Steatosi non alcolica (NAFLD: non-alcoholic fatty liver disease) e steatoepatite (NASH: non alcoholic steatohepatitis)
Antonio Grieco, Luca Miele, Consuelo Cefalo, Alessandra Forgione, Giovanni Gasbarrini.
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Istituto di Medicina Interna e Geriatria. Università Cattolica del Sacro Cuore. Roma.
La steatosi è di comune riscontro nei reperti istologici epatici in condizioni cliniche che riconoscono diversa eziologia e quadro clinico, ma che hanno in comune l’accumulo di trigliceridi intraepatocitario come espressione epatica della malattia.
Il riscontro isolato di steatosi epatica costituice una condizione benigna di scarsa evolutività clinica, tuttavia la presenza di un infiltrato infiammatorio con corpi di Mallory associato a fibrosi di grado variabile, in pazienti che non hanno storia di assunzione di alcolici, caratterizza il quadro della steatoepatite non alcolica (NASH). Dal punto di vista clinico-bioumorale, la NASH, è caratterizzata da un moderato o a volte scarso movimento delle transaminasi (AST, ALT), associato a movimento delle γ-glutamil transferasi (γ-GT) ed al riscontro ecografico di un fegato grasso. La diagnosi di NASH richiede, comunque, la esecuzione della biopsia epatica eco-guidata. [1],[2]
A causa della possibile evoluzione verso la cirrosi e l’epatocarcinoma[3], la NASH rappresenta la forma clinica più severa[4] delle patologie epatiche definite “steatosiche non alcoliche” (NAFLD: Nonalcoholic Fatty Liver Disease). [5] Tale definizione ha inquadrato in un'unica famiglia le forme di epatopatia da accumulo lipidico con aspetti istologici che vanno dalla semplice steatosi alla NASH con fibrosi.
La NAFLD è, attualmente, la più comune causa di alterazione degli indici di funzionalità epatica, interessando circa il 10-24% della popolazione generale, mentre la NASH è stimata essere presente nel 3%.[6] [7] [8] Alcuni studi attestano al 57,5% la prevalenza generale,[9] tuttavia tale dato aumenta sino al 74% se si considerano le persone obese, come dimostrato da un recente studio italiano.[10] Indipendentemente dal BMI, la presenza di diabete mellito di tipo 2 aumenta significativamente il rischio e la severità della steatosi epatica non alcolica.[11]
La NASH è stata individuata in un ampio numero di patologie del metabolismo, sebbene, nella sua forma idiopatica, sia di frequente riscontro in pazienti che non presentano fattori di rischio per patologie dismetaboliche. Le associazioni più comuni rimangono l’obesità, il diabete mellito non insulino dipendente, la Sindrome Metabolica X, e l’iperlipidemia, anche se condizioni come la malnutrizione proteico-calorica, il by-pass digiuno ileale e l’uso di farmaci rappresentino dei fattori di rischio strettamente correlati all’insorgenza di una steatoepatite.[12]
Nell’inquadramento clinico del paziente con steatosi, non va esclusa la possibilita della eziologia iatrogena della lesione[13],[14] e che la stessa possa rappresentare una possibile condizione predisponente al danno da farmaci.[15]
Esistono, tuttavia, una serie di pazienti che pur non presentando una Sindrome Metabolica “completa”[16] hanno una steatosi epatica a tipo NASH e solo alcuni degli aspetti tipici della clinica dell’insulino-resistenza, come ad esempio l’ipertensione diastolica.[17]
La frequente associazione con il diabete e l’obesità ha indotto a ricercare una via comune nella patogenesi della NAFLD e della NASH.[18],[19] L’ipotesi patogenetica attualmente più accreditata del quadro NASH è quella del “double hit”, ovvero l’intervento di un “fattore scatenante”, su una condizione preesistente di steatosi epatica.[20],[21]
Una condizione di insulino-resistenza, tipica della Sindrome Metabolica X, determina un incremento della lipolisi periferica ed un aumento del flusso degli acidi grassi liberi al fegato, dove per aumento della β-ossidazione mitocondriale, per l’ossidazione perossisomiale ed una riesterificazione degli acidi grassi, oltre a determinare un aumento dei livelli ematici di trigliceridi, favorisce la formazione degli accumuli lipidici intraepatocitari [22] e possibile infiammazione a livello dello spazio portale. Il “second hit o fattore scatenante provocherebbe una risposta infiammatoria a livello epatico e avvierebbe i complessi processi fibrogenetici.
