L’impegno della ‘Caritas’ nelle aree ‘periferiche’ della salute a Roma:

il poliambulatorio ed i progetti collegati

 

Bianca Maisano

Medico Direzione Sanitaria Poliambulatorio

Area Sanitaria Caritas Roma

 

 

In una società disorientata e sofferente come è quella in cui stiamo vivendo anche il tema che ci interessa, quello della promozione della salute, attraversa una profonda crisi. Tuttavia crediamo che abitare proprio nelle aree periferiche della salute conduca alla scoperta di una medicina, forse anch’essa disorientata e in crisi, ma aperta a un’opportunità di trasformazione.

In questi oltre trent’anni di storia sono passati attraverso il Poliambulatorio dell’Area Sanitaria Caritas presso la Stazione Termini, per un bisogno di salute, oltre centomila persone di centoquaranta nazionalità diverse, per lo più in condizioni di irregolarità giuridica, ed hanno sostato per un bisogno di solidarietà e di vita autentica oltre millecinquecento volontari di diversa età, professionalità, religione, estrazione sociale, matrice culturale e politica. Un immenso e dinamico laboratorio transculturale di relazioni dove la salute è servita da occasione di incontro tra persone che si sono via via lasciate trasformare proprio nella relazione con persone semplicemente ri-scoperte appartenenti alla stessa umanità.

Il migrante lascia alle spalle molto ed essenzializza dentro di sé l’indispensabile della sua cultura, della sua storia per poter guardare avanti ed interagire con altre persone di altre culture, per imparare e procedere nel suo cammino.

Non diversamente dai migranti anche la medicina di oggi deve attraversare questo processo migratorio, diventare migrante, mettersi cioè in discussione. Non è facile per una disciplina scientifica che vuole sempre più fondarsi sulle evidenze, fare spazio allo sconosciuto, mettersi nell’atteggiamento del ricercatore, accettare il dubbio e l’incertezza, lasciare qualcosa di certo e trasformarsi. E in questo processo risulta fondamentale la capacità di mettersi davanti all’altro consapevoli che l’ascolto, la relazione sono molto più importanti delle nozioni cliniche acquisite. Accogliere è già curare dicono i medici che operano nel Poliambulatorio Caritas a bassa soglia d’accesso e ad alto impatto relazionale a contatto con lingue e mentalità tanto diverse: affermano infatti che il 50% dell’efficacia terapeutica del loro intervento è legata all’accoglienza. Quando la persona si sente accolta come medici siamo già a metà strada.

Ascoltando il vissuto dei migranti (le emozioni della partenza dal paese di origine, i disagi estremi del viaggio, l’interazione con il nuovo contesto di vita) in effetti sembra che molti dei “nodi” che emergono nel loro tentativo di accesso alla salute e alla cura siano in fondo un po’ come la lente di ingrandimento degli stessi problemi che interessano la popolazione di questo paese nel suo insieme. Naturalmente ci sono delle specificità, ma non si può negare che proprio i migranti hanno aiutato la medicina a rendersi conto che perdere di vista la relazione con la persona equivale a rendere praticamente inefficace lo sforzo del medico di curare. Un’eccessiva concentrazione sulla specializzazione e sulla tecnologia hanno reso infatti la medicina una disciplina quasi unicamente meccanicistica: il corpo viene pensato come una macchina e quando si rompe un pezzo bisogna trovare il tecnico specializzato per ripararlo o sostituirlo. E la sua storia, il suo dolore, la sua aspettativa per il futuro?

La medicina che si fa attenta ai migranti in realtà riscopre se stessa e diventa una migliore medicina per tutti. Una medicina normalmente, quotidianamente, transculturale, capace di dialogare e che considera gli aspetti culturali come un patrimonio in continua trasformazione.

Ma cosa ci dicono le statistiche sulle patologie dei migranti?

