PATOFISIOLOGIA DELL’OSTEOPOROSI E PRESENTAZIONE CLINICA

Emilio D’Erasmo e Luigi Petramala

Dipartimento di Scienze Cliniche, Sapienza Università di Roma

 

 

L’osso è un tessuto specializzato le cui funzioni principali sono quelle di: -costituire l’impalcatura del corpo; -proteggere le strutture organiche; -essere punto di inserzione di muscoli e tendini; - rappresentare il deposito di minerali, in particolare calcio e fosforo, e la sede dell’attività emopoietica midollare. E’ costituito da cellule (osteoclasti, osteoblasti, osteociti), da una matrice extracellulare (90% di collagene) e da una sostanza minerale (cristalli di idrossiapatite). Per l’80% l’osso è formato da una componente corticale (in particolare ossa lunghe e piatte), per il 20% da una componente trabecolare ( soprattutto scheletro assiale).

Il tessuto osseo  è  sottoposto ad un processo dinamico e continuo di rimodellamento (o turnover) che si esprime con due fasi: quella iniziale di riassorbimento, ad opera degli osteoclasti, e quella successiva di neoformazione ossea, alla quale sono deputati gli osteoblasti. Le due fasi risultano fisiologicamente “appaiate”, cosicchè nel soggetto normale possa essere mantenuta l’integrità scheletrica. Il rimodellamento è il risultato dell’attivazione di migliaia di unità multicellulari di base (BMU). L’attività metabolica avviene in prevalenza a livello dell’osso trabecolare. Qualsiasi alterazione del rimodellamento può esitare in una patologia dell’osso. In particolare, nel caso dell’osteoporosi si osserva una prevalenza, assoluta o relativa, del riassorbimento rispetto alla neoformazione ossea.

L’OP è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da riduzione e alterazioni qualitative della massa ossea che si accompagnano ad un aumentato rischio di frattura, che può avvenire per traumi anche di minima entità.

Nella pratica quotidiana si presta maggiore attenzione agli aspetti “quantitivi” della massa ossea, perchè più facilmente misurabile tramite l’esame densitometrico. Alla “qualità” contribuiscono diversi parametri strutturali (ad es. geometria, microarchitettura trabecolare, spessore e  porosità corticale), le proprietà  del minerale e della struttura del collagene ed i microdanni (microcracks). Informazioni sulla “qualità” dell’osso sono in parte indirettamente deducibili tramite il dosaggio degli indici del rimodellamento (marker del turnover scheletrico).

L’OP è una condizione di rilevante impatto sociale per la sua frequenza (in particolar modo per il crescente interessamento delle fasce di età >50 aa), e per le conseguenze in termini di disabilità/mortalità e per i costi economici connessi con la diagnosi ed il trattamento.

Attualmente si stima che l’OP in Italia riguardi circa 3,5-4 milioni di donne e  1-1,5 milioni di uomini. In Europa, dopo i 50 anni, il rischio di andare incontro nel restante periodo della vita ad una tipica frattura da OP si aggira nella donna intorno al 40% e nell’uomo al 15%.

L’OP viene classicamente distinta in due grandi gruppi: osteoporosi primitiva (involutiva e       giovanile) e osteoporosi secondaria, sostenuta da numerose cause riportate nella tabella I.

L’OP primitiva (involutiva) consta essenzialmente di OP postmenopausale e OP senile, differenti tra loro in rapporto ai meccanismi patogenetici e alle modificazioni distrettuali della massa ossea e caratterizzate dalla occorrenza di fratture in sedi scheletriche diverse. Secondo tale classificazione, l’OP postmenopausale interessa tipicamente la donna entro 15-20 anni dalla menopausa, riconosce come meccanismo patogenetico fondamentale la carenza estrogenica ed è caratterizzata dalla presenza di fratture in siti scheletrici ricchi di tessuto osseo trabecolare, come le vertebre ed il radio distale. Al contrario, l’OP senile colpisce entrambi i sessi con l’avanzare degli anni e riflette le composite influenze esercitate sul tessuto osseo dalle modificazioni ormonali conseguenti all’invecchiamento. In questo caso le fratture tipicamente riguardano siti composti da tessuto osseo sia corticale che trabecolare, come il femore, l’omero, la tibia ed il bacino. In realtà questa suddivisione, sebbene possa avere un importante valore  didattico, si basa su un modello teorico largamente rivisitato nell’ottica di una patogenesi unitaria della malattia.

