ASPETTI ANTROPOLOGICI E PSICOANALITICI DELLE FIABE

 

VOLFANGO LUSETTI

 

Un primo interrogativo riguarda l’origine delle fiabe: essa è pedagogica oppure narrativa? E se è narrativa, si tratta d’una narrazione di tipo letterario e colto, come affermava ad esempio l’erudito boemo Albert Wesselski, oppure di tipo popolare e tramandata di padre in figlio, come affermava Wilhelm Wisser? O ancora, quest’origine, potrebbe alludere ad antichissime tematiche antropologiche e folkloristiche, forse di significato totemico e rituale, come hanno affermato studiosi d’orientamento formalista e strutturalista quali ad esempio Vladimir Propp?

 

Ora, circa la supposta “funzione pedagogica” delle fiabe, già a prima vista emergono elementi tali da far escludere, se non una loro funzione pedagogica attuale (che è sotto gli occhi di tutti), per lo meno una funzione pedagogica originaria: in molte fiabe i genitori sono incestuosi e cannibalici verso i propri figli (si vedano le fiabe di “Pollicino” per quanto riguarda il cannibalismo, e di “Biancaneve”, almeno nelle sue versioni più antiche, per quanto riguarda l’incesto), o se non lo sono esplicitamente, lo sono in termini allusivi e simbolici (si vedano le fiabe “La bella Addormentata nel Bosco”, “Rosaspina” e “Cenerentola” per quanto riguarda l’allusione più o meno esplicita al tema incestuoso, “L’Apprendista Stregone” e la stessa “Biancaneve” per quanto riguarda il tema cannibalico). Ora, come può concepirsi una narrazione con finalità pedagogiche da parte dei genitori, la quale abbia per tema principale la predazione genitoriale o l’incesto verso i propri figli?

 

Per contro, non mancano certo argomenti validi a favore dell’ipotesi di un’origine narrativa delle fiabe. Si veda ad es. l’idea di Cristopher Vogler (espressa nella sua celebre opera “Il viaggio dell’eroe”) che la narrazione in generale, e con essa quella fiabesca, sia il risultato dell’incontro degli individui della nostra specie (l’unica specie caratterizzata dalla coscienza, oltre che dal linguaggio!) con la realtà della morte: l’espressione di tale incontro si tradurrebbe nel connotare il protagonista della narrazione, sin dall’inizio, con una sorta di “difetto fatale”, ovvero di lacaniana “mancanza originale”, che è appunto uno dei tanti modi per contrassegnare la morte. Ora, questa caratteristica “inferiorità” iniziale dell’eroe d’ogni narrazione (la quale per molti versi coincide con la condizione infantile dell’eroe d’ogni fiaba!), da un lato lo pone in una condizione di svantaggio rispetto agli altri, ma dall’altro lato gli conferisce una coscienza maggiore dei pericoli, quindi lo “educa” ad affrontarli, offrendogli una potenzialità, o una risorsa, in più. Nella narrazione letteraria in genere, dunque, avremmo costantemente a che fare con una sorta d’“ombra”, o di “destino di morte”, che accompagna ovunque il protagonista, ovvero l’”eroe” della narrazione stessa, alla stregua d’un sinistro monito, un po’ come il destin o di morte che accompagna Achille nell’Iliade. Perciò la narrazione in sé si rivelerebbe strutturalmente simile alla fiaba, e viceversa la fiaba sarebbe il prototipo d’ogni narrazione. L’“ombra della morte” poi, secondo Vogler, emergerebbe fin dalle prime battute d’ogni narrazione, “muovendola” e animandola in senso dinamico, quindi accendendo l’interesse del lettore: secondo quest’autore, insomma, è come se ogni narrazione, al pari d’ogni fiaba, fosse una specie di romanzo giallo il quale si polarizza su un “ordito doloso”, per lo più d’origine umana, fatto di morte e di minaccia, che si protende sin dall’inizio contro l’eroe; perciò l’”eroe” della narrazione sarebbe mosso dinamicamente, quasi freudianamente, dalla morte, venendone spinto ed “educato” a reagirle in modo “creativo” e vitale (una posizione teorica su questo punto molto simile, peraltro, è quella dello psicoanalista Ignazio Majore, riferita però alla mente in generale). Ora, sulla base della suddetta convinzione circa l’essere la fiaba una forma d’invenzione narrativa “spontanea” e poco vincolata da una qualsivoglia disciplina letteraria, o da “resistenze psicologiche”, alcuni psicoanalisti (fra cui citiamo, a puro titolo d’esempio, Kurt Ranke, Géza Roheim e Bruno Bettelheim) hanno interpretato le fiabe esattamente come Sigmund Freud e Carl Gustav Jung hanno fatto per i miti: si tratterebbe di motivi psichici simbolici a carattere universale (e secondo Jung “archetipici”), i quali sgorgherebbero quasi liberamente ed allo stato puro dall’inconscio, prendendo la forma d’una narrazione: la differenza fra mito e fiaba starebbe solo nel fatto che la narrazione mitologica sfumerebbe nelle religioni e nella storia collettiva, quindi sarebbe il prodotto dall’inconscio collettivo dei popoli e si rivolgerebbe principalmente agli adulti, mentre la fiaba, di per sé più adatta ai bambini, scaturirebbe direttamente dall’inconscio individuale dei genitori.