Nella nostra esperienza clinica abbiamo osservato, mediante l’esecuzione di metodiche non invasive, il Breath Testing di funzionalità epatica[23], come vi sia un’aumento della beta-ossidazione mitocondriale nei pazienti con NASH se confrontati con individui sani.[24]
Una ulteriore sorgente di stress ossidativo in grado di indurre un aumento dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS) con conseguente perossidazione lipidica con conseguente necrosi cellulare e fibrosi a partire dalla steatosi è rappresentata dall’induzione dei citocromi, in particolare del CYP 450 2E1 e 4A ,[25] I ROS, il possibile “second hit”, mediano il rilascio del TNF-α dagli epatociti, le cellule di Kupffer e dal tessuto adiposo.[26] Una concomitante deplezione di sostanze antiossidanti quali il glutatione e la vitamina E contribuirebbe a mantenere un livello elevato dei ROS.[27] Circa il ruolo del sistema microsomiale abbiamo recentemente osservato che la NASH a fianco delle alterazioni delle transaminasi, presenta anche una precoce alterazione della riserva funzionale farmaco dinamica così come espressa dalla attività del sistema microsomiale ossidativo P450 dipendente. Impiegando il metodo del breath testing, utilizzando come substrati la Metacetina e l’Aminopirina, abbiamo visto come il sistema microsomiale ossidativo P450 dipendente sia precocemente coinvolto se confrontiamo i risultati con quelli di controlli normali e con pazienti con epatopatia nota.[28] Abbiamo tuttavia osservato che quei soggetti che vengono sottoposti ad un regime dietetico ipocalorico, dopo 6 mesi presentano un miglioramento significativo degli indici considerati.[29] Una sorgente addizionale di stress ossidativo in grado di innescare la perossidazione lipidica e di generare il quadro necro-infiammatorio.[30],[31],[32] In particolare, l’overgrowth di batteri “etanolo produttori” nella flora intestinale è stato di recente investigato nell’uomo.[33] L’ipotesi dell’ ”etanolemia endogena” è stata dimostrata, al momento, come possibile fattore contribuente alla patogenesi della NASH nei soggetti obesi diabetici, ma non nei soggetti magri, probabilmente per le modificazioni della motilità intestinale di tali pazienti che favorirebbe l’overgrowth.36 Alla patogenesi della steatosi in corso di NAFLD potrebbe contribuire l’incremento della permeabilità intestinale combinata con la sindrome da contaminazione batterica come recentemente dimostrato dal nostro gruppo.[34]
La difficoltà di eseguire un follow-up istologico dei pazienti con NASH, ci ha indotto a valutare il possibile utilizzo clinico dei markers sierologi di fibrosi nella storia naturale della patologia. Abbiamo recentemente osservato che nei soggetti NASH si presenta una elevata attività delle citochine proinfiammatorie quali TGF-beta ed elevata espressione di livelli sierici di laminina.[35] Ciò conferma ulteriormante la convinzione che questo quadro possa evolvere con una attività fibrogenica fino ad un quadro di franca cirrosi. Ad oggi non è raro osservare delle cirrosi criptogenetiche che probabilmante in passato hanno avuto un quadro non diagnosticato di NASH.
