Water and Carbon Footprint
A. M. Giusti
La globalizzazione, lo sviluppo industriale, l’aumento della popolazione e la crescente urbanizzazione hanno cambiato le modalità di produzione degli alimenti e il loro consumo tanto da influenzare profondamente l’ecosistema e l’alimentazione umana. Alla luce di ciò, è importante porre attenzione, come consumatori, alle scelte alimentari, non solo per quanto riguarda la salute, ma anche per la tutela dell’ambiente. Infatti, se da un lato si osserva che stili alimentari non corretti, sempre più diffusi tra ampie fasce della popolazione, stanno portando a un graduale peggioramento dello stato di salute di bambini ed adulti (in particolare per quanto riguarda la diffusione del sovrappeso e l’obesità) dall’altro lato, l’impiego eccessivo di alcuni alimenti – in generale gli stessi che dovrebbero essere consumati con minore frequenza – determina un importante impatto sull’ambiente e sulle risorse naturali.
La Dieta Mediterranea è stata largamente riconosciuta dalla comunità scientifica come modello di alimentazione salutare effetti preventivi nei confronti di molte delle patologie cronico-degenerative). Oltre a ciò, diverse indagini hanno messo in evidenza anche il basso impatto che la dieta Mediterranea esercita sull’ambiente. Recentemente la FAO congiuntamente con il CIHEAM (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes) ha iniziato ad affrontare la questione della dieta sostenibile e a sviluppare metodi e indicatori per la sua valutazione in diverse aree agro-ecologiche. Secondo la definizione della FAO: “Le diete sostenibili sono quelle diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale e di vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili sono protettive e rispettose della biodiversità e degli ecosistemi, culturalmente accettabili, accessibili ed economicamente giuste e convenienti, nutrizionalmente adeguate, sicure e sane, ottimizzando le risorse naturali e umane”. La dieta Mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO come bene immateriale dell’umanità, è un esempio di dieta sostenibile, in cui nutrizione, produzione di alimenti locali, biodiversità, stagionalità, cultura, tradizioni locali, convivialità, valorizzazione del territorio sono fortemente connessi l’uno all’altro con un basso impatto sull’ambiente.
Dal punto di vista metodologico la FAO ha individuato quattro importanti tematiche prioritarie da cui partire per misurare la sostenibilità della dieta Mediterranea: 1) nutrizione, salute e stile di vita; 2) ambiente con l’inclusione delle biodiversità, 3) economia; 4) società e cultura. All’interno di queste tematiche sono stati individuati degli indicatori utili per formulare misure volte a tutelare e promuovere la dieta Mediterranea, per migliorare la sostenibilità dei sistemi agro-alimentari mediterranei e i modelli di consumo:
- impronta di carbonio (Carbon Footprint), che rappresenta e identifica le emissioni di gas
serra responsabili dei cambiamenti climatici ed è misurata in kg di CO2 equivalente/kg prodotto (è la somma dei gas che generano riscaldamento come il biossido di carbonio, metano, protossido di azoto);
- impronta idrica (Water Footprint o virtual water content), che quantifica i consumi e le
modalità di utilizzo delle risorse idriche ed è misurata in volume (litri) di acqua per unità di prodotto;
- impronta ecologica (Ecological Footprint), che misura la quantità di terra (o mare) biologicamente produttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire le emissioni associate a un sistema produttivo; si misura in m2 o ettari globali.
La stima degli impatti ambientali associati a ogni singolo alimento è stata condotta a partire da informazioni e dati pubblici calcolati secondo il metodo dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA). Tale valutazione include l’analisi dell’intera filiera, comprendendo la coltivazione o estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il confezionamento, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale. Per quanto riguarda l’impronta di carbonio, l’analisi dell’intero ciclo di produzione degli alimenti mette in evidenza che il comparto produttivo agroindustriale è responsabile della maggior parte dell’emissione di gas serra (46,1%), mentre il trasporto incide per circa il 19% rispetto alle emissioni totali. In tutto il mondo, l’agricoltura è un’attività umana che produce gran parte delle emissioni di CO2 equivalenti, in particolare la Cina e l’India sono i paesi con il maggior impatto ambientale (1100 MtCO2 eq e 600 MtCO2 eq rispettivamente) circa 11 volte più elevato rispetto all’Italia. Il metodo dell’analisi del ciclo di vita ha mostrato che la carne bovina rappresenta l’alimento con il maggior impatto ambientale in termini di gas serra: la produzione di 1 kg di carne bovina determina l’emissione di circa 40 kg di CO2 equivalenti, mentre la produzione di 1 kg di pane genera 0,10 kg di CO2 equivalenti.