 

Tuttavia non mancano neppure argomenti validi a favore dell’ipotesi di un’origine popolare ed antichissima, e più precisamente totemica, antropologica e rituale, delle fiabe:

 

1)      E’ anzitutto da osservare che nelle principali fiabe della tradizione universale esistono dei motivi ricorrenti d’ordine narrativo, i quali possono venire classificati secondo un metodo contenutistico quale quello elaborato da Aarne e Thompson: ora, questi temi segnano una convergenza significativa fra mito e fiaba, quasi ad indicare un’origine antropologica comune ed antichissima delle due forme narrative: a) il motivo del giovane eroe di sesso maschile che lotta vittoriosamente contro una figura paterna ostile (tema presente nelle fiabe “Aladino”, l’”Apprendista Stregone”, “Pollicino e l’Orco”, “Cappuccetto Rosso” e “Barbablù”); si tratta d’un tema ampiamente presente anche nel mito: si veda ad esempio il mito del dio cannibalico Crono detronizzato e ucciso da suo figlio Zeus, oppure quello biblico del Dio patriarcale della Bibbia, cui il figlio Adamo strappa il monopolio del frutto dell’Albero della Sapienza, o ancora il mito di Dioniso, di fatto divorato da suo padre Zeus; b) il motivo della mediazione femminile nell’antagonismo predatorio fra padre e figlio e dell’alleanza della madre con il figlio contro il maschio più anziano o predatorio (tema presente nelle fiabe di “Barbablù”, “Cappuccetto Rosso” e “Pollicino”); questo tema è presente sia nel citato mito greco di Crono, contro il quale si alleano la sua sposa Rea e suo figlio Zeus, sia in quello biblico della Genesi, ove la ribellione di Adamo contro il Padre è mediata da Eva, ed anche dalla sessualità di lei (il Serpente); c) il motivo della giovane eroina che deve scegliere, o selezionare, lo sposo che la libererà da un incantesimo, o da un sonno prolungato, o da una morte apparente, oppure semplicemente da un attacco adulto-genitoriale, agiti da una strega vagamente “materna” oppure da un padre incestuoso (tema presente nelle fiabe di “Cenerentola” e di “Biancaneve e i Sette Nani”, di “La Bella Addormentata nel Bosco” e di “Rosaspina”); questo tema è presente anche nel mito pelasgico della creazione, nel quale Eurinome sceglie come partner, anzi plasma con le sue stesse mani il proprio figlio Ofione, la cui nascita in qualche modo la libera dall’attacco di Borea (ovvero del padre dello stesso Ofione) d) il motivo d’una minaccia portata all’eroina da parte d’una figura maschile mostruosa e vagamente paterna, minaccia che l’eroina stessa rintuzzerà trasformando la figura mostruosa in questione in maschio “forte e gentile” (motivo presente, oltre che in “Belle e la Bestia”, in “La Bella Addormentata nel Bosco”, in Sheradade ed in “Amore e Psiche”); ora, questo motivo è presente anch’esso, oltre che nelle fiabe citate, ancora una volta, nel mito pelasgico della creazione, nel quale Eurinome con un calcio fa cadere tutti i denti ad Ofione, il “gran Serpente” che è anche suo figlio, cosicché dai denti del mostruoso Serpente nasceranno i civili Pelasgi, fondatori della civiltà umana; d) il motivo della gelosia, nei confronti dell’eroina giovane, da parte d’una donna più matura, ovvero una Strega o una Matrigna, gelosia al di sotto della quale si cela spesso un tentativo incestuoso paterno (motivo presente in “Biancaneve ed i Sette Nani”, in “Cenerentola” ed in “Rosaspina”); ora, questo motivo è presente anche nel mito di Dioniso perseguitato dalla gelosissima Era, in quanto il bimbo è nato dallo stupro effettuato da suo marito Zeus sulla madre dello stesso Dioniso, Persefone; infine, e) il motivo d’una minaccia predatoria, spesso d’ordine cannibalico e/o di abbandono, che grava su dei bambini (tendenzialmente, dei “figli”) da parte di figure adulte o “genitoriali” (motivo presente, come abbiamo visto, in “Hansel e Gretel”, in “Pollicino e l’Orco” e nell’”Apprendista Stregone”, oltre che in “Biancaneve ed i Sette Nani”, in “Cenerentola” ed in “Cappuccetto Rosso”); ora, questo motivo è presente anch’esso, come sappiamo, nei miti greci di Crono e di Dioniso.

