IL CUORE DEL PROBLEMA: COME POSSONO LE EMOZIONI PROVOCARE CARDIOPATIE?
Costanza Goffredo
Il nostro convegno nasce per affrontare un tema molto attuale: come può incidere lo stress sulla salute. Se la salute è, come è noto, uno stato di benessere fisico, psichico e sociale, ogni alterazione dell’equilibrio tra questi elementi si ripercuote inevitabilmente sull’altro. La depressione è la patologia che in maniera più vistosa coinvolge tutti questi aspetti e quindi deteriora la salute. Si tratta di una patologia non molto rara,visto che colpisce il 5-17% della popolazione, ed è seconda solo alle malattie cardiovascolari in termini di perdita di giornate di lavoro 1.
Il problema è ancor più di rilievo se si considera che la depressione è presente nel 25-50% delle malattie croniche, spesso ne complica il decorso e molto spesso i sintomi non sono riconosciuti e la malattia di conseguenza non è trattata. La depressione è presente nel 18% di pazienti con malattia coronarica e senza precedenti di infarto miocardico o di angina instabile, nel 25% di pazienti con infarto miocardico acuto e sintomi di depressione minore coinvolgono addirittura il 65%dei pazienti nel post-IMA.2 Pertanto oggi depressione e stress emozionale vengono considerati un fattore di rischio coronarico indipendente.
Questa correlazione va vista anche in senso inverso: ossia il paziente che ha depressione spesso presenta una patologia coesistente che non viene riconosciuta perché i sintomi principali, come stanchezza eccessiva, perdita di peso, difficoltà sessuali vengono spiegate con la malattia stessa.
Questo concetto va traslato e rapportato alla vita quotidiana: lo stress acuto, subacuto e cronico, inteso come risposta eccessiva alle sollecitazioni esterne, in rapporto a fattori psicosociali e comportamentali, può provocare sintomi cardiovascolari di grado più o meno rilevante fino alla malattia vera e propria o peggiorare il decorso di patologie concomitanti.
Quindi lo stress è un sintomo o una malattia?
Si potrebbe dire che lo stress è un modo in cui l’organismo informa di un’alterazione che, con meccanismo immunologico, infiammatorio o emoreologico, come vedremo successivamente, può ripercuotersi sull’apparato cardiovascolare, fino a trasformarsi in malattia
Quindi lo stress può essere considerato un campanello di allarme o un messaggio che va riconosciuto per evitarne le conseguenze patologiche
Quale è il ruolo del cardiologo in questo ambito? Certamente riconoscere e saper distinguere la componente psicosociale da quella organica della malattia e affidare il paziente allo specialista psichiatra competente per una terapia psicoanalitica. Ma anche saper avvalersi di farmaci, quali gli antidepressivi, oggi molto più maneggevoli ed efficaci e saper promuovere l’attività fisica che, come è noto, riduce lo stress.
Sin dall’antichità è noto come vi sia un legame tra cuore ed emozioni, anzi il cuore viene considerato per antonomasia la sede di tutti i sentimenti e, così, consacrato da poeti e artisti, ma soprattutto dalla cultura popolare: “mi ha spezzato il cuore “ è solo una delle comuni espressioni quotidiane che indicano questo stretto rapporto cuore- passioni
Ma la moderna comprensione della relazione tra emozioni e cuore risale alla metà del IXX secolo, con la pubblicazione di un testo di William riguardo le palpitazioni su base neurologica. Alla fine dell’Ottocento venne coniato il termine di disturbi cardiaci su base nevrastenica. Nel 1910 Osler affermava che i pazienti con angina tendevano ad essere tristi e che il paziente anginoso è un paziente “il cui cuore va sempre al massimo” 3.
Successivamente i lavori pubblicati ai nostri giorni hanno dimostrato come:
1- diversi fattori psicosociali contribuiscono allo sviluppo delle malattie cardiovascolari e ne influenzano il decorso.
2- Esiste una stretta associazione tra personalità e malattie cardiovascolari
3- Il rapporto tra fattori psicosociali e personalità è sinergico e lineare: più i fattori si associano e più sono importanti, maggiore sarà la gravità delle malattie cardiovascolari
Attualmente l’interesse si è spostato dall’incidenza dei fattori psicosociali e comportamentali nel determinismo delle malattie cardiovascolari all’importanza di tali fattori in pazienti già cardiopatici.
Per fattori psicosociali si intendono4: emozioni e stimoli cronici di stress. I fattori emozionali comprendono depressione, ansia, ostilità, rabbia. Gli stimoli cronici di stress sono lo stress da lavoro, lo stress coniugale, un basso livello socioeconomico, basso supporto sociale e lo stress di “Care-giver”.
Le emozioni hanno quindi effetto a breve e a lungo termine: i dati derivano sia da studi sperimentali che da studi osservazionali che hanno valutato l’effetto dello stress acuto, dello stress subacuto e dello stress cronico. Ma quali emozioni hanno effetto patologico? Ed in quali soggetti?
