Pedro López, medico spagnolo in Messico nella seconda metà del XVI sec[1]
L. MARTÍNEZ FERRER
L’anno 1527 viene ricordato in Europa come particolarmente drammatico. La rivolta luterana debilita la Cristianità. La confusione fra il piano politico e quello religioso sfiora il parossismo. A Roma le truppe tedesche e spagnole invadono e mettono a sacco la città, facendo dimenticare le abitudini fino a quel momento troppo mondane dell’Urbe. Il pontefice Clemente VII, prigioniero a Castel Sant’Angelo, è in preda allo sconforto. La riforma della Chiesa è improrogabile.
In quello stesso anno, nel piccolo paese di Dueñas veniva alla luce Pedro, figlio del baccelliere Rodrigo López e di Ana Gómez. La famiglia avrebbe avuto due medici: lo stesso Pedro e suo fratello Agustín Alonso. Dueñas era una località della Castiglia, piccola ma di una certa importanza, a metà strada fra Valladolid e Palencia. Fra i suoi motivi di onore vi è quello di aver offerto rifugio ai Re Cattolici durante la guerra per il trono. Va pure notato che da lì prese l’avvio un’importante flusso migratorio verso il Nuovo Mondo.
All’età di 20 anni, Pedro López si sposò a Palencia con Juana de León, donna di buona posizione, nipote di un medico, Tomás. López studiò medicina e ottenne il titolo accademico a Valladolid. Nel 1547 ricevette un messaggio che avrebbe cambiato la sua vita. Era una chiamata che proveniva da lontano, dall’altro lato dell’Atlantico, dal Messico.
Glielo inviarono le sue sorelle Ana e Francisca. Quest’ultima era rimasta vedova. Si trovavano in difficoltà e bisognose dell’aiuto del fratello. Pertanto, il giovanissimo Pedro, lasciando sua moglie in custodia al fratello, il medico Agustín Alonso, attraversò l’Atlantico, con un biglietto di sola andata.
Il Messico che trovò Pedro López non era più il campo di battaglia fra atzechi e conquistatori, come lo era stato negli anni 20 e 30. Poco a poco, la nuova società ispano-indigena, alla quale andava aggiunto l’elemento africano, legato alla schiavitù, si stava organizzando. Gli indigeni sapevano che non si poteva tornare indietro e che dovevano diventare buoni vassalli dell’imperatore. Se volevano andare avanti, era necessario che prendessero parte alla ricostruzione economica e sociale. La Chiesa, da parte sua, procurava che la fede cattolica fosse il nuovo fondamento della collettività. A questo riguardo, è molto interessante considerare che la vita di Pedro López è un esempio di formazione di una nuova società, quella messicana, che non era né quella spagnola né quella locale, ma che potrebbe definirsi quella dei creoli e dei mettici. Precisamente, il lungo periodo che López trascorse in Messico (i 50 anni dal 1547 al 1597) è proprio quello della prima configurazione della Nuova Spagna.
Sappiamo che López non perse tempo. Dopo aver incontrato le sorelle, ebbe come priorità trovare una fonte di guadagno e far sì che la moglie potesse raggiungerlo. Nella bella città di Puebla, vicina a Città del Messico, si dedicò all’affitto di case, e gli affari gli andarono bene. Passati solo due anni, potè scrivere al fratello Agustín Alonso affinché preparasse il viaggio della propria moglie. Diego León, fratello di Juana, aiutò nel disbrigo delle formalità e forse viaggiò insieme a lei.