 

2)      in secondo luogo, quello che più ha colpito gli studiosi della fiaba d’orientamento strutturalista (ad esempio i formalisti russi, fra i quali spicca il già citato nome di Vladimir Propp), è stato il fatto che molti dei nuclei tematici delle fiabe più popolari appaiono, misteriosamente, del tutto indipendenti da fonti letterarie che non siano mitologiche; essi inoltre sono fissi, iterativi e quasi messi “in comune” fra le fiabe stesse, come se costituissero delle varianti narrative diverse di un’unica antichissima fiaba (una fiaba, presumibilmente, d’origine arcaica e nettamente sfumante nel mito o in un qualche misterioso rituale, quindi tutto fuorché un motivo letterario “casuale” e “creativo”): si veda, come esempio fra tutti, “Belle e la Bestia” (una fiaba letteraria di Madame Le Prince de Beaumont), la quale ricalca da vicino una fiaba popolare, “La bella addormentata nel Bosco”, che a sua volta è molto simile a “Rosaspina”. Si tratta per lo più di temi antropologici universali a carattere ricorrente, i quali nelle fiabe svolgono una vera e propria funzione formale e strutturale, in quanto il loro riferimento storico è probabilmente rituale. Si tratta anzitutto del tema della “Casa nel Bosco” o del Castello, in cui ci si rifugia provenendo dal Bosco stesso, oppure o da un’altra Casa, per sfuggire ad una qualche persecuzione, ed in cui alla fine ci si ritrova alle prese con la stessa minaccia predatoria dalla quale si era inizialmente fuggiti: un tema, questo, presente in “Cenerentola” (nel Castello del Principe) in “Biancaneve” (nella Casa dei Sette Nani), in “Belle e la Bestia” (nel Castello del Principe trasformato in Bestia dalla Strega), in “Barbablù” (nel Castello di quest’ultimo), in “Bella addormentata nel Bosco” (nel Castello della Bestia, nel cui giardino il padre della fanciulla ha colto la rosa), in “Rosaspina” (nel Castello del Padre della fanciulla, ove questa si punge), in “Pollicino” (nella Casa dell’Orco), in “Hansel e Gretel” (nella Casa di Marzapane della Strega); si tratta, essenzialmente, d’una Casa ove un bambino o una fanciulla incontrano la predazione maschile e/o adulta, a volte cannibalica. Poi abbiamo il tema della “Stanza Proibita”, ossia il locale ove ha luogo materialmente una tale predazione, spesso in forma di seduzione adulta, talora incestuosa o para-incestuosa: si tratta d’un tema presente sia nella Stanza Proibita di “Barbablù” che nella Stanza Dimenticata del Castello ove “Rosaspina” si punge con il fuso, sia infine nella Stanza Proibita ove l’”Apprendista Stregone” trova i libri di magia del suo Maestro. Ancora, abbiamo il tema del “Sonno (o morte apparente) della Fanciulla”: si tratta d’un tema che è stato visto, da alcuni esegeti, come simbolo d’uno strumento d’autodifesa femminile dalla predazione maschile ed adulta, o come mezzo di temporeggiamento femminile finalizzato alla scelta d’un partner maschile più “forte e gentile” di quello che ha agito o che sta per agire la predazione: si tratta d’un tema presente in moltissime fiabe, ad esempio nel Sonno Mortale che coglie “Biancaneve” dopo che la fanciulla ha assaggiato la Mela datale dalla Matrigna travestita da Vecchina, oppure nel Sonno che coglie la “Bella Addormentata nel Bosco” dopo che essa ha accettato di dormire con la Bestia, nel Sonno mortale che coglie Rosaspina dopo che questa si è punta col Fuso datole dalla Vecchia, o ancora, nella morte apparente di “Cappuccetto Rosso” dopo che è stato divorata dal Lupo. Abbiamo poi il tema della “Donazione d’Oggetti all’eroe della fiaba” da parte d’un Mago, oppure d’una Strega o d’uno Stregone, o talora d’un iniziatore, oggetti che hanno un significato prettamente totemico e “paterno”, ossia di strumenti d’adesione alla “Legge del Padre”; infatti gli oggetti donati da un mediatore, o mago, di sembianze “paterne”, hanno il significato, insieme, d’una protezione e d’un asservimento alla figura genitoriale stessa, ovvero offrono una possibilità di difesa dalla predazione genitoriale, ed insieme, veicolano quella stessa minaccia predatoria: questo tema del “dono” è presente in “La Bella Addormentata nel Bosco”, nella Rosa colta dal Padre per la fanciulla (un “dono” che precede di poco la comparsa della Bestia nel Giardino del Castello ove il Padre ha colto la Rosa); è presente negli insegnamenti di magia impartiti (o “donati”) dal Mago all’”Apprendista Stregone”; è poi presente nella Lampada e nell’anello di “Aladino” donatigli dal Mago, ed anche nel Pettine, nella Stringa e nella Mela, tipici strumenti di seduzione femminile offerti a Biancaneve dalla Matrigna travestita. Il tema dell’abbandono e/o della predazione adulta o genitoriale ai danni dei bambini, infine, ha il significato d’un attacco cannibalico diretto ai piccoli: si tratta d’un tema che significativamente, nella più arcaica “Pollicino e l’Orco”, è presente come predazione maschile-paterna, e nella più recente “Hansel e Gretel”, come predazione femminile-materna, come ad indicare che la predazione originariamente è sempre maschile, ed il sesso femminile la fa propria per reazione, ovvero “di rimessa”.