Nella nostra esperienza, abbiamo dimostrato una stretta correlazione tra l’apposizione di tessuto fibrotico a livello epatico e livelli sierici di TGF-beta e TIMP1, nonché di leptina. [36],[37],[38],[39] Quest’ultima, in particolare, è un buon marker surrogato della distribuzione viscerale del tessuto adiposo indipendentemente dal BMI, e sembrerebbe mediare l’attività pro-fibrogenetica del TGF-beta. [40]
Date le considerazioni sulla patogenesi e sulla evolutività della NASH, è indiscutibile che la riduzione dello stress ossidativo a livello epatocitario sia determinante a ridurre il rischio di progressione della malattia, specialmente nei soggetti non diabetici e non obesi, nei quali la terapia farmacologia con metformina[41] è controindicata. Un corretto regime dietetico, il miglioramento della flora enterica e la supplementazione con agenti antiossidanti sembra essere il presidio terapeutico migliore nei pazienti con NASH “idiopatica”, ovvero non correlata ad altre condizioni metaboliche o sistemiche che richiedono un trattamento specifico.[42]
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Epatiti da farmaci
Antonio Grieco, Luca Miele, Giovanni Gasbarrini
Istituto di Medicina Interna e Geriatria. Università Cattolica del Sacro Cuore. Roma
Introduzione
Il fegato rappresenta il principale crocevia metabolico dell’organismo e la comprensione dei meccanismi patogenetici delle epatotossicità dei farmaci non può prescindere dalla conoscenza della sua struttura e delle sue funzioni. I processi metabolici cui sono sottoposti i farmaci all’interno del fegato, portano alla formazione di metaboliti che, agendo come reagenti elettrofili o radicali liberi possono causare un danno epatico attraverso diversi meccanismi: causando una deplezione del glutatione ridotto, legandosi covalentemente a proteine, lipidi, o acidi nucleici o attraverso un processo di perossidazione lipidica. I metaboliti possono, altresì, creare i presupposti per un processo di sensibilizzazione e un danno immuno-mediato attraverso un legame covalente e/o l’alterazione di diverse proteine epatiche, lo stesso citocromo P450 (CYP 450). Le conseguenze di queste alterazioni vanno dalla necrosi epatocellulare, all’apoptosi e alla sensibilizzazione verso le citochine e i mediatori dell’infiammazione prodotti.
Il processo di biotrasformazione epatica cui vanno incontro le sostanze una volta assunte è finalizzato a rendere queste maggiormente idrosolubili, in modo da renderne possibile la filtrazione a livello renale o la escrezione a livello biliare. Tale processo può essere schematicamente descritto in due fasi sequenziali tra loro o indipendenti: una prima fase dipendente dal Citocromo P450, in cui può avvenire una ossidazione o una demetilazione. In alcuni casi, i composti che, al termine della fase 1, non sono sufficientemente solubili, vengono sottoposti ad un processo di glicuroconiugazione o solforazione (o solfatazione) con aggancio di gruppi polari idrosolubili e formazione di esteri o di eteri. Ci sono dei composti che per il loro metabolismo necessitano della fase 1 e della fase 2 in successione, così come ci sono composti che necessitano solo della fase 2.
Patogenesi dell’epatite da farmaci
La tossicità indiretta è imprevedibile, di solito avviene in una percentuale inferiore di individui che presentano una maggiore suscettibilità al farmaco. Generalmente il tempo di latenza è variabile: da 1-8 settimane (latenza intermedia) a 4-12 mesi. Va distinta la allergia al farmaco, ovvero una condizione imprevedibile non riproducibile sperimentalmente e non dose-correlata, dalla idiosincrasia. L’idiosincrasia, geneticamente determinata, può essere immunologica (da ipersensibilità) o metabolica (da ridotta capacità farmaco-metabolizzante o da formazione di metaboliti anomali); può presetare una latenza variabile (da settimane a mesi) e consiste in una reazione tossica abnorme.
Nella patogenesi del danno il ruolo centrale è svolto dal Citocromo P450, la cui distribuzione zonale spiega la variabilità dell’espressione del danno. I metoboliti che si formano nel corso delle reazioni microsomiali possono essere altamente epatotossici (radicali carbonilici, nitroradicali, radicali liberi dell’ossigeno). In tal caso determinano direttamente lesioni irreversibili a carico di strutture cellulari di importanza fondamentale, come la membrana plasmatica o i mitocondri; ciò può risultare in un arresto della produzione di energia, o nella dissipazione di gradienti ionici, riduzione del potenziale di membrana con conseguente maggiore accumulo di calcio a livello intra-cellulare (via finale dei vari tipi di danno o morte cellulare causate da composti chimici) nonché nella distruzione dell’integrità fisica della cellula.
