LO SCOMPENSO CARDIACO NELLA DONNA
D. Del Sindaco* , G. Pulignano**
Introduzione
Nel 1991 un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine da Bernardine Healy, direttrice dell’NIH, poneva le basi della medicina al femminile. L’articolo prendeva spunto dall'eroina del racconto Yentl The Yeshiva Boy, scritto da Isaac B. Singer, che narrava della vicenda di Yentl, giovane ebrea costretta a travestirsi da uomo per studiare il Talmud, testo sacro dell’ebraismo. In esso si denunciava l’atteggiamento discriminatorio che i cardiologi avevano nei confronti delle donne coronaropatiche. Ciò si basava sul mancato riconoscimento della specificità biologica, fisiopatologica e clinica e sul retaggio culturale che le donne fossero in qualche modo protette dalle malattie cardiovascolari (MCV) (1). A torto, se si considera che la malattia cardiovascolare è la causa principale di morte per la donna. In realtà uomini e donne si ammalano in modo diverso, ma la maggior parte della ricerca scientifica viene effettuata sul modello “giovane adulto, maschio bianco” e le informazioni cliniche che ne derivano vengono traslate alla donna. La conseguenza principale è che l’errata consapevolezza delle MCV nelle donne è il peggior nemico della donna stessa.
Epidemiologia
L’epidemiologia delle cardiopatie e in particolare dell’insufficienza cardiaca non è uguale nei due sessi, e che si debba abbandonare un paradigma unico di gestione delle cardiopatie è ancor più vero se si considera l’aumento di aspettativa di vita. A causa del progressivo invecchiamento della popolazione, le MCV costituiranno nel prossimo futuro un fattore primario distintivo tra i due sessi. La crescente prevalenza di fattori di rischio quali il fumo e il diabete ha determinato nelle donne un incremento di mortalità per MCV. Le MCV, infatti, rappresentano la prima causa di morte anche nella popolazione femminile, e la loro incidenza è largamente superiore ad ogni altra causa di morte, incluso il tumore della mammella (2). Anche i dati ISTAT segnalano che le cardiopatie sono la prima causa di morte (e ricovero) nella donna e la mortalità per MCV nella donna è quasi il doppio di quella per tumore. Inoltre, dopo i 65 anni, la prevalenza nelle donne supera quella riportata per gli uomini di oltre il 20%. Fra le MCV, lo scompenso cardiaco (SC) rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale e necessita di nuove soluzioni strategiche per cercare di migliorare prognosi e qualità di vita dei pazienti e contenere, se possibile, la spesa sanitaria. Eppure, le donne ancora oggi, se interrogate dichiarano di avere più paura del cancro della mammella che delle MCV. Si assisterà pertanto ad un cambiamento dell’epidemiologia dello SC nella donna. Un aspetto importante è quindi rappresentato dalla prevenzione dei fattori di rischio per lo sviluppo di SC. Ad esempio mediante il trattamento efficace dell’ipertensione arteriosa e del diabete mellito. Negli studi di popolazione come quello di Framingham e di Olmsted, il più importante fattore di rischio di SC nell’uomo è la cardiopatia ischemica mentre nella donna lo è l’ipertensione. Il diabete mellito riduce lo sfasamento temporale nell’esordio delle patologie cardiovascolari fra i due sessi, agisce da moltiplicatore del rischio di SC, e ne peggiora la prognosi nella donna più che nell’uomo (3). E ciò è ancor più vero se ci concentriamo sul profilo clinico-epidemiologico più attuale dello scompenso cardiaco. Infatti, lo SC a funzione sistolica normale o preservata (HFpEF) costituisce oltre la metà dei nuovi casi ed è la causa prevalente nei soggetti di sesso femminile e di età avanzata. Pertanto è necessario creare una giusta consapevolezza nel sesso femminile, finalizzata al trattamento aggressivo e al controllo stretto dei fattori di rischio. Ciò nonostante, non disponiamo tuttora di terapie evidence-based per questa forma di SC (4).