Prima dell’arrivo della moglie, si verificò un evento importante: nel 1553 Pedro, con la convalida del titolo di laurea conseguito in Spagna, venne accolto presso la Reale e Pontificia Università del Messico e fu membro della prima schiera di dottori in medicina dell’Ateneo. Si trattava di una Istituzione fondata negli anni trenta dall’Arcivescovo Juan de Zumárraga, ma che iniziò realmente a funzionare nel 1553, con le Facoltà di Arti (Filosofia), Teologia, Diritto Canonico e Medicina. Per López significava qualcosa di realmente importante: possedeva ora i titolo necessari per esercitare la medicina e provvedere alla famiglia. Gli atti dell’Università menzionano frequentemente il nostro medico. Arrivò ad essere nominato protomedico o supervisore delle farmacie della capitale. Esercitava la medicina anche privatamente. Sappiamo che, per esempio, prestava gratuitamente le cure mediche presso il convento di San Domenico. Il suo raggio di azione abbracciò anche il mondo del commercio e arrivò ad essere priore del consolato dei commercianti di Città del Messico. Era legato anche al “cabildo”, organo di governo della città. Divenne uomo di una certa fortuna, capace di dare in moglie la figlia Catalina ad uno dei principali commercianti della città. Come il resto dei medici e chirurghi che abitavano nella città, con grado universitario o meno, riuscì a inserirsi in molti ambienti. Tuttavia, certamente la sua figura si evidenzia in modo del tutto speciale fra i suoi colleghi medici. Il resoconto delle sue attività lo dimostra.
Quindi, nel 1554, Juana e Pedro si ricongiungono. La famiglia crebbe; ebbero cinque figli: due maschi, Giuseppe e Agustín, che sarebbero diventati sacerdoti, e tre femmine: Catalina, María y Juana.
Alcuni documenti dell’Archivo Segreto Vaticano attestano che negli anni 1569/1570 López si preoccupò di come si realizzava il canto gregoriano nella cattedrale di Città del Messico. In particolare, gli sembrava che non si intendesse bene il canto del Gloria Patri. Scrisse al Papa e questi comunicò al vescovo che bisognava rivedere il modo di cantare, mentre inviò al medico il breve Litteras tuas. Tale iniziativa dovette suscitare interesse a Roma. Nel 1737 il breve Litteras fu riprodotto da Jacobo Laderchio nella sua continuazione degli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio, un’opera di circolazione internazionale nel mondo cattolico. Il nome di Pedro López entrò nelle letture degli eruditi di storia.
Con il passare degli anni, López intuisce le necessità della complicata società di Città del Messico, e arrivò a realizzare imprese assistenziali di grande portata, a partire degli anni 70. Prima dovette subire un processo dinanzi all’Inquisizione del Messico, da poco costituita, che non arrivò neppure alla sentenza, per mancanza di prove. È interessante considerare che, nonostante il processo inquisitorio, la sua reputazione non venne scalfita da questo episodio. Difatti, diede poi inizio ad una serie di opere assistenziale di grande rilievo.
L’aspetto più conosciuto è quello di fondatore di due ospedali, qualcosa di non comune trattandosi di un laico. Il primo ospedale, del 1572, è quello di San Lázaro, dedicato ai lebbrosi. Non vi erano molti lebbrosi in Messico, ma non esisteva comunque un ospedale specializzato. Un primo lo aveva costruito Hernán Cortés, ma un nemico senza scrupoli lo aveva distrutto. Il cappellano dell’ospedale di López fu suo figlio Giuseppe; inoltre l’ospedale ricevette una rendita fissa. Nel testamento di Pedro López, scritto nel 1596, si afferma che fino a quel momento erano stati accolti «più di quaranta lebbrosi», uomini e donne, e che erano morti più di trenta. Contrariamente alla prassi di altri ospedali, i pasti erano a spese dell’Istituzione, attraverso le elemosine.
Il secondo ospedale, del 1582, è quello chiamato della Epifanía o “de los Desamparados”, e rappresenta quasi un compendio dell’opera del medico castigliano. Era dedicato a tutti quelli che non trovavano asilo nei diversi ospedali della città, dedicati a spagnoli, agli indigeni, ai malati di sifilide e addirittura ai pazzi. Nel testamento il nostro medico afferma: «A gloria di Dio e della sua madre benedetta ho edificato un’altra casa e un ospedale che si chiama “de los Desamparados”, perché si accolgono in esso tre generi di persone che nessun ospedale è disposto a curare: i meticci, i mulatti e i neri, siano questi liberi o schiavi senza possibilità di finanziamento da parte dei padroni (…) E visto che si chiama casa “de los Desamparados”, si curano lì anche quegli spagnoli che non sono ricevuti in altri ospedali, proprio perché sono senza ricorsi».
