IMAGING INTEGRATO
Prof Massimo Fioranelli
Nel 1957 Sones1 eseguì la prima coronarografia selettiva nell'uomo, dopo cinquant'anni dalla sua introduzione, essa rimane un esame diagnostico insostituibile nella valutazione della malattia coronarica. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, l'introduzione di alcune tecniche di imaging coronarico hanno ridefinito i limiti e l'utilita' di questa metodica2, soprattutto in termini di quatificazione del grado di stenosi3.
Nel 2009 in Italia, sono state eseguite 265.794 esami coronarografici a fronte di 132.670 angioplastiche coronariche (dati della Societa' Italiana di Cardiologia Interventistica –GISE-), mettendo in luce come in 50% circa degli esami eseguiti non è vi è stata alcuna procedura di rivascolarizzazione 4. Una stenosi coronarica può essere identificata essenzialmente da due punti di vista: per la riduzione della sezione, del calibro o del lume del vaso (da un punto di vista squisitamente anatomopatologico o di immagini di Tomografia Computerizzata -TC-) o per la riduzione del diametro, in senso longitudinale (da un punto di vista prettamente angiografico) Nei referti coronarografici ci si riferisce usualmente alla riduzione percentuale del diametro5. La stenosi coronarica, osservata da un punto di vista angiografico, quindi biplanare, viene valutata con i seguenti parametri: la percentuale di stenosi ed il diametro minimo del lume (MLD).
La valutazione della percentuale di stenosi si ottiene dal rapporto tra il diametro minimo del lume a livello del punto più stretto della lesione ed il diametro di riferimento, che risulta dalla media dei diametri del lume nei segmenti di riferimento a monte ed a valle della stenosi, giudicati apparentemente sani3.
Il diametro minimo del lume è espresso in millimetri e, rispetto alle percentuali di stenosi, è una variabile assoluta e più facilmente riproducibile.
Si definisce una stenosi emodinamicamente significativa quella in grado di ridurre di almeno il 50% il diametro di un vaso coronarico. Questo, comunque, non significa che quella particolare lesione sia in grado di determinare ischemia, ma solamente che una data percentuale di riduzione è la condizione minima essenziale per cui si possa avere un potenziale ischemico. Il flusso basale non subisce tuttavia alcuna riduzione fino a che non venga ridotto a circa il 90% il diametro dell'arteria. In assenza di un aumento del tono muscolare coronarico, di ipertrofia, o di tutte quelle condizioni che determinino una disfunzione del microcircolo, è necessaria una stenosi in genere severa per limitare il flusso coronarico massimale durante uno sforzo6.
In molti soggetti con malattia coronarica la decisione di eseguire una procedura di rivascolarizzazione deve essere basata non solo sull'aspetto anatomico, ma anche sulla severità funzionale della stenosi (test funzionali non invasivi). Quando è presente una lesione coronarica di moderata entità, tra il 50 e l'80%, ed i test provocativi non invasivi dimostrano un'ischemia miocardica, nel caso in cui la terapia medica sia inefficace nel controllare i sintomi, è indicata una procedura di rivascolarizzazione miocardica. Nel caso, invece, in cui i test non invasivi non mostrino ischemia, nonostante il persistere di dolore toracico, è utile avere una valutazione funzionale della stenosi. La fractional flow reserve(FFR)6 rappresenta un indice funzionale attendibile nella valutazione di una stenosi coronarica. La FFR identifica il flusso massimale miocardico nel territorio di distribuzione di un'arteria coronarica in presenza di una stenosi rapportato al flusso massimo teorico. Viene calcolato il gradiente di pressione trans-stenotico, dopo aver somministrato adenosina per via intracoronarica od endovenosa, ottenendo quindi la massima vasodilatazione a valle di una placca. Il valore viene calcolato dal rapporto della pressione registrata a valle di una stenosi diviso quello riscontrato a monte. L'indice nornale è uguale ad 1. Viene considerato anomalo un valore inferiore allo 0,757. Un altro metodo per valutare la componente funzionale di una stenosi è lo studio della velocità di flusso, a monte ed a valle, con l'utilizzo di una sonda Doppler (Doppler flow velocity). La variazione di velocità è proporzionale alla variazione di flusso, nell'assunto che il calibro dell'arteria sia costante8.
