LA RELAZIONE PEDOFILA

 

di

 

 Carla Farina

 

 

 

“Per come guardava lei, vuol dire…uno sguardo così perverso?”

“Povera me, no… questo avrei potuto sopportarlo. A me non ha rivolto neppure un’occhiata.  Si è limitata a fissare la bambina…Oh, con occhi terrificanti!”

… “Intende dire ostili?”

“Dio ci aiuti,  no. Di qualcosa che era molto peggiore, … una specie di proposito furente.”

“Quale proposito?”

“Di impadronirsi di lei”

 

H. James, Il giro di vite  1898

 

 

 

PREMESSA

 

 

Per poter esplorare la relazione pedofila sento la necessità, come prima cosa, di focalizzare un vertice di riflessione, che sarà alla base di queste note.

-         La pedofilia mette in primo piano la questione di un certo tipo di relazione che si può instaurare tra adulto – sia esso maschio o femmina -  e bambino, dove sia presente una componente erotica. Ma quali sono i contenuti sessuali in gioco e in che modo vengono vissuti nella relazione?

-         La pedofilia viene considerata una perversione, in quanto il pedofilo attua una forma di seduzione nei confronti di un bambino, cioè su un individuo non responsabile, imponendogli desideri e condizioni  non condivisibili. La sessualità del perverso si delinea, infatti, indifferente ai bisogni e ai desideri dell’altro (Mc Dougall, 1995).  Poiché sappiamo che i contenuti sessuali sono strettamente legati alla maturazione psichica dell’individuo, mi chiedo come può agire la seduzione della mente adulta su una mente infantile e con quali esiti per entrambe.

-         La pedofilia scuote le nostre coscienze, ci fa orrore, vorremmo ignorarne l’esistenza. E’ una patologia che spesso viaggia su un crinale di segretezza e morbosità: appartiene al clandestino, ma spesso provoca esplosioni moralistiche collettive da caccia alle streghe. La responsabilità dell’adulto nel tutelare la salute psicofisica del bambino impone un severo giudizio sulla pratica pedofila, che ci riconduce al problema del male che un adulto può infliggere a un bambino. In virtù di questo concetto la relazione pedofila è da considerarsi una relazione violenta, un abuso. Come poter, in quanto operatori che si occupano della salute mentale dell’infanzia, prevenire e, in tal modo, tutelare il bambino?

 Chi si occupa della violenza pedofila si trova a maneggiare le molteplici configurazioni che essa può assumere:

-         dal voyeurismo,

-          alla pedofilia vera e propria,  che,  a partire dagli atti di seduzione può giungere sino ai tragici esiti dell’omicidio, 

-         alla seduzione incestuosa, che coinvolge drammaticamente l’ambito familiare. In tutti i casi si arriva spesso tardi, quando il male è fatto e l’operatore si trova a dover intervenire sugli esiti che, come vedremo, sono sempre devastanti sul piano della salute mentale del bambino.

In questo breve lavoro cercherò di approfondire quanto fin qui enunciato, focalizzando dunque le mie osservazioni sul piano relazionale, cioè su quali affetti si legano a quali rappresentazioni nell’incontro erotico tra adulto e bambino.  

 

 

IL SESSUALE NELL’INCONTRO TRA LA MENTE ADULTA E LA MENTE INFANTILE

 

 

Nella citazione posta in esergo H. James (1898) delinea, a mio parere mirabilmente, il carattere di fascinazione maligna che una mente adulta può esercitare sulla mente infantile. Nel racconto due bambini orfani, Flora e Miles, affidati all’istitutrice che funge da io narrante, sono contaminati dalle presenze spettrali di due amanti clandestini. Agli occhi, in realtà affatto neutrali dell’istitutrice, la purezza dei suoi allievi è stata esposta ad un contatto con la passionalità adulta, in un clima di violenza e sortilegio. Un contatto che ha sedotto la loro mente.

L’enigma a cui il racconto non dà una esplicita risposta, ma che traspare dalle emozioni che il testo riesce a suscitare nel lettore, è cosa corrompe i bambini.