Dunque, i più “desamparados” erano, da un certo punto di vista, i neri: ma non principalmente i neri schiavi della città (che potevano pure ricoverarsi, ma pagati dai loro padroni), ma gli africani che, in vario modo, avevano recuperato la libertà o che forse mai l’avevano persa, ma che si trovavano in una situazione molto problematica. L’altro gruppo di bisognosi erano i meticci, una minoranza, che non erano preparati a vivere né nella società dei padri né in quella delle madri. Questi gruppi non godevano di una attenzione medica specifica in una società in cui non esisteva una assistenza sanitaria generale. L’ospedale di López, invece, era aperto a tutti, non solo a neri e ai meticci, ma anche a spagnoli poveri. Si adoperò per ottenere i permessi civili ed ecclesiastici, comprò alcuni terreni nel centro della città e tentò di assicurare una dotazione di fondi, anche se l’ospedale non raggiunse mai la sicurezza economica che invece si ottenne in quello di San Lazaro.
Inoltre, il medico ebbe a cuore la salute spirituale dei neri liberi e organizzò catechesi quaresimali per loro, anche se con poco successo, visto che il gruppo di neri e mulatti era molto disomogeneo; inoltre vi erano anche dei neri, i cosiddetti “bozales”, che non parlavano il castigliano.
Il nostro dottore costituì pure una confraternita di donne che si occupavano dei più bisognosi, i bambini neofiti. Creò la prima istituzione messicana a loro dedicata, che riceveva i neonati in una ruota che assicurava l’anonimato ma che salvava da morte certa quelle creature, che altrimenti diventano pasto dei cani randagi. Così afferma nel testamento: «dispongo in questo ospedale (quello “de los Desamparados”) di una ruota, in cui si ricevono i bambini orfani, abbandonati dalle loro madri, che si allevano, alcuni a spese della casa, altri a spese di persone caritatevoli». Si nota qui la continuità con la carità cristiana coi “gettatelli” di cui la medievale ruota dell’Ospedale di Santo Spirito è illustre paradigma.
López ebbe naturalmente i suoi amici. Fra di essi in particolare due religiosi. Uno fu Fra’ Bernardino Álvarez, fondatore del Ordine degli Hipólitos, istituto nato in America e dedicato all’assistenza dei dementi. L’altro fu Fra’ Juan de Paz, che era come suo fratello, infermiere del convento di San Domenico, in cui López dispensava la sua assistenza come abbiamo ricordato.
Nel 1585 i vescovi messicani si riunirono nel Terzo Concilio della provincia ecclesiastica. Un anno prima chiesero a tutti i fedeli, chierici o laici, di inviare proposte su questioni da sottoporre all’assemblea. López inviò diversi memoriali. In quel momento era una personalità che godeva di grande rispetto. Erano già 35 anni che viveva in Messico. Nelle sue proposte toccava varie questioni: le aspiranti allo stato monacale, le catechesi ai neri, il commercio dell’argento, i costumi dei chierici, ecc. I vescovi esaminarono attentamente i sui scritti, anche se non piacquero a tutti. Sottolineiamo alcuni temi.
Riguardo ai neri e ai mulatti, chiese la costituzione di una confraternita, come quelle che esistevano in altre parti di Europa e America, per facilitare la loro evangelizzazione. Nel suo memoriale argomenta che «non [cerco] interesse personale ma il bene di questa gente tanto bisognosa». La richiesta non venne accolta, probabilmente per paura che si producessero ribellioni.
