Area sanitaria caritas roma

Salute senza esclusione?

Primi approcci con la comunità cinese

9 Maggio 2006

Accademia lancisiana

Bianca maisano

 

L'incontro quotidiano con persone capaci di lottare, vittime di ingiustizia ma protagoniste nella speranza,  capaci di intravedere al di là del proprio paese, cultura, delinearsi i confini di nuove modalità di convivenza, di integrazione multiculturale, ci hanno sempre stimolati a non assestarci nella nostra esperienza che ha ormai più di vent'anni, ma a disporci ad un'accoglienza attiva e ricca di fantasia, disponibile a cambiare, a scoprire la bellezza di lasciarsi alle spalle le proprie esperienze per aprirsi davvero a qualcosa di nuovo.

Questa è quella che sentiamo la nostra “misson”, e che ci aiuta a mantenere chiaro l’orizzonte umano e professionale del nostro operare:

Mettersi in relazione con ogni persona

partendo dalla stima e dal valore della vita di ciascuno,

a qualsiasi cultura o storia appartenga,

per conoscere, capire e farsi carico con amore

della promozione della salute

specialmente di coloro che sono più svantaggiati,

affinché vengano riconosciuti, riaffermati e promossi

ad ogni livello, dai singoli, dalla comunità

e dalle istituzioni, diritti e dignità di tutti,

senza nessuna esclusione.

 

Un ambulatorio a bassa soglia d'accesso e ad alto impatto relazionale

E' proprio questo ricco laboratorio vissuto non solo a Roma ma nel territorio italiano da tanti gruppi che hanno lavorato con serietà e continuità su queste tematiche la grande ricchezza che ci ritroviamo tra le mani oggi e che dobbiamo valorizzare per la trasformazione del sistema in generale ed anche del sistema sanitario in senso transculturale.

 

Un laboratorio pieno di domande più che di acquisizioni e certezze.

 

Il nostro contributo a questa riflessione sono dunque vecchie e nuove domande.

Tra noi e la Cina, sentiamo, c'è ancora una muraglia, una separazione storica e culturale che ci fa sentire a disagio di fronte a questa nuova, o relativamente nuova presenza.

Abbiamo sperimentato questo disagio quando ci siamo fermati a riflettere sui dati del Poilambulatorio: in diciotto anni solo 87 pazienti cinesi!

E la comunità cinese conta a Roma oltre 5000 presenze, il quartiere cinese dell'Esquilino si trova a pochi passi da noi.

 

Stiamo veramente sperimentando una Salute senza esclusione?

 

Personalmente mi rendo conto di quanti pregiudizi ho ancora in me proprio man mano che le distanze si accorciano.

La muraglia cinese in realtà non è mai stata efficace come mezzo di separazione anzi nel tempo, si è trasformata in una straordinaria via di comunicazione tra confini, popoli ed etnie anche molto diverse.

 

Come la muraglia che ancora ci separa può diventare una via di comunicazione?

 

Provo a rispondere con un proverbio cinese: la porta più sicura è quella che possiamo lasciare aperta.

Quando lasciamo la porta aperta nelle relazioni con gli altri?

Fondamentalmente quando si costruisce un rapporto di fiducia, quando non abbiamo paura di perdere le nostre certezze, quando ci avventuriamo nella conoscenza dell'altro.

 

Come si traduce la porta aperta in termini di servizio rivolto alla promozione della salute in ambito transculturale?

 

Ecco un'altra domanda.

Lavorare quotidianamente nella promozione della salute di persone di tantissime provenienze diverse comporta  porsi continuamente questa domanda.

Finora abbiamo provato a sperimentare un modello gestionale di ambulatorio a bassa soglia d'accesso e ad alto impatto relazionale.

Nella lingua cinese c'è un ideogramma che significa ostacolo, problema, ed anche occasione, chance.

La malattia è spesso un'occasione di incontro, a volte il primo vero contatto, specialmente per gli immigrati irregolari, con un'istituzione pubblica italiana.

La malattia è muro, ostacolo al progetto migratorio ed anche via di contatto, di comunicazione, di espressione di un bisogno, di un sogno, di un progetto.