Esistono due principali sistemi di protezione per l’epatocita: il primo è rappresentato dall’inattivazione da parte di intermedi instabili che legandosi al Citocromo P450, ne consentono la distruzione e la impossibilità di perpetuare la formazione di ulteriori composti reattivi. Il secondo meccanismo consente la inattivazione di queste molecole altamente reattive ed instabili ad opera di enzimi protettivi (superossido-dismutasi: SOD, catalasi, glutatione-perossidasi: GSH). Non va dimenticato il ruolo dei sistemi antiossidanti costituiti da micronutrienti e vitamine (es. vit E).
Esiste una marcata variabilità, sia interindividuale che interetnica, nella capacità di metabolizzare i farmaci. Tale variabilità rende parzialmente conto delle differenti risposte cliniche (dalla mancanza di effetti alla comparsa di gravi effetti tossici) alla stessa dose di farmaco quotidianamente osservate nella pratica clinica. A determinare tale variabilità concorrono fattori di natura diversa: fisiologici (età, sesso), patologici (es.malattie epatiche o renali), ambientali (es. interazioni tra farmaci o altri composti chimici), genetici. La variabilità interindividuale per quanto concerne il contenuto e l’attività dei diversi isoenzimi del CYP450 è legata al polimorfismo genetico. In base alla cinetica enzimatica si distinguono: i metabolizzatori lenti, esposti al rischio di raggiungere elevate concentrazioni plasmatiche di farmaco, e di sviluppare quindi effetti collaterali concentrazione-dipendenti, ed i cossiddetti metabolizzatori rapidi, che rischiano di non beneficiare degli effetti terapeutici attesi o che possono sviluppare una tossicità secondaria alla rapida produzione di un metabolita. Ciò implica che l’effetto terapeutico, così come gli effetti secondari, del farmaco possa variare da individuo ad individuo.
Esiste anche un polimorfismo genetico anche per altri sistemi enzimatici deputati alla farmacometabolizzazione (N-acetiltransferasi 2, diidropirimidina deidrogenasi, tioprina metiltransferasi, pseudocolinesterasi).
Oltre alla variabilità genetica, il Citocromo P450 può essere influenzato fenomeni di induzione o di inibizione indotte dai farmaci stessi, da altre sostanze esogene o endogene, dallo stile di vita (fumo, alcool), dalla dieta (succhi di frutta, contaminanti). L’induzione e l’inibizione enzimatica del sistema microsomiale epatico non coinvolgono necessariamente tutte le sottofamiglie in modo uniforme, vi sono infatti isoforme enzimatiche particolarmente interessate da tali fenomeni. La conoscenza di tali meccanismi patogenetici può ridurre il rischio di danno da farmaci nella pratica clinica.
La patogenesi immunitaria dell’epatite da farmaci è dovuta, in genere, ad un meccanismo dose-indipendente: è un meccanismo poco frequente, indiretto, mediato da una risposta immune rivolta contro gli epatociti.
Due differenti tipi di meccanismi dose-dipendente possono essere coinvolti nel danno epatico indotto da farmaci: l’ipersensibilità allergica e l’idiosincrasia metabolica associata all’accumulo di metaboliti reattivi. I farmaci sono, infatti, delle piccole molecole organiche, che tendono di per sé ad essere poco immunogene. In seguito alle reazioni di biotrasformazione, che avvengono nel fegato per metabolizzare il farmaco, si formano, però, dei prodotti intermedi reattivi che possono danneggiare direttamente le strutture epatiche, oppure legarsi covalentemente a macromolecole e formare un antigene in grado di innescare una risposta immune. I complessi proteina-metaboliti formatisi vengono fagocitati dalle cellule di Kupffer, presentati sulla superficie cellulare in associazione alle molecole MHC di classe II, quindi ricosciuti dai linfociti T CD4+. Alternativamente, i metaboliti reattivi possono legarsi covalentemente alle proteine del reticolo endoplasmico o alle proteine del citocromo P450 responsabile della bioattivazione del farmaco; in questo caso, il complesso proteina-metabolita si lega alle molecole MHC di classe I, viene espresso a livello della membrana epatocitaria e riconosciuto dai linfociti T CD8+.