L’OP primitiva giovanile è rara ed in genere dovuta a un difetto intrinseco dell’osso per alterazioni ereditarie del tessuto connettivo; fra queste la più frequente, in campo pediatrico, è l’osteogenesi imperfetta.

L’OP e le conseguenti fratture correlate riconoscono una patogenesi multifattoriale. A tal proposito giocano un ruolo importante: a) -il picco di massa ossea raggiunto alla maturità scheletrica, in cui sono coinvolti fattori genetici che spiegherebbero dal 40 all’80% delle differenze osservate, nutrizionali (soprattutto apporto proteico e di calcio e vitamina D) e stile di vita (esposizione solare, attività fisica); b) -l’aumento del turnover, in particolare del riassorbimento scheletrico, per deficit estrogenico, carenza di calcio e vitamina D, con conseguente iperparatiroidismo secondario, e per azione di alcune citochine (interleuchina 1 e fattore di necrosi tumorale alfa) e c) -la riduzione della neoformazione ossea, per effetto della riduzione di alcuni fattori di crescita (ad es. IGF1, GH) e del rinnovamento delle cellule ossee, in particolare osteoblasti. Un contributo essenziale per le fratture, specialmente nel soggetto anziano, è dato anche da fattori che  aumentano il rischio o le conseguenze delle cadute  (uso di farmaci quali ad es. benzodiazepine, alcool, malattie neurologiche e muscolari, ostacoli ambientali).

Inoltre quanto maggiore è il picco di massa ossea raggiunto alla maturità, tanto minore è il rischio nell’età adulta di andare incontro a OP; ciò naturalmente a parità di rimodellamento scheletrico. Nell’OP si osserva il prevalere del riassorbimento osseo, associato o meno alla riduzione della neoformazione, cosicché anche un eventuale elevato picco di massa ossea, in presenza di questo “disaccoppiamento”, non è in grado di contrastare in ogni caso la perdita di massa ossea  che avviene con la menopausa e l’avanzare dell’età.

Nell’ultimo decennio si è osservato come il rimodellamento scheletrico è regolato anche da due proteine di derivazione osteoblastica che mediano l’accoppiamento delle due fasi del turnover scheletrico. Un fattore di differenziazione osteoclastica, il RANK-Ligand, stimola la produzione degli osteoclasti attraverso il legame con il suo recettore RANK, presente sulla membrana cellulare dei loro precursori. Una seconda proteina, detta osteoprotegerina (OPG), complessandosi con il RANK-Ligand, compete con il legame al RANK. Quando il rimodellamento osseo aumenta, una maggiore quantità di RANK-Ligand si lega al suo recettore specifico, promuovendo così un aumento della proliferazione osteoclastica. Al contrario, quando il rimodellamento si riduce, la produzione di RANK-Ligand diminuisce, aumenta la produzione di OPG che, competendo con il RANK, determina una riduzione della proliferazione osteoclastica.

Il ritmo di perdita della massa ossea con l’avanzare dell’età nella donna presenta due fasi distinte: una precoce ed accelerata, che si osserva subito dopo la menopausa, ed  una successiva più lenta, a partire da 55-60 anni di età. La deficienza estrogenica è, come già ricordato, il fattore patogenetico più importante nella perdita accelerata. Il ritmo di perdita è pari a circa l’1-3% per anno, cosicchè nei primi 5-10 anni dalla menopausa la donna può perdere fino al 10-15% del patrimonio osseo iniziale. La fase lenta, che segue quella accelerata, è condivisa con il sesso maschile ed è caratterizzata da una riduzione inferiore all’1% per anno e riconosce come fattori patogenetici prevalenti quelli legati più propriamente alla senescenza, come l’iperparatiroidismo secondario e la diminuzione del numero e della funzione degli osteoblasti.

