La terapia dell’infarto. Si può migliorare ulteriormente la prognosi?
M. L. Finocchiaro
L’infarto miocardico continua ad essere la prima causa di morte nei paesi occidentali con una mortalità globale per infarto miocardico che arriva a percentuali intorno al 40%. Negli ultimi decenni infatti, il trattamento della sindrome coronarica acuta (SCA) è stato caratterizzato da una continua evoluzione della terapia farmacologica e delle tecniche di rivascolarizzazione percutanea che ha permesso una riduzione della mortalità intraospedaliera fino al 4-5%[1], mentre la mortalità pre-ospedaliera è tuttora stimabile intorno al 35-40%.
Analizzeremo quindi come è possibile migliorare la prognosi dell’infarto miocardico sia nella fase pre-ospedaliera che in quella ospedaliera.
a. Fase pre-ospedaliera
E’ ormai risaputo che la diagnosi precoce e la riduzione dei tempi di riperfusione permettono di limitare il danno a livello miocardico e di ridurre in modo significativo la mortalità di un infarto miocardico acuto[2], quindi gli interventi per ottimizzare la fase pre-ospedaliera sono sostanzialmente:
- diffusione di campagne di informazione volte al rapido riconoscimento dei sintomi ed all’utilizzo, da parte dei pazienti, del 118 per un trasporto protetto fino al centro in grado di fornire la terapia adeguata
- organizzazione di una efficente rete per l’emergenza cardiovascolare e la teletrasmissione dell’elettrocardiogramma
-
a1. La rete dell’emergenza e la teletrasmissione dell’elettrocardiogramma (ECG)
Numerose esperienze a livello mondiale hanno dimostrato come nell’infarto miocardico acuto, la teletrasmissione dell’ECG e l’eventuale terapia pre-ospedaliera permettano di limitare l’estensione dell’area di necrosi e di ridurre la mortalità[3].
Purtroppo nella nostra Regione l’organizzazione della rete dell’emergenza stenta a decollare nonostante le ripetute indicazioni normative regionali[4],[5],[6]. Nel 2013 è stato messo a punto il progetto T.E.M.P.O. (Trattamento dell’Emergenza Miocardico-ischemica in ambito Pre-Ospedaliero. Progetto di teletrasmissione dell’ECG e di teleconsulto dalle ambulanze del 118 alle unità coronariche). Questo progetto prevede l’ottimizzazione della gestione del paziente con sindrome coronarica acuta attraverso la teletrasmissione dell’ECG e dei dati clinici direttamente dal domicilio del paziente o dall’ambulanza alla Centrale Operativa (CO) del 118 e contemporaneamente all’Unità Coronarica di riferimento. Dopo la teletrasmissione vi è un teleconsulto tra il personale dell’ambulanza, il cardiologico-UTIC, ed il Medico della CO del 118, che concorderanno l’eventuale terapia ed il percorso del paziente. In caso di conferma della diagnosi di infarto miocardico con l’indicazione ad angioplastica primaria, il cardiologo attiverà l’emodinamica di competenza ed il 118 provvederà al trasporto del paziente direttamente in sala di emodinamica, saltando i passaggi intermedi (pronto soccorso ed unità coronarica). L’obiettivo è quello di ridurre in modo significativo i tempi di riperfusione con un miglioramento della prognosi del paziente.
A Roma nel mese di luglio 2013, grazie al sostegno del Lions Club Roma Amicitia, è stata avviata una fase pilota del progetto T.E.M.P.O. Sono stati attrezzati cinque mezzi di soccorso ARES 118 con monitor defibrillatori muniti di modem per la teletrasmissione dell’ECG alle due stazioni riceventi site presso l’Unità Coronarica dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata e la Centrale Operativa 118 di Roma.
Nei 6 mesi iniziali (luglio 2013 - gennaio 2014), sono stati teletrasmessi circa 200 ECG e tra questi è stata posta diagnosi di SCA in 35 pazienti con l’attivazione dell’ angioplastica in emergenza in 17 pazienti.
