado di atrofia di amigdala ed ippocampo, tramite volumetria con RMN. È stato dimostrato come i soggetti con DM2 presentavano significativamente volumi minori, e che il grado di resistenza insulinica era direttamente correlato all'atrofia dell'amigdala. Tale associazione permaneva invariata dopo aggiustamento per il grado di encefalopatia vascolare. Tale studio dimostrava addirittura come le forme di Alzheimer erano più prevalenti delle vascolari pure, nel soggetto diabetico.
Da queste evidenze è partito un enorme numero di studi sperimentali rivolti allo studio dell'azione insulinica a livello del sistema nervoso centrale.
OBESITÀ, SINDROME METABOLICA E ALZHEIMER
Nel Baltimore longitudinalstudy of Aging, è stato chiaramente dimostrato come soggetti di entrambi i sessi, con BMI>30 kg/m2, avevano un rischio notevolmente incrementato di AD. In un altro studio svedese, è stato osservato come all'aumento di 1.0 di BMI corrispondeva un aumento del 36% di AD dopo i 70 anni. La leptina, un ormone prodotto dal tessuto adiposo con importanti effetti trofici sul SNC potrebbe essere il mediatore comune tra obesità, diabete e demenza.
ALZHEIMER: DIABETE DI TIPO 3
Da tutti questi dati emerge come la relazione tra diabete mellito e malattia di Alzheimer possa essere definita come uno stato di "RESISTENZA INSULINICA CEREBRALE". La relazione tra Alzheimer e diabete è sicuramente biunivoca. Come ampliamente esposto, la maggior parte dei pazienti Alzheimer presenta uno stato di insulino-resistenza sia periferica che centrale.
Esistono svariate analogie tra diabete ed Alzheimer.La amiloidosi che spesso si osserva nel tessuto nervoso è speculare a quella che si osserva nelle insulae pancreatiche, e la sua entità sembra direttamente proporzionale agli anni di vita vissuti con diabete, come rivelato da studi neuropatologici.
Come già accennato, l'enzima di degradazione dell'insulina partecipa anche alla degradazione dell'amiloide. Quando c'è iperinsulinemia conseguente a resistenza recettoriale, una quota nettamente inferiore di amiloide può essere eliminata da questa via.
Il fatto che l'insulina sia un ormone ad azione neurotrofica e che l'iperinsulinemia provochi decadimento cognitivo potrebbe sembrare un paradosso. In realtà non è così, in quanto tale iperinsulinemia si associa a down-regulation recettoriale con desensibilizzazione dei recettori superstiti.
Il deficit insulinico si manifesta nel tempo con ridotta possibilità di utilizzazione del glucosio a livello dei neuroni stessi, con conseguente ipometabolismo e perdita cellulare.
Trasportatori specifici per l'insulina a livello dei bulbi olfattori e di terminazioni del V° paio. In uno studio su soggetti con diagnosi di AD (criteri diagnostici NINCDS-ARDA) o mild cognitive impairment di tipo amnestico, la somministrazione nasale di insulina, sia alla dose di 20UI che di 40UI produceva effetti significativi, soprattutto sulla capacità di richiamo (=memoria di fissazione) rispetto ad altri parametri, in confronto al gruppo placebo. Tali effetti positivi venivano dimostrati anche tramite PET (18FGD), dove i soggetti che ricevevano insulina avevano, durante il follow-up, una perdita del metabolismo di alcune aree cerebrali, nettamente inferiori rispetto al gruppo placebo.
Le alterazioni metaboliche, connesse sia al diabete mellito che alla sindrome metabolica, rappresentano un fattore di rischio principale per malattia di Alzheimer; la prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolari, il loro trattamento e la modificazione dello stile di vita saranno le armi più appropriate per la prevenzione delle demenze.La nutrigenomica, con l'ottimizzazione delle strategie diagnostiche della Medicina Predittiva, diventerà uno strumento sia di predizione che di prevenzione della Malattia di Alzheimer; futuri studi indicheranno come la malattia di Alzheimer possa essere prevenuta o rallentata attraverso terapie anti-infiammatorie ed ipoglicemizzanti.
Vincenzo Marigliano, Giovanni Viscogliosi
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche. “Sapienza” Università di Roma