Un’autentica enciclopedia medica in un rotolo di 20 metri: “il papiro di Ebers” (1550 a.C.)

 Fabio LIGUORI

 

Riassunto

 

Il linguaggio scritto è stato il fondamentale traguardo di ogni civiltà, rendendo possibile conoscere la storia di antichi popoli. Risalente al 4000 a.C. (coevo alla cuneiforme , la prima scrittura della storia che fiorì nella Mesopotamia), il geroglifico è la forma di comunicazione della civiltà egizia, ed il papiro il suo principale mezzo. Tra quelli a contenuto medico il più famoso è il papiro di Ebers, autentica enciclopedia racchiusa in un rotolo di 20 metri giunto intatto fino a noi. Prende il nome dall’egittologo tedesco che l’acquistò a Tebe (1873) da un mercante che asserì di averlo trovato tra le gambe di una mummia. La straordinarietà del papiro sta nel recare sul retro una data risalente con certezza al 1550 a.C., e nel trattare  in 877 commi tutte le malattie conosciute all’epoca. La terapia di alcune di esse ha precorso di millenni “recenti” scoperte della nostra farmacologia.  

 

Summary

 

An authentic encyclopedia of Medicine in a 20 m long roll: “the papyri of Ebers” (1550 B.C.)

 

The written language was the principal goal of every civilization that allows knowing the history of ancient people. The hieroglyphic, which dates back to 4000 B.C. (coeval to the cuneiform writing, the first in the history that flowered in Mesopotamia), is the Egyptian civilization’s form of communication, so the papyri represent the chief mean. Between those with a medical content, the “papyri of Ebers” is the most famous, an authentic encyclopedia contained in the 20 meters long roll, which is arrived intact up to us. It takes name from the German Egyptologist who bought it in Thebe (1873) from a merchant declaring he had found the piece among the legs of a mum. The extraordinariness of this object is that takes on the back a date that for a certainty dates from 1550 B.C. and that all the illnesses known at time are treated in 877 sub-sections. The therapy of some pathology has so preceded for millenniums some “recent” discoveries of our pharmacology.

 

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Ogni vicenda di popoli di cui non sia rimasta testimonianza scritta (o trasmessa per via orale) costituisce la preistoria di quelle civiltà, periodo buio nel quale è difficile addentrarsi se non per deduzioni o per raffronto con popolazioni allo stato di primitivismo assoluto (ancora nel giugno 2008 in Amazzonia, al confine tra il Brasile e il Perù, è stata scoperta una primordiale tribù detta “degli uomini rossi” per essere interamente cosparsi di un pigmento rossastro). Possiamo solo ipotizzare, ad esempio, che sia avvenuta circa 500.000 anni fa la casuale scoperta della cottura di cibi nel corso d’incendi naturali, e che la sepoltura di defunti risalga almeno a 100.000 anni con l’uomo di Neanderthal. Ma se la storia delle genti ha inizio con la prima documentazione scritta, questa manifestazione rappresenta non il punto di partenza, ma d’arrivo di quanto di straordinario nei millenni ha preceduto il fondamentale traguardo di ogni civiltà: la comunicazione.

La più antica forma di parola scritta è la cosiddetta scrittura cuneiforme ideata dai Sumèri, prima storica civiltà (4000 a.C.) che si sviluppò nel fertile bacino dei “due fiumi” della Mesopotamia. E’ così definita perché la scrittura avveniva con uno stilo di canna a sezione triangolare che imprimeva su tavolette plasmabili d’argilla una fitta serie di segni, dall’aspetto di piccoli cunei.

Di questa primigenia scrittura, la più importante documentazione ci è pervenuta da circa 30.000 tavolette ritrovate nella biblioteca del Re assiro Assurbanipal (668-626 a.C.) nel corso degli scavi (1841) della città di Ninive. La disposizione variabile delle incisioni (orizzontale, obliqua, verticale, ad angolo: solo nel XV sec. a.C. assumeranno l’andamento orizzontale simile alla nostra scrittura), ed il fatto che alcune impronte subissero modificazioni al solidificarsi dell’argilla, rendeva difficile distinguere le serrate composizioni di questi simboli astratti.

