IL VIAGGIO DI DARWIN ATTORNO AL MONDO E LA NASCITA DEL DARWINISMO.
Prof. Fabio FABIANI
Autorità, Presidente, gentili signore, cari colleghi ed amici,
Ancora una volta ho il grande e impegnativo onore di tenere la prolusione all’anno di attività scientifica della nostra Accademia e sono molto grato al Prof. Sandro Perrone e a tutto il Direttivo per tale prestigioso incarico.
L’anno che comincia è il 293° e si è pensato di dedicare la prolusione ad uno scienziato, Charles Darwin, che un secolo e mezzo fa pubblicò un libro destinato a creare una vera rivoluzione nel mondo della cultura. La figura di Darwin come scienziato e come propugnatore delle teorie evoluzioniste è divenuta così prominente negli ultimi centocinquanta anni che, agli occhi del pubblico, egli appare come l’ideatore della Teoria dell’Evoluzione. Ciò non è esatto: a prescindere dalla stupefacente concezione di Lucrezio Caro che nel De Rerum Naturae affermò che la Terra Madre creò il genere umano e gli animali, ma nulla rimase simile a se stesso e tutto invece cambia perché non tutto ciò che la natura genera viene confermato, sin dai tempi dell’Illuminismo, ben prima di Darwin, nella seconda metà del ‘700, uomini come Lamarck, Buffon, e altri, tra cui il nonno stesso di Darwin, Erasmus Darwin, avevano concepito l’evoluzione degli esseri viventi come una possibilità che spiegasse tanti aspetti di ciò che la vita animale e vegetale evidenziava. Darwin accettò ciò che i suoi antecessori avevano propugnato, ed ebbe soprattutto il merito, in base alle osservazioni che fece e agli esperimenti che condusse, di dare una spiegazione logica di come l’evoluzione potesse procedere: e i celebri libri che pubblicò con il loro enorme successo editoriale contribuirono a fare di lui il campione della Teoria dell’Evoluzione e ad accreditare il cosiddetto Darwinismo come l’espressione dell’Evoluzione degli esseri viventi.
Oggi la Teoria Evoluzionistica è accettata da tutti, salvo pochi sparuti gruppi di “fondamentalisti” biblici che ancora vi si oppongono, persino in alcuni grandi Stati degli Stati Uniti d’America. Ma anche la Chiesa Cattolica, illuminatamente, ha preso atto della incontrovertibilità delle osservazioni scientifiche e già Papa Wojtyla – consigliato, si dice, dai Gesuiti – ha ritenuto possibile per il cristiano accettare la Teoria dell’Evoluzione, (1996), come quadro esplicativo corroborato, subordinandola ad una interpretazione non materialistica delle origini della specie umana in particolare. Nel 2OO4 anche il Cardinale J. Ratzinger, non ancora Papa, quale presidente della Commissione Teologica Internazionale, accettava la discendenza comune delle specie, ma ribadendo che non era possibile negare alla Divina Provvidenza un reale ruolo causale nello sviluppo della vita. Torneremo a commentare brevemente questo aspetto filosofico dell’evoluzionismo al termine della nostra trattazione.
E’ opportuno qui ricordare che con l’espressione “Teoria dell’Evoluzione” non si intende riferirci a una ipotetica “possibile esistenza” di fatti evolutivi, ma ad un insieme di osservazioni inoppugnabili e ad una loro spiegazione teorica, così come, quando si parla di “Teoria della Relatività” ci si riferisce ad un insieme di fenomeni osservati, conclusioni matematiche e interpretazioni teoriche in base ai quali sono state addirittura create la bomba atomica e le applicazioni civili dell’energia atomica, di cui oggi ci serviamo quotidianamente nella vita.
Ora è interessante ricordare che in un certo senso l’orientamento di Darwin a divenire uno scienziato e a creare le basi del suo monumentale pensiero avvenne quasi per caso. Egli sembrò destinato dalle sue prime incertezze negli studi e dall’orientamento della sua famiglia a divenire tutt’altro tipo di persona, un pastore anglicano. Furono una fortuita raccomandazione di uno dei suoi professori, Henslow, e la reciproca simpatia che sbocciò in un suo incontro con il capitano FitzRoy, comandante della Nave di S. Maestà Beagle, a far sì che egli, a ventidue anni, senza alcun titolo, partisse come “naturalista” a bordo di quel bastimento, per un viaggio attorno al mondo di quasi cinque anni, durante il quale le osservazioni che fece maturarono nel suo animo le convinzioni che poi elaborò in cento modi ed espresse nei suoi immortali lavori e pubblicazioni. Noi questa sera ricorderemo insieme essenzialmente le vicende di questo viaggio, qualcosa della vita di Darwin e termineremo con una breve sintesi sugli aggiornamenti moderni della evoluzione degli esseri viventi.
Charles Darwin era nato a Sherwsbury, pittoresca cittadina medioevale duecentotrenta Km a Nord Ovest di Londra, il 12 febbraio 1809. Era nato in una famiglia agiata, con un padre che faceva il medico con successo. Una famiglia, soprattutto, dotata di cultura: suo nonno, Erasmo Darwin, era stato uno dei primi evoluzionisti, forse addirittura prima di Lamarck, e le idee e gli scritti di questo avo potrebbero essere stati il fermento che poi condusse Darwin alle sue grandi concezioni.
La vita del giovane Darwin fu quella di un giovanotto inglese di quei tempi se provvisto di qualche mezzo: gli piaceva andare a cavallo, andare a caccia, frequentare gli amici, ascoltare la musica, organizzare letture di Shakespeare e Milton, e sopattutto frequentare la famiglia Wedgwood, a poche miglia di distanza da casa sua. I Wedgwood avevano fondato la celebre fabbrica di porcellane e la madre di Charles, morta purtroppo quando lui aveva otto anni, era stata una Wedgwood. Le ragazze Wedgwood, con le quali a lui piaceva tanto passare il tempo, erano sue cugine in primo grado e il giovane Darwin si interessava particolarmente ad una, Emma: una ragazza graziosa, intelligente, gaia, amante della musica (aveva persino preso lezioni di piano da Chopin). Darwin faceva spesso delle gite in campagna con queste sue amiche. Cosa interessante, già da allora era molto appassionato alla natura e collezionava fiori, rocce, uccelli (che aveva appreso ad imbalsamare), farfalle, ragni, insetti, malgrado le sue cugine poco lo seguissero in questi interessi. Apprezzavano invece il suo amore per la letteratura e i classici.
Nel 1825 il padre – un uomo autoritario, rigido e che non ammetteva che le sue decisioni fossero discusse- mandò Darwin all’Università di Edinburgo a studiare medicina. Ma lui dimostrò ben presto che non era tagliato per questo tipo di professione. Dopo due anni il padre lo indusse allora a prendere la carriera ecclesiastica e il giovane dopo pochi altri anni ottenne, nel Christ’s College di Cambridge, il titolo di Magister Artium. Benchè egli fosse allora un uomo di fede, sembrava avviato a prendere la carriera di pastore senza che questa gli fosse punto congeniale. Ma tra i suoi professori aveva avuto a Cambridge un religioso, il botanico Henslow: questi aveva notato l’interesse naturalistico di Darwin, ne aveva apprezzato le grandi doti, e nel 1831 gli scrisse una lettera annunciandogli che lo aveva raccomandato al capitano Robert FitzRoy per un imbarco, come “naturalista”, sul brigantino di S. M. Beagle, ove avesse accettato.
