IL RUOLO DELLA RADIOTERAPIA NEL CARCINOMA MAMMARIO

 

V. DONATO, G. BOBOC

 

Introduzione

La radioterapia (RT) oncologica è una modalità di cura loco-regionale, in quanto agisce sul tumore primitivo, la sua diffusione nei tessuti contigui e lungo le vie linfatiche. Nel tumore della mammella la giusta applicazione del trattamento radioterapico, all’interno di una  corretta gestione multidisciplinare della malattia, ha permesso di ottenere brillanti risultati in termini controllo di malattia e aumento della sopravvivenza

 

Radiobiologia

L’obbiettivo dell’irradiazione è il “killing” di tutte le cellule neoplastiche presenti nell’area irradiata, senza recare danno ai tessuti vicini.

Per ottenere questo effetto differenziato tra massa tumorale e tessuti circostanti, si ricorre al frazionamento della dose, che consente il recupero dei danni subiti da parte delle cellule sane, recupero che non avviene o avviene solo in parte per le cellule malate.

Così i tessuti sani circostanti sono in grado, negli intervalli tra le sedute di radioterapia, di attivare processi di ripopolamento e di riparazione dei danni, mentre le cellule tumorali, non riuscendo a recuperare i danni subletali, seduta dopo seduta andranno incontro a morte mitotica, necrosi e apoptosi.

Clinica:

Nello specifico della cura dei tumori mammari, l’irradiazione viene utilizzata in associazione alla chirurgia e chemioterapia, specificatamente per ridurre significativamente il rischio di recidiva di malattia sulla sede del tumore trattata.

L’impatto della radioterapia, come terapia loco-regionale, sulla sopravvivenza delle pazienti affette da cancro mammario è stato per lungo tempo controverso. Sebbene non siano numerosi i lavori che documentano un impatto sulla sopravvivenza, le conclusioni  risultate dai più recenti lavori  dimostrano che la radioterapia postoperatoria, specie nei casi ad alto rischio, ha un ruolo assolutamente fondamentale nella cura di tale patologia.

Le radiazioni ionizzanti sono oggi prodotte da moderne apparecchiature, quali gli acceleratori lineari, che emettono fotoni ed elettroni di varie energie , in grado di penetrare i tessuti sino alla profondità voluta, risparmiando nei limiti imposti dai margini di sicurezza stabiliti i tessuti sani circostanti.

Trattamento radiante e del carcinoma invasivo della mammella

 

I carcinomi invasivi costituiscono circa il 70%-75% dei tumori della mammella con  il tipo istologico più comune rappresentato dal carcinoma duttale, che comprende il 70%-80% di tutti i casi. Circa l’80% delle pazienti con tumore della mammella è suscettibile di un trattamento conservativo,  la cui validità è stata confermata da aggiornamenti di studi randomizzati di confronto tra mastectomia e chirurgia conservativa associata a RT (Veronesi 2002). La RT postoperatoria, riducendo il rischio relativo di recidiva omolaterale di circa il 75% se confrontato con la sola chirurgia non invasiva (Vingh 2004), deve essere considerata parte integrante del trattamento conservativo per le neoplasie in stadio iniziale e la sua omissione è ancora opzione da motivare e riservare a pazienti selezionate (Holli 2009).

La metanalisi dell’Early Breast Cancer Trialists Collaborative Group ha infatti dimostrato che, nell’ipotetica assenza di altre cause di morte, per ogni 4 recidive evitate, una morte per carcinoma della mammella può essere evitata nei 15 anni successivi al trattamento radiante (Clarke 2005).

Le indicazioni della RT sono: dopo chirurgia conservativa, dopo mastectomia e  dopo chemioterapia neoadiuvante.

L’irradiazione della mammella in toto è considerata lo standard nel trattamento conservativo del carcinoma mammario.

