APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE AL TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL PAZIENTE IN TRATTAMENTO DIALITICO.
Massimo Iappelli
*U.O.S.D. Chirurgia dell’Uremico e Trapianto di Rene
Polo Ospedaliero Interaziendale per i Trapianti
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-INMI Lazzaro Spallanzani - ROMA
Analizzando i dati dei Registro Regionali di Dialisi, appare evidente che sempre un maggior numero di pazienti viene avviato a trattamento dialitico, che nell’ultimo decennio la sopravvivenza del paziente in dialisi è costantemente aumentata, e che sempre un maggior numero di soggetti anziani beneficia del trattamento sostitutivo.
Da ciò deriva un aumento della popolazione di dializzati in generale, ed in particolare della popolazione anziana. Le numerose comorbilità che presenta questa categoria di pazienti, sono legate sia al processo di senescenza fisiologico, sia alle complicanze peculiari del trattamento dialitico.
E’ noto che il paziente uremico, soprattutto se anziano raggruppa in se molti elementi di fragilità. La durata del trattamento sostitutivo, che si protrae per molti anni, amplifica tale debolezza e fa di questo paziente peculiare di un inquadramento multidisciplinare.
La sindrome uremica è di per se corredata da un interessamento plurimetabolico e multiorganico, che richiede al curante una capacità di analisi clinica particolarmente spiccata, ma al tempo stesso di una capacità di sintesi efficace.
La comorbilità, espressione cardine della fragilità del paziente uremico, si esprime nel paziente in dialisi in modo particolarmente complesso (1).
Fanno parte del quadro clinico del paziente in dialisi, le molteplici manifestazioni della cardiopatia ischemica, dall’insufficienza coronarica cronica, alla sindrome coronarica acuta, all’infarto con le sue complicanze immediate e tardive. La miocardiopatia è favorita da una precoce aterosclerosi , ed è accompagnata dal quadro dello scompenso congestizio, direttamente correlato alle modificazioni acute della volemia del periodo interdialitico (2).
La mancanza dell’azione omeostatica ed endocrinologica del rene espone il paziente uremico a una cronica anemia, non sempre correggibile con la moderna terapia farmacologica (3,4,5), e alle gravi conseguenze dell’alterato metabolismo del calcio e del fosforo con i conseguenti complessi fenomeni patologici multi organici tipici dell’iperparatiroidismo secondario (6,7,8,9).
Il paziente uremico sviluppa una malnutrizione proteico-energetica qualitativamente e quantitativamente molto severa, malgrado le costanti raccomandazioni dietetiche (10).
Le sue manifestazioni sono molteplici, ciascuna con immediate conseguenze cliniche (deficit immunitari, complicanze infettive, disturbi nel metabolismo e nel trasporto dei farmaci, riduzione del potenziale antiossidante), tra le quali spicca la riduzione della massa muscolare scheletrica (11).
Questo fenomeno si distingue per la rapidità di insorgenza e per meccanismi eziologici, da quello più propriamente collegato all’invecchiamento. La combinazione dei due fenomeni involutivi (patologico il primo, con caratteri parafisiologici il secondo) si riflette profondamente sulla scarsa mobilità di questi pazienti, altro importante elemento di fragilità. L’ipomobilità infatti comporta automaticamente una riduzione dell’autonomia funzionale e può essere di possibili complicanze (respiratorie, tromboemboliche ecc.).
L’uremia determina una riduzione della tolleranza glicidica, che facilita la comparsa di diabete mellito potenziale. L’aumento inoltre dell’età media nei pazienti incidenti, ha comportato anche un maggior ingresso di pazienti diabetici che ne tempo hanno sviluppato insufficienza renale cronica Tra tutti i pazienti in dialisi, circa 30% è diabetico. Questa percentuale è più alta nei pazienti anziani. I pazienti diabetici a loro volta sviluppano più facilmente una serie di complicanze subentranti,.
Anche l’equilibrio emocoagulativo risulta spesso alterato nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica. Ciò può essere correlato ai trattamenti farmacologici con anticoagulanti o antiaggreganti (per preservare FAV o stents vascolari), all’aumento omocisteina, all’ impiego dell’eparina durante il trattamento emodialitico, all’anemia.
Come è noto, tutti questi aspetti riportati presi singolarmente determinano un aumento del rischio operatorio generico.
La complessità “chirurgica” del paziente in trattamento dialitico, dipende dal fatto che il soggetto uremico, come ampiamente esposto, è portatore contemporaneamente di più patologie, ed è in trattamento plurifarmacologico.
L’integrazione tra chirurgo e il nefrologo è quindi alla base del successo dei pazienti in dialisi pazienti che presentano una patologia di interesse chirurgico.
