LINEE GUIDA NELLA SUPPLEMENTAZIONE DI VITAMINA D
L.Tafaro, R. Benvenuto, A. Martocchia, I. Indiano, P.Frugoni, E. De Marinis, M. Stefanelli, S.Cola, S.Pascali, A. Devito, P.Falaschi
U.O Geriatria II Facoltà di Medicina e Chirurgia. Sapienza Università Roma. Az Osp S.Andrea.
Dagli albori dell’umanità ad oggi lo stile di vita si è radicalmente modificato con un aumento progressivo della sopravvivenza ma anche con un aumento progressivo di patologie che potremmo definire industrializzazione-correlate. Ad esempio, i nostri antenati praticavano molta più attività fisica che si svolgeva per lo più all’aria aperta con una costante esposizione solare quindi il processo di selezione naturale si è evoluto basandosi su questi presupposti che con il tempo sono venuti a mancare. Attualmente siamo ritornati ad essere “uomini delle caverne” ma, solo nel senso che passiamo la maggior parte delle ore della giornata chiusi nelle stanze dei nostri uffici o delle nostre case, svolgendo in alcuni casi una blanda e saltuaria attività fisica ma sempre in luoghi chiusi. Sommando a questo stile di vita una dieta profondamente diversa da quella dei nostri antenati cacciatori e/o pescatori, il risultato non poteva che essere la comparsa di patologie legate al deficit di Vitamina D, un elemento che risulta essere sempre più legato alla salute ed al benessere dell’organismo umano. La vitamina D è infatti un proormone liposolubile che ha una produzione endogena grazie alla sintesi cutanea durante l’esposizione ai raggi UVB e un apporto esogeno che in genere è piuttosto scarso perché è contenuta a basse dosi e in un numero limitato di alimenti (pesci grassi, latte, uova). Successivamente la vitamina D subisce un metabolismo epatico e poi renale dove grazie all’enzima alfa1 idrossilasi (1a-OH asi) viene trasformata nella sua forma attiva oppure viene depositata a livello del tessuto adiposo (1). È stato scoperto che molti tessuti extrarenali esprimono sia l’1a-OH asi sia i recettori della Vitamina D: osteoclasti, cheratinociti, macrofagi, linfociti, cellule della placenta, delle ovaie, del colon, del cervello, della prostata, dell’endotelio e delle paratiroidi; questa produzione extrarenale sembra giocare un ruolo importante nella differenziazione e proliferazione cellulare e del sistema immune (2). Un numero crescente di studi negli ultimi dieci anni ha dimostrato infatti, non solo la relazione tra i livelli circolanti di 25(OH) vit D e la salute dell’osso (3), soprattutto negli anziani, ma anche con molte patologie tumorali, autoimmuni ed infettive (4, 5, 6)
Uno studio (7) in 18 paesi in tutto il mondo che ha coinvolto 2589 donne in età postmenopausale ha mostrato che il 64% di esse aveva un livello di Vitamina D inadeguato ovvero inferiore a 30 ng/ml. Uno studio europeo (8) ha recentemente rilevato che attualmente i paesi i cui abitanti hanno bassi livelli di vitamina D sono quelli che si trovano ad una latitudine favorevole in termini di sintesi cutanea all’esposizione solare, in questa graduatoria l’Italia si colloca al terz’ultimo posto. In effetti già uno studio italiano multicentrico del 2003 (9) mostrava che su 700 donne in età postmenopausale il 76% presentava livelli di vitamina D assolutamente insufficienti. Queste evidenze confutano dunque la credenza, diffusa anche tra i medici, che nel nostro paese non sia necessaria una supplementazione di vitamina D per assicurare degli adeguati livelli ematici a tutte le età. I paesi dell’Europa settentrionale e gli Stati Uniti supplementano con vitamina D cibi come i cereali, il latte e i derivati ma questi presidi pur essendo l’unica opportunità per agire su larga scala, non essendo mirati rischiano comunque di non essere efficaci sulla fascia della popolazione più a rischio che è quella anziana. Per intraprendere strategie efficaci è importante innanzitutto conoscere quali sono le linee guida nazionali sulle modalità di supplementazione della vit D.
Attualmente sono disponibili sul mercato tutte le forme di vitamina D: calcitriolo o D3 (forma attiva con doppia idrossilazione), calcifediolo (solo idrossilazione epatica), colecalciferolo (forma nativa) ed ergocalciferolo o D2 (sintesi vegetale non disponibile in Italia) (vedi tabella 1) ma, qual è la forma migliore da utilizzare?