Darwin, che stava per prendere gli Ordini Sacri, fu piacevolmente sollecitato da questa offerta. Che invece mandò su tutte le furie il padre, che pretendeva rinunciasse e intraprendesse la carriera ecclesiastica. Darwin fu sul punto di rifiutare , ma trovò un inaspettato alleato nello zio, Mr. Josiah Wedgwood: forse quest’uomo aveva notato l’interesse particolare del nipote per sua figlia Emma, e che sia stato per allontanare i due oppure per far sì che il possibile futuro genero si facesse prima un’esperienza dura di vita e si dimostrasse un uomo, fatto sta che egli lo persuase che i rischi del mare non erano poi troppo grandi ( la Beagle era piccola, ma un’ottima nave, e il capitano FitzRoy –giovanissimo- un marinaio di straordinaria abilità ) e che l’occasione era troppo splendida per perderla. Andò egli stesso dal padre di Darwin per persuaderlo a ritirare il suo divieto. Pochi giorni dopo, 5 settembre 1831, Darwin e il capitano FitzRoy si incontrarono a Londra e in pratica dal termine di quell’incontro il posto di “naturalista” a bordo della Beagle era del giovane Magister Artium, di ventidue anni.
Darwin e FitzRoy, ambedue giovanissimi e quasi coetanei, avevano in realtà caratteri e orientamenti per la vita così differenti che non è facile spiegare come nel loro primo incontro e poi nel corso del viaggio simpatizzassero tanto. Presumibilmente FitzRoy, un aristocratico, fu colpito dall’intelligenza di Darwin, dal suo entusiasmo, dalla sua ingenuità: forse realizzò anche che si trovava di fronte ad un uomo che sotto l’aspetto di un giovanottino educato e semplice celava una capacità mentale eccezionale. Darwin a sua volta rimase incantato dall’eleganza aristocratica delle maniere, dalla sensazione di tranquillo potere e autorità che FitzRoy dava; forse pensò anche che il capitano si domandasse se malgrado tutto il suo entusiasmo il giovane naturalista sarebbe poi stato capace di affrontare i difficili compiti e la dura esistenza che il viaggio avrebbe domandato e decise entro di se che non lo avrebbe deluso. E così infatti fu, anche se ben presto la differenza dei loro caratteri creò tante difficoltà tra loro. Darwin era di buon carattere, accomodante e molto umano; FitzRoy riteneva di sapere alla perfezione ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, era intollerante, pur essendo equanime, era molto efficiente e capace ma rigido, e soprattutto credeva letteralmente in ogni parola della Bibbia. Qualcosa, nel suo carattere, rivelava una inquietudine, forse la ricerca di ciò che nella sua gioventù non aveva avuto: calore e affetto. Tutto ciò faceva sì che il suo animo oscillasse tra periodi di depressione e altri di iperattività. Durante il viaggio malgrado la reciproca stima e simpatia vi furono molte occasioni di disaccordo e tensione tra i due, che dividevano la stessa cabina, ma comunque furono superati e tutto andò bene. Non riuscirono tuttavia a diventare amici e vedremo come nel celebre Meeting di Oxford del 186O FitzRoy si alzasse come nemico a contrastare le vedute di Darwin: Pochi anni dopo –1865- FitzRoy, pur divenuto Ammiraglio, ma amareggiato da tante cose, si suicidò.
A fine ottobre 1831 Darwin prendeva imbarco sulla Beagle, che stava terminando l’allestimento, e il 27 dicembre di quell’anno alle 14.00 la nave prese il mare.
Nella traversata del Golfo di Biscaglia, con vento fresco e grandi onde, Darwin si accorse di soffrire il mare terribilmente. Il mal di mare fu la sua continua spina nel fianco per tutto il viaggio, perché egli non riuscì mai ad abituarsi ai movimenti della nave; ma strinse i denti e tenne duro, giacendo nella cuccetta o sul sofà, e tentando di distrarsi leggendo.
Alle Isole del Capo Verde scese a terra per la prima volta e le mille novità di un’isola vulcanica (egli era divenuto un appassionato di geologia e portava con se il primo volume dei “Principles of Geology” di Lyell, dono del prof. Henslow alla partenza) gli fecero subito comprendere che nel viaggio avrebbe visto cose meravigliose e fatto esperienze –e raccolte- di incredibile valore.
Ormai si stava abituando al poco e ristretto ambiente di bordo, era in buoni rapporti non solo con il comandante ma anche con i suoi ufficiali, il pittore Earle, gli uomini e persino con tre abitanti della Tierra del Fuego, un uomo, un ragazzo e una ragazza, che FitzRoy, che li aveva presi a bordo nel precedente viaggio in quella regione, riportava a casa. Questi tre fuegini, abituati al mare fin dalla loro infanzia, non riuscivano a capire il mal di mare di Darwin, ma lo compativano e cercavano di fargli compagnia.
Nel marzo 1832 la Beagle raggiunse il Brasile e ancorò a Bahia. Darwin a terra ebbe la prima esperienza di una foresta tropicale e ne rimase estasiato. Poi la nave scese più a Sud, navigando lungo la costa, e riprese terra a Rio de Janeiro: da lì Darwin intraprese altre escursioni all’interno. Le foreste brasiliane lo stupirono, per i loro aromi, il loro silenzio, il grande rumore che invece altre volte producevano migliaia di insetti, l’incredibile abbondanza di uccelli colorati, di farfalle, di batraci. Per la prima volta notò come l’organizzazione della vita biologica avesse qualcosa di brutale: assorbendo sostanze dal suolo, cresceva il mondo vegetale. Questo dava sostentamento a tanti animali, ma questi ultimi crescendo e moltiplicandosi avrebbero distrutto le fonti di nutrizione se altri animali, predatori, non ne avessero ostacolato l’eccessivo sviluppo, uccidendoli e divorandoli. Era un aspetto della vita biologica cui sino allora non aveva fatto caso e che si presentava nei più vari ambienti – fogliame, foreste, fiumi, mari – e nelle più varie classi e ordini – insetti, pesci, uccelli, mammiferi e così via. I germi della teoria della sopravvivenza del più adatto presero allora inizio nella sua mente.
Ma la brutalità esisteva anche fra gli esseri umani: proprio a Rio, Darwin vide i padroni trattare come bestie e punire crudelmente gli schiavi, ed ebbe anzi in proposito una antipatica discussione con FitzRoy: il capitano sosteneva che la schiavitù era prevista nella Bibbia, e che perciò nulla andava cambiato. Invano il suo oppositore gli faceva osservare che cosa orribile fosse che i padroni avessero la possibilità di togliere dei bimbi alle madri per venderli ad altri padroni.
Nella lunga sosta in Brasile Darwin raccolse e poi inviò in Inghilterra pelli, campioni di vario tipo, animaletti impagliati, uccelli, mentre il pittore Earle li dipingeva.