Se osserviamo l’andamento delle patologie dei migranti nel tempo, per esempio nell’arco degli ultimi trent’anni, vediamo che degli effettivi miglioramenti nel campo della salute si sono ottenuti non con la scoperta di nuovi farmaci per nuove patologie, ma soprattutto attraverso politiche di accoglienza ed integrazione, grazie a scelte di inclusione, di accesso e fruibilità dei servizi sanitari a carattere universalistico. Per esempio nel campo dell’AIDS o della tubercolosi.

Una medicina che i migranti ci aiutano a ripensare sempre più nel contesto di una salute globale, collegata con le scienze sociali, con l’antropologia, la sociologia e le politiche come sostiene l’epidemiologo Geoffrey Rose: I determinanti primari delle malattie sono prevalentemente politici e sociali, quindi i relativi rimedi devono essere anche politici e sociali. Medicina e politica non possono e non devono essere tenuti separati.

La raccolta delle informazioni e la sua sistematizzazione in un database si trasforma allora in  un osservatorio permanente delle presenze per  paesi di provenienza, per età, per sesso, per grado di istruzione di una popolazione altrimenti “invisibile” alle statistiche sanitarie a causa dell’irregolarità giuridica.

Dal 1983 le strutture sanitarie della Caritas di Roma, hanno preso in carico ed assistito circa 105.000 persone, prevalentemente immigrati in condizione di fragilità sociale e giuridica, rom e senza dimora. Complessivamente stimiamo di aver effettuato quasi 550.000 prestazioni sanitarie gratuite. Nel 2013 sono state incontrate per la prima volta circa 2.400 persone e complessivamente erogate oltre 14.000 prestazioni.

 

Risulta chiaro analizzando questi dati che la medicina transculturale non è una nuova branca specialistica della medicina ma è la medicina che si sta trasformando e delineando nel nostro contesto storico e culturale in cambiamento.

Negli ultimi anni si è andato sviluppando un nuovo concetto di salute che pone particolare attenzione all'analisi dello “stato di salute” e dei bisogni reali della popolazione, alle influenze che su di essi esercitano i determinanti socio-economici, politici, demografici, giuridici ed ambientali, esplicitando le interconnessioni tra globalizzazione e salute in termini di equità, diritti umani, sostenibilità, diplomazia e collaborazioni internazionali: la salute globale. In quest’ottica transnazionale, si mettono in evidenza le disuguaglianze in salute sia tra i diversi Paesi che al loro interno, analizzandole attraverso la lente della giustizia sociale.

 

La salute globale promuovendo un'etica di responsabilità sociale sia per le istituzioni che per i professionisti coinvolti, abbraccia i campi della ricerca, della formazione e della pratica, e mira a generare reali cambiamenti sia nella comunità che nell'intera società, colmando il divario tra evidenza scientifica e decisioni operative.

Il sistema deve cambiare in modo che le questioni sociali siano incorporate nelle politiche sanitarie. Per i medici curanti integrare il cambiamento sociale nell’attività assistenziale conduce a qualcosa di più della richiesta di consulenza dei servizi sociali. Significa individuare obiettivi sociali per i propri pazienti e coordinarsi con altre discipline e partners comunitari per trovare soluzioni. Significa che i sistemi sanitari e le agenzie di protezione sociale dovrebbero lavorare insieme per sviluppare, per esempio, un sistema informativo integrato.

In considerazione delle complesse trasformazioni che si realizzano in ogni paese del mondo attraverso le migrazioni internazionali volontarie o forzate, la medicina diventa sempre più eterologica, si ripensa cioè a partire dall'altro e non più solo da se stessa. Impara a decentrarsi e decostruirsi per poter ricostruirsi nel dialogo con altre discipline, diventando capace di trasformarsi e di assumere elementi nuovi da altri sistemi medici. Anche la medicina assume allora un'identità migrante che accetta di meticciarsi con altre medicine.

