MIGRAZIONE E SALUTE:
le tappe di una storia che ci trasforma
di Salvatore Geraci
(Area sanitaria Caritas Roma; Società Italiana di Medicina delle Migrazioni)
«Per gli immigrati una parola forte: integrazione. … Non è efficace l’integrazione a senso unico: non è solo la persona immigrata che si deve “integrare“ col sistema salute; è anche il sistema salute che si deve integrare con i nuovi italiani! Per questo preferisco parlare di convivenza. E dunque della fatica ma anche della bellezza del conoscersi e del riconoscersi. Integrità della persona, interazione, integrazione sociale, sviluppo di una democrazia più inclusiva: questa è la sfida che ci sta di fronte.»
L. Turco, Ministro della salute, 2006
Premessa
La storia dell'uomo è strettamente associata al muoversi, allo spostarsi da una regione all'altra, tanto che, con Hans Magnus Enzensberger si può affermare che “nonostante nei millenni di continuo si siano create delle popolazioni sedentarie, esse, considerate nell'insieme e nel lungo periodo, costituiscono l'eccezione. ... Che stesse migrando o fuggendo, perché costretta o volontariamente in ogni periodo una parte dell'umanità è stata per motivi più vari, in movimento, una circolazione che porta a continue turbolenze”. L'esercizio del diritto di migrare è un fatto oggettivo, inconfutabile, riscontrabile nelle stratificazioni storiche e culturali, nella configurazione razziale e nelle tradizioni religiose di tutti i popoli e nazioni. Nella storia dell'uomo, infatti, gli insediamenti stabili come la mitica Ur o la protocittà di Gerico, appaiano tardivamente e comunque sempre situati all'incrocio delle vie carovaniere. Emigrati, esuli o rifugiati, nell'anonimato quotidiano e nel clamore della storia, hanno spesso favorito il progresso umano sotto vari profili: la presenza di un ebreo, Giuseppe, alla corte del Faraone, o più recentemente lo stesso Einstein prima emigrato con la famiglia in Italia per motivi economici poi migrante per studio ed infine profugo razziale, testimoniano la continuità di una migrazione voluta o forzata che ha prodotto un 'meticciato fecondo'.
Nella continuità del fenomeno migratorio ciò che di volta in volta cambia sono la composizione dei gruppi in movimento e la diversità dei luoghi d'approdo. Se è doveroso darsi una coscienza storica delle migrazioni, accanto agli elementi di continuità, vanno evidenziate le peculiarità dei flussi migratori odierni: “Nessuno emigra senza una promessa. In passato, i media della speranza erano le saghe e le dicerie. La terra promessa, l'Arabia felix, la mitica Atlantide, l'El Dorado, il Nuovo Mondo: queste erano le magiche narrazioni che spingevano molta gente a partire. Oggi, invece, sono le immagini ad alta frequenza che la rete mondiale dei media porta fin nel più sperduto villaggio del mondo povero. Il loro contenuto di realtà è ancora minore di quello delle leggende degli inizi dell'era moderna; ma il loro effetto è incomparabilmente più forte” (H. M. Enzensberger, 1993).
Le migrazioni di oggi non possono sorprendere, sono il frutto di dinamiche politiche e sociali insite in uno sviluppo che porge attenzione solo nell'economia e non più nell'uomo, nella crescita del Prodotto Interno Lordo (Pil) piuttosto che nelle garanzie democratiche e culturali. Una società con una minoranza proiettata inesorabilmente in avanti si lascia dietro una lunga scia di esclusi: tra questi chi può, cerca di non farsi risucchiare sempre più indietro e emigra.
Le migrazioni internazionali così hanno oggi raggiunto dimensioni sconosciute nei secoli precedenti ed un ruolo importante nel determinare il movimento di persone tra paesi sviluppati, in via di sviluppo o con economie di transizione è giocato dalle interrelazioni economiche, politiche e culturali. La migrazione è influenzata ed influenza il processo di sviluppo: il divario negli standard di vita fra paesi poveri e ricchi e l'evoluzione demografica di questi ultimi hanno alimentato una tendenza all’aumento dei flussi migratori specialmente verso i paesi a sviluppo avanzato.
Definire l’immigrazione in Italia come elemento di un cambiamento epocale della nostra società potrebbe sembrare esagerato in un periodo storico di grandi modificazioni culturali ed economiche, pensiamo alla così detta globalizzazione, e di accelerate dinamiche sociali dettate da livelli di comunicazione sempre più veloci e diffusi.