Il 5 luglio 1832 la Beagle riprese il mare e diresse a Sud. Ben presto furono a Montevideo e Buenos Ayres, e poi la nave si ancorò cinquecento miglia ancora più a Sud, a Bahia Blanca. Era un luogo desolato e solitario, abitato solo da un piccolo gruppo di soldati con divise rimediate che dapprima guardarono con sospetto l’aggirarsi di Darwin nell’interno pensando si potesse trattare di un individuo giunto per vendere armi agli indiani che essi combattevano, mentre poi derisero non poco “el naturalista” per le strane, quasi inammissibili cose che andava raccogliendo. In realtà fu proprio lì, a Punta Ala, che Darwin doveva fare alcune delle sue più straordinarie scoperte. Su un banco di ciotoli, ghiaia e creta rossastra che si alzava accanto alla riva, si scorgevano emergere alcune conchiglie e ossa fossili. Darwin e il suo aiutante cominciarono a scavare e in breve si trovarono in possesso di ossa fossili, talvolta di scheletri completi, di animali che risultavano sconosciuti alla moderna zoologia, e che dovevano essere scomparsi dalla terra da molti millenni o addirittura da milioni di anni. Si trattava delle ossa di un Megatherium, un bradipo gigantesco, di altri animali affini, di un armadillo gigantesco, del Mylodon, una specie di elefante estinta da tempo, della Macrauchenia, quadrupede misterioso che egli ritenne, a torto, un camelide, di un gigantesco guanaco, infine di un animale che aveva tutte le caratteristiche di un cavallo.
Ciò che colpì subito Darwin fu che questi animali estinti, pur essendo di specie differenti tra loro, erano assolutamente simili nella loro ossatura a specie tutt’ora esistenti su quella terra, ad esempio i bradipi, gli armadilli, i guanachi. Quando gli europei del XVI secolo erano giunti nel Sud America, il cavallo vi era del tutto sconosciuto: ma le ossa trovate dimostravano che vi era stato in altri tempi ! Non poteva tutto ciò dimostrare che le varie specie fossero in continuo sviluppo e cambiamento e che talvolta alcune specie scomparissero perché non più capaci di cambiare e quindi adattarsi a sopravvivere alle variazioni (di clima, di vegetazione etc.) che avvenivano nell’ambiente ? Darwin e FitzRoy, armati l’uno dei suoi libri scientifici, l’altro della Bibbia, discussero a lungo questi problemi a bordo, ma non riuscirono a trovare una soluzione che soddisfacesse ambedue.
A fine novembre FitzRoy decise di partire per raggiungere la Tierra del Fuego e riportare i tre fuegini nella loro tribù. Ebbero avventure di mare terribili e rischiarono il naufragio, ma alla fine riuscirono ad ancorarsi nel canale scoperto nel viaggio precedente e che porta il nome di Beagle Channel, e ivi FitzRoy pensò di allestire un villaggio di tende, sbarcare i tre fuegini e un missionario, e dar vita a un centro che, nelle sue speranze, conducesse a una vita “civile” quelle povere e selvagge popolazioni. Ma venne amaramente deluso: quando dieciotto mesi dopo la Beagle tornò in quelle acque, vide che le tribù fuegine avevano saccheggiato l’accampamento e dei tre ivi ricondotti, a parte il missionario che riprese a bordo, FitzRoy potè rintracciare solo il ragazzo, che rifiutò assolutamente di tornare alla cosiddetta vita civile. Si era sposato, e con molto buon senso dichiarava che la sua tribù non aveva alcun bisogno dell’aiuto degli inglesi. Alla amara delusione di FitzRoy, che vedeva svanire il suo sogno di convertire a una cristiana civiltà i fuegini, si contrapponeva l’opinione di Darwin, che relizzava la difficoltà di far cambiare modalità di vita a una popolazione, che –almeno in quei tempi- poteva sopravvivere solo se lasciata libera di uniformarsi al tipo di vita richiesto dall’ambiente, senza alcuna interferenza.
Ciò che era accaduto agli indiani del Nord America e agli abitanti di molte isole polinesiane confermava tutto ciò: il contatto con gli europei era esiziale per le popolazioni primitive.
FitzRoy il 26 febbraio del 1833 riprese il mare, tornando verso l’Uruguay. Egli aveva il compito di carteggiare tutta la costa Sud Americana per oltre mille miglia a Sud di Bahia Blanca, e si accorse che la Beagle da sola sarebbe stata impari al compito. Affittò allora un piccolo veliero e delle scialuppe e con l’aiuto di questi mezzi, attraverso molteplici corse da Nord a Sud e viceversa, cercò di portare a temine meglio che si potesse il suo immane compito.
Occorse quasi un anno e mezzo di tempo: e in questo periodo Darwin, con l’appoggio dello stesso FitzRoy, che sperava che oltre gli studi naturalistici trovasse elementi di sostegno all’interpretazione letterale della Bibbia, decise di eseguire delle lunghe traversate ed escursioni nell’interno, onde studiare gli animali e la geologia delle Pampas. Furono viaggi estremamente interessanti, ma faticosi e pericolosi. Occorreva garantirsi contro gli indiani argentini da tempo in guerra feroce contro i coloni bianchi che pretendevano cacciarli dalle loro terre per allevarvi le loro mandrie di buoi e cavalli. I poveri indiani, a loro volta, venivano ferocemente sterminati dai soldati argentini e dal generale Rosas, che di lì a poco sarebbe divenuto dittatore e tiranno dell’ Argentina. Per avere una sicurezza Darwin e FitzRoy assoldarono come compagni di viaggio dei gauchos, e Darwin nel suo libro parla con estremo piacere di questi speciali cavalieri delle Pampas, che mangiavano solo carne, non camminavano mai neanche per brevi tratti, ma soltanto andavano a cavallo con superba bravura, che suonavano appassionate canzoni con la chitarra, e che gli parevano sempre avere un aspetto e uno stile a metà tra un gentiluomo e un bandito. Erano anche stupendi cacciatori e con le bolas o il loro lazo catturavano per Darwin i più vari animali.
Nell’ultima di queste escursioni, dopo una lunga traversata durata quaranta giorni, Darwin raggiunse Buenos Ayres. Era di nuovo in un centro di quella civiltà cui era abituato. Nei giorni seguenti fu occupato dalla mattina alla sera a rinnovare il suo equipaggiamento e a comprare i mille recipienti e oggetti che gli necessitavano per le sue raccolte; inoltre ebbe un gran da fare per spedire a Henslow i vari pacchi già preparati. Sembra che la città e la vita di Buenos Ayres non gli piacessero molto, ma scrisse alle sorelle che le senoritas, con metà del volto, secondo il costume spagnolo, nascosto dalla mantilla nera e l’altra metà che evidenziava un meraviglioso occhio scuro ed un fascinoso ed espressivo sorriso, possedevano una incredibile attrattiva. “Mi dispiace per tutte voi –scrisse- ma a tutto il vostro gruppo farebbe un gran bene venire a Buenos Ayres!”
Dopo il colpo di stato di Rosas, che si impadronì del governo, con giorni convulsi, frenetici e pieni di incertezze e pericoli, Darwin temette di perdere contatto con la Beagle, con la quale aveva fissato il definitivo appuntamento a Montevideo, ma con un passaggio avventuroso riuscì a ragggiungerla. Giunto a bordo, felice per lo scampato pericolo, raccontava con entusiasmo a FitzRoy ciò che aveva osservato nelle Pampas e a Buenos Ayres, e sembrava uno scolaro appena tornato dalle vacanze. Non era stato fatto nulla, tuttavia, pensò FitzRoy, per dimostrare la veridicità della Bibbia: e il capitano si chiuse in uno sdegnoso silenzio.