 

Le migrazioni odierne, è vero, accelerano e favoriscono l'incontro tra civiltà e culture diverse e quelle cinesi costituiscono uno dei più importanti flussi migratori nel panorama internazionale: non solo per la consistenza numerica delle persone coinvolte, ma anche per l'ampio spettro di paesi di destinazione.

Se gli ostacoli possono trasformarsi in vie di comunicazione, di incontro, allora una domanda cruciale sarà proprio questa:

 

Quali sono gli ostacoli che impediscono un approccio efficace?

 

Quale dunque la strategia vincente per l'incontro, la conoscenza reciproca, l'inizio di un dialogo?

Le donne sono spesso in maniera naturale l'inizio di questi ponti, con la loro innata capacità di trasformare un bisogno, una necessità, in un'occasione relazionale.

E' stato così anche con la comunità cinese in cui sono state proprio le donne a muovere i primi passi nell'avvicinarsi al nostro polimbulatorio.

 

·        Tra gli ostacoli che (in base alla ricerca effettuata dall'Area Sanitaria nel 2000) impediscono che l'incontro con un servizio si realizzi c'è sicuramente la paura, la diffidenza,  almeno per i migranti irregolari che sono la maggioranza dei nostri pazienti.

 

·        Al secondo posto c'è sicuramente la lingua, per lo meno per quelle persone che non hanno potuto studiare l'inglese come per la maggior parte dei cinesi che frequentano il poliambulatorio e provengono dalla provincia cinese meridionale dello Zhejiang[1], in particolare dalla Prefettura di Wenzhou, dall’omonimo capoluogo, da Qingtian e da altre località limitrofe.

 

·        Un'altra barriera importante sono i percorsi amministrativi, complessi, e spesso disomogeni e poco trasparenti, poco leggibili.

 

·        Solo all'ultimo posto e con un peso nettamente inferiore possiamo pensare agli aspetti culturali e per quanto riguarda il poliambulatorio Caritas, quelli religiosi.

 

Abbiamo lavorato su ciascuno di questi aspetti e stiamo vedendo che pian piano la muraglia sta diventando camminabile, percorribile, si sta trasformando in via di incontro.

La chiave è stata ancora una volta la bassa soglia d'accesso, almeno inizialmente, la riduzione al minimo degli aspetti amministrativi, la concentrazione di tutte le energie sugli aspetti relazionali.

E' solo dalla possibilità di incontrarsi che è possibile far venire alla luce i bisogni, i progetti e perché no i sogni di questi migranti.

L'incontro è avvenuto! Ce lo dicono questi dati aggiornati al 2005: 844 pazienti, cioè persone cinesi, 261 solo lo scorso anno. Cominciamo a raccogliere dei dati, a cercare di capirci:

E' solo a questo punto che è possibile fare la domanda:

 

Qual è il bisogno di salute espresso da questa comunità?

 

Il principale bisogno che stiamo rilevando è quello di un ambiente in grado di offrire e ricambiare fiducia. E' molto richiesta la medicina generale. Pensiamo che sia l'ambito dove maggiormente il paziente percepisca l'attenzione del medico non solo per la sua salute ma in generale per la sua vita, la sua storia.

 

L'alto impatto relazionale!

 

Anche la ginecologia sta gradualmente guadagnando terreno, man mano che siamo in grado di disporre di interpreti di sesso femminile.

Nonostante i medici abbiano acquisito ormai un corretto approccio transculturale, l’interprete rimane ancora una figura indispensabile per mediare tra medico e paziente.

Se la barriera linguistica si può considerare superata dentro il poliambulatorio, si ripresenta all’uscita e in  particolare per le visite specialistiche che si rendono necessarie presso le varie strutture sanitarie pubbliche.

Da questo punto di vista, a parte pochissime eccezioni, il panorama della sanità pubblica romana è totalmente chiuso, impermeabile al bisogno di salute di questa comunità. Salvo poi cercare disperatamente, anche presso la Caritas, un interprete in occasione di un ricovero.