 

3)      L’ipotesi d’interpretazione antropologica delle fiabe che ci propone Propp, peraltro, converge con la critica rivolta dall’insigne mitografo Robert Graves ai due padri fondatori dell’interpretazione psicoanalitica del mito, Freud e Jung: sia da Propp che da Graves si apprende, infatti, che non è possibile interpretare le fiabe (o i miti!) solo in base ai presunti meccanismi dell’inconscio e trascurando le basi dell’antropologia culturale, o l’analisi storica e strutturalistico-formale di queste particolari narrazioni. Propp, mettendo insieme queste due chiavi interpretative, ci da delle fiabe un’interpretazione analoga a quella che Graves ci fornisce dei miti, in particolare greci ed ebraici: così come nei miti sono contenute le tracce dell’incontro-scontro, avvenuto principalmente nel Mediterraneo, fra una civiltà matriarcale pre-esistente (quella dei Pelasgi) ed una civiltà patriarcale sopraggiungente (quella indoeuropea), nelle fiabe si riflette un analogo incontro-scontro fra matriarcato e patriarcato, con in più alcune consistenti tracce del passaggio (avvenuto all’incirca diecimila anni fa) da una civiltà nomade di cacciatori-raccoglitori ad una più stanziale ed agricola. Questo incontro-scontro di civiltà ha dato luogo alla necessità d’istituire un percorso iniziatico assai complesso, ovvero un insieme di “riti di passaggio” dal matriarcato al patriarcato, i quali da un lato si sono materializzati in alcuni miti d’adesione della cultura patriarcale a quella matriarcale (il “mito di Edipo”, ad esempio, per Graves non è altro che una trasformazione simbolica del tema “politico” delle nozze d’un principe patriarcale con una principessa matriarcale), dall’altro si sono incarnati in alcuni motivi ricorrenti delle fiabe. In particolare, il mito di Edipo, per Graves, ci parla del dramma psicologico d’un principe di cultura patriarcale che deve aderire al rituale matriarcale del duello “padre-figlio” (un duello che in ambito matriarcale precede ogni successione al trono, e che è raffigurato nel rito del “re sacro” del Bosco di Nemi, di cui parla James Frazer) ed alle allusioni incestuose che esso implica; all’inverso, il motivo della “Casa nel Bosco” (vedi la “Casa dei Sette Nani”) non è altro che un’allusione al motivo della “Casa dei Fratellini” di cultura patriarcale, ove di solito avveniva l’iniziazione al patriarcato d’ogni fanciulla matriarcale (quindi un percorso iniziatico completamente opposto a quello “edipico”, però ugualmente riferibile all’incontro-scontro fra i due modelli culturali); oppure, il motivo della “Donazione di Oggetti” iniziatici, a carattere totemico, da parte d’uno stregone patriarcale, all’inizianda/iniziando matriarcale; o ancora, il motivo della “Stanza proibita” ove si svolge materialmente il rito di passaggio dal matriarcato al patriarcato (una sorta di “Sancta Sanctorum”, che è “proibito” solo prima che l’iniziazione abbia avuto luogo!); infine, il motivo del “Sonno della Fanciulla”, o morte apparente della stessa, che serve all’inizianda di cultura matriarcale per morire e poi rinascere, ossia per potersi avvicinare al patriarcato e manifestare piena ricettività alle nuove norme sociali, dopo essersi liberata del condizionamento d’un modello matriarcale improntato all’intrigo antimaschile, all’incentivazione della gelosia fra le generazioni e della lotta padre-figlio, ed in definitiva alla ribellione alla “Legge del Padre”. Insomma questi temi fissi e ricorrenti delle fiabe, per Propp, erano parte d’un complesso di riti iniziatici con cui la donna d’estrazione matriarcale veniva vagliata nella sua sincerità e fedeltà ai nuovi principi patriarcali appena acquisiti, quindi trasformata sul piano ideologico, sottomessa su quello materiale e psicologico, ed infine avviata a fare il proprio ingresso in una cultura patriarcale. Da questo punto di vista il rapporto di Biancaneve con la Matrigna travestita da Vecchina che le “dona” oggetti seduttivi come la Stringa, il Pettine e la Mela che l’avvelenerà, o il rapporto di Rosaspina con la Vecchina che in una “Stanza Proibita” del “Castello” le offre il Fuso con cui la fanciulla si pungerà cadendo addormentata, corrisponderebbero al rapporto fra un modello di femminilità patriarcale ascendente ed un uno matriarcale declinante, più seduttivo ed incestuoso: quest’ultimo modello “tenta” la fanciulla, ossia la spinge costantemente e regredire ad una cultura matriarcale, ovvero ad acquisire di nuovo le armi tipiche d’una donna intrigante verso l’uomo nonché portata a fomentare il conflitto fra le generazioni (fra l’altro, è proprio il fantasma d’un incesto, o d’una violenza sessuale da parte del padre sulla figlia, ciò che determina, secondo le versioni più arcaiche della fiaba di Biancaneve, l’aggressività gelosa della matrigna verso di lei). Ora, l’affermazione definitiva del modello patriarcale, in questi casi, deve passare attraverso una “Morte Apparente” di tipo iniziatico della fanciulla ed una sua “Resurrezione”, quindi condurre a una scelta reciproca fra la principessa matriarcale e quel “Principe Azzurro” patriarcale che l’ha finalmente saputa riconoscere come ormai “fedele” ai principi morali del patriarcato (i quali prevedono la fedeltà assoluta della donna al marito e l’obbedienza altrettanto assoluta della figlia al padre, quindi il bando d’ogni strumento di seduzione femminile incestuosa, e soprattutto un patto di non belligeranza fra padre e figlio, spesso su basi omosessuali inconsce, basato sull’interdizione dell’incesto madre-figlio e di quello padre-figlia, nonché sul rigetto delle arti seduttive femminili). Al tema del conflitto edipico fra le generazioni, poi, nella fiaba si aggiunge quello dell’attacco predatorio degli adulti contro i bambini, portato su un piano cannibalico e dovuto a carenza di risorse alimentari. Per quanto riguarda il tema del cannibalismo verso i bambini, secondo Propp, il passaggio dell’umanità dalla caccia-raccolta all’agricoltura e ad una vita stanziale, avvenuto all’incirca diecimila anni fa, rendendo le condizioni materiali di vita della nostra specie meno dure, rese possibile il superamento di questi riti iniziatici, spesso molto cruenti (come quello dell’abbandono dei bambini o della predazione nei loro confronti), e successivamente il loro sedimentarsi, nella memoria ancestrale della specie, sotto forma simbolica, ossia di tradizione mitologico-religiosa, oppure di tradizione orale (la fiaba, appunto) tramandata ai bambini a puro scopo educativo e di ammonimento.   