Le ultime linee guida della Società Italiana del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMS). (10) consigliano di usare il colecalciferolo (vit D3) per una sua buona maneggevolezza, tollerabilità e duttilità nella somministrazione. La vit D3 risulta più efficace della D2 ed ha un’azione più rapida se somministrata per os piuttosto che per via i.m. (11), ultimo elemento questo che favorisce senz’altro la compliance. Ulteriori aspetti della vit D3 favorevoli per il paziente sono anche la possibilità di una somministrazione rarefatta nel tempo (settimanale, mensile, semestrale e annuale) ed il basso costo.
L’uso del metabolita attivo, il calcitriolo, viene limitato poiché questo sfugge ai meccanismi di feed-back autoregolatorio che porta alla formazione di metaboliti inattivi in caso di eccesso di biodisponibilità di calcifediolo e quindi la sua somministrazione è l’unica che può esporre al rischio di intossicazione e quindi di ipercalcemia ed ipercalciuria. Il calcitriolo dovrebbe essere limitato ai casi in cui ci sia una ridotta funzionalità renale in quanto al di sopra di un valore di 1,8 mg/dl di creatinina l’attività dell’1a-OH asi risulta essere progressivamente e drasticamente ridotta (12). Altri pazienti eleggibili per la somministrazione di calcitriolo sono quelli con gravi alterazioni dell’assorbimento intestinale, ipoparatiroidismo ed insufficienza epatica anche se a questi ultimi può essere somministrato in sicurezza anche il calcifediolo (10).
Un altro aspetto molto dibattuto riguarda la quantità di vit D da somministrare ed i livelli ottimali da raggiungere. Nel 1998 (13) il Comitato Scientifico per l‘Alimentazione umana della Commissione della Comunità Europea raccomandava 400 UI di vitamina D al giorno per gli anziani (³ 65 anni di età) mentre negli Stati Uniti la IOM (Institute Of Medicine) definiva adeguato un apporto giornaliero di 600 UI vitamina D a seconda dell'età. Infine nel 2007 la NOF (National Osteoporosis Foundation) (14) stabiliva tra 800 e 1000 UI di vitamina D al giorno per gli adulti di età ³ 50 anni. Anche il target ottimale dei livelli ematici di 25(OH) D è salito negli anni lasciando del tutto obsoleti i range ancora presenti nei fogli delle analisi della maggior parte dei pazienti italiani (vedi tabella 2). Dopo recenti pubblicazioni (15;16) i livelli desiderabili di vitamina D si attestano per valori superiori a 75 nmol/ o 30 ng/ml perché realmente correlabili ad una riduzione del rischio di fratture.
Se 800-1600 UI die sono il fabbisogno giornaliero questo introito sarà sufficiente a risolvere una presistente carenza? Uno studio del 2008 (17) ha dimostrato che né una dose giornaliera di 800 UI né una singola dose di 300.000 UI internazionali sono sufficienti a mantenere adeguati livelli di vitamina D mentre un altro studio (18) ha mostrato che solo la combinazione di essi era adeguata per cui le ultime linee guida SIOMMS consigliano, in condizioni di grave carenza di vitamina D, di iniziare il trattamento con un bolo pari a 100000-600000 UI di vitamina D, seguito dopo un mese da dosi di mantenimento pari a 800-1600 UI/die (od equivalenti settimanali o mensili). La somministrazione nello stesso giorno di 300.000 UI di vit D potrebbe far temere il pericolo di un’intossicazione ma questo timore appare oggi del tutto irrazionale infatti, chiare evidenze indicano che non ci sono problemi di tossicità per somministrazioni continuative di vit D3 fino a dosaggi di 40.000 UI al giorno (19).
L’ultimo aspetto che rimane da considerare riguarda l’importanza di garantire un’adeguata supplementazione con Vit D nel corso di trattamenti specifici per l’osteoporosi. Uno studio sull’atteggiamento prescrittivo dei medici di base per quel che riguarda l’osteoporosi, svolto dalla nostra unità in collaborazione con un gruppo di medici di medicina generale (MMG) di Roma ha mostrato che su 1743 terapie osservate solo in circa la metà dei casi veniva prescritta una supplementazione con calcio e vit D (20). Se persiste un aumento del PTH dovuto al deficit di vitamina D l’azione protettiva sull’osso dei bisfosfonati è comunque più difficile difatti, l’aumento della BMD sarà limitato come mostrato in diversi studi (21, 22).