Fu un insegnante tedesco di 27 anni il primo a decifrarne (1802) alcune parole. Partendo dalla considerazione che per lo più doveva trattarsi d’iscrizioni celebrative, quindi recanti all’inizio il consueto nome e titolo del re committente (e l’eventuale apposizione di un sigillo), Georg Grotefend (1775-1853) individuò in alcune epigrafi segni ricorrenti che associò alle parole “re dei re”. Conoscendosi la cronologia delle dinastie persiane (Erodoto 484-425 a.C., considerato “padre della Storia”), Grotefend riuscì a decifrare il nome proprio di Dario I (re di Persia dal 522 al 486 a.C.), del figlio Serse e del padre Istape. Passeranno altri vent’anni prima che geniali studiosi giungessero ad una conoscenza più dettagliata di questa forma di scrittura.

Al confronto sarebbe dovuto risultare più facile interpretare il geroglifico (termine greco che significa “incisione sacra”, scrittura dell’Antico Egitto considerata oggi coeva alla cuneiforme della Mesopotamia), utilizzato sino al IV sec. d.C., ma di cui si era persa ogni conoscenza. Nel geroglifico, infatti, le figure sono quasi sempre incise su pietra o riprodotte su superfici pittoriche, con disegno quindi ben tracciato e differenziato. Sarà invece un fortunoso ritrovamento a permetterne la decifrazione, quando la spedizione napoleonica in Egitto (poi sconfitta dagli inglesi) venne in possesso (1799) di un grosso frammento di lastra di basalto (114 x 72 cm, quanto una ruota di carro) noto come la stele di Rosetta (città sul delta del Nilo in cui fu rinvenuta).

L’eccezionalità del reperto sta nel recare un’iscrizione bilingue in tre diverse grafie: 1) geroglifica (scrittura sin’allora considerata ideografica, rappresentare cioè le figure una parola intera alla stregua degli ideogrammi cinesi); 2) demotica (cioè “popolare”, forma semplificata del geroglifico con uso ridotto di segni, largamente diffusa tra gli scribi egizi); 3) infine in lingua greca. Fu subito ipotizzato che il testo fosse uguale per le diverse scritture (come avviene in atti pubblici del governo di popolazioni di etnie diverse), e quello in greco fu facilmente letto consentendo di datare la stele all’epoca della dinastia tolemaica (Tolomeo V, 196 a.C.).

Era noto che i sovrani di questa dinastia prendessero tutti il nome di Tolomeo, e molti avrebbero sposato le proprie sorelle tutte note col nome di Cleopatra: concluderà la dinastia la più celebre tra esse, Cleopatra VII, che regnò dal 51 al 30 a.C. intrecciando la storia dell’Egitto con quella di Roma.

Altrettanto noto era che gli egizi scrivevano i nomi di faraoni e regine racchiudendoli in una linea ovale detto “cartiglio”, segno di divinità e potenza. Partendo dal testo greco della stele, per l’egittologo francese Francois Chammpollion fu facile identificare nel testo geroglifico i corrispondenti “cartigli” di PTOLMYS (Tolomeo) e CLEOPATRA. Confrontandoli notò (1822) uguali figurazioni nei due differenti cartigli. Ne dedusse che le figure che si ripetevano avessero un valore alfabetico e non di concetto.

In particolare: 1) il disegno del leone era al 2° posto nel cartiglio di CLeopatra ed al 4° in quello di PtoLmys, potendo quindi riferirsi alla lettera “Ldei rispettivi nomi;  2) lo stelo di papiro volto in basso era al 4° posto in CleOpatra ed al 3° in PtOlmys, collegandosi alla lettera “O”; 3) la figura a base di pietra era posizionata al 5° posto in CleoPatra ed al 1° in Ptolmys, coincidendo con la lettera “P”; 4) la mezzaluna era collocata al 7° posto in CleopaTra e al 2° posto in PTolmys, corrispondendo quindi alla lettera “T”; 5) infine l’avvoltoio, ripetendosi al 6° e 9° posto del cartiglio di CleopAtrA  doveva necessariamente rappresentare la lettera “A”.

Nasceva così la lettura di segni geroglifici, il che non voleva ancora dire capirne il significato. La soluzione fu la lingua copta, largamente parlata in Egitto fino al 1000 d.C. ed ancora oggi usata nella liturgia cristiana di rito copto. Champollion dimostrò che il copto era l'ultima forma dell'antica lingua egizia, ossia: il rapporto tra il copto e l'egizio antico era lo stesso tra l'italiano e il latino. Fu così possibile elaborare un primo vocabolario del geroglifico.