Limiti dell’angiografia coronarica
L'angiografia coronarica pur essendo considerato l’esame più accurato per lo studio dell’albero coronarico,presenta tuttavia dei limiti legati al fatto che la malattia aterosclerotica si sviluppa essenzialmente nella parete del vaso9, ed essa rileva un'immagine del lume vasale che si riempie di liquido di contrasto (luminogramma). Studi anatomopatologici e dati di ecografia intravascolare coronarica (IVUS) hanno consistentemente dimostrato che tratti di arterie coronariche angiograficamente "normali" spesso contengono un significativo carico aterosclerotico. La stenosi coronarica viene definita in base alla riduzione percentuale del diametro del vaso in rapporto ad un segmento a monte ed a valle, considerati apparentemente normali. L'entità della stenosi può quindi essere spesso sottostimata quando vi sia un processo degenerativo aterosclerotico diffuso che riduce in toto il calibro del vaso10.
Un altro limite della valutazione angiografica e' determinato dal processo di rimodellamento positivo, descritto da Glacov; processo per cui il diametro del vaso si ingrandisce per contrastare la riduzione del calibro prodotto dalla placca aterosclerotica. Numerosi trials hanno dimostrato che la maggior parte delle trombosi coronariche si verificano su una placca non ostruttiva e spesso si formano su placche che presentano stenosi da lievi a moderate, inferiori al 75%. D'altro canto l'infarto miocardico spesso è il risultato della rottura di una placca vulnerabile che non determina alcuna riduzione del lume coronarico. Nonostante l'usuale acquisizione di immagini da diverse angolazioni, spesso le lesioni sono eccentriche e quindi di difficile valutazione;
inoltre l'entità e la severità di una stenosi coronarica presenta una marcata variabilità inter ed intraosservatore. La presenza di queste limitazioni metodologiche, la necessità di misurare il carico aterosclerotico e l'analisi della composizione della placca ha favorito lo sviluppo di tecniche di imaging integrato in sala di emodinamica quali l'IVUS (IntraVascularUltrasound)11 e l'OCT (Optical ChoerenceThomography)12.
IVUS
L'ecografia intravascolare coronarica (IVUS) è una tecnica di imaging che, attraverso l'utilizzo degli ultrasuoni, permette lo studio a 360° dei vasi coronarici epicardici mediante valutazione ecografìca intraluminale13 e quindi, un'analisi del vaso arterioso coronarico indipendente dall'angolo di proiezione. Questa tecnica, quindi, fornisce un'immagine diretta e in tempo reale dell'ateroma14.
L'acquisizione delle immagini IVUS richiede l'incannulazione del vaso prescelto con un catetere guida ed il successivo inserimento di un filo guida per angioplastica su cui fare avanzare la sonda ultrasonografica (sono disponibili sonde di tipo meccanico ed elettronico). La sonda viene posizionata distalmente alla lesione coronarica che si vuole studiare e quindi ritirata in senso distale-prossimale fino all'ostio del vaso, in modo da ottenere una successione di immagini trasversali dei vasi coronarici15.
L'acquisizione delle immagini IVUS può essere effettuata sia manualmente che ricorrendo ad una trazione automatica del catetere (pull-back automatico), applicando una velocità costante pari a 0.5 o 1 mm/sec.
L'IVUS è quindi una metodica invasiva, quanto la coronarografia, che consente di studiare solo un ramo coronarico per volta, 16.
La valutazione IVUS di una lesione coronarica è una procedura sicura che comporta una bassa incidenza di complicanze. Le dimensioni del vaso arterioso sono determinate dall'area delimitata dalla membrana elastica esterna ed il lume delimitato dal bordo dell'intima: tale area è definita Cross Sectional Area (CSA) della placca17.