E’ chiaro dunque che l’attraversamento di questa profonda e feconda crisi della medicina occidentale apre all’esperienza che rende capaci gli operatori sanitari di rinunciare ad una posizione egemonica per porsi in un atteggiamento di costruttiva collaborazione con il paziente nella promozione della sua salute. Ed è qui che salute globale e medicina transculturale possono fecondamente convergere.

Da quanto affermato consegue che il fine ultimo della disciplina medica moderna non consiste il più delle volte nel rispondere ad un bisogno primario, bensì nell’attuare dei piani assistenziali complessi attraverso reti e servizi connessi e dialoganti. E’ fondamentale l’integrazione socio-sanitaria per la presa in carico della salute dell’uomo migrante che richiede al sistema un aumento di competenze e soluzioni in grado di affrontare sinergicamente un fenomeno multifattoriale. L’apertura all’altro, non solo inteso come paziente straniero, bensì come collega, attore sociale di una rete da riannodare, legittima la connessione tra servizi e figure professionali diverse, nell’ottica di un lavoro che avanza per processi più che per singole prestazioni. L’esigenza dell’aggiornamento professionale nasce anche dall’abitare fiduciosamente queste convivenze disciplinari e da una realtà di cui prendere attivamente consapevolezza, per scorgerne i caratteri e i bisogni e non cedere a chiusure pregiudiziali.

Anche l'organizzazione dei servizi, degli ospedali ed i loro indicatori di qualità sono chiamati a rispondere ad un’utenza non più passiva ed omogenea, ma caratterizzata da una nuova coscienza e da una forte diversità.

Una delle strategie operative ed anche comunicative che la medicina transculturale ha saputo mettere in atto è quella del lavoro di équipe. Si tratta di una metodologia di lavoro quasi del tutto assente nella tradizionale formazione dell'operatore sanitario ed in particolare del medico, abituato a pensare e lavorare da solo, a fidarsi della propria esperienza e del proprio occhio clinico.

La formazione al lavoro di équipe trasforma il modo di operare in ambito clinico e facilita la valorizzazione di conoscenze, competenze e punti di vista diversi facendoli interagire in modo complementare verso un unico obiettivo, la salute del paziente. Ed in queste competenze e conoscenze diverse sono certamente necessarie quelle culturali e linguistiche di operatori sanitari provenienti da altri paesi.

Siamo convinti che la medicina transculturale stia stimolando la medicina a ripensarsi in un ottica più ampia, portandola a sperimentare l'interdipendenza tra i diversi Paesi sia nel campo della ricerca che della cura. L'accesso a nuove possibilità terapeutiche dovrà essere garantito, in prospettiva, a tutti i cittadini del mondo ovunque si trovino a vivere con pari opportunità. La persona dovrà ritrovare la sua posizione centrale anche nella ricerca medica mentre la tecnologia e l'economia dovranno riprendere il loro ruolo di strumenti. Utopia? Certo, ancora molto di tale visione è effettivamente u-topos, senza un luogo possibile di realizzazione, ma alcuni laboratori dove questa realtà sta iniziando ad essere intuita e sperimentata esistono anche in ambito sanitario. Ed iniziano ad esistere dove ci sono persone inquiete disponibili a cogliere il vento nuovo di queste trasformazioni, ad abitare profeticamente la storia protesi verso il futuro.

 

Riepilogo prestazioni erogate 2013

I semestre

II semestre

anno

Visite di medicina generale Poliambulatorio

2.801

2.712

5.513

Visite di medicina specialistica*

1.524

898

2.422

Prestazioni odontoiatriche presso il COC

747

953

1.700

Sedute di psicoterapia

165

253

418

Attività di medicheria

1.332

1.204

2.536

Prestazioni diagnostiche

801

606

1.407

Orientamento sanitario attivo

complessivamente 73 uscite

588

*Visite presso il Poliambulatorio Caritas di via Marsala + Centro Medico Sociale Caritas di via Alessandro VII