Per quanto riguarda il ruolo delle citochine di tipo Th1 e Th2 nella regolazione del danno epatico indotto da farmaci, si pensa che le cellule T CD4+, che secernono citochino di tipo Th1 (interleuchina 2 (IL-2), interferon-gamma (IFN-γ) e tumor necrosis factor alfa (TNF-α), esercitino un ruolo significativo nel provocare il danno, mentre le citochine di tipo Th2 (interleuchina 4 (IL-4) e interleuchina 10 (IL-10), esercitino una funzione inibitoria e siano presenti, inizialmente, a bassi livelli. Un modello, che aiuta a chiarire il ruolo lesivo e quello protettivo delle differenti citochine nella determinazione del danno epatico, è fornito dalla reazione di ipersensibilità innescata dal cloruro di picrile (PCl).Molto raramente, invece, le epatiti da farmaci possono essere provocate dalla classica reazione allergica IgE-mediata.
Aspetti anatomo-clinici
Aspetti morfologici
L’aspetto istopatologico più frequente delle epatiti da farmaci è rappresentato da alterazioni aspecifiche, non distinguibili da quelle di epatopatie a diversa eziologia. Lo studio ultrastrutturale del fegato contribuisce alla diagnostica evidenziando alterazioni subcellulari suggestive di danno da farmaci :alterazioni mitocondriali, fosfolipidosi.
Danno epatico da farmaci a tipo epatite acuta: E' presente necrosi epatocitaria a ponte; l'infiltrato infiammatorio negli spazi portali è intenso. L'evoluzione può essere verso una fibrosi del fegato (isoniazide).
Epatosteatosi:Nella sindrome di Reye si osserva una massiva steatosi microvescicolare. Steatosi epatica è caratteristica della epatopatia da tetracicline in gravidanza.
Fosfolipidosi:L'epatopatia da amiodarone mostra, a livello ultrastrutturale, la presenza delle cosiddette figure mieliniche, strutture lamellari contenute nei lisosomi.
Colestasi:Nell'epatite da clorpromazina la colestasi è di tipo intraepatico; si osserva degenerazione piumosa degli epatociti, necrosi focale, infiltrato infiammatorio periportale con cellule monocitarie e granulociti eosinofili.
Granulomi:Nell'epatite da allopurinolo, aspirina, isoniazide, fenitoina, diazepam possono essere presenti granulomi periportali e intralobulari, senza necrosi caseosa.
Fibrosi: Il metotrexate causa epatocitonecrosi con colestasi, infiammazione portale, fibrosi portale, periportale e porto-portale, fino alla di cirrosi.
Malattia veno-occlusiva:Ciclofosfamide, busulfano, azatioprina causano sclerosi subendoteliale delle venule epatiche terminali.
La clinica del danno epatico da farmaci può mimare qualsiasi quadro di patologia epatica e biliare acuta e cronica, sebbene l’epatite con ittero e la colestasi rappresentino le manifestazioni cliniche più frequenti. Negli Stati Uniti, secondo una recente revisione, una quota variabile da 1/3 alla metà dei casi di insufficienza epatica acuta sembra essere riconducibile ad una epatopatia da farmaci.
Nell’epatite da farmaci, il polimorfismo genico del Citocromo P 450 (CYP 450), le variazioni genetiche delle citochine e dei loro recettori, l’apoptosi, la variabilità genica mitocondriale e la capacità di risposta rigenerativa al danno influenzano la manifestazione clinica del danno epatico.
La mancanza di specifici markers di danno epatico da farmaci richiede, al fine di una corretta diagnosi di epatite da farmaci, la conoscenza delle differenti espressioni cliniche del danno epatico, delle differenti categorie di farmaci implicate e dei risultati dei consensus meeting sul danno da farmaci. Il tempo di latenza tra l’esposizione al farmaco e la comparsa del quadro clinico-bioumorale rappresenta un indicatore sensibile della patogenesi del danno.
Le epatopatie da farmaci, probabilmente, rappresentano la punta di un iceberg dal momento che non sempre c’è una chiara sintomatologia clinica (come ad esempio la classica triade: rash cutaneo, febbre ed eosinofilia), se presente è infatti rappresentata da un corteo sintomatologico assolutamente aspecifico.