 

Però esistono dati di fatto che rendono, a nostro avviso, anche la risposta di Propp insufficiente, o quanto meno poco esaustiva.

 

a)      Il testo di molte fiabe (si vedano fra le più antiche, come esempi, quelle di “Barbablù” e della “Bella Addormentata nel Bosco”, di “Sherazade” e di “Cappuccetto Rosso”), non ci parla affatto, come vuole Propp, d’un percorso iniziatico lineare che dal matriarcato condurrebbe al patriarcato con la mediazione d’un Mago, o d’un mediatore maschile “Donatore di Oggetti Totemici”: molte fiabe, piuttosto, ci mostrano come spesso il presunto “rituale iniziatico” scoppi letteralmente in mano al mediatore patriarcale (si veda la brutta fine che fanno sia Barbablù che il Lupo, sia Il Mago di Aladino che lo Stregone iniziatore dell’Apprendista), oppure ci mostrano un ruolo di mediazione estremamente attivo, “matriarcale” e quindi di “selezione del maschio” esercitato dalla donna (è il caso della protagonista de “la Bella Addormentata nel Bosco”, specie nella sua versione “Belle e la Bestia”, la quale di fatto trasforma la Bestia in Principe azzurro). Insomma, più che d’una trasformazione lineare e progressiva del modello culturale matriarcale in patriarcale, molte fiabe ci parlano d’una lotta costante, furibonda ed incerta fra i due modelli, in cui la pressione sotterranea del modello più antico e primitivo (quello matriarcale dell’alleanza incestuosa madre-figlio, della rivalità padre-figlio e della vittoria rituale del figlio sul padre sotto gli occhi compiaciuti della “madre”) non cessa mai di farsi sentire, quasi che le strutture psichiche e comportamentali in gioco siano molto più biologiche, profonde e radicate che non semplici sovrastrutture quali il “matriarcato” ed il “patriarcato”.