Nell’esperienza di psicoterapeuta infantile spesso mi sono trovata ad interrogarmi su cosa passa tra adulto e bambino, cioè tra una mente strutturata, satura di significati, e una in via di formazione, dipendente dalle cure genitoriali, come quella infantile (Farina C., 1994, 1998, 2001).   Si tratta di un incontro complesso, le cui caratteristiche sono state approfondite da molti autori (Fernczi S., 1932, Laplanche J., 1987, Aulagnier P., 1992), che propongono uno scenario psichico in cui le cure che l’adulto offre al bambino sono intrise di un sapere che va al di là della capacità della mente infantile di integrarlo compiutamente. Questo continuo eccesso di significato che viene proposto nella relazione risulta essere, da una parte, una sorta di violenza, dall’altra la condizione stessa della maturazione della mente infantile.

Per quanto riguarda l’area del sessuale, sappiamo che i significati propri alla sessualità adulta maturano nel bambino a partire dalla pubertà; tutto ciò che riguarda la comunicazione inconscia che l’adulto trasmette al bambino  - attraverso  le cure corporee e nello scenario edipico -  risulta satura di una sensualità che per il bambino è impensabile, proprio perché non è ancora matura la struttura psicofisica che può accogliere e significare la sessualità genitale.

L’autore che più mi è piaciuto nell’indagare questo ambito è S. Ferenczi (1932), che diversifica il linguaggio della tenerezza, proprio dell’età infantile, da quello della passione, che appartiene all’adulto. Sulla base di quanto già teorizzato da Freud (1905) sull’esistenza della sessualità infantile, Ferenczi procede nell’ipotizzare quanto l’erotismo adulto possa essere traumatico, se il bambino ne subisce gli effetti troppo da vicino. L’erotismo infantile, scrive Ferenczi, si arresta al piacere preliminare, e ignora i sentimenti di annientamento propri dell’orgasmo (1932).

Il bambino ha bisogno dell’adulto per la propria sopravvivenza e si affida alle sue cure. Il bambino può giocare con l’idea di possedere totalmente il genitore, ma, scrive ancora Ferenczi, tutto ciò avviene nella fantasia. Il suo sapere su ciò che accade tra i genitori  deve poter essere filtrato da una funzione genitoriale in grado di restituirrgli dei significati accessibili alla sua mente. In più il bambino ha bisogno che i genitori si amino, se l’odio è troppo forte, se il legame erotico è di natura sadomasochista, la crescita del bambino risulterà dolorosa e rischiosa.  Il bambino tenderà a legarsi ai genitori in modo ambivalente ed il proprio erotismo si collegherà a rappresentazioni distruttive.

Manteniamo queste considerazioni come base da cui partire per approfondire il passaggio successivo: l’effrazione del limite di tollerabilità.  Quando la sessualità dell’adulto irrompe nel corpo e, in tal modo, nella mente di un bambino.

Mi soffermerò in particolare sull’abuso nell’infanzia perché, per quanto riguarda l’adolescenza, dalla pubertà in poi i significati sessuali tendono ad assumere per l’individuo una diversa pensabilità.

Basterà comunque considerare che se l’abuso è sempre un fatto traumatico, più avviene in età precoce e più l’esito risulterà devastante e condizionerà la crescita dell’individuo.

 

 

 

LA VIOLENZA DELLA RELAZIONE PEDOFILA

 

 

Credo sia inutile sottolineare ulteriormente che le forme di violenza che la mente adulta può perpetrare su un bambino sono molteplici a partire, come dicevamo, da quei contenuti non sufficientemente elaborati che passano inevitabilmente da adulto a bambino, fino alle esperienze più traumatiche che il mondo degli adulti può somministrare ad un essere in formazione.

Ma ora è impellente occuparci di ciò che accade quando la violenza è agita attraverso atti di erotismo da parte di un adulto su un minore.

Mi riferisco alla violenza dell’adulto che adesca bambini, ma anche di quella del genitore che, all’interno dell’ambito familiare, abusa dei propri figli.