L’efficacia della RT postoperatoria è stata dimostrata anche in pazienti ad elevato rischio di recidiva sottoposte a mastectomia, nelle quali il trattamento radiante determina una riduzione del rischio di ripresa loco-regionale, un aumento della sopravvivenza libera da malattia e della sopravvivenza globale rispetto a quelle non irradiate (Ragaz 2005). In base ai dati della letteratura si ritiene indicato l’impiego della RT dopo mastectomia nei seguenti casi: a)tumore superiore a 5 cm nella sua dimensione massima, indipendentemente dallo stato linfonodale; b)tumore di qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica, al muscolo pettorale, alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale; c) metastasi ai linfonodi ascellari in numero uguale o superiore a 4; d)pazienti con margini positivi o stretti (< 2mm), soprattutto in presenza di altri fattori di rischio anche se i dati della letteratura non sono conclusivi (Truong 2004).

 

Radioterapia dopo chemioterapia neoadiuvante

La chemioterapia primaria, viene impiegata allo scopo di ridurre il volume neoplastico sino ad ottenere idealmente una risposta patologica completa, trattare la malattia sistemica occulta, ridurre l’estensione locale della neoplasia al fine di consentire una chirurgia conservativa. Essa rappresenta il trattamento standard per il tumore mammario localmente avanzato.

Vi sono delle difficoltà a dare indicazioni precise al trattamento radiante postoperatorio, poiché queste sono spesso derivate da risultati di studi retrospettivi mentre gli studi

prospettici non sono stati disegnati per valutare il ruolo della RT (Bucholz 2008). La maggior parte degli autori concorda comunque con l’opportunità di offrire un trattamento radiante postoperatorio in tutti i casi di malattia inizialmente inoperabile e nelle forme già operabili all’esordio.

La scelta di una RT postoperatoria sarebbe giustificata dall’impossibilità di stabilire la precisa estensione linfonodale all’esordio  e dalla considerazione che la mastectomia dopo chemioterapia è solitamente necessaria nei casi inizialmente avanzati. I risultati degli studi effettuati dall’ M. D. Anderson Cancer Center evidenziano che  il trattamento radiante sulla parete toracica e le aree linfonodali regionali è in grado di ottenere un ulteriore beneficio clinico, in termini di controllo locoregionale, rispetto alle pazienti non sottoposte a RT (Mcguire 2007).

 

Frazionamenti e dosi

Dopo chirurgia conservativa la mammella può essere trattata impiegando un frazionamento convenzionale (1,8-2 Gy/die, in 5 frazioni settimanali fino alla dose totale di 50 - 50,4 Gy) o schemi ipofrazionati, la cui equivalenza, in termini di efficacia e tossicità, è stata dimostrata in vari studi randomizzati ( Whelan 2010, Benzen 2008).

Poiché la maggior parte delle recidive locali è documentata in corrispondenza o nelle immediate vicinanze del letto tumorale, al fine di ridurne l’incidenza, l’erogazione di un sovradosaggio al letto operatorio (boost) è pratica routinaria presso la maggior parte dei Centri di Radioterapia (Bartelink 2008). L’esecuzione del boost è soprattutto raccomandata in pazienti di età inferiore a 40 anni ed in quelle ad elevato rischio di recidiva. Di norma sono previste dosi totali complessive al letto operatorio di 60 Gy in caso di margini di resezione istologicamente negativi. In presenza di margini non negativi è indicata la somministrazione di una dose più elevata. Sono in corso esperienze che valutano l’impiego del boost integrato o concomitante con diverse modalità esecutive (Van der Laan 2007).

Lo stato dei margini dopo intervento di chirurgia conservativa è uno dei più significativi indici di adeguatezza dell’escissione e rappresenta, in caso di positività, uno dei più importanti fattori di rischio per recidiva locale (Sabel 2009). Si ritiene che margini negativi debbano sempre essere ottenuti nei seguenti casi: carcinoma lobulare infiltrante, carcinoma duttale in situ, presenza di estesa componente intraduttale, età ≤ 40 anni, dimensioni del T >2 cm.