b)      come si spiega, in base allo schema interpretativo di Propp (tutto incentrato sul concetto di “rituale iniziatico”), il fatto curioso che siano proprio i bambini, ossia i presunti “iniziandi”, i più fervidi fautori dell’immutabilità del rituale stesso (dal momento che proprio essi esigono che i genitori ripetano la fiaba più e più volte senza mai introdurre variazioni, quasi che le loro strutture psichiche profonde avvertissero l’esigenza di avvalersi di essa come d’uno strumento di padroneggiamento di istinti molto antichi, ancestrali e mai sopiti)? Se si trattasse solo del residuo d’un rituale iniziatico, la fissità del canovaccio della fiaba dovrebbe avere i suoi fautori più intransigenti negli iniziatori, ossia nei genitori, non certo nei figli, mentre il contrario c’induce a pensare che si tratti di un’esigenza inconscia di carattere antichissimo ed ancestrale, proprio come previsto da Freud e Jung!

c)      Infine (e questo è forse l’elemento più enigmatico ed affascinante), anche quelle fiabe più recenti, e che sono universalmente riconosciute come di maggiore originalità e di più sicura fattura letteraria, quali il “Peter Pan” di Barrie ed il “Pinocchio” di Collodi, “Alice” di Carroll e “Pippi Calzelunghe” della Lindgren, a sorpresa presentano al loro interno, in maniera apparentemente inconsapevole e non voluta dai rispettivi autori, alcuni dei ben noti temi d’ordine contenutistico-narrativo che abbiamo in precedenza esaminato: ad esempio il tema del duello padre-figlio con relativa vittoria del figlio (tema-chiave, come sappiamo, delle fiabe tradizionali di “Aladino”, dell’”Apprendista Stregone” e di molte altre), è presente con la massima evidenza nel rapporto persecutorio di Peter Pan con capitano Uncino, ed anche in quello, più “simpatico” e “scanzonato” ma ugualmente spietato, che c’è fra Pippi Calzelunghe e suo padre, o più in generale fra Pippi ed il sesso maschile, insieme al tema del “rifiuto di crescere” (ossia di accedere ad una sessualità adulta percepita come troppo inquietante e predatoria); però il tema del duello padre-figlio è presente anche nel rapporto conflittuale e vittorioso di Pinocchio col padre Geppetto (e con tutte le autorità costituite), e nel rapporto fra Alice e la figura persecutoria del Gatto, nonché con quelle del Re e della Regina di Cuori. Abbiamo poi il tema del giovane eroe che libera la fanciulla in pericolo (o talora, in stato di morte apparente), che abbiamo visto nelle fiabe tradizionali di “Barbablù”, di “Cappuccetto Rosso” e di “Biancaneve”, di “Rosaspina” e di “La Bella Addormentata nel Bosco”; ora, questo tema è presente in Peter Pan, il quale salva Wendy dalla morte procuratagli da suoi amici e la protegge da Uncino, poi salva la Principessa indiana minacciata di morte da Uncino; ma è presente anche in Pinocchio, il quale a suo modo “salva” la Fata Turchina che si è finta morta, donandole tutti i suoi risparmi. Abbiamo poi il tema della fanciulla che trasforma una figura maschile più o meno mostruosa in un essere umano “forte e gentile”, tema classico delle fiabe tradizionali, in particolare di “Belle e la Bestia”: esso però è presente con la massima evidenza anche nelle fiabe letterarie, ad esempio nell’addomesticamento del “mostruoso” burattino Pinocchio da parte della Fatina, alla fine coronato dalla sua trasformazione in bambino; oppure, nei tentativi reiterati di Wendy di trasformare Peter Pan da bambino-uccello in bambino umano ed in un possibile compagno, nonché in quello di Alice di cullare ed allevare il Bambino-porcellino della Duchessa come se fosse “normale”, ed infine nel costante sforzo di Pippi di domare la predazione maschile assoggettando il predatore, quasi fosse un’amazzone. Quanto, infine, al tema dell’attacco predatorio adulto-genitoriale verso i bambini (presente in particolare nelle fiabe tradizionali dell’”Apprendista Stregone” e di “Pollicino”, di “Hansel e Gretel” e di “Cappuccetto Rosso”) esso, come già detto, è presente anche in “Peter Pan” (precocemente abbandonato dalla madre e minacciato di morte dal padre, molto prima che da Capitan Uncino), in “Pinocchio” (minacciato d’essere bruciato da Mastro Ciliegia prima ancora di essere nato, poi minacciato d’ugual sorte dal Burattinaio Mangiafuoco, ed infine minacciato d’essere fritto e mangiato dal Pescatore, che lo aveva scambiato per un pesce), in “Pippi” (rimasta precocemente orfana di