Studi di validazione istologica hanno dimostrato che la placca aterosclerotica può essere classificata in lesioni a composizione prevalentemente lipidica, fibrosa o calcifica18. Quindi, sulla base dell'ecogenicità delle strutture analizzate, l'IVUS consente di identificare tre tipi di placca:
1) placca ipoecogena, o soffice, caratterizzata da ecoriflettenza diversa da quella della membrana elastica esterna (Fig. 1);
2) placca fibrosa, con ecoriflettenza simile a quella dell'avventizia e caratterizzata da un alto contenuto di collagene ed elastina (Fig. 2);
3) placca calcifica, ecoriflettente con cono d'ombra (Fig. 3).
C’è da dire, però, che sebbene l'IVUS identifichi con alta sensibilità e specificità il tessuto fibroso e calcifico, la metodica risulta meno accurata nell'identificare il tessuto lipidico19. Per quanto riguarda i depositi di calcio, invece, l'IVUS presenta una sensibilità ed una specificità significativamente superiore all'angiografia.
Gli studi con IVUS nei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica hanno dimostrato che l'aterosclerosi coronarica è presente in oltre il 90% dei pazienti, anche in quei vasi che appaiono normali alla coronarografia.
Varie sono le applicazioni diagnostiche dell'IVUS: la valutazione della composizione della placca, la misura del grado di stenosi, la valutazione del diametro vasale; tutto cio' ci orienta in modo più preciso dell’angiografia sulla scelta del tipo di stent da utilizzare per l'angioplastica. Tale tecnica è inoltre utile nella valutazione di lesioni coronariche angiograficamente subcritiche, in particolar modo quelle a localizzazione ostiale, alle biforcazioni e quelle a carico del tronco comune20.
Virtual Histology
L'analisi del segnale radiofrequenza, analisi della scala dei grigi all'analisi dei segnali acustici in radiofrequenza (RF IVUS) si è dimostrata in grado di migliorare il contributo informativo dell'IVUS, definendo con maggior precisione la morfologia e la composizione della placca aterosclerotica. L'analisi spettrale dei segnali e' stata definita Virtual Histology14. Sono stati codificati dei colori per caratterizzare le varie componenti istologiche: in verde il tessuto fibroso, in giallo il tessuto fibro-lipidico in bianco il calcio e il rosso per il corpo lipidico necrotico (vedi figura 4). Si creano cosi' mappe tissutali della sezione trasversa della placca. La Virtual Histology pertanto rappresenta un surrogato dell'istologia nello studio dell'aterosclerosi in vivo.
Le complicanze cui può andare incontro una placca aterosclerotica9, indipendentemente dal suo grado di stenosi, sono essenzialmente rappresentate dalla rottura del cappuccio fibrotico superficiale (fibrous cap) o dall'erosione, cioè dalla perdita del tessuto endoteliale di rivestimento. Tutto questo predispone alla formazione di trombi e quindi all'istantanea riduzione del lume vascolare. Dal punto di viata istopatologico, sono vulnerabili, ossia a potenziale rischio di instabilizzazione, le placche con ampio nucleo (core) lipidico, sottile cappuccio fibroso (< 65µ) , abbondante quota di cellule infiammatorie e ricchezza di metalloproteasi
Accanto a questa definizione vi è quella di fibroateroma con sottile cappuccio fibrotico infiammato (inflammed Thin-cap Fibroatheroma, TCFA).
È stata evidenziata una relazione tra l'estensione del core lipidico e la vulnerabilità della placca aterosclerotica: un ampio core lipidico correla con una maggiore probabilità di rottura della placca e pertanto di trombosi coronarica acuta.
Uno dei fattori che condiziona la tendenza alla rottura della placca aterosclerotica è lo spessore della capsula fibrosa: quanto maggiore è lo spessore, tanto minore è la possibilità di rottura della placca.
In genere le lesioni aterosclerotiche responsabili dell'infarto presentano una capsula fibrosa sottile, con spessore inferiore a 65µ, ed un nucleo lipidico sottostante ben sviluppato. È stata inoltre osservata una peculiare distribuzione geografica della placca aterosclerotica ad alto rischio10; le regioni prossimali e medie delle principali arterie coronarie sono quelle più frequentemente sede di placche vulnerabili. Inoltre in uno stesso paziente vi è spesso più di una placca vulnerabile
Sintetizzando queste sono le principali caratteristiche delle placche vulnerabili:
· presenza di un sottile cappuccio fibroso (<65µ);
· esteso pool lipidico centrale;
· presenza di abbondante infiltrato infiammatorio in corrispondenza del cappuccio fibroso.