 

Trattamento radiante del carcinoma duttale in situ

 

Negli ultimi anni il riscontro di carcinoma duttale in situ (DCIS) è notevolmente aumentato, dal 3-5% degli anni ’70-’80 al 25-30% attuale, soprattutto in seguito alla maggiore diffusione dello screening mammografico (Weaver 2006). Il maggior numero di casi si osserva nelle pazienti di età compresa tra i 40 e 60 anni. Circa l’80-90% delle lesioni non è palpabile ed è riconoscibile solo con la mammografia; il quadro mammografico è prevalentemente caratterizzato dalla presenza di micro calcificazioni.

Diversi dati concorrono ad indicare che il DCIS rappresenta un precursore non obbligato del carcinoma infiltrante, in cui la maggior parte dei cambiamenti molecolari che caratterizzano la forma invasiva sono già presenti (Wazer 2008). L’intervento chirurgico conservativo seguito da radioterapia sull’intera ghiandola mammaria rappresenta attualmente l’opzione terapeutica più frequente.

Diversi studi retrospettivi e quattro importanti studi prospettici randomizzati , analizzati complessivamente in due meta-analisi (Godwin 2009), hanno evidenziato un miglior controllo locale dopo chirurgia conservativa seguita da RT rispetto alla chirurgia limitata esclusiva, con riduzione intorno al 60% del rischio relativo delle recidive. Nell’ambito dei quattro studi prospettici il vantaggio maggiore si è riscontrato nelle pazienti con lesioni ad alto grado e con margini positivi, mentre non è emersa una differenza statisticamente significativa nell’incidenza di metastasi a distanza e nella sopravvivenza globale (Viani 2007).

I fattori prognostici determinanti per il rischio di recidiva locale sono la presentazione clinica, l’età delle pazienti, la dimensione della neoplasia, il tipo istologico, il grading e la necrosi centrale, lo stato e l’ampiezza dei margini (Patani 2008). Attualmente vi è un ampio consenso nel ritenere che margini di 2-3mm siano adeguati, quando alla chirurgia conservativa segue la RT complementare . La giovane età, generalmente considerata ≤ 40 anni, rappresenta uno dei parametri più importanti correlati all’incidenza di recidiva locale, sia nei casi di DCIS clinicamente palpabile (Jhingran 2002), che nelle forme occulte, diagnosticate con la mammografia .

 

Radioterapia dopo chirurgia conservativa

Dagli studi finora pubblicati emerge che la RT postoperatoria riduce in modo significativo l’incidenza di recidive locali, anche nelle pazienti a basso rischio (Wong 2006). Nelle forme con rischio di recidiva molto basso (T di piccole dimensioni, unicentrico, di basso grado, con margini negativi adeguati) si può considerare la possibilità di omettere la RT (Guerrieri-Gonzaga 2009).

 

Radioterapia dopo mastectomia

Rappresenta la prima opzione terapeutica in presenza di DCIS:  multicentrico, esteso, con dimensioni 4-5 cm, in assenza di margini adeguati dopo chirurgia conservativa.

La mastectomia rimane inoltre l’indicazione primaria nei casi di: controindicazioni generali al trattamento conservativo oppure specifiche alla RT e di risultati cosmetici insoddisfacenti con la chirurgia conservativa. Dopo la mastectomia, seguita o meno dalla ricostruzione, non vi è indicazione alla RT complementare.

L’asportazione dei linfonodi ascellari non è generalmente indicata, poiché l’incidenza di metastasi linfonodali è estremamente bassa, attorno all’1% (Leonard 2004). Non vi è indicazione neppure all’asportazione del primo linfonodo di drenaggio con la tecnica del linfonodo sentinella, se non nei casi a rischio di invasione occulta (lesioni estese, ad alto grado, palpabili).