Intanto definiamo l’emozione come l’insieme degli eventi che si succedono tra la comparsa dello stimolo scatenante e l’attivazione della risposta mediante tre sistemi: sensazione soggettiva, comportamento, variazioni fisiologiche. Le alterazioni somatiche ad una emozione intensa sono pertanto differenti in base alla personalità, alla percezione dell’emozione che viene mitigata dalle esperienze precedenti ed è mediata dal sistema nervoso centrale e vegetativo, che influenzano le reazioni mimiche, le ghiandole endocrine, la secrezione di adrenalina e il ritmo cardiaco.
Plutchik (1970, 1980) 5 ha suggerito un modello a tre dimensioni per definire le emozioni. Le dimensioni sono intensità, polarità e somiglianza. Le emozioni primarie sono una decina. La cosa importante è che l’intensità può determinare la trasformazione della paura in terrore o apprensione.
Le emozioni più studiate dal punto di vista cardiologico sono quelle negative: in particolare, rabbia, paura,ostilità,mentre risultano meno studiati gli effetti delle emozioni positive, quali gioia, piacere ed in particolare, ancora non è noto se è preferibile l’alessitimia, ossia l’incapacità a provare emozioni, all’empatia la capacità di entrare in sintonia con le proprie e le altrui emozioni.
Tugade e Fridickson 6 hanno dimostrato che nei pazienti con prevalente ottimismo vi è un rapido recupero della frequenza cardiaca dopo stress. Altri Autori7 hanno dimostrato una maggior produzione di citochine dopo vaccinazione in pazienti con senso della vita positivo “positive affect”, secondo la Letteratura anglosassone
Steptoe 8 ha effettuato uno studio su 116 uomini e 100 donne residenti a Londra di età compresa tra 45-59 anni, senza evidenza di ipertensione o malattia coronarica: veniva rilevata la pressione arteriosa, la concentrazione di cortisolo nella saliva (otto prelievi ad intervalli di due ore durante un giorno di lavoro e otto durante un giorno di riposo), il grado di soddisfazione secondo una scala di cinque gradi, il grado di stress attraverso un questionario valicato (GHQ 30) ed un prelievo ematico con valutazione del fibrinogeno e dell’ematocrito immediatamente dopo uno stress mentale attraverso somministrazione di un test al computer basato sulla presentazione di colori da sistemare nel giusto modo, figure da completare in un tempo prestabilito, etc.
I soggetti studiati sono stati divisi in cinque gruppi in base al grado di soddisfazione da essi stessi indicato sulla base della scala fornita in precedenza e si è notato come coloro che sono soddisfatti durante un giorno lavorativo lo sono anche durante il giorno di riposo, anche se ovviamente i livelli di soddisfazione sono maggiori durante un giorno di riposo.
I risultati hanno dimostrato come i livelli di cortisolo sono inversamente proporzionali al grado di soddisfazione durante un giorno di lavoro e tra i soggetti del I e del V gruppo vi è una differenza del 32.1% e tale differenza si mantiene se si considera il giorno lavorativo o il giorno di riposo, con valori leggermente maggiori negli uomini rispetto alle donne nel giorno di lavoro. Anche la frequenza cardiaca è inversamente correlata al grado di soddisfazione, ma tale associazione si perde nelle donne. Anche la produzione di fibrinogeno dopo lo stress acuto mentale è minore per i soggetti con maggior grado di soddisfazione: in termini assoluti la differenza è modesta, tuttavia nei soggetti con minor grado di soddisfazione si ha un aumento 12 volte maggiore che nel gruppo più contento.
Questi dati hanno un notevole impatto sulle conseguenze fisiopatologiche: il cortisolo è un ormone correlato al diabete, all’ipertensione, alle patologie autoimmuni e la sua concentrazione è elevata nei pazienti affetti da depressione,il che concorre all’incremento del rischio cardiovascolare. Anche il fibrinogeno rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare,in quanto aumenta la viscosità del sangue, stimola la proliferazione di cellule aterogene e l’aggregazione piastrinica.
Quindi il “positive well-being” stimola la creatività, la leadership, la realizzazione delle potenzialità umane e favorisce la salute fisica e riduce l’incidenza delle malattie cardiovascolari.
Questa considerazione è stata effettuata anche da Alan Rozanski 9,un cardiologo di New York,che ha sottolineato come emozioni positive,ottimismo, supporto sociale possano ridurre l’iperreattività fisiologica egli eventi cardiaci avversi. Altre caratteristiche positive come l’altruismo e la gratitudine non sembra abbiano conseguenti effetti fisiologici. Le emozioni positive agiscono su tre fattori: vitalità, che è uno stato emozionale positivo che si associa ad entusiasmo ed energia; flessibilità emozionale e riproduzione della flessibilità, che è la possibilità di misurare le emozioni e modificarle in base alle esperienze precedenti. La relazione è bidirezionale, nel senso che la flessibilità, attraverso la capacità di modulare le emozioni e di utilizzare esperienze precedenti,aumenta la vitalità
Lo stress cronico altera questo senso di vitalità e la flessibilità provando stanchezza, incapacità all’adattamento, esaurimento delle riserve mentali. Quindi uno stress da lavoro,stress coniugale, assenza di vacanze, riduzione delle ore dedicate al sonno, basso livello socio-economico possono provocare pessimismo, tristezza, fino alla depressione. Questi eventi sono mediati dalla stimolazione eccessiva e cronica del sistema nervoso simpatico e dell’asse ipotalamo-ipofisario 9 con conseguente ridotta variabilità nella produzione di cortisolo, aumento dei livelli di cortisolo ematico e della norepinefrina, aumento della frequenza cardiaca a riposo, ridotta variabilità della frequenza cardiaca.
