Allarme degli ortopedici: “Dai tormentosi piedi fior di loto (Cina, X-XX sec.) ai vertiginosi odierni tacchi a spillo” (ovvero, imporre alle donne ...)

 

Fabio Liguori

 

 

            Equilibrato pensiero filosofico di Kong Fuzi (Confucio, Cina 551 - 479 a.C.), pur non essendo una religione il confucianesimo influenzerà cultura, tradizioni e stile di vita di popoli dell’estremo Oriente per circa due millenni. Etica, giustizia, onestà, rispetto e lealtà saranno a fondamento delle civiltà cinese, coreana, vietnamita e giapponese. Tuttavia, al trascorrere dei secoli l’ideale femminile confuciano finisce per assumere, in Cina, le sembianze di una donna leziosa e pudica come una bambina, fragile come porcellana, minuta con piccoli piedi fasciati di seta e calzati da scarpette ricamate. Immagine di donna antitetica al magistero confuciano, ed in contrasto con una fiaba nata nella stessa Cina (IX sec.), ma diffusa ed amata in tutto il mondo da essere più volte rinarrata nei secoli in letteratura, musica, teatro e cinema. Simbolo universale di costanza e risolutezza nei princìpi familiari, la favola è incentrata proprio su una scarpina di cristallo calzabile da uno solo fra tutti i piedi delle fanciulle del reame: quello, minutissimo, della bella e grintosa Cenerentola che, sebbene povera, sposerà il principe e “vivranno felici e contenti”.

Pianta acquatica dal lungo gambo, presso gli orientali il fior di loto è sinonimo di purezza, bellezza e perfezione, assurgendo anche a simbolo di resurrezione ed immortalità per la straordinaria capacità del suo seme di germogliare dal fango a distanza di centinaia d’anni. All’oscillazione al vento di questo leggiadro fiore era paragonata l’andatura a piccoli passi delle donne cinesi tra il X e il XX secolo. Frutto di una disumana tradizione che, travalicando Cenerentola, imponeva fin dall’infanzia la “riduzione” dei piedi femminili a dimensioni tra 7 e 12 cm (detti fior di loto o gigli d’oro).  

La brutale coartazione dei piedi iniziava fra i due e gli otto anni d’età (in campagna anche dopo i 10-12 anni, per sfruttare al massimo il lavoro delle ragazze nei campi), ed era affidata alla madre che per prima l’aveva subita ed accettata. Consisteva nel piegare forzatamente e progressivamente in basso il metatarso (fino a fratturarlo) portando le quattro dita del piede (alluce escluso) di sotto la pianta, ed avvicinando gradatamente questa al tallone. Si fasciava strettamente il tutto, ed impietosamente si ordinava alla bimba di camminare nonostante il dolore che ciò avrebbe comportato!

Ripetuta più volte il giorno ininterrottamente per 5-10 anni, la penosa procedura conseguiva l’accorciamento del piede che assumeva la forma finale di mezzaluna, tenuto fasciato giorno e notte, infine “valorizzato” da scarpette a punta finemente ricamate (talune, veri capolavori). Definitivo risultato era l’impossibilità per la donna di poggiare a terra la ridotta pianta del piede ora occupata dalle quattro dita ripiegate; con il peso del corpo che finiva per gravare sul solo calcagno. Ne conseguiva un precario equilibrio tanto nella postura quanto nell’incedere della donna, con oscillazioni avanti e indietro forzosamente aggraziate ed incerto e faticoso avanzare a piccoli passi, anche nel tentativo di attutirne il dolore. Nonostante precauzioni igieniche frequenti erano, infatti, ferite, suppurazioni, piaghe e gangrena: perché unghie e dita del piede continuavano a crescere, sotto la pianta.

  

Abolita ufficialmente nella Cina Imperiale (1928), la crudele usanza è persistita sino agli anni ’50. In un millennio, più di un miliardo di donne sono state private della possibilità di camminare: ancora oggi alcune ultrasettantenni faticosamente si trascinano a passettini in vicoli di città o in campagna.

 Piedi e scarpe hanno da sempre simboleggiato erotismo (“fare piedino”, sfilare le scarpe all’altro e bacio dei piedi, atti di grande intimità) e fecondità (augurali cordate di scarpe frammiste a barattoli agganciate alla macchina di sposi just married). Parte integrante di una patriarcale società cinese, i minuti piedi femminili dovevano invece visibilmente manifestare: accettazione della netta divisione tra i sessi, compiacimento verso il marito, comprovata capacità della donna di sopportare il dolore. Vale a dire: assoluta sottomissione femminile.

Alla presentazione della fidanzata la futura suocera soleva per prima cosa sollevare la gonna della ragazza per osservarne i piedi, a “testimoniare” lo status della famiglia di provenienza se avesse avuto, o meno, bisogno del lavoro della ragazza nei campi o in bottega. E per famiglie contadine, ostentare figlie con piedi “fior di loto” era un tentativo di “scalata” ad un superiore gradino sociale, oltre a prospettive di buon matrimonio: nel quale la donna finiva per essere “gingillo” del marito-padrone. Perché il fine vero dell’aberrante deformazione era un sicuro mezzo di controllo della sessualità femminile: praticamente impossibilitata a camminare, la donna restava confinata all’interno delle mura domestiche, egualmente impedita a fuggire dall’harem.