Eppure l’incontro con persone di culture, storie, aspettative, espressioni e percezioni dei bisogni diversi dai nostri ci modifica e modificherà la nostra società più di quello che possiamo oggi immaginare: è una modifica nei comportamenti e negli atteggiamenti, nel linguaggio, per molti di noi una modifica nel modo di lavorare, nel modo di essere e di porci in ambito professionale.
Oltre 20 anni fa abbiamo cominciato ad occuparci di immigrati prima ancora di immigrazione, di persone malate, di bisogni sommersi e di diritti negati. Protagonisti sono stati molti medici, infermieri, operatori sociali prevalentemente nell’ambito del volontariato e del privato sociale, che in varie parti d’Italia hanno avuto umanità, sensibilità professionale e un forte senso di giustizia sociale per impegnarsi nel garantire tutela della salute, senza esclusione. Dall’impegno personale si è passati ad una coscienza collettiva di una nuova realtà, dall’emergenza all’esigenza di capire, studiare, sperimentarsi nell’incontro con questi “nuovi cittadini”.
Verso la fine degli anni ‘80 in Italia si comincia così a parlare di medicina delle migrazioni alla luce una presenza di immigrati provenienti dalle aree più povere del mondo sempre maggiormente visibile. In quel periodo era acceso il dibattito politico che affrontava il tema della salute di questa popolazione evocando il rischio di importazione di malattie in un binomio che nella storia dell'umanità è stato, nel passato, associato. A distanza di tempo ancora oggi l’immigrato è spesso visto con colpevole pregiudizio come untore; nel 2006 ci sono state dichiarazioni di due ministri, di schieramenti politici opposti, che mostrano preoccupanti contiguità: gli immigrati vanno controllati e visitati perchè portatori di malattie esotiche (ministro della salute Storace su Il Messaggero del 31/1/2006; ministro dell’interno Amato su La Stampa del 28/09/2006).
Questo accade nonostante svariati studi epidemiologici sottolineino ormai da tempo che il rischio di importazione di malattie infettive ricollegabile all’immigrazione è trascurabile. Gli esperti parlano di “effetto migrante sano”, una forma di selezione naturale all’origine per cui decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Una volta in Italia gli immigrati, soprattutto in un primo periodo e se in condizione di irregolarità giuridica, vedono progressivamente depauperare il loro patrimonio di salute, a causa della continua esposizione ai fattori di rischio della povertà – precarietà alloggiativa, sovraffollamento, scarsa tutela sul lavoro, alimentazione carente – ai quali si aggiungono il disagio psicologico legato allo sradicamento culturale e le difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari.
Queste considerazioni epidemiologiche sono confermate anche dall’analisi dei ricoveri, che evidenzia un basso impatto del fenomeno migratorio sui servizi ospedalieri – inferiore all’impatto demografico – per motivi essenzialmente riconducibili a eventi fisiologici come il parto o accidentali come i traumi. Viene peraltro segnalato il crescente numero di ricoveri per malattie croniche (in particolare patologie cardiovascolari e tumori), a fronte di un calo in termini sia assoluti che relativi delle malattie infettive: questi ultimi dati suggeriscono un cambiamento in atto nel profilo di salute degli immigrati, una sorta di transizione epidemiologica conseguente all’invecchiamento della popolazione e alle modifiche degli stili di vita.
A noi piace pensare alla medicina delle migrazioni non in termini di malattie o di rischio, ma come occasione per riconsiderare la persona nel suo insieme (corpo, psiche ma anche cultura, aspettative, desideri…) ed in un contesto (inserimento o fragilità sociale, effetti delle politiche d’accoglienza e d’integrazione, pregiudizi e discriminazioni …), in un ottica di salute globale che nell’epoca in cui viviamo non deve certamente sfuggirci.
Quali politiche sanitarie?
Sappiamo bene come alcune caratteristiche del fenomeno immigratorio in Italia, lo rendano peculiare: la dinamicità, l’eterogeneità, la costante evoluzione e trasformazione socio-demografica e l’assoluta necessità. Non volendo approfondire il significato sociologico, culturale e politico di ciò, ne traiamo semplicemente lo spunto per sottolineare come anche le politiche socio-sanitarie per la popolazione immigrata, debbano tener conto di queste caratteristiche. Esse devono essere certe e chiare ma nello stesso tempo devono permettere una flessibilità che dal punto di vista organizzativo deve tradursi in una maggiore adesione ai bisogni di questa nuova popolazione. Infine devono essere eque: non nel senso di dare tutto a tutti allo stesso modo, ma dare a tutti delle pari opportunità: in determinate situazioni bisogna dare di più ad alcuni rispetto agli altri in rapporto ad un diverso bisogno percepito ed espresso ma soprattutto oggettivamente determinato.
