STIGMA, TATAN, TATUAGGI… la pelle che parla nei secoli
Mario Giampà – Valentina Nanni
Un corpo senza tatuaggio è un corpo stupido.
(proverbio polinesiano)
Il nucleo primario del Sé si struttura a partire da sensazioni di piacere e dispiacere che originano dal corpo; paradisi artificiali indotti da droghe o orgasmi coatti, pratiche sadomaso o piercing e tatuaggi, violente manipolazioni del corpo in cui possiamo includere anche i disturbi dell’alimentazione, sembrano rappresentare per molti, nella società contemporanea, un tentativo di rabbiosa conferma della propria esistenza, un disperato ancoraggio del Sé.
(Maria Grazia Vassallo Torrigiani, Silvana Vassallo, 2001)
In medicina il concetto di tatuaggio viene impiegato per descrivere delle macchie cutanee permanenti dovute all’introduzione, nella cute, di pigmenti insolubili. Ne esistono, tuttavia, anche di forme accidentali, generati, ad esempio, dallo scoppio di polvere da sparo o per penetrazione di particelle di asfalto. (Basetti, 1991)
Nel De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, alla voce tatuaggio leggiamo “pratica che consiste nell’eseguire sulla pelle disegni o pitture indelebili a scopo magico, rituale o decorativo, mediante iniezione di sostanze coloranti o scarificazione.”
Da tàtan, che significa nell’antica lingua di Tahiti disegnare, mentre la parola italiana tatuaggio deriva dal verbo francese tatouer.
Il tatuaggio, il cui valore magico, sociale e tribale ha trovato nelle culture primitive un’alta espressione artistica, è stato importato nel mondo occidentale, grazie a quanti hanno compiuto nel tempo dei viaggi nelle terre dell’Africa centrale, dell’Amazzonia, della Nuova Guinea, della Polinesia, dell’Asia.
Alla base del tatuaggio ci sono vari miti e paure, che transitano, più o meno modificandosi, da una cultura all’altra acquistando nuove forme e nuove tecniche di attuazione sulla pelle. Tra i miti e le credenze, ne vogliamo citare alcune, come quella della popolazione Lanjia Saora dell’India, secondo cui gli antenati avrebbero una natura immortale in quanto dotati della capacità di spogliarsi della propria pelle e di ringiovanire. La pelle in un’altra cultura viene colorata con disegni geometrici dagli indios Kayapo’ (stato del Pará - Brasile), che hanno bisogno di disegnare una “pelle sociale” sopra una pelle biologica. Questi disegni lineari, che ricoprono tutto il corpo, esprimono simbolicamente la “socializzazione” del corpo umano, attraverso la subordinazione degli aspetti fisici dell’esistenza individuale ai comportamenti e ai valori sociali comuni. Spesso, in alcune società, i tatuaggi sono segni di attrazione sessuale, talismani per allontanare gli spiriti maligni e le malattie. In Africa, dove prevale la forma per cicatrici, ogni tribù si caratterizza per motivi differenti; lo stesso accade in Amazzonia, dove invece è più diffusa la scarificazione. Tra gli eschimesi, il pescatore si fa fare un tatuaggio sul braccio o sul polso per poter meglio colpire la preda; anche in Polinesia (isole Marchesi) il tatuaggio può comparire come forma di vestiario, sebbene più spesso costituisca un indice di rango (Maori) o dell’appartenenza ad una società segreta (Tahiti). Presso altri popoli esso ha valore iniziatici, come in Tasmania, in Cina, in Australia, in Indonesia. (Cerulli, 1991)
In queste culture una caratteristica diffusa e insita nella sua pratica è la presenza di un pensiero magico-animistico secondo cui il tatuaggio è un elemento di unione tra l’uomo e la natura in una fusione cosmologica.
Accanto a queste manifestazioni, si è anche diffusa l’idea che il tatuaggio avesse una valenza negativa. I latini usavano il termine stigma per indicare il tatuaggio: esso era infatti una sorta di segno per marchiare schiavi e delinquenti. La Chiesa, d’altra parte, lo ha condannato come manifestazione dei poteri di satana, sebbene nei primi tempi del cristianesimo esso venisse impiegato come segno di riconoscimento, tatuando una croce come facevano coloro che partivano per le crociate.