Particolarmente sentita fu la petizione al concilio riguardante i bimbi esposti. Riproduciamo integralmente le sue parole:
«Nostro Signore mi ha fatto la grande grazia di essere padre di bambini orfani e senza ripari, che abbandonano nella ruota posta nell’ospedale; me ne prendo cura; oggi sono, per bontà di Dio, più di quaranta. Supplico la signoria vostra (…) che li ammetta, se è giusto, ad essere atti a divenire sacerdoti e a legittimarli a questo fine e (…) che si veda e studi se vi siano decreti dei pontefici o privilegi regali di cui tali bambini possano godere e che se li concedano».
Richiedeva, in sostanza, la dispensa dall’impedimento di illegittimità per accedere al sacerdozio, giacché praticamente tutti i bambini esposti erano mettici figli di rapporti extraconiugali tra spagnoli e donne indigene. La proposta è un fedele riflesso della religiosità di López; lui pure padre di due figli sacerdoti, desiderava comunicare questa paternità a quei bambini che allora avevano massimo due anni, e che ovviamente egli non avrebbe mai visto ordinati sacerdoti, nel caso in cui il Concilio avesse accolto la sua richiesta, cosa che non fece.
Ritroviamo nei memoriali di López anche alcune petizioni molto puntuali sul mondo della medicina. Due fanno riferimento ai giorni di festa da rispettare: chiedeva che si disponesse che i farmacisti non dispensassero medicine nei giorni di festa, se non per motivi di urgenza; anche i medici dovevano evitare di purgare i malati nei giorni di festa, perché avrebbe loro impedito di assistere alla Messa. Un’altra petizione faceva riferimento al compimento della legge canonica che obbligava i medici a invitare i pazienti gravi a ricevere i sacramenti prima di sottomettersi alle cure mediche. Vi è anche una petizione di etica professionale: non approfittarsi delle sofferenze e della gravità dei malati per aumentare il prezzo degli emolumenti.
Gli anni trascorrevano e la vita del medico volgeva al termine. Il 13 febbraio 1596 firmò il suo testamento. In esso si riferisce a Juana, come a «la mia buona compagna» e la «mia legittima e amata moglie». I riferimenti a Dio, in forma di orazione, sono sinceri e non convenzionali: «confesso di tutto cuore e so per la luce che mi hai dato che è grande verità che sono tuo e che mi devo a te». Poco tempo dopo, il 24 agosto dell’anno successivo, il suo cuore smise di battere. Fu sepolto presso il convento di San Domenico, molto vicino al luogo dove riposava il suo amico Fra’ Juan de Paz.
Non sono pochi gli studi specialistici condotti su questo medico castigliano radicato in Messico. Durante il XVII e XVIII sec. fu oggetto di studio da parte di diversi autori, anche in un opera di circolazione internazionale come gli Annales eclesiastici, come già esposto. Il secolo XIX, epoca dei travagliati passaggi dell’Indipendenza e della Riforma in Messico, cancellò in gran parte la sua figura. Un’eccezione è costituita da Joaquín García Icazbalceta (1824-1894), che si lamenta del fatto che «nessuna statua, nessun monumento, neppure una triste iscrizione ricordano al popolo quanto si deve a quel medico caritativo». Oggi la bibliografia va crescendo. Tutti gli studi concordano nel fatto che si tratta di una personalità singolare, meritevole di maggior interesse.
Contemporaneo di grandi figure assistenziali, come San Filippo Neri o San Camillo de Lellis, fondatore di ospedali dove la cura medica scientifica andava di pari passo con la carità, López è una figura paradigmatica di medico credente e caritativo, che impegnò la propria scienza, il proprio denaro e la propria capacità di iniziativa per alleviare le sofferenze fisiche e spirituali delle persone più bisognose del suo ambiente.
[1] Cf. Rodríguez-Sala ML, Martínez Ferrer L (eds.): Socialización y religiosidad del médico Pedro López (1527-1597): de Dueñas (Castilla) a la ciudad de México. México: Instituto de Investigaciones Sociales, UNAM, 2013.