Per la patogenesi delle forme secondarie di OP, che possono essere osservate in entrambi i sessi ed a qualsiasi età, si faccia riferimento alle rispettive malattie o condizioni che sostengono l’affezione.

Il gold standard per la diagnosi di OP si basa sulla valutazione della densità minerale ossea (BMD), tramite l’impiego della metodica densitometrica DXA (Dual Energy X-ray absorptiometry) o MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata) effettuata a livello della colonna lombare, del femore (collo e in toto) e del radio; e in accordo con i criteri stabiliti dall’OMS, è possibile riconoscere 4 categorie diagnostiche: a) -BMD normale, quando il valore osservato nel soggetto in esame è compreso entro 1 deviazione standard (DS)  al di sotto della media osservata nei giovani-adulti (T-score entro -1); b) - osteopenia, quando il T-score è compreso tra -1 e -2,5 DS; c) - OP, allorchè il T-score sia inferiore a -2,5 DS; d) -OP severa o conclamata, se oltre a un valore di T-score inferiore a -2,5 DS si associa anche 1 o più fratture da fragilità.

Nella  valutazione iniziale dell’OP, andrebbe effettuato anche l’esame Rx  della colonna con morfometria, utile per la d.d. di eventuali deformazioni vertebrali da altre cause e per la ricerca di fratture decorse eventualmente in modo asintomatico. Nella diagnostica differenziale tra le varie forme cliniche di osteoporosi è indispensabile, oltre all’es. DEXA e/O Rx, eseguire una corretta raccolta anamnestica ed  un accurato esame obiettivo ed effettuare una idonea valutazione biochimica basale, con successivi eventuali approfondimenti (tabella II).

Le fratture (vertebrali, femorali e del polso o di Colles)  rappresentano, come già accennato, la manifestazione clinica più importante dell’OP e conseguono generalmente a traumi di minima entità, crescendo con l’avanzare degli anni.

Le più frequenti, nella donna in menopausa, sono quelle vertebrali che si manifestano soprattutto a livello della giunzione toraco-lombare (T12-L1), maggiormente sottoposta al carico e, in minor misura, a livello del tratto medio-toracico (T7-T8). Nei due terzi circa dei casi sono asintomatiche e diagnosticate incidentalmente attraverso esami Rx eseguiti per altri motivi. Il problema viene spesso sottostimato; è stato infatti dimostrato che la metà circa delle deformazioni vertebrali (a cuneo, biconcave e da schiacciamento) osservate all’Rx non viene refertata e, in una elevata percentuale di pazienti, anche se diagnosticate, non vengono riportate in cartella e non viene prescritta, alla dimissione, alcuna terapia. Circa il 20% delle donne con  una frattura vertebrale va incontro ad una nuova frattura nell’anno successivo; aumenta inoltre  il rischio di fratture anche in altre sedi, in particolare a livello del femore. Il rischio aumenta, con un effetto domino, a seconda del numero delle fratture iniziali presenti.

Le deformazioni vertebrali si associano a riduzione della statura, rachialgia acuta e cronica, deformazione della gabbia toracica con cifosi, disabilità, peggioramento della qualità della vita; sono gravate da un aumento della mortalità, da ricollegare non solo alle complicanze polmonari, conseguenti alle modificazioni della gabbia toracica, ma anche a cause diverse, potendo  in qualche modo essere interpretate come un indice di cattivo stato di salute.