La diffusione della teletrasmissione all’intera Regione permetterà un miglioramento globale della prognosi dei pazienti con infarto miocardico.
b. Fase ospedaliera
Nel trattamento ospedaliero delle sindromi coronariche acute (SCA) il successo terapeutico dipende dal bilanciamento tra rischio ischemico e rischio emorragico. Quindi la ricerca degli ultimi anni è stata finalizzata, da una parte alla ottimizzazione della terapia antiaggregante con farmaci sempre più efficaci nel prevenire gli eventi ischemici e sufficientemente sicuri nel limitare le complicanze emorragiche e dall’altra alla ricerca di stent coronarici che abbiano un rischio di restenosi e di trombosi sempre minori, fino ad arrivare agli stent di ultima generazione completamente riassorbibili.
b1. Nuovi antiaggreganti
La doppia terapia antiaggregante piastrinica rappresenta uno dei cardini terapeutici delle sindromi coronariche acute, riducendo il rischio di eventi ischemici. Infatti sebbene l’aspirina da sola riducesse del 50% l’incidenza di morte o infarto dopo SCA, la doppia antiaggregazione ha permesso di ottenere una inibizione dell’aggregazione piastrinica più potente ed efficace. L’aggiunta di clopidogrel aveva permesso di ridurre del 20% gli eventi cardiovascolari rispetto alla sola aspirina [7],[8].
Negli anni seguenti è stata evidenziata una resistenza al clopidogrel che raggiungeva un’incidenza del 30% dei casi. Questa, dovuta prevalentemente a fattori genetici, clinici o di interazione farmacologica, ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci antiaggreganti. Il prasugrel, una tienopiridina di terza generazione, In base ai risultati dello studio Triton-TIMI38[9], ha determinato una riduzione del 20% degli eventi cardiovascolari ischemici rispetto al clopidogrel nei pazienti con SCA sottoposti ad angioplastica. D’altro canto l’incremento di emorragie maggiori ha limitato l’indicazione ai pazienti con SCA ad elevato rischio ischemico (con impianto di stent) ed a rischio emorragico non elevato (es minore di 75aa, con peso corporeo >60Kg, anamnesi negativa per eventi cerebrovascolari, ecc).
Nel 2009, in base ai risultati dello studio Plato[10], il ticagrelor (una triazolopirimidina antagonista reversibile del recettore piastrinico P2Y12) in associazione all’ASA, ha dimostrato, rispetto al clopidogrel, una riduzione del 16% dell’end-point composito di morte cardiovascolare, stroke ed infarto miocardico e del 22% della mortalità totale, senza un aumento significativo di emorragie maggiori.
In conclusione, i nuovi farmaci antiaggreganti piastrinici permettono un miglioramento della prognosi nei pazienti con infarto miocardico, e sono in corso ulteriori studi per inibitori piastrinici ancora più selettivi che riescano ad associare ad un’elevata efficacia anti-ischemica un limitato rischio emorragico.
b2. Angioplastica coronarica con posizionamento di stent
La maggioranza dei pazienti con infarto miocardico viene sottoposta ad angioplastica coronarica con posizionamento di stent. Purtroppo l’incidenza di infarti periprocedurali rimane alta e si stima che in Italia interessi dal 5% al 30% dei pazienti. Questi, dovuti principalmente a ischemia, embolizzazione di materiale trombotico o trombosi acuta intrastent, posso essere limitati dall’applicazione di nuove metodiche di imaging come la tomografia ottica a coerenza di fase.
b2a. Tomografia ottica a coerenza di fase (optical coherence tomography: oct),
La Tomografia ottica a coerenza di fase è una tecnica ad altissima risoluzione che, utilizzando un fascio di luce nell’ambito degli infrarossi, permette di visualizzare i dettagli delle coronarie dal loro interno. Ciò consente di analizzare la forma e la composizione delle placche, evidenziandone la componente lipidica e/o infiammatoria permettendo l’identificazione delle placche più instabili. Inoltre se utilizziamo questa tecnica durante l' angioplastica è possibile evidenziare aspetti che possono sfuggire all'angiografia tradizionale come:
– la corretta posizione ed espansione dello stent,
– la presenza di piccole dissezioni
– la presenza di piccoli trombi all' interno dell' endoprotesi
– la presenza di minuscole placche aterosclerotiche in prossimità della sede trattata
Uno recente studio "CLI-Opci", promosso dal "Centro lotta contro l'infarto", ha dimostrato che, grazie all’utilizzo di questa tecnica durante l' angioplastica, vi è una riduzione del 50% degli infarti periprocedurali e delle morti ad un anno dall'intervento[11].