Attualmente, in ambito sanitario, coloro che sono presenti regolarmente in Italia con un permesso di media e lunga durata, devono (è un diritto/dovere) essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) ed anche coloro che sono presenti temporaneamente, sebbene in condizione di irregolarità giuridica, hanno garantite le prestazioni urgenti, essenziali, continuative e preventive in una logica di tutela del singolo che diventa tutela della collettività. Per i minori e le donne straniere si è costruito un sistema che permette di intercettare con certezza il bisogno sanitario, spesso intrecciato con quello sociale, e che fornisce gli strumenti, almeno normativi, per rispondere concretamente.
Tuttavia affinché il diritto formale (possibilità di accesso) garantito dalla legge si trasformi in diritto reale (fruibilità delle prestazioni) è indispensabile un’efficace politica sanitaria a livello locale: è a livello regionale, considerato anche l’avanzato federalismo proprio in sanità, che bisogna guardare perchè delle buone norme nazionali diventino prassi e il diritto dalla carta si realizzi nella quotidianità; bisogna vigilare perchè la burocrazia, nazionale e locale, non ricominci a tessere la sua ragnatela che spesso paralizza anche le migliori intenzioni di tutela.
E questo anche perché la normativa sanitaria italiana, anche se avanzata e lungimirante, ha delle situazioni di ambiguità che possono creare dei problemi nell’accesso e fruibilità che di per sé sono ambiti critici nella promozione alla salute.
Le attività e le strategie per la promozione della salute
"Carta di Ottawa"
• Le tre attività essenziali
1) to enable: è l'attività finalizzata a mettere in grado gli individui e la comunità di controllare e migliorare la salute;
2) to mediate: è l'attività finalizzata ad attivare la mediazione tra gli interessi diversi e, non di rado, in contrapposizione tra differenti organizzazioni per il raggiungimento della salute;
3) to advocate: è l'attività finalizzata a patrocinare e sostenere i meno favoriti nella Comunità in nome dell'equità.
• Le cinque azioni strategiche
1) Costruire politiche pubbliche per la salute;
2) Creare ambienti che favoriscono le scelte sane delle persone;
3) Sviluppare e favorire le azioni della comunità;
4) Aumentare la capacità e le risorse individuali;
5) Riorientare i servizi sanitari.
OMS, 1986
Per fare questo è necessario provvedere ad un “riorientamento” complessivo dei servizi. Si vuole con ciò intendere sia un ripensamento dell'organizzazione interna al servizio stesso sulla base delle dimostrate esigenze della sua potenziale utenza, che una sua effettiva apertura all'esterno, in raccordo con altre strutture sia del volontariato e del privato sociale afferenti al medesimo territorio sia altri enti locali.
Appare interessante a questo proposito il lavoro del gruppo "Salute e immigrazione" dell'Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel): partendo da una analisi del fenomeno immigrazione in alcune realtà territoriali, tenendo conto delle esigenze di amministratori di Enti Locali e dirigenti di Aziende Sanitarie, è stato messo a fuoco il tema dell'accesso ai servizi sanitari come ambito dove fornire proposte operative e percorribili: è stata prodotta una griglia con delle priorità che potrà essere uno stimolo ed uno strumento per chi si appresta ad individuare una progettualità sul tema. Sono state segnalate le seguenti priorità operative dove impegnarsi a livello locale: formazione del personale, lettura dei bisogni, lettura della domanda, organizzazione dei servizi, flessibilità dell'offerta, lavoro multidisciplinare, lavoro di rete.
• Formazione del personale
informazione, formazione specifica, formazione relazionale, aggiornamento, ...
• Lettura dei bisogni
rilevazione dei dati di routine, indagini specifiche, ...
• Lettura della domanda
legata alla percezione dei bisogni, alla traduzione culturale, alla possibilità di esprimersi,
all'incontro con i servizi, ...
• Organizzazione dei servizi
orari, offerta attiva, mediazione
• Flessibilità dell'offerta
modulare l'offerta in base alle verifiche dei bisogni e delle attività, sperimentare nuovi percorsi ...
• Lavoro multidisciplinare
all'interno del mondo sanitario, integrazione con altre discipline, ...
• Lavoro di rete
con altri attori intra aziendali, istituzionali, volontariato,
associazionismo di italiani e di immigrati, privato sociale, ...