Il carteggio della costa della Patagonia era terminato, e il 7 dicembre del 1833 la Beagle lasciò Montevideo, discendendo la costa. Ma un giorno la nave, ormai molto a Sud, urtò una roccia: fu necessario tirarla in secco alla foce del Rio Santa Cruz, e mentre i carpentieri la riparavano, Darwin e FitzRoy con una lancia risalirono il fiume, sino ad allora inesplorato, per quasi duecento miglia, sino a poca distanza dalle Ande. Ma un incidente occorso ai marinai che equipaggiavano l’imbarcazione mise la piccola spedizione in difficoltà. Occorreva chiedere un aiuto alla Beagle, e Darwin , da solo, percorse a piedi tutta la grande distanza di quattrocento kilometri risolvendo così la situazione. E’ un atto che dobbiamo attentamente considerare alla luce di quel che Darwin divenne pochi anni dopo, quando riteneva impossibile, per ragioni di salute, uscire di casa in carrozza per andare da un vicino amico. Dopo questa avventura ripresero il mare, ebbero un difficile e duro passaggio del Capo Horn, e finalmente il 23 luglio 1834 raggiunsero Valparaiso, sulla costa cilena.
Darwin, così interessato alla geologia e così desideroso di salire le montagne, iniziò subito varie escursioni sulle Ande, da un lato studiando i costumi degli indiani e dei montanari cileni, dall’altro cercando e prelevando campioni di rocce. Un giorno trovò così, a quattromila metri d’altezza, un letto di conchiglie marine fossili: un tempo, fu la giusta conclusione di Darwin, questa parte del Sud America era stata sotto il livello del mare, per poi emergere per effetto di terremoti e eruzioni vulcaniche. Ma questa conclusione non poteva essere accettata da FitzRoy, che riteneva, secondo le parole della Bibbia, le rocce e le montagne immutabili dalla creazione. Una volta di più, la differenza di concezione dei due sull’origine del mondo si accentuava.
Ma un avvenimento terribile stava per dimostrare ai due la non immutabilità delle rocce: il 20 febbraio 1835 mentre Darwin e il suo aiutante a Vadivia, sulla costa meridionale cilena, si riposavano distesi all’ombra sul suolo in campagna, durante una delle tante escursioni che facevano per raccogliere campioni geologici e faunistici, uno spaventoso terremoto li fece rialzare improvvisamente, terrorizzati. L’epicentro tuttavia era stato più a Nord: ciò che pochi giorni dopo videro nel porto di Talcahuano, che era stato in pratica distrutto dal terremoto e da tre terribili onde di tsunami, e poi a Conception, completamente rasa al suolo, riempì Darwin e FitzRoy di reale orrore.
Ma Darwin anche in tanta disgrazia trovò il modo di fare le sue intelligenti osservazioni: sulle rive del mare si notavano rocce che si erano rialzate da uno a tre metri, piene di mitili fissati su di esse, che ora imputridivano. Il suolo si era innalzato, anche se di poco. Ma ciò non significava che analoghi, ripetuti sconvolgimenti della crosta terrestre avrebbero potuto innalzare delle montagne e spiegare così le conchiglie fossili che egli aveva trovato sulla Cordillera Andina ? Noi oggi sappiamo che è proprio questo il meccanismo di elevazione delle catene montagnose, collegato allo spostamento delle grandi placche tettoniche terrestri, ormai dimostrato con precisione dalle osservazioni traverso i satelliti di punti di repere predisposti, e alla conseguente pressione di una placca sull’altra.
La Beagle era ormai in mare da quasi quattro anni, FitzRoy aveva portato praticamente a termine il mappaggio accurato del Sud America (anzi, aveva ricevuto notizia che l’Ammiragliato lo aveva promosso) e tutti anelavano al ritorno. Darwin soffriva sempre il mal di mare, ma si era molto irrobustito, vestiva non più, come agli inizi, da dandy, ma come un marinaio, e proprio nelle molteplici escursioni e ascensioni fatte sulle Ande aveva dimostrato un’efficienza fisica di prim’ordine. Ma lui stesso riferisce nel suo libro che un giorno fu punto da un Benchuga, un insetto (è il Triatoma megista o Triatoma infestans) capace di trasmettere la malattia di Chagas o tripanosomiasi americana. Questo incidente apparentemente di nessun significato è stato poi riportato e commentato da tutti i biografi di Darwin: dopo il suo ritorno infatti egli passò tutta la vita in una condizione di semi infermità, non facendo più alcun viaggio o alcuna campagna, non uscendo di casa che eccezionalmente e conducendo tutte le sue osservazioni, deduzioni e pubblicazioni nel suo studio. Ma nessun medico riuscì ad obbiettivare qualche preciso segno di malattia, in particolare di malattia cardiaca. La maggior parte dei medici consultati dai biografi tende a ritenere che egli sia divenuto preda di neurosi, causata forse dall’autoritarismo e dalla rigidezza del padre. Ma alcuni hanno pensato che forse possa assere stato affetto dalla malattia di Chagas, trasmessagli dal Benchuga.
Il 7 settembre 1835 la Beagle intraprendeva la traversata del Pacifico, tra grandi sciami di pesci volanti, diretta a un gruppo di isole poco conosciuto, o meglio poco studiato da un punto di vista naturalistico, le Galàpagos, isole considerate stranissime, o anche “Islas Encantadas” (incantate perché le capricciose correnti che esistono nell’arcipelago facevano trovare spesso le navi in punti fuori rotta da dove credevano di essere giunte). Queste isole costituirono per Darwin una tappa di fondamentale importanza per far germogliare in lui le conclusioni sull’evoluzione che poi lo resero celebre. Per dirla con le sue parole (Viaggio di un Naturalista attorno al Mondo, cap.XXII) , “Qui, sia in termini di spazio sia di tempo, noi sembriamo essere condotti in qualche modo vicini a quel grande episodio –il mistero dei misteri- la prima apparizione di nuovi esseri sulla terra.”
La spedizione si fermò alle Galàpagos per poco più di un mese, visitando molteplici isole, ma Darwin, anche se discese sulla maggior parte di esse, trovò soprattutto interessante e utile ciò che egli vide su una, l’isola James o San Salvador, ove lui, un aiutante, il chirurgo e due marinai furono lasciati per una settimana con una tenda, dei lettini e delle provviste. Appena sistemati, iniziarono le loro osservazioni. Videro in grande quantità le iguane marine, e si resero conto che si tuffavano nel mare per nutrirsi di alghe, per poi risalire sulla terra e riscaldarsi al sole sulle rocce. Videro l’iguana terrestre, che si nutriva di cactus, e le grandi testuggini, una delle ragioni per cui le Galàpagos erano frequentate dalle navi baleniere, che con questi grossi rettili si rifornivano di viveri. Come erano giunti questi animali in isole così distanti dalla terraferma ? Forse su tronchi galleggianti o ammassi di legni, pensò Darwin, almeno le iguane, che pur essendo così simili a quelle della terraferma americana erano tuttavia specie differenti. Poi si accorse che le testuggini avevano delle differenze da isola a isola: forse erano venute un tempo dal mare, ma i diversi ambienti e poteri nutritivi delle varie isole le avevano differenziate per poter sopravvivere. Una viveva in un’isola nella quale i cactus di cui si nutriva avevano i frutti situati ad oltre un metro dal suolo e questa testuggine era caratterizzata da un carapace aperto molto in alto anteriormente e da un lungo collo con il quale poteva raggiungere i frutti.