Anche in Occidente non sono mancati esempi in cui, per vanità o nel rispetto di tradizioni e costumi del tempo, la donna sia stata sottoposta ad innaturali supplizi. Che dire, infatti, della moda di corsetti (XIX – inizio XX sec.) talmente stretti da provocare eterei svenimenti e deformazioni della gabbia toracica femminile? O dell’usanza in donne africane di allungare il collo (in realtà abbassare le spalle) con progressivi anelli metallici, come nelle tribù Kajan? E milioni di donne “moderne”, non stringono volontariamente i piedi (e denti) in scarpe a punta, perché sembrino più slanciati?

Sulla condizione femminile ha fortemente inciso, nel 1965, una rivoluzione nel vestire: nasce in Inghilterra la minigonna, con Mary Quant che ne affida il lancio alla diciassettenne Twiggy. Dal significato letterale di virgulto, legnetto, Twiggy fu una primissima top model che furoreggiava per magrezza, tanto da essere definita stampella, stecchino, granchio. Manifestazione del desiderio di libertà ed emancipazione della donna, il dibattuto capo d’abbigliamento ha messo infine d’accordo maschi e femmine entrando stabilmente nella storia del costume. Ma se i “piedi di loto” furono malvagiamente imposti alle donne cinesi per un fine preciso, gli odierni vertiginosi “tacchi a spillo”, perché calzarli?

Di là da precursori (antico Egitto, Grecia, Roma), un primo uso di tacchi femminili risalirebbe a Madame Pompadour (1721-1764). Da pochi e fino ad 8 cm, l’effetto ottico consiste nell’allungare la gamba conferendo risalto alla caviglia ed eleganza al piede. Tacchi “a spillo” di origine italiana (tra 12 e 18 cm) compaiono già negli anni ’50: convergono su una piccola base metallica di rinforzo non sufficiente, però, ad impedire in chi li ammira … la promessa di una caduta imminente.

Padre dell’esistenzialismo (esistenza individuale e sua precarietà), il filosofo e teologo danese Kierkegaard (1813-1855) affermava: “… la moda sarebbe capace di far mettere l’anello al naso della donna-massa convincendola così d’essere affascinante e seduttrice”. Facile profezia anche se, storicamente, tribù nomadi del Medio Oriente e popolazioni pre-colombiane ed afro-asiatiche fin dai tempi della Bibbia usavano perforare parti del corpo con oggetti di materiale diverso (metallo, osso, pietre varie) a fini di ornamento, identificazione, erotismo o pratiche magico-rituali. Emblematica è l’attuale moda del piercing (così come i tatuaggi) che non si arresta di fronte a pericolosi eccessi.

Moda fatta per diventare fuori moda” (Coco Chanel) se, per restare in tema di scarpe femminili, un recente slogan impone: “chiamami babbuccia, sarò la tua scarpa scic” (le slippers, calde ed avvolgenti scarpe da riposo invernali, guai a chiamarle pantofole)! Nell’un caso e nell’altro trappola commerciale (“se solo avessi da spendere”) che annulla indipendenza ed autonomia della donna. Allettata per piacere a se stessa? E a chi altri? Certamente al maschio, ma non sarà questi il miglior giudice dell’effetto seduzione, bensì … lo sguardo d’invidia di altre donne! recitare

Croce e delizia di ogni donna, questi discussi accessori (al rialzo) non s’impongono solo per le “occasioni”. Diventano “irrinunciabili” perché, con sottesa malizia, “fanno bene all’eros”: finiscono così per vedersi a scuola, al lavoro, in autobus, al supermercato. Di recente, ortopedici delle Università di Manchester e Vienna hanno però lanciato l’allarme. L’abituale uso di tacchi che superino i 5 cm provoca un accorciamento delle fibre muscolari, ispessimento del tendine di Achille, e può essere responsabile dell’insorgenza del neuroma (neoplasia benigna di un nervo plantare, generalmente tra II e III dito) di Civinini-Morton,  la cui sindrome consiste in un improvviso, violento dolore alla pianta e fra le dita dei piedi acuito dai movimenti del piede stesso.

Chi bella vuole apparire un po’ deve soffrire”, recita un antico detto. Ma la storia non finisce: “senza tacchi? Mai! L’importante è rialzarsi” (caviglie non rotte, permettendo). Ed ecco l’imprigionarsi dei tacchi nei “sampietrini” o in grate per strada, finendo per camminare con le scarpe rotte in mano; o con improvvise, rischiose cadute! Il record di queste spetta alle passerelle della moda, grazie ai tanti fotografi pronti ad immortalare invereconde … pericolose cadute di stile!

(Ovvero) L’antica aspirazione della donna, d’infrangere le tradizionali barriere della disparità femminile, sta concretamente realizzandosi in molti campi professionali, e non ha tardato che sia già avvenuto in quello della rappresentanza politica ed istituzionale. Un dubbio sorge allora, spontaneo: imporre alle donne imbarazzanti “mode estreme”, non sarà mica una sottile, perfida vendetta maschile volta a sfruttare la naturale tendenza della donna a rivaleggiare in seduzione per sminuirne, quasi a volerla ridicolizzare, le affermazioni rispetto a loro maschi? Trattasi comunque di un ricatto: o stare immobili nell’olimpo dei vertiginosi tacchi a spillo, o scendere dai coturni e toccare di nuovo terra (“coturni” erano alti supporti di legno cui ricorrevano attori tragicomici, greci e romani, per caratterizzare loro personaggi).

Ma tra coturni e tacchi a spillo, cosa c’entra un ginecologo, e da quale parte sta? (A preventiva difesa) “… se per i misogini le donne possono portare il mondo alla perdizione, a salvarlo da ultimo saranno sempre le madri.”: così termina un mio libro (*).

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(*) “Solo la donna nasce due volte …” Ed. “Pagine” Roma (premio letterario Cesare Pavese 2007).