Sebbene le più frequenti reazioni avverse a farmaci o xenobiotici coinvolgano l' epatocita provocandone la necrosi , ci sono sostanze che determinano il loro danno prevalentemente a livello dei canalicoli o dotti biliari determinando una colestasi, altri ancora che danneggiano l' endotelio o le cellule sinusoidali o le cellule di Ito producendo fibrosi. Avremo quindi reazioni tossiche di tipo epatocellulare acuto con prevalente necrosi epatocellulare, o reazioni tossiche con caratteristiche colestatiche, o reazioni di tipo misto.
In funzione dell’entità del danno epatico possiamo quindi avere un ampia gamma di quadri clinici che vanno dal quadro severo con le caratteristiche della epatite fulminante (caratterizzata da necrosi epatica massiva evolvente in insufficienza epatica acuta), alla più frequente forma di epatite cronica, spesso oligosintomatica che si instaura in un arco di tempo variabile da giorni a mesi dopo l’inizio dell’esposizione.
Caratterizzata da sindrome clinico-bioumorale peculiare (ittero, prurito, innalzamento di gammaGT, fosfatasi alcalina, bilirubina, modesto o assente incremento delle transaminasi), la colestasi può essere determinata da numerosi tipi di farmaci attraverso un danno a vari livelli dell’epatocita.
Un altra forma di danno epatico è caratterizzata dall’accumulo di gocciole di grasso (trigliceridi in massima parte) all’interno dell’epatocita determinando il quadro della steatosi. In base alla dimensione delle gocciole si può avere un quadro di steatosi macrovescicolare o microvescicolare od anche un quadro misto. Alla base di questo tipo di danno ritroviamo spesso una inibizione dell’attività β-ossidativa mitocondriale.
La diagnosi di danno epatico da farmaci,nonostante i numerosi progressi compiuti nella comprensione dei meccanismi patogenetici e a causa dell’aspecificità della sintomatologia clinica e dell’istologia e della variabilità dei parametri laboratoristici, rimane, a tutt’oggi, estremamente difficile da porre. Clinicamente, infatti, si può osservare da un quadro pauci-asintomatico fino ad uno di insufficienza epatica fulminante; Il quadro clinico caratteristico e’ quello di un paziente con lieve ittero, astenico con nausea, anoressia e conseguente calo ponderale. Data l’aspecificità della clinica e degli esami laboratoristici bisognera’ escludere la presenza di altre patologie epatiche eseguendo i markers per le epatiti virali, lo studio dell’autoimmunità, il dosaggio plasmatici degli oligoelementi e un’ultrasonografia addominale. Uno studio TC o in RMN dell’addome superiore, una biopsia epatica, una CPRMN o una CPRE si rendono utili per l’esclusione di patologie neoplastiche primitive e secondarie e altre alterazioni epatiche (per esempio la colangite sclerosante). Un dato estremamente importante per la diagnosi di danno da farmaci è la correlazione temporale tra l’assunzione del tossico sospettato di esserne la causa e l’insorgenza del danno stesso
che in genere è compresa tra 5 e 90 giorni. Inoltre, alla sospensione del farmaco deve seguire un miglioramento della sintomatologia (in genere entro 15 giorni e una normalizzazione delle transaminasi (in genere entro un mese). Un altro parametro importante, addirittura considerato il gold standard per la diagnosi di danno epatico da farmaci, anche se spesso non eseguibile, è il rechallange con il farmaco sospettato. In questo caso, il periodo di latenza è accorciato. Nel caso di sospetto di tossicità dose-dipendente da farmaci (per esempio acetaminofene, ciclosporina e salicilati) potrà essere utile il dosaggio plasmatico degli stessi Sono stati proposti diversi criteri per la diagnosi di epatopatia da farmaci. I più utilizzati sono quelli redatti dal Concilio per l’Organizzazione Internazionale delle Scienze Mediche (CIOMS). Questa scala prende in considerazione alcuni criteri e gli assegna un punteggio. Valutati tutti i criteri si procede alla somma dei singoli punteggi e alla determinazione del risultato che varia da diagnosi di tossicità epatica da farmaci definita o altamente probabile fino a esclusa. Ovviamente questi criteri non sostituiscono il giudizio clinico ma servono per integrare e migliorare il difficile compito del clinico di fronte ad un sospetto di danno epatico da farmaci.