 Nel secondo caso, la violazione del corpo di un figlio mi fa ipotizzare un esito ben più devastante per la piccola vittima. Un genitore che abusa del proprio figlio infrange qualsiasi distinzione tra fantasia e realtà, toglie al bambino la possibilità di vivere  la fantasia sessuale inconscia  -  legata allo scenario edipico -  agendola come fatto concreto. Distruggendo la funzione genitoriale,  non dà al bambino quel contenimento necessario al suo processo di crescita.

Nell’incesto osserviamo forse l’ espressione più estrema del  potere, vissuto attraverso l’erotismo, che travolge il bambino in una sorta di dominio narcisistico (Racamier P., 1995).

  Lo scenario presente negli atti incestuosi ha alla base una relazione patogena che riguarda la coppia genitoriale,  all’interno della quale il bambino viene incastrato. Molte volte, infatti,  l’incesto si realizza con la connivenza più o meno esplicita dell’altro coniuge e, in quei casi,  la collusione coniugale testimonia la presenza di contenuti infantili appartenenti alla storia di ciascun genitore che non sono stati elaborati.

 Ma qual è il funzionamento psichico di colui che abusa dei bambini? Possiamo considerare la mente pedofila una mente adulta?

Abbiamo già affermato che  la pedofilia si delinea come una struttura perversa, il cui funzionamento psichico si basa sulla scissione.

Nella teorizzazione freudiana la scissione dell’Io (Freud S. 1938) divide la psiche dell’individuo  tra poter mantenere la realtà e  distogliersi da essa e, nella perversione, può essere collegata a una difesa da angosce psicotiche destrutturanti  (Schinaia C.,2001).  Infatti, la messa in campo della scissione permette alla struttura psichica un apparente funzionamento: il pedofilo di solito si propone come un individuo adeguato, la cui patologia è difficilmente individuabile. Un soggetto per così dire  normale nell’ambito sociale, che nasconde in sé un’area di funzionamento psichico dove i contenuti sessuali hanno subito una fissazione infantile (Freud S., 1919).

 Quindi, per tornare alla domanda iniziale, la mente pedofila non ha elaborato ed integrato una sessualità genitale ed è da questo assetto psichico che nasce la scelta erotica infantile.

Il pedofilo è dunque un bambino mai cresciuto – una sorta di Peter Pan  - ma  è pur sempre fisiologicamente un adulto, alle prese con una carica erotica che gli preme dentro. E’ forse un individuo che utilizza l’eccitazione corporea, l’erotismo, nel tentativo di sedare la spinta distruttiva che lo tiene costantemente sull’orlo della destrutturazione psichica. Mc Dougall (1995), configura la presenza, nella perversione,  di una catastrofe simbolica, concetto in grado di evocare la spinta compulsiva del passaggio all’atto,  al cui interno i contenuti sessuali, legati a rappresentazioni di tipo autoerotico e narcisistico, vengono utilizzati come una droga.

In un tale contesto non sembra esserci posto per un investimento di tipo oggettuale.

Il pedofilo si sente attratto dal bambino perché, dunque, prevale in lui la spinta difensiva che lo porta a cercare un oggetto d’amore uguale a se stesso. In tal senso la seduzione pedofila sembra svolgersi con le caratteristiche di un rito (Schinaia C.,2001): il bambino non esiste in quanto altro da sé  - se così fosse prevarrebbe nel pedofilo la coscienza morale, un senso di disgusto e soprattutto un sentimento di colpa – ma rappresenta piuttosto il feticcio (Freud S., 1927), cioè la strenua difesa dal terrore della castrazione. Il pedofilo, attraverso il legame sadomasochistico col bambino cerca una soluzione al suo conflitto edipico: da una parte tenta di rimuovere il senso di colpa legato a fantasie incestuose di tipo genitale e favorisce, dall’altra, la costituzione di uno stato narcisistico che permetta una tenuta psichica. Anche nel caso di pedofili che non siano stati abusati, siamo pur sempre alle prese con individui che hanno accumulato ripetuti traumi nel proprio vissuto infantile.