Il trattamento chirurgico del paziente uremico, deve essere considerata come prestazione di “eccellenza” e deve essere sviluppata in centro di alta specializzazione dove il paziente affetto da insufficienza renale cronica trova gran parte delle soluzioni ai diversi problemi chirurgici che si possono presentare.
L’”offerta chirurgica” deve essere la più ampia possibile:
dal confezionamento degli accessi vascolari per emodialisi (da quelli più semplici della FAV distale a quelli più complessi con l’impiego di protesi vascolari) (13,14), al posizionamento di cateteri peritoneali, al trattamento della patologia neoplastica dell’addome , a quella endocrinologica (paratiroidei), al trapianto renale, ed a tutte le patologie ad esso correlate (15,16,).
Una Unità Operativa così strutturata, si deve far carico di tutta una serie di problematiche del paziente da inserire in lista d’attesa per trapianto come ad esempio nefrectomie per rene policistico, colelitiasi, patologia paratiroidea in ultimo espianti di rene già trapiantati nel caso in cui al ricevente venga riprogrammato un secondo trapianto.
Anche i pazienti già trapiantati devono avere facile accesso per un trattamento tempestivo delle complicanze chirurgiche precoci o tardive come le stenosi o il reflussi ureterale, la chiusura FAV, oppure per il trattamento di patologie “de novo” neoplastiche o non (17,18,19).
L’importanza di trattare il paziente trapiantato chirurgico presso il Centro Trapianti è sostenuta anche dalla capacità di gestione della terapia immunosoppressiva nell’immediato periodo post-operatorio.
Dall’integrazione corretta chirurgo-nefrologo è possibile affrontare con successo una delle patologia emergente nei soggetti in trattamento dialitico ossia il carcinoma renale occulto. Il rischio relativo di sviluppare una neoplasia renale per i dializzati è approssimativamente di 40 volte superiore rispetto alla popolazione generale, con un aumento del rischio maggiore nei giovani e nelle donne proporzionale all’età dialitica ma non al tipo di dialisi (20).
Fattore predisponente è rappresentato dalla malattia Renale Multicistica Acquisita.
La fase chirurgica propriamente detta deve tenere in considerazione numerosi parametri.
Uno dei fattori di successo è la preparazione all’intervento.
Tutti i pazienti che giungono all’intervento chirurgico devono essere sottoposti ad una accurata valutazione generale, cardio-respiratoria in particolare.
Per quanto riguarda l’aspetto nefrologico-dialitico, è utile sottoporre a 3-4 sedute dialitiche quotidiane, nei giorni che precedono immediatamente l’intervento chirurgico, in modo da evitare il trattamento dialitico nelle 48-72 ore successive all’intervento tutte le volte che è possibile. Ciò ha il vantaggio di non eparinizzare il paziente (anche se con dosaggi minimi), di non alterare l’equilibrio emodinamico, limitare gli spostamenti nel reparto dialisi, dove l’osservazione “chirurgica”si riduce.
Uno dei principi generali della chirurgia, ed irrinunciabili nel paziente uremico, è la limitazione del trauma chirurgico; limitare ad esempio la estensione delle incisioni chirurgiche significa sacrificare al minimo la massa scheletrica, permettere una più facile cicatrizzazione, ridurre il rischio di raccolte, precoce ripresa motoria, una riduzione dell’incidenza del laparocele post-operatorio (frequente soprattutto nel trattamento peritoneale). Il livello di resezione nel campo della chirurgia demolitiva deve rispettare principi anatomici generali, ma si deve adattare alla situazione vascolare del singolo paziente.
Per il raggiungimento di tale obiettivo ci aiuta l’accesso video laparoscopico (VLS).
Infatti la maggior parte degli interventi addominali intra o extraperitoneali per patologia neoplastica e non, possono essere eseguiti in sicurezza con la tecnica video laparoscopica.
Essa rappresenta “gold standard” per il paziente uremico in dialisi peritoneale;
infatti permette di limitare il problema della creazione di aderenze post-chirurgiche, causa di drop out della dialisi peritoneale, e riduce l’incidenza del laparocele postoperatorio.
La VLS, può essere di grande aiuto nei soggetti già sottoposti a laparotomie che richiedono un trattamento dialitico peritoneale. La VLS, consente il corretto posizionamento del catetere per dialisi peritoneale, evitando la dislocazione in punti della cavità addominale interessati da processi aderenziali, frequente causa di fallimento di questa tecnica.
Quando la VLS non trova indicazione, come ad esempio in presenza di voluminosi reni policistici, la via extraperitoneale deve essere sempre perseguita quei pazienti in trattamento peritoneale. In tale caso è da privilegiare la via lombotomica posteriore mantenendo così intatto la cavità peritoneale.