Questi eventi determinano aumento degli eventi cardiovascolari in vario modo: attivano la disfunzione endoteliale 10, determinano uno stato infiammatorio cronico, come evidenziato all’aumento della proteina C e dell’interleukina 6 11 .Questi marker di infiammazione si è visto essere più elevati in pazienti affetti da depressione ma con obesità e quindi questo fattore di rischio potrebbe rafforzare in tal modo l’effetto della depressione. In pazienti con depressione è stata rilevata una maggior progressione dell’aterosclerosi cerebrale, in termini di ispessimento mio-intimale e di placche carotidee 13.
Ma accanto agli stimoli esterni ed alle emozioni, occorre considerare anche il profilo individuale di ogni persona: i primi studi di Friedman e Rosenman 14 avevano sottolineato come la personalità di tipo A, caratterizzata da aggressività, cronico senso di urgenza, necessità di fare sempre e tanto,ostilità, presentavano un aumento di 2 volte del rischio di malattie cardiovascolari e una maggior incidenza di aterosclerosi cerebrale 15. Studi successivi hanno tuttavia dimostrato che in questi pazienti il rischio di eventi nel post-IMA è ridotto e ha un effetto prognostico positivo, forse per l’ambizione e la capacità di superare se stessi di questi pazienti, che quindi riescono a modificare le caratteristiche di vita 16. Successive ricerche hanno invece individuato un altro tipo di personalità, il tipo D o “distressed” caratterizzato da esperienze negative in ogni situazione e inibizione sociale dell’espressione di queste emozioni 17.
Questi studi sono stati applicati da Pedersen e Denollet, due psicologi olandesi, in diverse condizioni cliniche: scompenso cardiaco, malattia coronarica: i pazienti con personalità di tipo D presentano minor beneficio in termini di riduzione di angina e miglioramento della qualità della vita rispetto ai pazienti non D 18. Uno studio effettuato su 319 pazienti con malattia coronarica seguiti per cinque anni 19 ha dimostrato che una ridotta FE, l’età inferiore a 55 anni, sintomi di depressione, ridotta CF e la personalità di tipo D aumentano il rischio di eventi cardiaci (infarto miocardio o morte cardiaca) e il rischio aumenta di 4 volte se tali fattori sono associati.Questo risultato può spiegare almeno in parte l’assenza di risposta terapeutica del 10% dei pazienti affetti da malattia coronarica e indica la necessità di un approccio alla persona e non solo al paziente
Sembra che l’effetto negativo della personalità di tipo D sulle malattie cardiovascolari sia mediato dall’ipereattività fisiologica e dall’attivazione delle citochine pro-infiammatorie. Questi risultati potrebbero spiegare l’aumento di 2.5 volte del rischio di eventi cardiovascolari nel post-IMA se affetti da ansia 20, per quanto una piccola dose di ansia possa avere un effetto protettivo 21
Blomhoff 21 ha dimostrato infatti che mentre la depressione provoca effetti negativi su t-PA, LDL-colesterolo e concentrazioni ematiche di acido folico, l’ansia aumenta i livelli di HDL-colesterolo e di vitamina B12, anche se non è noto per quanto tempo permangano queste modificazioni ematiche. Al contrario, lo stress acuto determina aumento transitorio della pressione arteriosa, incremento di ematocrito, fibrinogeno ed altri fattori della coagulazione e tali modificazioni possono permanere per settimane dopo l’evento acuto e spiegano il rischio raddoppiato di infarto miocardico.
Lo stress subacuto, inteso come stress intenso negli ultimi mesi per eventi come separazione, perdita del coniuge, perdita del lavoro provoca aumento del rischio cardiaco con lo stesso meccanismo dello stress cronico: cioè incremento della pressione arteriosa e stimolo neuroumorale.
Quindi, in conclusione, vi sono vari motivi per i quali lo stress psicosociale va individuato e trattato: rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare, può essere un elemento scatenante di eventi cardiovascolare, ne può complicare il decorso, può essere mascherato da sintomi cardiaci, è connesso ad altri fattori di rischio comportamentali ed ai comuni fattori di rischio. Infine può ridurre la compliance dei pazienti alla terapia medica o chirurgica e quindi ridurne l’efficacia, favorendo la progressione della malattia e contribuendo all’elevata incidenza di questa patologia.
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