madre e subito lasciata dal padre sola ed esposta alla predazione adulta, tanto da dover divenire rapidamente un’eroina fortissima ed in grado di difendersi), infine in “Alice” (minacciata dapprima, indirettamente ed allusivamente, dal Gatto, e poi, in forma reiterata e diretta, dalla Regina e dal Re di Cuori, tanto da essere indotta anche lei a crescere rapidamente ed a dismisura). Ma vi è di più: nelle fiabe letterarie sono presenti perfino i temi ricorrenti, aventi un preciso significato d’ordine strutturale-formale, individuati da Propp: anzitutto, il tema delSonno della Fanciulla” o della morte apparente della protagonista (presente sia in “Biancaneve” che in “La Bella Addormentata nel Bosco”, sia in “Rosaspina” che in “Cappuccetto Rosso”): esso è presente anche nella fiaba letteraria di “Alice”, la quale è tutta inscritta, nel suo svolgimento, nel sonno della protagonista; oppure, è presente nella fiaba di “Peter Pan”, ove c’è la morte apparente di Wendy, l’amichetta di Peter, trafitta per errore dalle frecce dei suoi compagni su istigazione della fata Trilly; o ancora in “Pinocchio”, ove c’è la morte apparente della Fata Turchina. Poi, abbiamo il tema dellaCasa nel Bosco”, presente come sappiamo in quasi tutte le fiabe popolari: ora, esso è presente anche in “Pinocchio” (ove c’è l’Osteria del Gambero Rosso in cui il burattino incontra il Gatto e la Volpe, ed anche la Casa nel Bosco della Fata Turchina ove il burattino incontra, nella sostanza, la propria morte), in “Peter Pan” (ove c’è la casa di Maimie Mannering costruita dalle Fate), in “Alice” (ove troviamo la “Casa del Coniglio Bianco”, ma anche la casa della Duchessa), infine in “Pippi” (ove troviamo quella Villa Villacolle che è stata lasciata alla bambina da un padre erratico e tendenzialmente predatorio). Ancora, ritroviamo il tema della “Stanza Proibita” (presente come sappiamo in “Barbablù” e nell’”Apprendista Stregone”, ed anche in “Rosaspina”) anche in “Pinocchio”, precisamente nel ventre del Pescecane all’interno del quale il burattino incontra suo padre, oppure in “Peter Pan”, nel brigantino di Capitan Uncino, ed in “Alice”, nel magnifico Giardino Incantato che sembra il Paradiso Terrestre, all’interno del quale la bambina incontrerà la terribile Regina di Cuori). Troviamo poi il tema del “Donatore d’Oggetti Totemici” (presente anch’esso un po’ in tutte le fiabe popolari) identificabile, per quanto riguarda Pinocchio, in suo padre Geppetto che gli dona le parti del corpo, oltre che il cibo, i libri, gli abiti ed il denaro; per Pippi, nel padre della bambina, il quale le dona le monete d’oro e la Villa Villacolle ove risiederà; per Alice, nel Gatto che le da le necessarie indicazioni per muoversi all’interno del regno della Regina di Cuori; per Peter Pan, nelle Fate dei giardini di Kensington, che danno al protagonista la possibilità di tornare momentaneamente dalla madre, ed anche negli uccelli che gli insegnano a vivere da volatile). Infine, ritroviamo il tema dell’abbandono e/o della predazione adulta sui bambini (presente in “Pollicino” ed in “Hansel e Gretel”, ma anche nell’”Apprendista Stregone”), un pò in tutte le fiabe letterarie: si pensi alla fuga di Peter Pan da casa ed alla sua impossibilità di tornarci a causa d’una minaccia paterna udita per caso, oppure alla fuga di Pinocchio dal suo destino di burattino di legno destinato al fuoco, o alla fuga di Alice dagli attacchi predatori della Regina di Cuori, o all’abbandono precoce, sia paterno che materno, subito da Pippi Calzelunghe. Ora, in base a quanto sopra sembra proprio che il paradigma interpretativo di Propp, paradossalmente, spieghi troppo: come è mai possibile, infatti, spiegare la presenza così puntuale, in fiabe letterarie e di pura “fantasia”, non solo nei contenuti individuati secondo il metodo di Aaarne e Thompson, ma anche nei motivi strutturali cui Propp assegna un esclusivo valore rituale e “storico”, se non ipotizzando che questi elementi “storici” (ovvero “reali”, in quanto coincidenti con un qualche accadimento fondamentale della storia della nostra specie) siano stati interiorizzati dalla psiche umana, proprio come ipotizzato da Freud e Jung, e quindi si siano trasformati in una sorta di “rito interiore”, volto al padroneggiamento di quelle tematiche predatorie e/o sessuali che sono presenti nei temi e nei “contenuti” più frequentemente ricorrenti sia nella fiaba che nel mito?