Quando si utilizza la via laparotomia , l’intervento deve essere condotto nel rispetto dei piani anatomici, aggredendo in modo selettivo i peduncoli vascolari dei singoli organi, limitando l’estensione del trauma chirurgico (21).
L’accuratezza chirurgica favorisce la stabilità emodinamica durante l’intervento, limita l’emorragie (soggetti con cardiopatia), e previene le raccolte ematiche che nel post-operatorio possono causare iperpotassiemia con conseguente urgenza dialitica.
Tutti gli interventi di chirurgia maggiore devono prevedere un monitoraggio intraoperatorio accurato con il posizionamento di un CVC in giugulare interna. La possibilità di determinare la PVC, permette un riempimento corretto del paziente, e permette successivamente la somministrazione di soluzioni ipertoniche nel post-operatorio per il controllo dell’iperpotassiemia.
Se il paziente è portatore di catetere peritoneale, durante la seduta chirurgica è prudente posizionare un catetere venoso centrale per emodialisi transitorio in giugulare interna. Per ridurre il rischio infettivo, è utile sempre procedere alla sua tunnellizzazione nel sottocute.
Questa procedura eseguita in anestesia generale limita al massimo il disconfort del paziente.
Nell’immediato periodo post-operatorio l’indicazione al trattamento sostitutivo è sempre di tipo emodialitico. Esso deve rispondere soprattutto al trattamento dell’iperpotassiemia, al controllo dell’ acidosi metabolica resistente a terapia medica (legati entrambi all’estensione e quantità di tessuti coinvolti nello stress chirurgico), e al controllo dell’ espansione della volemia.
L’organizzazione della struttura ospedaliera e il grado di sinergia che si riesce a stabilisce tra le differenti competenze specialistiche, è in grado di condizionare i risultati in termini di morbilità e mortalità su questa categoria dei pazienti uremici.
La chirurgia del paziente uremico va eseguita in un Centro di chirurgia ad alta specializzazione dove sono presenti:
· Sala operatoria con strumentazione e presidi tecnologici moderni dai bisturi di
ultima generazione, all’ecografo intraoperatorio, alla strumentazione per video laparoscopia.
Personale infermieristico informato correttamente sull’importanza della protezione della FAV e dei cateteri peritoneali, sul massimo rispetto delle regole dell’asepsi.
· Terapia intensiva e/o sub-intensiva con la possibilità di accogliere quei
pazienti più critici, per permettere loro un monitoraggio delle funzioni cardiorespiratorie, del bilancio idro-elettrolitico (controllo accurato della volemia per prevenire edema polmonare acuto ) per il controllo del’iperpotassiemia , per la possibilità di eseguire trattamenti dialitici in continua (CVVH), per il trattamento del dolore.
· Reparto dì degenza in grado di assicurare controllo continuo del paziente
chirurgico, dotato di dispositivi di monitoraggio, che permettono di tenere sotto controllo H 24 le funzioni vitali come frequenza cardiaca, respiratoria, la pressione arteriosa , l’ ossimetria, la PVC.
Il personale infermieristico deve essere adeguatamente preparato, in grado di gestire gli accessi vascolari tipo fistole artero-venoso, dispositivi temporanei, i cateteri peritoneali e di assistere il paziente durante gli scambi. Deve altresì rispettare il più possibile il patrimonio venoso superficiale degli arti superiori prendendo tutte le precauzioni per prevenire episodi di tromboflebite.
I servizi igienici devono essere adeguati, considerando che questi pazienti spesso presentano confezioni da virus C o virus B.
Il reparto di degenza deve infine prevedere opere murarie che consentono di eseguire in urgenza trattamenti emodialitici direttamente a letto del paziente, evitando il trasferimento in sala dialisi .
· Servizio dì fisiochinesi terapia respiratoria e motoria
· Servizio dì nutrizione per diete bilanciate con il corretto apporto calorico ed una percentuale proteica adattato alla funzione renale.
CONCLUSIONI
La maggiore percentuale dei pazienti in trattamento dialitico sono soggetti con più di 10 anni di trattamento, sono anziani con età superiore a 75 anni, sono diabetici . Questa categoria di pazienti considerata “fragile”, è destinata innanzitutto ad aumentare di numero nei prossimi anni , ma soprattutto è quella che riporta risultati peggiori tutte le volte si trova ad affrontare nuovi eventi patologici che modificano il loro precario equilibrio.
Il trauma chirurgico su questi pazienti risulta spesso amplificato è può rappresentare l’evento scatenante di complicanze mediche e/o chirurgiche che limitano il successo dell’intervento in termini di morbilità e mortalità post-operatoria.