L’interesse di queste differenze era ancora più evidente con i fringuelli delle Galàpagos: avevano molte particolarità in comune, ma alcuni aspetti differivano assai secondo la loro nutrizione. Alcune specie avevano grandi e robusti becchi, con i quali spaccavano i semi e le noci di cui si nutrivano, altri becchi più sottili, perché con essi avevano imparato a cercare e divorare piccoli insetti fra le cortecce degli alberi. La conclusione per Darwin era evidente: la vita di molte specie andava evolvendo, a seconda delle variazioni ambientali. Le specie che non erano capaci di adattarsi ai cambiamenti erano destinate a estinguersi, come forse era accaduto ai giganteschi animali “antidiluviani” le cui ossa egli aveva trovate in Patagonia.
Tutto ciò urtava contro l’interpretazione letterale della Bibbia e non poteva che irritare FitzRoy, che non riusciva a seguire e tanto meno ad approvare le idee di Darwin. Questi, d’altra parte, almeno per il momento, si limitava a parlare come di possibilità, non di certezze. Su un punto i due uomini erano d’accordo: non potevano che disapprovare l’uno le idee dell’altro. Ma erano costretti a rispettarsi a vicenda, perché le necessità stesse del viaggio chiedevano ciò.
Il 20 ottobre 1835 la Beagle lasciò le Galàpagos, iniziando il viaggio di ritorno. Il lavoro di carteggio della costa era terminato e restava solo da controllare con i ben ventidue cronometri che FitzRoy aveva voluto a bordo la posizione di alcune località che avrebbero toccato completando il giro del mondo. Il viaggio diventava cioè molto più simile a una riposante crociera che a una dura esplorazione scientifica, quale fino ad allora era stato.
La prima tappa fu la deliziosa Tahiti, l’isola che era stata così amata da Cook, da Bligh, dagli uomini della Bounty pochi decenni prima. Darwin ammirò molto l’isola e gli uomini tahitiani: stranamente, non trovò all’altezza della fama la bellezza delle donne. Dopo una diecina di giorni partirono, traversarono la vasta distesa oceanica, e il 21 dicembre 1835 raggiunsero la Nuova Zelanda. Vi erano già dei coloni inglesi, e ammirando le loro casette e piccoli giardini Darwin avvertì per la prima volta un vivo senso di nostalgia per la sua Inghilterra. Poco gli piacquero invece gli aborigeni, malgrado i loro complicati e perfetti tatuaggi, e giudicò questa popolazione come un insieme di selvaggi, paragonata ai civili tahitiani.
La Beagle si fermò pochi giorni, riprese il mare e il 12 gennaio 1836 entrò nella splendida baia di Sydney, una delle più belle del mondo. La città era già in notevole espansione e Darwin fu piacevolmente ricevuto in un party in una delle nuove costruzioni, party cui parteciparono alcune graziose ragazze australiane, “deliciously English-like”.
Egli fece varie escursioni nell’interno, incontrò gli aborigeni, provò simpatia per essi, e si rese conto che, come in tutti i territori ove si era impiantata una popolazione europea, la loro razza non aveva futuro.
In complesso, l’Australia non lo interessò molto, malgrado ammirasse gli uccelli, i canguri, gli ornitorinchi: come tutti a bordo, ormai non desiderava che ritornare in Inghilterra.
Partiti, visitarono la Tasmania, poi l’Australia del Sud Ovest; in primavera raggiunsero le isole Keeling (o Cocos), seicento e più miglia a Sud di Sumatra. Queste isole sembrarono un vero paradiso a FitzRoy, a Darwin e agli uomini della nave. Lagune meravigliose con acque color smeraldo, palme di cocco che agitavano le loro foglie al vento, ragazze malesi che sulla spiaggia, alla luce della luna, danzavano e cantavano per i marinai, un’infinità di uccelli, di pesci, di granchi.
Ma per Darwin furono anche l’occasione per esperimenti relativi alla soluzione dell’enigma della formazione degli atolli corallini. Era stato Lyell -ormai Darwin aveva a bordo, speditigli da Henslow, tutti e tre i volumi della sua Geologia- ad avanzare l’ipotesi che gli atolli, queste basse isolette circolari con al centro una laguna poco profonda, fossero gli orli, abitati dai coralli, di montagne o crateri vulcanici sommersi. La spiegazione parve molto logica a Darwin, che elaborò una teoria che non solo dimostrava quanto Lyell aveva affermato, ma ne evidenziava il meccanismo.
I polipi del corallo, cioè i minuti esseri che costruivano le scogliere delle isole dei tropici, vivevano in acque superficiali soltanto, pensò Darwin. Egli e FitzRoy con un piccolo battello andarono all’esterno della barriera corallina che circondava l’atollo di Keeling, e con uno scandaglio il cui fondo era cosparso di sego fecero innumerevoli prove alle più varie profondità. Fino alla profondità di cento metri il sego, toccato il fondo, tornava su pulito, con impresse le orme di coralli viventi; poi ciò diventava più raro, e dopo centoventi metri non si riusciva ad ottenere alcuna orma, ma solo detriti e sabbia.
La deduzione che Darwin fece fu questa: eruzioni vulcaniche e relativi sommovimenti avevano fatto emergere le isole, ad esempio Tahiti, e i coralli si erano sviluppati tutt’attorno. Ma quando poi la montagna vulcanica si era abbassata, o, a causa della fine delle glaciazioni il livello del mare si era alzato,il corallo aveva continuato a crescere sull’antico bordo, costruendo la barriera che circondava al largo le isole. Se poi la montagna vulcanica scompariva del tutto, restava solo il bordo di corallo, che cicondava una laguna centrale. Questa spiegazione dell’origine degli atolli ha resistito a tutt’oggi e nessuna nuova acquisizione ha potuto sostituirla.
La fine del viaggio si avvicinava. Fecero scalo a Mauritius, a Città del Capo, a S.Elena (visita alla tomba di Napoleone) e all’isola dell’Ascensione. Qui trovò non solo ancora una volta graditissime lettere da casa, ma anche la notizia che il prof. Sedgwick aveva affermato che ormai Darwin aveva diritto a un posto tra gli scienziati più in vista. L’arrivo in Inghilterra si protrasse ancora alquanto, perché FitzRoy per controllare le sue misure cronometriche del mondo volle toccare di nuovo il Brasile, andando a Bahia (1 – 6 agosto). Ma, ripartiti, sei settimane dopo, il 2 ottobre 1836 la piccola, valorosa Beagle raggiungeva la madre patria a Falmouth.
Darwin sentiva talmente la nostalgia di casa, che sbarcò immediatamente e prese la prima diligenza per Shrewsbury, ma vi giunse due giorni dopo, a sera. Non volle disturbare a quell’ora i suoi, e dormì in un piccolo hotel. Al mattino seguente, mentre la sua famiglia faceva colazione, irruppe nella casa. Si può immaginare la scena, con il selvaggio entusiasmo e la gioia che ne seguirono. Mancava da casa da quasi cinque anni, era partito come un ragazzetto qualsiasi, e tornava con la fama di un uomo straordinario, capace di promuovere l’avanzata della Scienza. Scrisse ovviamente subito al suo zio Josiah Wedgwood, e la cugina Emma scrisse nel suo diario “Siamo estremamente impazienti per l’arrivo di Charles”. Due anni dopo la coppia si sposò.