Pur se il RF IVUS è una metodica in grado di rilevare con accuratezza i pool lipidici che com'è noto sono un elemento predittivo di vulnerabilità di placca, la metodica presenta alcuni limiti in quanto la risoluzione laterale è superiore ai 200 micron per cui non è possibile rilevare una capsula fibrosa assottigliata ovvero di spessore inferiore ai 65µ.
In base a queste limitazioni e' stata introdotta una sorta di microscopia ottica biologica con maggior potere di risoluzione come l'OCT.
Tomografia a Coerenza Ottica (OCT)
La tomografia a coerenza ottica (Optical CoherenceTomography)21e' una tecnologia di imaging ad alta risoluzione che utilizza una sorgente di luce vicina alla radiazione infrarossa (near infrared light, lunghezza d'onda compresa tra 1280 e 1350 nm) per visualizzare le strutture biologiche all'interno di un tessuto attraverso la riflessione delle radiazioni ottiche. La riflessione del fascio di luce genera immagini ad alta risoluzione delle pareti vasali e delle lesioni coronariche. Una sottile fibra ottica (0,019 inches) viene inserita all'interno delle coronarie durante un tradizionale esame coronarografico22. La luce riflessa viene comparata a un fascio luminoso di riferimento, relativo ad una lunghezza predefinita e così si ottengono immagini con una risoluzione nettamente superiore a quelle ultrasonografiche (IVUS); la risoluzione spaziale è infatti pari al 10-15 micron, 30 volte superiore a quella del IVUS.
Con l'OCT si evidenziano i tre strati della parete coronarica: l'intima, la media e l'avventizia (Figura 5)23.
La risoluzione dell’OCT consente di evidenziare le due strutture che delimitano la media: la lamina elastica interna e l'esterna.. In presenza di una placca complicata l'OCT e' in grado di rilevare il trombo, che appare come una massa ecoriflettente all'interno del lume24. Le dissezioni o fissurazioni di placca si apprezzano come sottili lembi di tessuto e sono di usuale riscontro nei soggetti con sindrome coronarica acuta. Infine l’OCT è potenzialmente in grado di evidenziare i vasavasorum che irrorano la placca aterosclerotica, che a loro volta possono essere responsabili della complicazione di una placca. L'OCT permette accurate misurazioni delle aree e dei diametri luminali. In presenza di un pool lipidico è possibile misurare la capsula fibrosa che lo delimita internamente e lo spessore e l'area della formazione lipidica. L’OCT offre preziose informazioni relativamente alla corretto impianto di uno stent. Definisce l'esatta localizzazione delle maglie dello stent ed una eventuale incompleta apposizione delle maglie. Infatti la risoluzione elevata della tecnica consente sempre di misurare la distanza tra le maglie dello stent e la parete dell'arteria25.
Il limite dell’OCT è che la luce ad infrarossi emessa possiede una bassa penetrazione, rendendo impossibile lo studio delle componenti della placca ad una profondità superiore ad 1-1.5 mm.
Oggi, in piena era di imaging coronarico, le nuove metodiche non invasive come la TC coronarica, e quelle invasive, che affiancano la tradizionale angiografia coronarica, come l'IVUS ed l’OCT26, hanno segnato un punto di svolta nell'interpretazione della malattia coronarica, consentendoci di vedere più a fondo e nel dettaglio.
FIGURE
Figura 1 - Placca ipoecogena |
Figura 2 - Placca fibrosa con alcune componenti calcifiche |
Figura 3 - Placca calcifica concentrica |
Figura 4 - Virtual histology: placca fibrocalcifica. in verde chiaro: tessuto fibroso, in verde scuro: tessuto fibro-calcifico, in bianco: calcio; in rosso: tessuto necrotico. |
Figura 5 - Immagine OCT. Si riconoscono i tre strati della parete arteriosa: intima, media ed avventizia.In verde l'area luminale.In bianco il cappuccio superficiale. |
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Corrisponding Author
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