In conclusione, se l’obiettivo che ognuno di noi medici ha è quello non solo di non nuocere ai nostri pazienti ma anche di guarirli, omettere di trattare una situazione come la carenza di vitamina D con una supplementazione che si è dimostrata sicura, tollerata e a basso costo, non è solo una superficialità ma può diventare una vera e propria omissione di cui potremmo dover rispondere nei prossimi anni non solo a livello di coscienza personale ma anche, a livello legale.
BIBLIOGRAFIA
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11) Romagnoli E, Mascia ML, Cipriani C, Fassino V, Mazzei F, D'Erasmo E, Carnevale V, Scillitani A, Minisola S. Short and long-term variations in serum calciotropic hormones after a single very large dose of ergocalciferol (vitamin D2) or cholecalciferol (vitamin D3) in the elderly. J Clin Endocrinol Metab. 2008 Aug;93(8):3015-20.
12) Holick MF. Vitamin D for health and in chronic kidney disease Semin Dial. 2005 Jul-Aug;18(4):266-75.
13) European Commission. Report on Osteoporosis in the European Community: Action on Prevention. Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities, 1998
14) National Osteoporosis Foundation. National Osteoporosis Foundation’s updated recommendations for calcium and vitamin D3 intake. Available at: www.nof.org/prevention/calcium_and_VitaminD.htm. Accessed 5 April 2007.
15) Holick MF. Optimal vitamin D status for the prevention and treatment of osteoporosis. Drugs Aging. 2007;24(12):1017-29.
16) Dawson-Hughes, Heaney, Holick, Lips, Meunier and Vieth, Estimates of optimal vitamin D status. Osteoporos Int, 16;713-716, 2005.
17) Premaor MO, Scalco R, da Silva MJ, Froehlich PE, Furlanetto TW. The effect of a single dose versus a daily dose of cholecalciferol on the serum 25-hydroxycholecalciferol and parathyroid hormone levels in the elderly with secondary hyperparathyroidism living in a low-income housing unit. J Bone Miner Metab. 2008;26(6):603-8.
18) Bacon CJ, Gamble GD, Horne AM, Scott MA, Reid IR. High-dose oral vitamin D3 supplementation in the elderly. Osteoporos Int. 2009 Aug;20(8):1407-15. Epub 2008
19) Vieth R. Vitamin D supplementation, 25-hydroxyvitamin D concentrations and safety. Am J Clin Nutr 1999; 69: 842-856.
20) Nati G, Falaschi P. Aderenza alle terapie per l’osteoporosi. Bone Voyage, 2008; 2: 3-9,
21) Adami S, Giannini S, Bianchi G et al. Vitamin D status and response to treatment in post-menopausal osteoporosis. Osteopo Int 2009;20:239-244.
22) Barone A, Giusti A, Pioli G et al. Secondary hyperparathyroidsm due to hypovitaminosis D affects bone mineral density response to alendronate in elderly women with osteoporosis: a randomized controlled trial. J Am geriat Soc 2007; 55:752-757.
Tabella 1: Metaboliti della vitamina D e loro caratteristiche principali
Metaboliti |
Confezioni |
Emivita |
Rischio di Ipercalcemia |
Costo |
Calcitriolo |
cpr 0,25-0,50 ng |
< 24h |
+++ |
++++ |
Calcifediolo |
1 gtt = 200IU |
settimanale |
+ |
++ |
Ergocalciferolo (D2) |
400000 IU 600000 IU |
mensile |
+ |
+ |
Colecalciferolo (D3) |
100000 IU 40000 IU 25000 IU 300000 IU 1 gtt = 250 IU |
settimanale mensile |
+ |
+ |
Legenda: cpr: compresse, gtt: gocce, IU: Unità Internazionali
Tabella 2: Classificazione dei livelli ematici della 25 idrossivitamina D (25(OH) vit D)
Classificazione dei livelli di vitamina D |
25(OH) D (ng/ml) |
Segni biochimici e clinici |
Carenza |
0-5 |
Severo iperparatiroidismo, malassorbimento di calcio, osteomalacia, miopatia |
Insufficienza |
5-12 |
Moderato iperparatiroidismo, ridotto assorbimento di calcio, ridotta massa ossea, miopatia subclinica. |
Ipovitaminosi D |
12-30 |
Ridotte riserva di vitamina D, lieve aumento del PTH |
Normale |
30-60 |
Non alterazioni |
Tossicità |
>60 |
Ipercalcemia, ipercalciuria |