Per una gestione ottimale di questi pazienti è indispensabile la ottima competenza di chirurgia generale in grado di gestire il paziente in termini di tecnica chirurgica e di gestione delle complicanze.Questa competenza tuttavia da sola non è in grado di fare la differenza.
Il requisito fondamentale per il successo, è la creazione di una struttura multidisciplinare, dove convergono differenti specialisti. La sintesi del paziente operato rimane ad appannaggio del chirurgo che deve avere una capacità di analisi clinica particolarmente spiccata, in grado di relazionare e selezionare i differenti specialisti.
Bibliografia
1 – Delaroziere JC, Gentile S, devictor B, Bongiovanni I, et al.:
Epidemiogical characteristic of elderly dialysed patients aged 75 and more.
Press Med. 2003:32:1835-9.
2 - Foley RN, Parfrey PS, Sarnak MJ. Clinical epidemiology of cardiovascular disease in chronic renal disease. Am. J Kidney Dis 1998;32 (5 Suppl3) S 112-9
3 - Locatelli F, Pisoni RL, Combe C, et al. Anaemia in haemodialysis patients of five European countries: association with morbidity and mortality in the Dialysis Outcomes and Practice Patterns Study (DOPPS).
Nephrol Dial Transplant 2004; 19: 121-32.
4 - Volkova N, Arab L. Evidence-based systematic literature review of hemoglobin/hematocrit and all-cause mortality in dialysis patients.
Am J Kidney Dis 2006; 47: 24-36.
5 - Li S, Collins AJ. Association of hematocrit value with cardiovascular morbidity and mortality in incident hemodialysis patients. Kidney Int 2004; 65: 626-33.
6 - Rodriguez-Benot A, Martin-Malo A, Alvarez-Lara MA, Rodriguez M, Aljama P. Mild hyperphosphatemia and mortality in hemodialysis patients.
Am J Kidney Dis 2005; 46: 68-77.
7 - Ketteler M, Gross ML, Eberhard R. Calcification and cardiovascular
problems in renal failure. Kidney Int 2005; 67 (Suppl. 94): S120-7.
8 - Goodman WG, Goldin J, Kuizon BD, et al. Coronaryartery calcification in young adults with end-stage renal disease who are undergoing dialysis.
N Engl J Med 2000; 342: 1478-83.
9 - Goldsmith D, Ritz E, Covic A. Vascular calcification: A stiff challenge for the nefrologist. Kidney Int 2004; 66: 1315-33.
10 – Joly D, Anglicheau D, Alberti C, Nguyen AT, et al.:
Octogenarians reaching end-stage renal disease: cohort study of decision-making and clinical outcomes.J Am Soc Nephrol 2003; 14: 1099-101.
11 – Druml W. Nutritional management of acute and chronic renal failure. J. Ren. Nutr. 2005; 15: 63-70.
12 - Casas PJ, Bautista LE, Hingorani AD
Homocysteine and Stroke: Evidence on a casual link from mendelian randomisation.
Lancet 2005; 365:224-32
13 - Pisoni RL, Young EW, Dykstra DM, et al. Vascular access use in Europe and the United States: results from the DOPPS.
Kidney Int 2002; 61: 305-16.
14 - National Kidney Foundation: K-DOQI clinical practice Guidelines for vascular access: update 2000. Am J Kidney Dis 2001; 37 (Suppl.): S137-81.
15 - Vajdic CM, McDonald SP, McCredie MRE et al.
Cancer incidence before and after kidney transplantation.
JAMA 2006; 296: 2823-2831.
16 -Goldfarb-Rumyantzev A, Hurdle JF, Scandling J et al.
Durantion of end-stage renal disease and kidney transplant outcome.
Nephrol Dial Transplant 2005; 20: 167-75.
17- Roupret M, Peraldi MN, Thaunat O, et al: Renal cell carcinoma of the grafted kidney: how to improve screening and graft tracking.
Transplantation 2004; 77: 146-8.
18 - Ravani P, Brunori G, Mandolfo S, et al. Cardiovascular comorbidity
and late referral impact arteriovenous fistula survival: a prospective
multicenter study. J Am Soc Nephrol 2004; 15: 204-9.
19 - Bruno S, Remuzzi G. Vascular access-related thrombotic complications:
research hypotheses and terapeutic strategies. J Nephrol 2006; 19: 280-5.
20 - Stewart JH, Buccianti G, Agodoa L. et al:
Cancers of the Kidney and urinary tract in patients on dialisi for end stage renal disease: analysis of data from United Stetes, Europe, and Australia and New Zealand.
J Am Soc Nephrol 2003; 14: 197-207.
21- Schor N. Chronic renal failure and sepsis syndrome.
Kidney Int 2002; 61: 764-76