In una tale disumanizzazione della relazione,  il bambino si trova a subire tutta la declinazione dell’ambivalenza presente nell’abuso, perché l’amore e l’odio possono diversamente investire la relazione, a partire dalla ricerca di una posticcia potenza sessuale, in cui il bambino diviene un feticcio idealizzato, fino ad arrivare alla furia distruttiva dell’omicidio.

Il bambino, per il pedofilo è un idolo (Recamier P.,2003)

Nel feticcio, scrive Freud nel 1905, il selvaggio vede incarnato il suo dio.

Tuttavia l’idealizzazione operata sull’idolo - feticcio non nutre certamente il bambino vero: chi abusa utilizza l’area dell’infantile solo per mantenere in piedi la sua organizzazione narcisistica onnipotente.

Ma il bambino vero, quello abusato, come si colloca nella relazione pedofila, che, per quel che abbiamo considerato fino ad ora, lo vede disumanizzato, utilizzato, violato?  Se ci riallacciamo a quanto detto precedentemente sui pericoli, per così dire fisiologici, insiti nella relazione adulto – bambino, possiamo affermare, senza alcun dubbio, che la relazione pedofila per il bambino è una vera e propria catastrofe sul piano mentale.

Ferenczi (1932), nel suo lavoro sul linguaggio della tenerezza e della passione, già citato precedentemente, osserva quanto la seduzione degli adulti sui bambini sia più frequente di quanto pensiamo. Ma perché dunque il bambino non si ribella, non denuncia il suo aggressore?  Perché la seduzione di un bambino soggiace così facilmente alla segretezza e all’omertà? Il bambino può rifiutare inizialmente  il contatto pedofilo, perché è troppo forte,  ma la paura e la capacità di dominio che la mente adulta esercita su di lui, lo porta a sottomettersi alla volontà dell’aggressore, ad indovinare i suoi impulsi di desiderio, a dimenticare se stesso, ad identificarsi in lui (Ferenczi S., 1932). Il bambino vive tutto questo in una sorta di trance traumatica in cui non si difende, ma difende il proprio aggressore, introiettando il suo senso di colpa. Il bambino a quel punto è corrotto, proprio perché è stata infranta la sua barriera di significati e di equilibri psichici, ma soprattutto è stata abusata la dipendenza fisiologica che il bambino vive nei confronti dell’adulto.

La violenza porta comunque il bambino ad instaurare delle contromisure difensive: quasi sempre il trauma sessuale favorisce una scissione della personalità, nel tentativo di andare avanti il bambino nasconde a se stesso e agli altri il trauma subito, creando una sorta di difesa mimetica.

Se, nella relazione pedofila, il bambino ha vissuto se stesso come un oggetto smontato (Meltzer ,1975) – utilizzo questo concetto perché lo trovo evocativo della disumanizzazione che subisce l’oggetto nella relazione -  si propone in lui, durante la sua evoluzione come individuo adulto,  il problema di dare valore a se stesso, stima e fiducia, proprio in virtù della presenza di quei contenuti traumatici non elaborabili, né integrabili costruttivamente.

 Il pesante carico di erotismo che invade la sua mente di significati enigmatici, costringe la struttura psichica del bambino a creare barriere difensive per far fronte al marasma pulsionale. Il risultato può configurarsi in un indebolimento delle funzioni dell’Io e della capacità di sublimare la corrente pulsionale e in un inasprimento della funzione del Super Io, con l’esito di  inibire le funzioni della crescita.

Nei racconti di pazienti adulte, vittime di abusi nell’infanzia, ciò che permeava il clima emotivo delle sedute era una sorta di rarefazione nella corrente affettiva, un orrore muto, a cui non si poteva dare alcuna voce. Non esprimevano odio, né ribellione, forse un vago senso di rassegnazione. Su tutto sembrava regnare un melanconico silenzio.

E questo appare ai miei occhi un aspetto fondamentale della seduzione sul bambino: la fantasia non ha più spazio di esistenza, è stata travolta dalla concretezza dei fatti.

 

 

 

QUALE PREVENZIONE?

 

 

Cosa fare? Con questo interrogativo si è aperta la conversazione di oggi.