CNEL - Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, 2001
La medicina delle migrazioni
La medicina delle migrazioni in Italia è anche la cronaca di un incontro, avvenuto sul piano del bisogno, ma che progressivamente ha fatto intravedere e scoprire la necessità di incontrarsi sul piano anche della cultura, del sapere, della condivisione di esperienze, stimoli, sensazioni. L'incontro con lo straniero immigrato è uno dei momenti nuovi dell'essere impegnati nel campo sanitario in Italia e questo non perché da ciò nascono nuove problematiche o nuove esigenze ma perché è nuovo il modo in cui queste problematiche e queste esigenze si pongono: la riscoperta del peso della cultura, dell'imprinting della propria società d'origine, di come le condizioni sociali possano pesantemente influenzare lo stato di salute fisica e mentale degli individui. Ed ancora è l'occasione per riscoprire come il nostro 'ovvio' non sia assoluto, come le nostre strutture sanitarie si siano progressivamente allontanate dai bisogni reali delle persone, sommerse da burocrazia, affollate da false esigenze, ... .
La medicina delle migrazioni non è, né vuole essere una nuova branca della medicina, una nuova specializzazione – ne abbiamo fin troppe -, ma è la riscoperta che l’attenzione, a persone prima ancora che pazienti, e nel caso degli immigrati portatori certamente di una specificità linguistica, culturale e di status, è essa stessa medicina e terapia.
“L’incontro prima ancora della relazione. L’accogliere prima ancora d’incontrare, la disponibilità prima ancora di accogliere, la curiosità prima della disponibilità, la corresponsabilità come tema di fondo e comune denominatore”. Non è questa una massima orientale o sapere popolare ma la sintesi del percorso di tanti operatori sociali e sanitari in Italia. Come un ipertesto virtuale, ogni esperienza, ogni riflessione apre altri orizzonti, sempre più profondi, essenziali. Fino ad arrivare al nocciolo esistenziale dell’intima comunione che ci lega gli uni gli altri: una interdipendenza necessaria e feconda, una alterità che ci accomuna se abbiamo il coraggio di spezzare il sottile diaframma che ci fa apparire troppo diversi in un gioco di specchi che alla fine riflette l’unica immagine di una umanità in cammino.
Gli immigrati ci “costringono” a rileggere la nostra cultura, anche quella professionale, ed in alcuni casi a ridisegnarla in rapporto ai nuovi bisogni soprattutto in ambito relazionale.
E vedere nell’immigrazione una risorsa e una occasione anche sul piano culturale è purtroppo una scelta di campo, poiché spesso il dibattito che la caratterizza non è mai sereno, come si trattasse di ragionare su merci e cose e non di essere umani con speranze, aspettative, bellezze e povertà. Eppure immigrazione nel nostro paese non significa necessariamente marginalità, non è esclusione o problematicità; immigrazione sono i bambini nati negli ospedali italiani e che vanno a scuola con i nostri figli, sono i compagni di lavoro, immigrati sono i vicini di casa…
La relazione terapeutica o una relazione d’aiuto in un contesto interculturale infatti non richiede un semplice aggiornamento delle conoscenze, ma implica una vera trasformazione del proprio modo di concepire e vivere la medicina ed ogni altra professionalità: è farsi domande più che avere risposte. Un filosofo norvegese contemporaneo, Jostein Gaarder, con un’amabile sintesi offre una originale chiave di lettura: “Una risposta è un tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre.” E noi, con l’autore, vogliamo puntare oltre.
Alcuni riferimenti bibliografici
Gaarder J.: C’è nessuno? Gyldendal Norsk Forlag, 1996; Salani editore, Milano 1997
CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro). Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri. Documento finale del Gruppo Salute e Immigrazione. In Agenzia Sanitaria Italiana (ASI), n. 13, 29 marzo 2001: 30-46
Geraci S.: Esclusione, fragilità sociale e reciprocità: un percorso da compiere. In Atti VIII Consensus Conference sull’immigrazione. VI Congresso nazionale SIMM. Lampedusa (Ag), 2004 – 6:9
Geraci S.: La medicina delle migrazioni in Italia: un percorso di conoscenza e di diritti. In Studi Emigrazione. Centro Studi Emigrazione, Roma, anno XLII, marzo 2005, n. 157, Roma, 2005, pp. 53:74
Geraci S. (a cura di): Approcci transculturali per la promozione della salute. Argomenti di medicina delle migrazioni. Edizioni Anterem. Roma, novembre 2000
Marceca M. L’assistenza sanitaria agli immigrati: quadro normativo e politiche sanitarie emergenti. L’Arco di Giano 1999; 22: 27-35
Mazzetti M.: Il dialogo transculturale. Manuale per operatori sanitari e altre professioni d’aiuto, Carocci, Roma, 2003