Per condurre lo studio, è stato istituito un registro formato da due gruppi di 335 pazienti. Nel primo l'impianto di stent è stato eseguito con l’ausilio della tecnica OCT, mentre nel secondo è stata effettuata la sola angioplastica con metodica tradizionale. Ad 1 anno , la mortalità per cause cardiovascolari si è ridotta significativamente nel gruppo sottoposto a OCT passando dal 4.5% al 1.2% (p=0.01), così come l’end point combinato di infarti non fatali e di morti cardiovascolari si è ridotto dal 13% al 6%, (p=0.006). Questo studio ha quindi sottolineato come l’angioplastica OCT-guidata permetta di migliorare la prognosi dei pazienti con cardiopatia ischemica.
b2b. Nuovi stent medicati
I primi stent metallici non rivestiti presentavano nel 20-25% dei casi il problema del restringimento tardivo (restenosi) dovuto alla proliferazione eccessiva dell’intima che ricopriva lo stent.
Per ovviare a questo sono stati utilizzati gli stent medicati che attraverso un polimero rilasciano farmaci antiproliferativi che, prevenendo la proliferazione cellulare della neointima, prevengono la restenosi. Questi, anche se raramente (5/1000 l’anno), possono andare incontro a trombosi, anche tardiva[12].
Sono stati quindi realizzati stent medicati di II generazione [13],[14] modificando il farmaco ad azione antiproliferativa
Gli stent medicati di nuova generazione hanno mostrato una bassa tendenza alla trombosi tardiva (0.3% annuo per lo Xience a rilascio di everolimus) e, nel caso dello stent Endeavour a rilascio di zotarolimus, l’interruzione precoce della doppia terapia antiaggregante non determinava un aumento di eventi cardiaci.
Negli ultimi anni si è compreso il riolo pro-infiammatorio del polimero che rilascia il farmaco per cui sono stati concepiti stent di ultima generazione con polimeri biodegradabili (stent Biomatrix con polimero di acido polilattico)[15].
Gli stent di ultima generazione sono gli stent bioassorbibili cioè con il substrato che, una volta esplicato l’effetto di fungere da supporto, è completamente riassorbibile. Lo studio ABSORBE[16], realizzato in 30 pazienti, ha osservato a distanza di 2 anni un completo riassorbimento della piattaforma dello stent e, a 3 anni, l’assenza totale di trombosi. Poiché si è evidenziata a 6 mesi una riduzione dell’area luminale, si è ritenuto di dover modificare ulteriormente la struttura dello stent per ritardarne la degradazione.
Nella nuova generazione di stent riassorbibili [17],[18] le maglie rimanevano visibili allo studio OCT dopo 6 mesi dall’impianto e la riduzione luminale era minima.
Infine, vanno segnalati modelli metallici caratterizzati da una superficie luminale ad alta biocompatibilità, soluzioni molto promettenti nei pazienti con infarto, in cui è necessario applicare stent che garantiscano una precoce endotelizzazione[19].
In conclusione, gli stent medicati rappresentano un importante passo in avanti per la cardiologia interventistica. L’evento della trombosi tardiva rimane tuttavia un problema con un’incidenza annua intorno allo 0.5% per gli stent di prima generazione, ulteriormente ridotta per gli stent di seconda generazione. Infine, i nuovi stent bio-assorbibili potrebbero migliorare i risultati clinici e la speranza per il futuro è quella di sostituire gli attuali stent con quelli bioassorbibili, soprattutto nei pazienti giovani o con interessamento dell’arteria discendente anteriore, in modo da
– ridurre l’incidenza di trombosi tardiva
– ridurre l’indicazione a terapia antiaggregante
– facilitare il trattamento della restenosi
– non limitare le opzioni di futuri di interventi (angioplastica, bypass aorto-coronarico).
Bibliografia
[1] Rizzello V, Lucci D, Maggioni AP for IN-ACS Outcome Investigators: Clinical epidemiology, management and outcome of acute coronary syndromes in the Italian network on acute coronary syndromes (IN-ACS Outcome study). Acute Card Care. 2012 Jun;14(2):71-80.
[2] Cannon CP, Gibson CM, Lambrew CT: Relationship of symptom-onset-to-balloon time and door-to-balloon time with mortality in patients undergoing angioplasty for acute myocardial infarction. JAMA. 283 2000:2941-2947.