Dopo il ritorno, la vita di Darwin non fu più una vita di avventura e attività fisica, ma solo di intenso studio, letture, sperimentazioni e ricerche. Dapprima si dedicò con frenesia a ordinare e classificare l’enorme raccolta degli innumerevoli campioni che aveva collezionato. Pubblicò cinque volumi della “Zoologia della Beagle”, lavoro essenzialmente scientifico, ma poi scrisse e pubblicò il “Viaggio di un Naturalista attorno al Mondo” che fu un grandioso successo editoriale, tradotto in tutti i paesi civili. La sua salute cominciò ben presto a non esser più buona, a suo dire, e pian piano si ridusse a non uscire pressochè più dalla sua bella casa nei dintorni di Londra, dedicandosi solo ad esperimenti, studi, letture. Ma la sua vita con Emma era una vita felice. La moglie non fu capace di seguirlo nella sua passione scientifica, ma lo confortava in ogni modo, e tutti dissero che egli era radioso e allegro, persino nei suoi presunti periodi di malessere. Darwin ed Emma ebbero dieci figli, di cui sette raggiunsero la maggiore età e fecero illustri carriere.
Non mi sembra il caso, a questo punto, di descrivere e nemmeno riassumere tutta la colossale attività scientifica che Darwin condusse nel suo studio a Down House, talmente intensa che egli stesso lamentò di aver perso il gusto per leggere Shakespeare e Milton o per ascoltare Mozart e Beethoven: “La mia sola gioia e il mio solo interesse nella vita è diventato il mio lavoro scientifico”, scrisse. Ma questo lavoro lo condusse a dei risultati eccezionali e in particolare lo consegnò all’immortalità per la parte che egli ebbe nello stabilire il trionfo della Teoria dell’Evoluzione.
Sin dai giorni delle Galàpagos e poi mentre classificava e correlava i campioni raccolti nel viaggio, Darwin aveva cominciato a domandarsi se le varie specie di vita sulla Terra non fossero derivate da linee ancestrali. Forse i vari animali e piante non erano stati creati completi e immutabili, ma l’eredità e l’ambiente avevano forgiato nuove forme, diverse da quelle più antiche, analogamente a quanto gli allevatori avevano prodotto, con metodiche di selezione artificiale, per creare nuove razze di animali domestici o di piante più utili.
Era un’idea veramente eretica, per un uomo che nella sua gioventù era stato destinato a divenire un pastore anglicano e che, almeno un tempo, aveva creduto in una verità strettamente letterale della Bibbia. Forse era stato FitzRoy che, con la sua rigida osservanza, aveva creato le prime crepe nel credo originale di Darwin. Man mano che le nuove concezioni si impadronivano di lui, egli si rendeva conto di quale tempesta le sue idee eretiche avrebbero creato: e mentre procedeva a esperimenti su esperimenti, tardò per oltre venti anni prima di annunciare la sua Teoria. Il concetto di evoluzione della vita, abbiamo già visto, non era nuovo: la novità che Darwin portò fu la sia pur ipotetica interpretazione del metodo attraverso il quale gli esseri viventi potevano evolvere. Sin dai primi tempi dopo il ritorno della Beagle egli aveva letto il libro di Malthus “An Essay on the Principle of Population” e in base a questo libro era giunto alla conclusione che segue: poichè nascono, per ciascuna specie, più individui di quanti ne possano sopravvivere, ne deriva di solito una lotta per l’esistenza. Se un individuo varia anche lievemente in una maniera più vantaggiosa per esso in questa lotta, egli avrà una migliore probabilità di sopravvivere e sarà così naturalmente selezionato. Darwin chiamò Selezione Naturale, o Sopravvivenza del più adatto, questa preservazione degli individui con differenze e variazioni individuali favorevoli, mentre gli individui senza variazioni o con variazioni sfavorevoli scomparivano,
Come già detto, Darwin esitò a lungo prima di enunciare la sua teoria, tentando intanto di documentarla con numerose osservazioni ed esperimenti. Ma nel 1858 un suo collega ed amico, Wallace, gli inviò un lavoro in cui giungeva alle stesse conclusioni, e lo pregò di farlo pubblicare. Darwin si sentì quasi defraudato, ma ciò malgrado disse che il lavoro sarebbe stato subito pubblicato. Ma Lyell e altri scienziati che conoscevano le sue idee lo persuasero che non doveva tirarsi indietro: i due lavori, quello di Wallace e il suo, sarebbero stati pubblicati insieme nel mese seguente, e Wallace approvò del tutto la soluzione.
Un anno dopo Darwin pubblicava il suo celebre libro “Sull’Origine delle Specie per mezzo della Selezione Naturale, o la Preservazione delle Razze favorite nella Lotta per la Vita”. Fu un successo colossale e le mille e duecentocinquanta copie della prima edizione furono tutte vendute nel giorno stesso della pubblicazione. Ma ben presto si creò un turbine di contrasti. Vasti strati della Società e in primis la Chiesa Anglicana non potevano ammettere che l’uomo, anziché essere stato creato ad immagine di Dio, avesse cominciato la sua esistenza in un modo assai più primitivo. Era intollerabile, si diceva, che l’uomo potesse avere una discendenza da animali. Si pensava, a torto, che Darwin avesse detto che l’uomo moderno fosse la discendenza diretta di un gorilla o di uno scimpanzè. In realtà egli aveva detto che l’uomo e le scimmie antropomorfe di oggi si erano differenziate nella preistoria da una comune linea ancestrale.
La discussione e il contrasto divennero così feroci che nel 1860 la British Association decise di tenere un grande Meeting a Oxford nel quale gli esponenti più elevati della Scienza e della Religione avrebbero dibattuto la Teoria sull’Origine delle Specie. Darwin non partecipò, scusandosi con la sua cattiva salute.
L’inizio del dibattito fu abbastanza quieto, ma poi il Vescovo di Oxford, Samuel Wilberforce, appoggiato da un anatomico, Owen, ferocemente ostile a Darwin, intervenne con estrema pesantezza mettendo in ridicolo la Teoria “casuale” Darwiniana, sino a domandare al biologo Huxley, che appoggiava Darwin, se egli ritenesse di discendere da una scimmia attraverso sua nonna o suo nonno. Huxley rispose per le rime, affermando che avrebbe preferito discendere da una scimmia anziché da un uomo che prostituiva cultura ed eloquenza al servizio del pregiudizio e della falsità, e che probabilmente non capiva nemmeno di cosa si stesse parlando. L’insulto al clero determinò una formidabile sollevazione di buona parte dell’Assemblea, mentre il Vescovo pretendeva delle scuse. Il trambusto e il chiasso furono terribili, e fecero passare quasi inosservato l’intervento di un uomo snello e dai capelli grigi, dal viso aristocratico, che con rabbia agitava una Bibbia e inveiva contro Darwin e la sua pericolosa concezione. Era il capitano FitzRoy, amareggiato e infuriato contro il suo antico amico e compagno di viaggio per le conclusioni cui era giunto.