Recentemente, inoltre, sono stati proposti in via sperimentale alcuni breath test come quello a base di acido chetoisocaproico marcato con 13C, per la tossicità da FK506 e da lamivudina o i breath tests alla metacetina e all’aminopirina per studiare la tossicità da acetaminofene, Questi test potrebbero quindi, in futuro, trovare un ruolo in tutta la gestione dell’epatopatia da tossici ed essere utilizzati nella prevenzione, nella diagnosi e nella prognosi di questa entità patologica.
La terapia del danno epatico da farmaci può essere suddivisa in terapia specifica e generale. Purtroppo solo pochi tossici riconoscono un’antidoto specifico. Il caso più eclatante è quello dell’uso di acetilcisteina in caso di intossicazione da paracetamolo. La somministarzione dell’antidoto va eseguita il prima possibile con una dose di carico di 140 mg/kg di peso corporeo seguita da dosi di mantenimento di 70mg/Kg di peso corporeo ogni 4 ore per un totale di 18 dosi. La conferma dell’utilità di questa terapia e’ data dall’aumento della sopravvivenza dopo intossicazione da acetaminofene dopo l’introduzione in terapia dell’acetilcisteina.
In caso di un danno epatico che si manifesta in corso di terapia la prima decisione da prendere è di sospendere tutti i farmaci che il paziente sta assumendo e di individuare quello responsabile. Tale misura a volte è da sola in grado di far recedere la tossicità epatica. Può essere somministrato un corticosteroide soprattutto se si sospetta una tossicità di natura allergica.
Molte sostanze di origine vegetale, in grado, negli animali, di ridurre la tossicità epatica da agenti tossici potrebbero trovare impiego anche nella terapia umana. Inoltre, visto il ruolo che il TNFa ha nella patogenesi del danno epatico da farmaci, gli anticorpimonoclonali anti TNFa o gli antagonisti farmacologici potrebbero essere efficaci nella gestione delle epatiti iatrogene..
Insufficienza epatica acuta da farmaci
L’evento più drammatico che può avvenire in caso di danno da farmaci è l’insufficienza epatica acuta, detta anche fulminante, tradizionalmente definita dalla comparsa di encefalopatia di origine epatica entro due mesi dall’insorgenza della causa scatenante in assenza di una pre-esistente malattia epatica. Sono presenti in letteratura dei criteri prognostici sia generali sia specifici per la tossicità da paracetamolo. Tali criteri tengono conto del pH, del tempo di protrombina e della creatinina sierica e sono utili per predire la necessità di un trapianto ortotopico di fegato.
La terapia inizialmente si basa sul monitoraggio e sul mantenimento dell’omeostasi corporea. Va dunque supplementata con fluidi o sangue la perdita di liquidi per mantenere la volemia e va controllata la funzionalità renale (con la creatininemia) e quella polmonare. Dovrebbe essere instaurata una corretta nutrizione. In caso di ipoglicemia andrà somministarta soluzione glucosata. L’encefalopatia invece, potrà beneficiare della somministrazione di antibiotici non assorbibili e di disaccaradi con proprietà lassative osmotica, L’infusione delle piastrine è da eseguire solo se la conta scende sotto il valore di 30.000. Va, inoltre, rapidamente instaurata una terapia con inibitori della pompa protonica per prevenire i sanguinamenti gastrointestinali. Gli isotropi positivi sono da utilizzare solo in caso di grave ipotensione che non risponde alla somministrazione di fluidi. In caso di distress respiratorio acuto si può utilizzare un supporto ventilatorio. In caso di grave insufficienza renale si deve ricorrere all’emodialisi. Le infezioni (urinarie, polmonari, ematiche) vanno cercate accuratamente e trattate prontamente con antibiotici prima ad ampio spettro e in seguito mirati. Infine in caso di insorgenza di edema cerebrale si deve angolare il letto di 20-30 gradi e somministrare mannitolo per via endovenosa. Nonostante un pronto intervento terapeutico, l’insorgenza di epatite fulminante ha un esito spesso infausto. In presenza di indici prognostici negativi il trapianto ortotopico di fegato rimane l’unica speranza per la sopravvivenza di questi pazienti.
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