Il concetto di impronta idrica è rappresentato da un indicatore che misura il livello di sostenibilità delle azioni umane sui sistemi naturali come l’acqua. L’impronta idrica indica tutta l’acqua virtuale contenuta in un prodotto, ovvero il volume totale di acqua dolce utilizzata per ottenere il prodotto stesso calcolato lungo tutta la filiera (dal reperimento delle materie prime alla loro trasformazione, imballaggio, trasporto e consumo). L’impronta idrica è espressa come volume di acqua per unità di prodotto (generalmente m3/ton) ed è la somma di tre componenti: l’impronta idrica blu, è l’acqua di irrigazione o quella prelevata dalle falde o dai bacini idrici che non viene re-immessa nel sistema idrico dal quale proviene; l’impronta idrica verde è il volume di acqua piovana evapo-traspirata tipica della produzione agricola che dipende dalla condizioni climatiche e dalla specie coltivate; l’impronta idrica grigia è il volume di acqua (teoricamente) necessario per abbassare il livello degli inquinanti dovuti ai processi produttivi (pesticidi, fertilizzanti etc). Il 97% di impronta idrica “invisibile” è connessa ai prodotti agricoli: ogni individuo utilizza circa 150 L di acqua al giorno per le attività domestiche, mentre il costo idrico per la produzione di alimenti è di 3500 L/die. Nel mondo i Paesi con la più elevata impronta idrica (dati 1996-2005) per la produzione di colture sono l’India (1047 Gm3/anno), la Cina (967 Gm3/anno) e gli Stati Uniti (826 Gm3/anno). In particolare l’India ha il più alto impatto sull’impronta idrica blue per la coltivazione, ovvero l’impatto più alto sulle riserve idriche non rinnovabili. Il calcolo dell’impronta idrica delle colture varia nei diversi paesi del mondo a seconda della varietà colturale, del tipo di territorio e delle condizioni climatiche. In linea generale il grano (1087 Gm3/anno), il riso (992 Gm3/anno) e il mais (770 Gm3/anno) sono le colture con la più elevata impronta idrica. Per la maggior parte delle colture il contributo dell’impronta idrica verde rispetto all’impronta idrica totale è superiore all’80%. Il metodo dell’analisi del ciclo di vita applicato per valutare l’impronta idrica degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole mostra che per produrre un semplice pomodoro servono 13 litri di acqua, una fetta di pane 40 litri, 100 grammi di formaggio 500 litri, un hamburger 2400 litri d’acqua e 15.500 litri per produrre1 kg di carne bovina. Di nuovo la carne bovina ha il costo più elevato in termini di risorse idriche rispetto agli altri alimenti presenti nella piramide alimentare. Va sottolineato che per la produzione di carne bisogna considerare anche l’acqua utilizzata nel ciclo di produzione degli alimenti per il bestiame oltre quella impiegata nell’allevamento stesso.
I risultati provenienti dalla determinazione delle emissioni di gas serra e/o del consumo di acqua lungo l’intera filiera di produzione dei diversi alimenti ha consentito di costruire una piramide ambientale in cui alla base sono stati posti gli alimenti con un impatto maggiore e salendo verso il vertice quelli più ecosostenibili. In questo modo si può osservare che la sequenza degli alimenti è grossomodo la stessa della piramide della dieta Mediterranea, sebbene invertita. Dal confronto delle due piramidi, alimentare e ambientale, si nota che gli alimenti per i quali è consigliato un consumo maggiore generalmente sono anche quelli che determinano gli impatti ambientali minori. Viceversa, gli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo ridotto sono anche quelli che hanno maggior impatto sull’ambiente.
Per quanto riguarda l’impronta ecologica secondo le recenti statistiche pubblicate dal Global Footprint Network (GFN), è stato stimato che ogni individuo che abita in un Paese ad alto reddito abbia bisogno di circa 60 metri quadri globali per soddisfare i propri bisogni alimentari (produzione e consumo di cibo). Analizzando il dato nelle sue componenti, appare evidente che i consumi alimentari sono la prima voce in termini di impatto ambientale con una rilevanza sull’impronta ecologica complessiva pari a circa il 30-40%, che corrisponde a circa 1,8/2,4 ettari globali annui. A partire da questi dati è stato analizzato l’impatto ambientale delle abitudini alimentari di due modelli alimentari: la dieta nordamericana e la dieta mediterranea. I risultati hanno messo in evidenza che la dieta di un cittadino americano basata sul prevalente consumo di carne e alimenti ad alta densità energetica (elevato contenuto di zuccheri e grassi) ha, ogni giorno, un’impronta ecologica di 42 global m2 e immette nell’atmosfera 6,5 kg di CO2. Un individuo che invece, segue la dieta mediterranea, la quale si distingue per un maggiore consumo di carboidrati, frutta e verdura ha, ogni giorno, un’impronta ecologica di 16 global m2 e immette nell’atmosfera circa 2,1 kg di CO2.
Il vantaggio nell’adottare la dieta Mediterranea si conferma non solo dal punto di vista nutrizionale e salutistico, ma anche dal punto di vista ambientale e avvalora la sua importanza come dieta sostenibile. L’analisi degli indicatori ambientali ha evidenziato lo stretto rapporto tra scelte alimentari, salute e tutela dell’ambiente. Da qui la necessità di intraprendere misure urgenti (strumenti legislativi e tecnologici) per salvaguardare al meglio le risorse naturali del pianeta.
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Anna Maria Giusti
Università di Roma “Sapienza”
Dipartimento di Medicina Sperimentale
Sezione di Fisiopatologia medica, Scienza dell’Alimentazione ed Endocrinologia