 

 

Trattamento radiante e carcinoma mammario della donna anziana

 

Generalmente si considerano anziane le persone di età superiore a 65 anni. Tuttavia esiste una estrema variabilità interindividuale legata al performance status e alla presenza di patologie concomitanti, nonché alle eventuali condizioni di disagio sociale. La popolazione anziana è in continuo aumento in tutti i Paesi industrializzati e in Italia, secondo l’ISTAT la speranza di vita per le donne ha superato gli 84 anni con una previsione demografica di oltre 90 anni nel 2045 (Istat  2009). Il tumore della mammella è la neoplasia più comune della donna anziana e la principale causa di mortalità. Circa un terzo dei tumori mammari si manifesta in donne di età superiore ai 65 anni .

Le donne anziane sono spesso escluse dalle indagini di screening e poco presenti nei trials clinici, ricevono trattamenti meno intensi e sono frequentemente sotto-trattate rispetto alle più giovani. Tale atteggiamento non ha consentito di osservare la stessa riduzione di mortalità riportato nelle donne più giovani (Yood 2008).

Il 40 % delle donne anziane presenta almeno un fattore di comorbidità al momento della diagnosi: l’analisi del rapporto tra età, comorbidità e trattamento oncologico evidenzia comunque che la quasi totalità delle pazienti è in grado di tollerare senza eccessivi rischi un trattamento terapeutico idoneo alla presentazione del tumore (Harris 2008).

Un corretto approccio diagnostico e terapeutico dovrebbe oggi prescindere dall’età anagrafica, ma piuttosto derivare da una valutazione multidisciplinare e multidimensionale che preveda una integrazione oncologica, internistico, geriatrica,

sociale e psicologica. L’obiettivo deve essere quello di distinguere la cosiddetta “anziana-giovane” con esigenze clinico-terapeutiche, sociali e psicologiche analoghe alla donne più giovani, dalla “anziana-anziana” per la quale è indispensabile definire le modalità terapeutiche più idonee anche attraverso una visione multimodale.

Si dovrebbe sempre prevedere, come per le donne giovani, una pianificazione multidisciplinare del trattamento. L’approccio terapeutico è in prima istanza di tipo chirurgico, per le forme tecnicamente operabili, se non esistono controindicazioni all’anestesia generale o alla sedazione profonda. Le indicazioni al trattamento del tumore primitivo e dei linfonodi ascellari sono sovrapponibili a quelle delle pazienti più giovani, ma devono tener conto della possibilità per la paziente, in caso di terapia conservativa, di poter accedere a un centro di radioterapia . Dopo sola chirurgia, senza RT adiuvante, il rischio di recidiva locale a 5 anni è del 25,9%. Nelle pazienti con linfonodi positivi tale rischio aumenta fino al 41,1% (Bernardi 2008).

Nella meta-analisi dell’ Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EBCTCG) (Clarke 2005), il trattamento radiante postoperatorio ha ridotto il rischio di recidiva locale e portato un beneficio in sopravvivenza, indipendentemente dall’età. Risultati di recenti studi (Tuong 2006) confermano il vantaggio offerto dalla RT nella riduzione del rischio di ricadute locali anche nelle pazienti anziane con basso rischio.

Si rende pertanto necessaria una attenta valutazione multifattoriale per identificare la strategia terapeutica ottimale, non essendo disponibili dati per estrapolare un sottogruppo di pazienti nel quale la RT possa essere sicuramente omessa (Scalett 2007).

Sebbene di solito ben tollerato e senza complicanze tardive grazie alle moderne tecniche di irradiazione, il vero e principale inconveniente del trattamento radiante post-operatorio rimane il tempo necessario al suo completamento. Opzioni particolarmente vantaggiose per le pazienti anziane sono rappresentati dal trattamento della mammella in toto con frazionamenti non convenzionali ( Whelan 2010) o dall’irradiazione parziale mammaria ( Pawlik 2004).

 

In conclusione, e’ ormai evidente che il trattamento radioterapico si pone come fondamentale nella gestione multidisciplinare  della cura del cancro mammario. Inoltre, alla luce delle nuove tecnologie radioterapiche, risultano ormai quasi scomparse le possibili complicanze post-attiniche, con netto miglioramento della qualità di vita delle pazienti.

 

 

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V. DONATO, G. BOBOC

Radioterapia

Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini Roma