EVOLUZIONE DEL TRATTAMENTO  CHIRURGICO DELLE NEOPLASIE  DELLA MAMMELLA

 

G. Gucciardo

 

Il cancro della mammella è stato descritto fin dall’antichità. La sua natura misteriosa e complessa venne intuita fin  dal 3000 a.C. in Egitto. Anche i medici Romani e  Greci  avevano pratica della cura della malattia che era fin da allora chirurgica. L’aspetto più interessante è rappresentato dal fatto che l’evoluzione della terapia, empirica nei tempi più antichi, divenne successivamente  ( Grecia, Roma ,Medio Evo ecc.) il riflesso delle credenze sulle cause e si basò sull’osservazione della storia naturale della malattia. Molti medici  dal ‘500 in poi adottarono trattamenti più o meno cruenti per amputare la mammella con risultati scoraggianti e infezioni che conducevano quasi sempre  la paziente al decesso. Dal ‘ 600 in poi  vennero adottati strumenti chirurgici che consentivano di eseguire l’intervento in modo molto rapido. Già nel 1773 un chirurgo francese, Bernard Peyrilhe propose l’asportazione insieme alla mammella anche del muscolo pettorale e dei linfonodi ascellari, precedendo cosi di circa un secolo Halsted. Tuttavia solo con l’introduzione della anestesia generale nel 1846 e soprattutto dei principi dell’antisepsi nel 1867  si iniziò ad osservare qualche miglioramento soprattutto della mortalità operatoria che come già detto era molto alta, e raggiungeva il 20% dei casi. Le pazienti che sopravvivevano all’intervento raramente vivevano oltre due anni, provocando sconforto nei chirurghi che mai vedevano una donna guarire. Comunque in quegli anni si consolidò la teoria della origine locale della neoplasia e il principio che per evitare le recidive si dovesse adottare una chirurgia sempre più radicale ed estesa ai linfonodi ascellari.

La terapia chirurgica del carcinoma della mammella  è cambiata radicalmente solo negli ultimi 100 anni da quando è migliorata la comprensione della biologia di questa neoplasia estremamente eterogenea   e complessa. Gli interventi di  mastectomia radicale e di mastectomia radicale allargata erano  basati sulla teoria che la malattia si diffondesse localmente soprattutto per via linfatica. Con interventi cosi radicali si otteneva un controllo locale della malattia relativamente efficace ma molte pazienti comunque avevano recidive a distanza non controllabili e la “rincorsa al tumore” ampliando sempre di più localmente l’estensione dell’exeresi si dimostrò inutile  e priva di  ulteriori benefici (intervento di Urban, di Wangesteen ecc.). Un primo cambiamento ,l’ adozione della mastectomia radicale modificata secondo Patey o secondo  Madden segnò una parziale marcia indietro rispetto ai principi enunciati da Halsted anche se le modifiche riguardavano solo la conservazione dei muscoli pettorali. Negli anni 60  lo studio del Guy’s Hospital iniziò l’era dei trials sui trattamenti conservativi del carcinoma della mammella ma il  grande numero di recidive locali costrinse  i ricercatori ad interrompere il programma di ricerca. Come si dimostrerà dopo alcuni anni, con i trials americani ed  europei, l’insuccesso fu determinato da un trattamento  radioterapico postoperatorio inadeguato . Questo insuccesso determinò a lungo una resistenza a procedere sulla strada della terapia conservativa. Il cambiamento radicale  doveva arrivare solo all’inizio degli anni ’70 quando si cominciò ad ipotizzare che la diffusione della malattia fosse dovuta dalla disseminazione sistemica delle cellule neoplastiche fin dall’inizio dello sviluppo del tumore e che la terapia chirurgica locale avesse una influenza secondaria nelle recidive a distanza. Una  serie di studi randomizzati e prospettici americani ed europei  ai quali si accennava in precedenza (NSABP B - 06, Milano 1, Gustave- Roussy ) ben disegnati, dimostrarono che la sopravvivenza a distanza non era differente fra il gruppo di pazienti trattate con terapia conservativa con un trattamento di radioterapia postoperatoria in dosi adeguate e quello trattato con mastectomia radicale. S i dimostrava così che il dogma Halstediano  non era applicabile alla maggioranza delle pazienti. Il contributo di Veronesi fu molto importante perché il trial dell’ Istituto dei Tumori di Milano ( Milano 1) riservava una importanza fondamentale al controllo locale della malattia. La quadrantectomia prevedeva infatti l’asportazione dell’intero quadrante sede della neoplasia primitiva ritenendo  che i focolai neoplastici occulti in situ o infiltranti potessero essere così inclusi  nella loro quasi totalità nel quadrante asportato . Una delle obiezione degli “avversari” al trattamento conservativo dei tumori della mammella era infatti motivata con la più volte dimostrata multifocalità e multicentricità del tumore della mammella. I risultati a distanza dimostrarono comunque che la Radioterapia in dosi efficaci poteva controllare  lo sviluppo dei focolai occulti di carcinoma.  La possibilità di somministrare un trattamento radioterapico efficace fu cruciale nello sviluppo e nella adozione sempre maggiore degli interventi conservativi. Il trattamento prevedeva la somministrazione di piccole dosi quotidiane di radiazioni per un periodo di 5 settimane seguito o no da una sovradose erogata nella  sede della neoplasia per un totale di 50/55 Gy . Finalmente un trattamento complementare alla chirurgia efficace permetteva di trattare le pazienti affette da carcinoma della mammella senza alterare la loro immagine corporea e con buoni risultati estetici nella maggior parte dei casi. Per passare da Halsted a Veronesi ,come amiamo dire noi in Italia, ci vollero circa 100 anni. Da allora i cambiamenti sono stati molti e molto più rapidi. Il più significativo riguarda  la chirurgia dei linfonodi ascellari. Nei trials citati i linfonodi ascellari venivano asportati in blocco con la neoplasia nella loro totalità causando talvolta parestesie al braccio  e ,nei casi peggiori, edema più o meno grave  del braccio .All’inizio degli anni ’90 rifacendosi a studi precedenti  sulla asportazione dei linfonodi loco regionali nel melanoma e nel cancro del pene, vennero iniziati alcuni trials per esplorare la possibilità di asportare un solo linfonodo, il linfonodo sentinella, anche nelle pazienti affette da carcinoma della mammella. I risultati positivi incoraggianti fin dai primi tempi ( Giuliano , Veronesi) favorirono  una rapida diffusione della metodica.

 

 

Giacomo  Gucciardo

Direttore UOSD Chirurgia oncologica  della mammella e gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici

Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini . Roma