Il tatuaggio ornamentale viene praticato per puntura, in altre culture, con aghi o altri oggetti appuntiti (denti di animali, ossa, legnetti) introducendo nello spessore del derma sostanze di varia natura chimica e di diverso colore: solitamente viene impiegato il cinabro per il rosso, il cromossido per il verde, i sali di cobalto per il blu (Basetti 1991); in società arcaiche sono stati utilizzati anche resine, cenere, sostanze vegetali o animali, mescolati con acqua, sangue, urina, sperma o saliva.
Una particolare tecnica di tatuaggio ornamentale, diffuso tra i popoli di pelle scura (in Africa centrale e in Nuova Guinea), nonché presso alcune culture arcaiche (tasmani, andamanesi) viene prodotto per cicatrice: la scarificazione è una deformazione cutanea creata a scopi protettivi, magici e decorativi e talora si configura come autentico distintivo tribale. Essa consiste in incisioni sulla pelle del corpo o del volto per produrre cicatrici depresse o rilevate (cheloidi) permanenti, in cui vengono introdotti materiali inerti, come carbone, argilla, etc. (Cerulli, 1990). Il fatto che sia stata praticata in popolazioni tanto differenti e affatto caratterizzate da altre forme di mutilazione del corpo, fa supporre che la scarificazione abbia origini molto antiche.
Nel mondo occidentale il tatuaggio ha assunto una valenza duplice e contraddittoria, emblema di trasgressione e marginalità, nonché scelta personale volutamente ricercata.
Tra il XVIII e il XIX secolo, è stato considerato una sorta di contrassegno che identifica i selvaggi, i criminali, gli omosessuali, le prostitute e tutti coloro ai margini della società. Tuttavia, l’esposizione alle prime forme ornamentali di tatuaggio, mediante gli spettacoli circensi e l’esibizione di simboli tatuati da parte di signori europei al ritorno dai loro viaggi in terre esotiche, ha diffuso un certo interesse, soprattutto tra la ricca borghesia e l’aristocrazia[1].
In Italia ha trovato grande diffusione negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, dopo l’ampia espansione ottenuta negli Stati Uniti e in Inghilterra, quando specifici gruppi di ragazzi assumevano come elemento distintivo un particolare simbolo tatuato: il logo della Fre Perry o il logo della ragnatela sul gomito tra gli skin, il logo della svastica o l’aquila tra gli Hell’s Angels (California), il marchio della Harley-Davidson tra i ribelli di Berkeley, la croce tra il pollice e l’indice tra i Pachucos (gang californiane di chicanos). Altri logos contengono le citazioni e i simboli degli anni Cinquanta (palle da biliardo con il numero preferito o i dadi) tra i Rockabilly; i tatuaggi con i simboli dei mari del sud sono usati tra i punk (Ibidem, p. 10). L’uso del tatuaggio è diffuso, inoltre, nel movimento dei Modern Primitives, di origine statunitense, tra le varie forme di pratiche di manipolazione corporea. Gli appartenenti a questo gruppo si sono ispirati alle tecniche di tatuaggio presenti tra le società tribali (Pietropolli Charmet, Marcazzan 2000, p. 27): così, la rilettura dei tatuaggi in chiave moderna ha consentito di affiancare all’aspetto estetico, quello di punto di incontro tra culture.
Sostenuto anche dall’invenzione della macchinetta elettrica, che ha reso più nitide, piacevoli e facili da riprodurre le immagini disegnate, il tatuaggio è diventato un ornamento corporeo ampiamente cercato nel mondo occidentale.
La psicoanalista argentina Silvia Reisfeld (2004) ritiene che il nuovo impulso alla sua diffusione si deve anche alla musica rock (p. 29): da decenni, il tatuaggio, subisce gli influssi di elementi decorativi delle altre forme artistiche (p. 30). La Reisfeld sottolinea quanto nella nostra epoca postmoderna si sia modificata la percezione del corpo, come pure il modo di concepire il tempo e lo spazio. Per l’uomo di oggi il corpo è una preoccupazione fondamentale: connotato da un individualismo edonista, esso si muove più in funzione di una ricerca tutta personale, piuttosto che di obbiettivi comuni o universali. Un processo di <seduzione> permea tutto il funzionamento sociale e regola i consumi, i costumi, le organizzazioni, l’educazione e l’informazione. Citando Lipovetsky, ricorda che esiste <l’individuo-moda>, preoccupato per l’invecchiamento, con una ossessiva attenzione per la salute, l’alimentazione, ed i rituali di controllo e di mantenimento del corpo, mediante la pratica di sport, il consumo di farmaci e il ricorso alla chirurgia estetica volti a soddisfare aneliti narcisistici [Lipovetsky (1986), citato dalla Reisfeld, p. 37]. La Reisfeld condivide, inoltre, il pensiero di Jean-Paul Sartre che, nel suo saggio L’essere e il Nulla (1943), afferma che tutta la relazione umana si fonda a partire dall’esperienza di guardare ed essere guardato (p. 57).