Le fratture del femore, più tipiche nell’anziano di entrambi i sessi, dopo i 65-70 anni di età, sono facilmente diagnosticate perché quasi sempre richiedono  il ricovero e necessitano di trattamento chirurgico; le più frequenti sono quelle del trocantere rispetto a quelle del collo femorale. Dal punto di vista socio-economico sono  temibili per l’elevata mortalità (oltre il 20% dei soggetti muore entro i primi 6-12 mesi dall’evento), per la conseguente morbilità (specie complicanze infettive, insufficienza circolatoria, trombosi venose e tromboembolie polmonari) e disabilità (oltre il 50%), fino alla perdita dell’autosufficienza, e per i costi economici diretti e indiretti che le strutture sanitarie e le famiglie devono affrontare.

Le fratture di Colles (estremo distale dell’ulna e del radio) sono più frequenti nelle donne in postmenopausa ed avvengono in genere per una caduta in avanti nel tentativo di proteggersi.

 

 

Tabella   I .      Cause principali di OP secondaria ( Mod. da: Linee-guida SIOMMMS)

 

 

Cause endocrine                                                                          

        Ipogonadismo; ipercortisolismo; iperparatiroidismo; ipertiroidismo; iperprolattinemia; diabete mellito tipo 1; acromegalia; deficit GH

Malattie ematologiche

           Malattie mielo e linfoproliferative; mieloma multiplo; mastocitosi sistemica; talassemia.

Malattie gastrointestinali

          Malattie croniche epatiche; morbo celiaco; malattie infiammatorie croniche intestinali; gastrectomia; chirurgia bariatrica; intolleranza al lattosio;                         malassorbimento intestinale; insufficienza pancreatica

Malattie reumatiche

            Artrite reumatoide; LES;  spondilite anchilosante; artrite psoriasica; sclerodermia

Malattie renali

            Ipercalciuria idiopatica renale; acidosi tubulare renale; insufficienza renale cronica

Farmaci

           Glucocorticoidi; immunosoppressori; eparina; ormoni tiroidei; antiepilettici;  sali di litio;

                        antagonisti e/o agonisti  del GnRH; chemioterapici con effetto tossico sulle gonadi; diuretici  dell’ansa

Altre   Altre condizioni

                        Trapianto d’organo; broncopneumopatia cronica ostruttiva; anoressia nervosa; emocromatosi; fibrosi cistica; malattie metaboliche del collagene           (osteogenesi imperfetta, omocistinuria; Ehlers-Danlos; Marfan ecc.); alcolismo; fumo; tossicodipendenza; AIDS; immobilizzazione prolungata; grave disabilità

 

 

 

Tabella II.    Indagini biochimiche da richiedere nel paziente con sospetta o accertata OP

                     ( Mod. da Linee-guida SIOMMMS).

 

Valutazione biochimica basale

(esami di I° livello)

 

Indagini di approfondimento

( esami di II° livello)

 

 

Velocità di eritrosedimentazione

 

Calcio ionizzato

Emocromo completo

Paratormone sierico

Protidemia con elettroforesi

25-idrossivitamina D sierica

Calcemia

TSH-FT4-FT3, cortisoluria 24 ore, testosterone libero nei maschi

Fosforemia

Anticorpi anti-gliadina/anti-endomisio/anti–transglutaminasi

Fosfatasi alcalina totale

Immunofissazione proteica, sierica ed urinaria

Creatininemia

Marker specifico del rimodellamento osseo

Calciuria delle 24 ore

Esami specifici per patologie associate

 

Agoaspirato midollare; biopsia ossea

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

 

- D’Erasmo E e Petramala L. Osteoporosi e malattie metaboliche dell’osso. In: Trattato di Medicina Interna. Verduci Ed. Roma (in corso di stampa).

- Kanis JA et al. European guidance for the diagnosis and management of osteoporosis in   postmenopausal women.   Osteoporosis  International 19, 399, 2008.

-   Linee guida per la diagnosi, prevenzione e  terapia dell’osteoporosi della SIOMMMS (Soc. It. Osteoporosi, Metabolismo Minerale e Malattie dello Scheletro). www.siommms.it.

    Reumatismo 2009 (in corso di stampa)

- Primer on the metabolic bone disease and disorders of mineral metabolism. American Society

   for Bone and Mineral Metabolism. Seventh Edition , 2008. www.asbmr.org/