[3] Curtis JP, Portnay EL, Wang Y, et al: The Pre-Hospital Electrocardiogram and Time to Reperfusion in Patients With Acute Myocardial Infarction, 2000–2002. Findings From the National Registry of Myocardial Infarction-4. J Am Coll Cardiol. 2006;47(8):1544-1552.
[4] DGR n. 420/2007 - Linee guida per la costituzione e lo sviluppo di reti assistenziali di alta specialità e di emergenza
[5] DCA n. 73/2010 - Rete assistenziale dell’emergenza
[6] DCA n. 74/2010 - Rete assistenziale cardiaca e cardiochirurgica
[7] The Clopidogrel in unstable angina to Prevent Recurrent Events trial (CURE) Investigators: Effects of Clopidogrel in Addition to Aspirin in Patients with Acute Coronary Syndromes without ST-Segment Elevation. N Engl J Med 2001; 345:494-502
[8] Mehta SR, Yusuf S, Peters RJ and Clopidogrel in Unstable angina to prevent Recurrent Events trial (CURE) Investigators. Effects of pretreatment with clopidogrel and aspirin followed by long-term therapy in patients undergoing percutaneous coronary intervention: the PCI-CURE study. Lancet 2001; 358: 527–533
[9] Wiviott SD1, Braunwald E, McCabe CH, for TRITON-TIMI 38 Investigators: Prasugrel versus clopidogrel in patients with acute coronary syndromes. N Engl J Med 2007;357(20):2001-2015.
[10] Wallentin L, Becker RC, Budaj A for the PLATO Investigators: Ticagrelor versus Clopidogrel in Patients with Acute Coronary Syndromes. N Engl J Med 2009; 361:1045-105
[11] Prati F, Di Vito L, Biondi-Zoccai G et al: Angiography alone versus angiography plus optical coherence tomography to guide decision-making during percutaneous coronary intervention: the Centro per la Lotta contro l'Infarto-Optimisation of Percutaneous Coronary Intervention (CLI-OPCI) study. EuroIntervention. 2012 Nov 22;8(7):823-829.
[12] Lagerqvist B, James SK, Stenestrand U, et Al.; SCAAR Study Group. Long-term outcomes with drug-eluting stents versus bare-metal stents in Sweden.
N Engl J Med. 2007 Mar 8;356(10):1009-1019.
[13] Brener SJ, Kereiakes DJ, Simonton CA, et al: Everolimus-eluting stents in patients undergoing percutaneous coronary intervention: final 3-year results of the Clinical Evaluation of the XIENCE V Everolimus Eluting Coronary Stent System in the Treatment of Subjects With de Novo Native Coronary Artery Lesions trial. Am Heart J. 2013 Dec;166(6):1035-1042.
[14] Kirtane AJ, Leon MB, Ball MW, for ENDEAVOR IV Investigators: The "final" 5-year follow-up from the ENDEAVOR IV trial comparing a zotarolimus-eluting stent with a paclitaxel-eluting stent. JACC Cardiovasc Interv. 2013 Apr;6(4):325-333
[15] Barlis P, Regar E, Serruys PW. An optical coherence tomography study of a biodegradable vs durable polymer-coated limus-eluting stent: a LEADERS trial substudy. Eur Heart J 2010; 31:165-176
[16] Serruys PW, Ormiston JA, Onuma Y, et al. A bioabsorbable everolimus-eluting coronary stent system (ABSORB): 2-year outcomes and results from multiple imaging methods. Lancet 2009; 373:897-910
[17] Serruys P, Onuma Y, Ormiston JA et al. Evaluation of the second generation of a bioresorbable everolimus drug eluting vascular scaffold for treatment of de novo coronary artery stenosis. Circulation 2010; 122:2301-2312
[18] Waksman R, Prati F, Bruining N, et al. Serial Observation of Drug-Eluting Absorbable Metal Scaffold. Multi-Imaging Modality Assessment. Circ Cardiovasc Interv 2013 Dec;6(6):644-553
[19] La Manna A, Prati F, Capodanno D, et al. Head-to-head comparison of early vessel healing by optical coherence tomography after implantation of different stents in the same patient. J Cardiovasc Med, 2011 May;12(5):328-333 (in)
Maria Luisa Finocchiaro
Responsabile Unità di Terapia Intensiva Cardiologica - Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata – Roma.