Più che pietre o superfici pittoriche, nell’Antico Egitto era però il papiro (pianta di palude che richiede abbondanza d’acqua ed aria calda) il principale mezzo di comunicazione, che dal delta del Nilo si diffonderà in tutto il bacino mediterraneo. Quelli a contenuto esclusivamente medico sono detti “papiri medici”, il più famoso e importante dei quali è il papiro di Ebers. In un rotolo di lunghezza 20 m e altezza 30 cm è racchiusa un’autentica enciclopedia medica che tratta di analisi, diagnosi, terapie e probabilità di guarigione ad uso del medico generico. Il nome deriva dall’egittologo tedesco Georg Ebers che lo acquistò a Tebe (1873) da un mercante che asserì di averlo trovato tra le gambe di una mummia.

Gli egizi erano “maestri” nell’imbalsamazione cui ricorrevano non per motivi estetici, ma perché la conservazione del corpo era essenziale per la vita d’oltretomba; e la pratica era affidata non a medici-sacerdoti (ministri della “casa della vita”), ma agli addetti alla “casa della morte”, una casta chiusa capace, però, di far giungere intatte le loro mummie sino a noi. Vera o falsa che fosse la circostanza del ritrovamento, di fatto il papiro di Ebers ci è pervenuto completo e in ottimo stato.

La straordinarietà di questo papiro sta anche nel fatto di riportare, sul retro: “Festa dell’anno nuovo, 3° mese, 9° giorno, levata della stella di Iside (Sirio) del 9° anno di regno di Amenhotep I”. Secondo il calendario egizio l’anno iniziava con la “levata” della stella Sirio. Poiché la levata “eliotropica” (cioè il sorgere di una stella esattamente all’alba) è calcolabile, la datazione del papiro è certa: 1550 a.C., epoca dell’arrivo degli ebrei in Egitto.

Molte delle nozioni contenute nel papiro risalgono all’Antico Impero Egizio (3300 – 2360 a.C.) al tempo delle piramidi di Cheope e Chefren: il cuore, ad esempio, è considerato sede delle manifestazioni sia organiche che psichiche, pertanto nel papiro non vi è distinzione tra malattie fisiche e mentali. Tra gli 877 commi che trattano di tutte le malattie conosciute all’epoca, 95 rimedi sono riservati alle malattie degli occhi, 40 a quelle della pelle e circa 50 alle conseguenze delle ustioni. Nel papiro si trova anche la prima descrizione storica di tumori: “quando incontri un tumore duro come una pietra, curerai la malattia col coltello e poi brucerai col fuoco perché la ferita non sanguini troppo”.

A causa del culto dei morti che impediva d'effettuare dissezioni (e non essendo loro consentito praticare imbalsamazioni), i medici egizi avevano scarsa conoscenza dell’anatomia. Le procedure chirurgiche descritte nel papiro sono di conseguenza limitate ad interventi esterni (tumefazioni, circoncisione, ascessi, lussazioni, fratture, suture), mentre le prescrizioni assommano invece ad oltre 500 medicamenti (oppio, miele, cicuta, aglio, cipolla, olio di ricino, lievito, semi di lino, ecc.) somministrati sotto varie forme. Grande importanza viene infine data all’igiene sia personale che delle vesti e della casa, il che spiega il largo uso di acqua, salnitro (nitrato di potassio) e incenso che facevano gli egizi (Erodoto li definì “popolo di sanissimi”), anche perché l’impurità era considerata generatrice di ogni malattia.

Molti riferimenti fanno di quest’antica medicina la precorritrice di quella greca (Erodoto: “quando la civiltà egizia era al massimo suo fulgore, il popolo dell’Ellade viveva in caverne e si cibava di radici …”), che avrà infatti il suo Pantheon popolato di divinità quanto le egizie. E pur attraverso una pratica magico-sacerdotale in cui dominava una simbologia assunta dal mondo animale, per la Storia della Medicina bisognerà ammettere che, riguardo al ricorso a relativamente “recenti” terapie farnacologiche, la medicina egizia ha precorso invece di millenni l’estratto di scorza di salice contro reumatismi (moderna aspirina) e l’impiego di muffe per la cura di piaghe infette (la nostra penicillina)!

 

                                                                                                                                                                                      

   (  cLeOPAtrA )           (  PtOLmis )  
(mezzaluna in verde = T,  occupa il  7°  posto in CleopaTra,  e il  2°  in PTolmys)