Nell’epoca contemporanea, il tatuaggio è anche un mezzo attraverso cui il soggetto identifica se stesso e la propria appartenenza ad un gruppo: con Castellani (1995, p. 41) riteniamo che gli attuali «consumatori di tatuaggi» “cominciano a esprimere, sulla pelle e sotto la pelle, il desiderio di un certo individualismo […]”. In quanto rituale di incisione, costituisce una modalità di presa di contatto con il proprio corpo e, tramite esso, con il contesto sociale.
La decisione di incidere sul proprio corpo un tatuaggio assume caratteristiche di grande rilevanza in adolescenza: avendo perso nel tempo il significato di simbolo contestatario o di marchio, esso ha assunto la qualità di “moda generazionale”. (Pietropolli Charmet, Marcazzan 2000)
Il vissuto tipicamente adolescenziale tende, infatti, a palesarsi nel corpo, sede primaria delle modificazioni che coinvolgono il giovane: l’affermarsi del corpo sessuato e la difficoltà della psiche, non ancora preparata a modificare la rappresentazione mentale di sé, rende particolarmente complesso lo sviluppo in quest’età. E’ attraverso il fare esperienza diretta di tali vissuti che l’adolescente sviluppa un crescente grado di conoscenza personale.
Lo psicoanalista Armando Ferrari (1994, p. 154) avanza l’ipotesi secondo cui il corpo costituisce l’oggetto mentale per eccellenza: infatti, è proprio il marasma corporeo a incoraggiare la psiche a comprenderlo, conoscerlo, contenerlo, assumendo un assetto di maggiore strutturazione. In questo senso il corpo spinge la psiche ad evolvere verso forme più progredite: il corpo, quindi, è fonte di funzioni di natura sensoriale, metabolica, fisiologica che andranno progressivamente ad articolarsi con quelle mentali.
A questo proposito è utile ricordare che Didier Anzieu descrive il corpo come involucro bifacciale: il derma, come una membrana osmotica, avrebbe la funzione di delimitare gli oggetti interni, favorendo al contempo una mediazione tra realtà esterocettiva ed enterocettiva. (D. Anzieu 1974)
Nell’adolescente il ricorso al tatuaggio può avere il compito di favorire processi di integrazione psiche-soma: è una specie di segno incancellabile che evoca il percorso compiuto e quello che si sta per dischiudere, concretizzando il passaggio dall’uno all’altro.
Il tatuaggio, quale segno indelebile sul corpo, diviene simbolicamente la sede delle dinamiche di separazione/individuazione e di comunicazione/scambio tra la sfera individuale e quella sociale, nonché un veicolo per esprimere valori, credenze, speranze, motivazioni. Lo si può comprendere alla luce dell’esperienza del dolore connessa al tatuaggio: la sua durata intermittente costituisce una componente importante dell’iscrizione corporea e manifestazione di quanto non può espresso verbalmente: “il dolore è per eccellenza una zona del non detto e del non dicibile” (B. Merenko 2002, p. 103). Considerato questo aspetto, la decisione di farsi incidere la pelle con un tatuaggio, nei tempi odierni così come in origine, implica coraggio, perseveranza e una forte motivazione, come se questo dolore fosse un’importante componente che segna il passaggio da una fase all’altra, un momento di trasformazione. (Ibidem, p. 107)
Per concludere ricordiamo le parole di B. Marenko, che sostiene:
“Il tatuaggio è la congiunzione energetica di materia e immaginazione, è una forza che organizza espansioni superficiali in un corpo che si è dato alla pratica del divenire. E’ l’attualizzazione di una visione, una particolarissima macchia connettiva messa in moto con un atto di volontà e desiderio. (2002, p. 84)
[…] Le forze del desiderio e del cambiamento agiscono sulla superficie del corpo, ne sfiorano i confini lasciando una traccia di gocce rosse e ferite nere, si imprimono sulla pelle, impronte ora risonanti con la superficie di contatto ora interpolandosi con essa. […] E il mio corpo prova dolore […] Il dolore è questa resistenza che il corpo oppone al cambiamento […] Gioia profonda questa, inesprimibile a parole. La gioia di essere presente.” (Marenko 2002, p. 123)
[1] Si narra che i Savoia avessero un tatuaggio distintivo. (Castellani 1995)