Malgrado il chiasso e l’ostilità derivati dal Meeting di Oxford le idee di Darwin si affermarono, e contribuirono molto a far affermare, un tempo nel solo mondo della Scienza, oggi ovunque, la Teoria dell’Evoluzione. Occorre non confondere la Teoria Generale dell’Evoluzione, cioè la discendenza nel tempo da esseri viventi iniziali, più semplici, di esseri successivi più complessi, con il Lamarckismo, il Darwinismo, la Teoria delle Mutazioni (De Vries) etc.: queste sono teorie speciali sul “metodo” dell’evoluzione, cioè sul processo e sulle cause secondo i quali l’evoluzione può esser avvenuta. Darwin con la sua teoria (“Darwinismo”) diede una spiegazione molto convincente e che taluni fatti ormai ben noti rendono estremamente plausibile. Citeremo ad esempio la celebre farfalla delle betulle di Manchester (Biston betularia): questo insetto si presenta a volte di color biancastro altre volte di color bruno. Fino ai primi dell’8oo la maggioranza di queste farfalle era bianca, perché gli individui di tale colore, posati sui tronchi bianchi delle betulle, erano scorti con difficoltà dagli uccelli che cercavano di mangiarli; ma poi i fumi delle nascenti industrie scurirono i tronchi delle piante, e oggi le farfalle bianche sono rarissime, mentre quelle scure, che meglio si confondono con i tronchi anche essi scuri, sono divenute le forme predominanti. Altro interessante fenomeno è la alta incidenza della Thalassemia nel delta del Po e in Sardegna: la Thalassemia è una anomalia dell’emoglobina e nelle due regioni sopradette i thalassemici sono abbondanti perché ivi ha dominato per secoli la malaria grave. Il parassita della malaria si sviluppa male nei globuli rossi con emoglobina thalassemica e questo spiega perché gli individui con tale anomalia (una tara in realtà!) abbiano finito con l’essere selezionati rispetto gli individui normali che invece cadevano sotto i colpi della malaria perniciosa.
Comunque, le teorie speciali sul metodo dell’Evoluzione possono cadere ma ciò non trascinerebbe con se la Teoria Generale. Darwin ebbe non solo il merito di proporre con la sua teoria un “metodo evolutivo” estremamente possibile, ma di dare con ciò stesso un appoggio formidabile alla Teoria Generale, al punto che larghi strati della popolazione identificano il progresso metodico da lui portato con il fenomeno generale vero e proprio.
Ciò che Darwin ignorava e che permise per decenni ai nemici e detrattori delle sue idee di opporvisi o deriderle, era quale fosse il meccanismo dell’eredità e come potesse prodursi quella variazione capace di dare, se vantaggiosa, la possibilità di un migliore sviluppo ad una specie, o la sua scomparsa se svantaggiosa. Ma agli inizi del 19OO vennero riscoperte le leggi di Mendel, vennero identificati i cromosomi e il loro ruolo nell’eredità, venne dimostrata la possibilità di mutazioni (che oggi sappiamo essere causate da errori nella replicazione del DNA) e ricombinazioni (crossing over dei cromosomi omologhi durante la mejosi). Si cominciò a pensare che l’evoluzione avvenisse principalmente per cambiamenti della frequenza degli alleli tra una generazione e l’altra e che la speciazione sarebbe avvenuta gradualmente in popolazioni isolate per quanto riguardava la riproduzione, ad es. per barriere geografiche (bracci di mare, catene montagnose etc.)
Da quegli anni la Teoria dell’Evoluzione regnò sovrana nel mondo della Scienza, per opera di A.A. come Morgan (191O), Fisher (1918), Dobzhansky (1937), autori appunto che applicarono nelle loro esperienze le grandi scoperte sopranominate ai concetti originali di Darwin. Ma dopo la prima metà del secolo XX la teoria originale darwiniana fu ancora più modificata, e prese il nome di “NEODARWINISMO”.
Il Neodarwinismo è sempre basato sull’originale concezione di Darwin, ma riconsiderato e corretto in base alle tante nuove ricerche e scoperte. Viene oggi denominato “Teoria Sintetica dell’Evoluzione”. Le basi fondamentali delle idee propugnate da Darwin sono ancor oggi i fondamenti del Neodarwinismo, ma con alcune modifiche, e le possiamo così definire:
1) Ogni specie possiede individui che differiscono gli uni dagli altri per caratteri insorti in modo casuale, ma presenti sin dalla nascita. Noi oggi sappiamo che le differenze sono da attribuire al genoma (cromosomi e citoplasma) e alle sue mutazioni casuali, ma che a volte abbiamo potuto ottenere con varie metodiche sperimentali.
2) Ogni generazione produce più prole di quanta ne possa sopravvivere. Abbiamo già visto che Darwin era arrivato a questa concezione in base al libro di Malthus, e si tratta di una concezione sostanzialmente valida, anche se oggi vengono ammesse delle limitazioni.
3) Fra gli individui di una stessa specie esiste quindi una competizione per nutrirsi e riprodursi (“Lotta per l’Esistenza”). Anche questa concezione resta valida, con ben poche limitazioni.
4) Solo “the fittests” (“i più adatti”) hanno il sopravvento nella competizione e arrivano a riprodursi. La riproduzione è l’unico evento, nella vita dell’individuo, che può influenzare l’evoluzione.
5) “Il più adatto” trasmette alla discendenza questo suo carattere favorevole nella lotta per la vita e quindi la specie si modifica gradualmente in questo
senso. Ma il modo con il quale si trasmettono i caratteri oggi è visto con una concezione del tutto nuova in base alle leggi dell’eredità cromosomica: la sorgente delle variazioni è costituita dalle “mutazioni”.
Nellla seconda metà del secolo poi il Neodarwinismo è stato ancora modificato e arricchito in base alle nuove ricerche. La moderna genetica ricerca l’origine delle mutazioni (sorgenti delle variazioni) nel DNA e ricerca se la mutazione consista in una variazione della sequenza o in una modifica chimica (in quest’ultimo caso la sequenza rimane invariata, ma si modifica l’espressione dell’informazione). Si deve inoltre distinguere se la mutazione, ad es. puntiforme, è nel gene per errore di replicazione, oppure se è causata dall’ambiente. Modificazioni della sequenza possono avvenire in sequenze codificanti o in sequenze regolative: alterazioni della regolazione trascrizionale hanno una base importante nella base genetica dello sviluppo evolutivo ed è del tutto recente la scoperta di piccoli RNA (mi RNA, si RNA) che ha ulteriormente modificato il concetto stesso di gene con interpretazioni tutt’ora in evoluzione.
A tutto ciò si aggiunge l’importanza oggi raggiunta dallo studio della forma matematica della genetica delle popolazioni; e infine sono divenuti anche molto importanti le analisi dei dati forniti dalla paleontologia.
Sinteticamente, possiamo dire che il nucleo del Neodarwinismo è ancora quello originale darwiniano, ma integrato da una serie di ricerche e scoperte che son riuscite a dare persino una base sperimentale all’antica concezione. Il Neodarwinismo comunque è in continua evoluzione: e vorrei dare un cenno su alcuni recenti aspetti teorico-biologici che mi son sembrati di particolare importanza nel giudicare un fenomeno, l’Evoluzione, cui molti ascrivono un significato filosofico.