 

La domanda che ci stiamo ponendo ora è: come coinvolgere la comunità cinese, nel progettare interventi per la promozione della salute collegati in rete?

 

Pensiamo che, anche a partire da questi piccoli passi, da queste sperimentazioni, da questa storia, sia soprattutto urgente stimolare le strutture sanitarie affinchè, insieme alla comunità, progettino al loro interno degli spazi a bassa soglia d'accesso e ad alto impatto relazionale per avvicinare in modo attivo il servizio, la risposta, al bisogno di questi pazienti. 

Agire contemporaneamente con azioni multisettoriali sui  pazienti, sui professionisti sanitari e sulla comunità. L'attivazione di questi punti della futura rete dovrebbe certamente seguire la distribuzione della comunità già presente nel territorio.

A questo punto non si tratta più di un optional, di un progetto originale e interessante, ma di un diritto fondamentale da garantire e di un dovere di integrazione da assolvere.

 

Una rete per la promozione della salute della comunità cinese a Roma.

 

La finalità è certamente attivare una rete tra alcuni servizi sanitari di Primary Health Care specificamente fruibili dai pazienti cinesi per migliorare la capacità del sistema sanitario di rispondere alla domanda di salute di questa comunità.

Ma per formare una rete ci vogliono dei nodi, ossia dei luoghi culturalmente sensibili ad una domanda di salute che finora non è in grado di emergere ufficialmente; ed i nodi devono essere disposti a collaborare, a lavorare in un sistema interconnesso.

I nostri dati degli ultimi cinque anni, l'esperienza vissuta, sono un materiale prezioso che ci scotta tra le mani perché ci accorgiamo che siamo per ora  gli unici a percepirne la portata: mancano gli altri nodi della rete. Come fare? Come suscitare la creazione di servizi specificamente fruibili?

Innanzi tutto bisogna far emergere la domanda di salute.

Perché possa emergere ci vogliono dei dati rilevati nell' ambito di un servizio pubblico.

Abbiamo scelto per questo l'ambulatorio per stranieri del Policlinico Umberto I con il quale già da tempo è in atto un proficuo rapporto di collaborazione.

Abbiamo proposto alla Direzione Sanitaria un progetto pilota che prevede la presenza, inizialmente una volta la settimana, di due volontari Caritas interpreti di cinese per l'accettazione e l'attribuzione del codice STP e per la visita di medicina generale. Lo scopo è far avere anche a questo ambulatorio la possibilità di rilevare direttamente la domanda di salute della popolazione cinese.

 

Un progetto pilota per avviare un percorso di formazione

 

A questo punto immaginiamo che la Direzione Sanitaria, se vorrà dare una risposta efficace a questa domanda, rileverà un bisogno formativo dei suoi operatori. E' dunque questo l'ambito strategico per poter creare i nodi della rete.

 

I puntini di sospensione sono d'obbligo per ogni progetto pilota che sia veramente tale.

Cosa ci aspetta? Personalmente ci sembra di percepire una sensazione simile al primo giorno di primavera….vedremo.

 

 


 

[1] La provincia dello Zhejiang è situata nella zona costiera della Cina orientale a Sud di Shanghai, con un’area di 100.000 kmq e oltre 40 milioni di abitanti. A partire dalla metà degli anni ’80 Wenzhou, una città di mare con un grande porto è diventata una delle zone chiave di sviluppo economico di tutta Cina grazie anche a politiche di sostegno governative che favorivano gli investimenti nazionali ed esteri. Anche se il dato non sorprenderà più di tanto, trattandosi di un paese come la Cina che ci ha assuefatto ai grandi numeri, Wenzhou conta attualmente oltre 5 milioni di abitanti e sta crescendo economicamente a dei ritmi di sviluppo che per meglio rendere l’idea potrebbero essere paragonabili ai nostri periodi della ricostruzione del dopoguerra e del boom economico degli anni ’60. Lo sviluppo economico della città è sostenuto da ingenti investimenti esteri, frutto in parte delle rimesse degli emigranti cinesi che qui da noi o altrove nel mondo hanno fatto fortuna.