Il problema che ci poniamo è dunque come tutelare i bambini dalla violenza pedofila. Cercherò di esprimere qualche pensiero in proposito, prendendo le fila da quanto detto fino ad ora.

Se, come ho proposto, la radice della violenza  si configura a partire da una realtà sovraccarica di significati adulti, che può, in certi casi, infrangere il limite sopportabile per la mente di un bambino, risulta necessario favorire sempre maggiori occasioni di dialogo tra chi si occupata della salute mentale infantile e tutti coloro che vivono la responsabilità della crescita dei minori.

 La prevenzione si fa attraverso le consulenze ai genitori, lavorando sulla funzione genitoriale, ma anche con tutti gli operatori dell’infanzia: medici, insegnanti, magistrati, forze dell’ordine.

Il dialogo sui temi della tutela dell’infanzia è utile per tutti e può creare una consistente  rete di protezione sull’infanzia. In particolare ci potrebbe permettere di vedere con chiarezza ciò che possiamo e dobbiamo chiedere ai bambini e ciò su cui è necessario proteggerli.

Con i genitori è facile definire l’ambito: il problema della seduzione in famiglia, anche quando non ha gli esiti sconvolgenti dell’abuso sessuale, è un problema diffuso e quotidiano. Quanti bambini dormono fino ad adolescenza avanzata nel letto con i genitori? Quante volte genitori depressi legano a sé i propri bambini, utilizzandoli come strumento di eccitazione per tenersi vivi?

Sono convinta che la consulenza sulla funzione genitoriale dovrebbe essere uno strumento di base, da attuare in collaborazione con i pediatri, fin dai primi mesi di vita del bambino e da realizzare successivamente a scuola, come un utile strumento dei nostri tempi.

La collaborazione con i pediatri e i medici di base, potrebbe consentire la creazione di un contenitore in grado di operare sulla diagnosi precoce. I genitori si confidano con il proprio medico, che molto spesso diviene il depositario della dinamica familiare. All’interno di una collaborazione strutturata  - medico psicoterapeuta  -   ciò che il pediatra o il medico di base osserva, può divenire fonte preziosa per la rilevazione del disagio e materiale su cui poter agganciare la coppia genitoriale.

Per quanto riguarda gli insegnanti, sappiamo che  a volte la relazione educativa viene attraversata da contenuti ambigui, fino all’evoluzione in atti conclamati di seduzione. Ma oltre a questi pericoli, su cui è importante vigilare, gli insegnanti sono importantissimi, perché la relazione educativa tra insegnante e scolaro è un riferimento fondante della crescita affettiva e cognitiva del bambino. Dialogare costantemente a scuola sulle problematiche e sui rischi dell’infanzia e dell’adolescenza dovrebbe essere una dimensione naturale in una società civile.

Così come la collaborazione con i magistrati e le forze dell’ordine che si occupano di violenza sui minori. Mi ha colpito quanto letto ultimamente sui giornali a proposito degli interrogatori subiti dai bambini vittime di supposti abusi. Mi sono chiesta:  quale può essere il vissuto di un bambino che si trova coinvolto in una tale girandola di accuse, paure, dubbi, che spesso  si configura ai limiti di una vera e propria  caccia alle streghe? La necessità di accertare il fatto reale spesso risulta impossibile e, al tempo stesso,  rischia di divenire una ulteriore forma di violenza sul minore. Sarebbe molto più utile operare attraverso una valutazione generale del disagio psichico, intervenendo con un aiuto mirato nei casi in cui se ne evidenzi la presenza.

 L’atteggiamento del mondo adulto sui pericoli che incorre l’integrità psicofisica dei bambini è assai spesso discutibile e contraddittorio. Mi inquieta il moralismo presente nella nostra società, che si indigna per la violenza sui bambini e tollera, al tempo stesso, orrori come quelli della mercificazione dell’abuso  su Internet o nei video che circolano indisturbati e arricchiscono adulti senza scrupoli.

Quale prevenzione? Direi proprio che c’è ancora tanto da fare e che, come adulti, siamo colpevoli di fare ancora troppo poco.

  

 

  

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