Anzitutto, gli studi sui geni e sui genomi sempre più spesso suggeriscono che un significativo trasferimento orizzontale genico sia avvenuto tra i procarioti. Questo trasferimento orizzontale dei geni, che avviene senza la normale discendenza da una struttura madre a una struttura figlia, è ben noto tra i batteri, ma solo negli ultimi anni si è scoperta la sua esistenza tra le piante superiori e tra gli animali. Il campo d’azione del trasferimento orizzontale dei geni è quindi l’intera biosfera, con batteri e virus nel doppio ruolo per lo scambio genico e di serbatoi per la moltiplicazione e la ricombinazione dei geni stessi. Il trasferimento orizzontale dei geni è stato chiamato “Il nuovo paradigma della biologia” (R:Dawkins, 1996): altri hanno sottolineato come costituisca un fattore importante nei pericoli nascosti nell’ingegneria genetica.
Lynn Margulis e S.Dorian hanno inteso dare una tale importanza a questo trasferimento orizzontale genico, da creare una Teoria della “Simbiogenesi”: la simbiosi, con la possibilità di ricombinare interi genomi, sarebbe per i due A.A. la principale sorgente di variazione ereditabile.
Una interpretazione di particolare interesse del Neodarwinismo è quella di Richard Dawkins. Egli ammette che l’unica vera unità su cui può agire la selezione naturale è il gene, ma include nell’idea originale darwiniana della selezione del più adatto persino sistemi non biologici: il MEME.
Gli esseri umani sono quello che sono in virtù di quello che li fanno essere non solo, e non tanto, i loro geni, ma soprattutto la loro cultura. La cultura è costituita da informazioni capaci di influenzare il comportamento degli individui, ed è acquisita dagli altri membri della medesima specie attraverso l’insegnamento, l’imitazione e altre forme di trasmissione sociale. La cultura ha perciò un valore speciale perché consente di svolgere attività che non sono determinate o influenzabili dalle informazioni genetiche, ed è lo strumento che ha permesso agli esseri umani di diventare ciò che siamo, i dominatori della terra.
Ora per Dawkins l’evoluzione culturale è molto più rapida e variegata di quella genetica e tende progressivamente ad accrescersi in parallelo alla creazione di nuovi strumenti culturali e tecnologici. L’A. ha allora introdotto il concetto di MEMI: sarebbero delle unità di trasmissione culturale simili ai geni e sarebbero gli agenti della continuità delle attività culturali, la struttura della progressione culturale. E’ una concezione che prescinde dalla biologia: ma qualche A.A. ha voluto cercarne un nesso, ammettendo che poiché la cultura dipende dalla creazione di reti neuronali complesse e vaste, forse la capacità di creare tali reti da parte dei neuroni potrebbe essere ereditabile.
Vale la pena infine di dare un cenno della “Teoria degli Equilibri Intermittenti”, cara a due paleontologi americani, S.J.Gould e N. Eldredge. Poiché la Teoria Neodarwiniana vede l’evoluzione come l’accumulo di mutazioni casuali soggette a selezione, si dovrebbe ritenere che di conseguenza essa sia un processo graduale, più o meno uniforme nel tempo. Ma i paleontologi sono sempre restati perplessi, in quanto la documentazione fossile non dimostra variazioni graduali e continue nel tempo, ma al contrario vediamo delle specie comparire negli strati fossili di una certa epoca, rimanere invariate per milioni di anni e poi eventualmente scomparire improvvisamente. “Periodi di Equilibrio”, in genere lunghi, punteggiati da interruzioni improvvise. C’è di più: dopo un’estinzione di massa, le specie di nuova comparsa non appartengono ai generi e alle famiglie precedenti l’estinzione, ma sono generi e famiglie nuovi.
I due paleontologi americani pensano che nei lunghi periodi di equilibrio, senza variazioni importanti d’ambiente, tutte le nicchie ecologiche siano colonizzate, con le specie presenti diffuse al massimo grado secondo la disponibilità di cibo. Di conseguenza vi è competizione, lotta per la sopravvivenza, selezione naturale secondo il modello darwiniano, ma non si osservano grandi novità evolutive.
Ma quando per le più varie cause avviene una estinzione di massa, moltissime nicchie ecologiche diventano libere e allora alcune specie che occupavano piccole nicchie marginali (e che pertanto non hanno lasciato fossili, o minime tracce) possono rapidamente espandersi nelle nicchie libere: non vi è che scarsa competizione e le nuove condizioni ambientali consentono una veloce evoluzione, con il manifestarsi e l’evolvere di caratteri diversi dal passato, in quanto organi e molecole preesistenti, che prima svolgevano determinate funzioni, possono dimostrarsi capaci di svolgere funzioni del tutto diverse.
A differenza dei neodarwinisti classici, questi A.A. sostengono che la microevoluzione non riuscirebbe a spiegare la macroevoluzione; si tratterebbe di due fenomeni coesistenti ma diversi. L’Evoluzione “darwiniana” esiste, e si manifesta a livello delle popolazioni biologiche e delle specie con funzione di tipo “stabilizzazione”, mentre la MacroEvoluzione avverrebbe in assenza di competizione e di selezione naturale e spiegherebbe la improvvisa comparsa di nuove specie. Come classico esempio gli A.A. citano la scomparsa dei dinosauri sessantacinque milioni di anni fa, e la successiva comparsa dei mammiferi.
Come vedete, se mi è riuscito di darvi un filo logico tra i moderni, molteplici aspetti del Neodarwinismo, la scintilla provocata dall’intuizione e dalle ricerche di Darwin ha prodotto un grande fuoco, che non solo non accenna a spegnersi, ma anzi diventa continuamente più vivo. Le concezioni scientifiche sono poi rese più complesse, o talvolta ostacolate, dai rapporti che molti strati di popolazione o addirittura molti studiosi credono esistere rispetto alle concezioni filosofico-religiose. Questo è un aspetto che non credo io abbia la possibilità e la capacità di trattare e commentare. Ma desidero citare, dal libro del prof. Pievani “In difesa di Darwin”, una lettera aperta che nel corso di una delle tante cause intentate in molti stati americani perché nelle scuole siano insegnate o meno l’Evoluzione e all’opposto il Creazionismo, trentotto premi Nobel, di diverse discipline e nazionalità, hanno inviato al Kansas State Board of Education: “Respingiamo i tentativi dei proponenti del cosiddetto Disegno Intelligente di politicizzare la ricerca scientifica e sollicitiamo a mantenere l’evoluzione darwiniana come unico curriculum e standard scientifico…..
Logicamente derivata da evidenze verificabili, l’evoluzione è intesa come il risultato di un processo, senza guida e senza finalità, di variazione casuale e selezione naturale. Come fondamento della moderna biologia il suo ruolo indispensabile è stato ulteriormente rafforzato dalla capacità di studio del DNA. All’opposto, il Disegno Intelligente è fondamentalmente non scientifico: non può essere verificato come una teoria scientifica poiché la sua conclusione centrale è basata sulla credenza di un Agente Sovrannaturale. Esistono differenze fra le visioni del mondo scientifica e spirituale ma non vi è alcuna necessità di confondere la distinzione tra le due. Né vi è alcuna necessità di un conflitto tra la Teoria dell’Evoluzione e la Fede Religiosa. Scienza e Fede non si escludono a vicenda, né l’una deve sentirsi minacciata dall’altra.”
Un’ottima risposta, che chiude la bocca sia a chi impugna la Teoria dell’Evoluzione per farla finita una volta per tutte con le religioni, sia ai sostenitori della Religione che intendono affermare che l’evoluzione non esiste. Con questa dichiarazione dei trentotto premi Nobel che ci permette un amichevole accordo, concludo la mia rievocazione di Darwin, ringraziandovi per la vostra paziente attenzione.