 

Un indizio clamoroso di quanto affermiamo sta nell’episodio commovente, quasi struggente, del suicidio, chiaramente rituale e d’ispirazione fiabesca, messo in scena da Alan Turing, uno scienziato morto nei primi anni Cinquanta del secolo scorso dopo aver mangiato delle mele da lui stesso avvelenate, le quali erano un chiaro riferimento alla fiaba di Biancaneve (e sono andate a costituire l’emblema della marca di computer “Apple”!): Turing, il genio matematico che aveva inventato il computer, era un omosessuale, e nell’Inghilterra bigotta degli anni Cinquanta, malgrado i suoi enormi meriti militari (aveva aiutato le forze armate inglesi a decrittare i codici di guerra nazisti) fu condannato, per ciò che all’epoca era un reato, all’alternativa fra la prigione ed una cura ormonale che doveva sradicare in lui ogni pulsione “proibita”; lo scienziato, che era molto “legato” alla madre, per non dispiacerle con una prigionia per lei ignominiosa, optò per la cura ormonale; però, quando si accorse che questa devastava il suo fisico e la sua mente, decise di suicidarsi, e lo fece inscenando un omaggio rituale a quella “vecchia” madre (che probabilmente gli ricordava la matrigna di Biancaneve) la quale lo aveva “tratto al passo estremo”: ciò sia spingendolo a vergognarsi della propria condizione (e quindi a rifiutare la prigione ed a farsi quasi trasformare, sul piano fisico, in donna), sia forse inducendo in lui, già in età infantile, quei tratti psicologici femminili che da adulto sarebbero stati alla base della sua omosessualità.

Ora, sembra evidente che non è possibile interpretare un episodio come questo solo su base strutturalistico-formale, ossia concentrandosi sugli aspetti rituali e “culturali” e trascurando il fatto che dall’inconscio del protagonista emergono ingenti elementi predatori, inerenti il rapporto genitori-figli, che sono ben più profondi, antichi ed inquietanti d’un semplice scontro culturale fra matriarcato e patriarcato (o d’una sua ritualizzazione). Insomma, se l’elemento rituale è importante, ancora più importante è capire cosa viene ritualizzato: di più, il prendere prioritariamente in considerazione quest’ultimo aspetto è assolutamente necessario, se non si vuole incorrere nel noto infortunio di colui che, posto di fronte ad un dito che indica la luna, guarda il dito e non la luna.

Ebbene, nel nostro caso, “la luna”, ossia ciò che costituisce l’oggetto del rito suicidario messo in scena da Turing tramite la fiaba, è la pressoché costante predazione cannibalica ed incestuosa dei genitori che si nasconde dietro l’omosessualità, ossia il vissuto persecutorio che un figlio maschio può avere verso una madre che lo spinge ad un conflitto senza quartiere con il padre (un vissuto che lo induce ad avvertirla come una matrigna, o peggio, una strega che lo vende e lo induce a prostituirsi, oppure a correre incontro alla propria distruzione): infatti, al di sotto di questa spinta c’è una posizione predatoria e cannibalica sia della madre che del padre, e la conseguente necessità, per il figlio, di stipulare un armistizio omosessuale con colui al quale si viene “dati in pasto” dalla madre, e che nel momento dato viene percepito come il più forte e pericoloso (il padre, appunto).

 

Insomma, sembra che le critiche assai severe che l’impostazione formalistica di Graves, e quella analoga di Propp, rivolgono agli psicoanalisti che interpretano il mito e la fiaba su basi puramente psicologiche, siano eccessive ed ingiuste, laddove neppure il loro schema interpretativo di tipo antropologico-strutturale risulta essere del tutto persuasivo, o quanto meno esaustivo; viceversa, l’integrazione di quest’ultimo con strumenti interpretativi diversi e più adatti a penetrare in profondità, quali appunto quelli psicologici e psicoanalitici, ci sembra assolutamente indispensabile, almeno laddove l’interpretazione del primo tipo sia incerta o impossibile.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Aarne A., 1961, “The Types of the Folktale: a Classification and Bibliography”, The Finnish Academy of Science and Letters

Dekker T., Kooi J., Meder T., “Dizionario delle fiabe e delle favole”, ed. Bruno Mondadori 1997

Lusetti V. 2010, “La predazione nella fiaba”, ed. Armando Armando

Propp V., “Comicità e riso”, ed. Einaudi, 1976

            “                 “Morfologia della fiaba”, ed. Einaudi, 1988

            “                 “Le radici storiche dei racconti di fate”, ed. Boringhieri, 1989

 Thompson S., 1937, “Motif-Index of Folk-Literature”, 6 vl

         “             “Le fiabe nella tradizione popolare”, Il Saggiatore 1994

Vogler C., “Il viaggio dell’eroe”, Dino Audino Editore 2004