Quadro clinico
I dati dello studio TEMISTOCLE (pazienti ricoverati in cardiologia e medicina in Italia) suggeriscono che le le donne sono più anziane, presentano un quadro di simile gravità, più fibrillazione atriale, con frazione di eiezione (FE) conservata, più diabete, anemia e distiroidismi. L’eziologia è più frequentemente ipertensiva e valvolare e meno ischemica. Per quanto riguarda i fattori precipitanti, lo SC della donna è precipitato più frequentemente dall’ipertensione, dall’anemia e dalle disfunzioni endocrine e meno spesso dall’ischemia e dalla BPCO (5). Per quanto riguarda l’approccio diagnostico-terapeutico, dai dati della Survey Europea si osserva che le donne ricevono meno spesso test da sforzo e coronarografia rispetto ai maschi, mentre per le altre procedure non ci sono differenze tra uomo e donna. Ciò a causa probabilmente del fatto che nelle donne l’eziologia ischemica è meno frequente, ma quando indicata, l’angioplastica viene effettuata nella stessa percentuale degli uomini (6).
Esistono poi degli aspetti specifici della disfunzione cardiaca nella donna che sono le problematiche delle cardiopatie in gravidanza e la cardiotossicità dell’antitumorale trastuzumab impiegato nella terapia audiuvante del cancro della mammella (7).
Le problematiche cardiologiche correlate alla gravidanza non sono rare e diventeranno più frequenti con l’incremento dell’età materna alla gestazione, una tendenza molto comune nei paesi industrializzati e particolarmente in Italia. La cardiopatia peripartum è una rara forma di insufficienza cardiaca congestizia, che si sviluppa nella fase avanzata della gravidanza o nei primi 5 mesi dopo il parto in donne senza precedenti cardiopatie note. I principali sintomi sono dispnea e ritenzione idrica. Questa non comune causa di SC, tuttavia, può essere annunciata anche da tachicardia, tromboembolia cardiogena e altri segni clinici di disfunzione cardiaca (8-9). Non tulle le forme di cardiomiopatia diagnosticate negli ultimi mesi di gravidanza o nel puerperio rappresentano forme di cardiomiopatia causata dalla gravidanza: molte volte si tratta di slatentizzazione clinica di una cardiopatia dilatativa preesistente o asintomatica (10).
La cardiomiopatia da stress, o Takotsubo, è una sindrome caratterizzata da disfunzione sistolica regionale acuta del ventricolo sinistro, frequentemente correlata a stress psicofisico e generalmente reversibile. Si tratta di una sindrome non frequente, che coinvolge più spesso il sesso femminile con massima incidenza tra la settima e l’ottava decade di vita. L’eziopatogenesi non è ancora stata completamente chiarita, ma sono state avanzate diverse ipotesi: danno epicardico multivasale coronarico, alterazioni del microcircolo coronarico, cardiotossicità catecolaminergica, stunning neurogenico. La presentazione clinica può mimare una sindrome coronarica acuta:dolore precordiale a riposo o dispnea, con alterazioni elettrocardiografiche di nuova insorgenza caratterizzate da sopraslivellamento del tratto ST o inversione dell’onda T. L’esame coronarografico, che per essere diagnostico deve essere eseguito entro 48 h, esclude la presenza di stenosi aterosclerotiche significative o rottura acuta di placca. La ventricolografia documenta le caratteristiche anomalie della cinesi regionale (acinesia dell’apice ed ipercinesia dei segmenti basali) che danno alla sindrome il nome (“takotsubo” è un cestello usato in Giappone per la cattura dei polpi). L’ecocardiogramma in fase acuta evidenzia la presenza dei già citati difetti della cinetica regionale che caratteristicamente regrediscono nei giorni successivi. Non esiste oggi una terapia specifica della sindrome, ma essa viene trattata con una terapia di supporto e sintomatica (11).
Prognosi
Per quanto riguarda la prognosi, in fase acuta la mortalità intraospedaliera tra i due sessi non è diversa nemmeno stratificando in base al tipo di disfunzione ventricolare. Il ruolo del sesso nel determinismo della prognosi è abbastanza controverso, ma la mortalità intraospedaliera, come suggerito dai dati del registro americano ADHERE, non è significativamente diversa, nemmeno stratificando in base alla funzione ventricolare. Questo vuol dire che in fase acuta la FE non è un fattore che modula la prognosi nelle differenze tra i due sessi (12).
Sempre in acuto, nel TEMISTOCLE come nell’ADHERE, ci sono fattori predittivi di mortalità intraospedaliera, comuni ad uomini e donne: l’età avanzata, la severità del quadro clinico (ipotensione, shock, IV classe) e l’insufficienza renale. Altri fattori che sono diversi fra maschi e femmine. Nelle donne anche l’assenza di terapia con Ace-inibitori, la lunga durata di malattia, ma soprattutto l’ eziologia ischemica vs non ischemica rappresentano fattori modulanti; quindi, in acuto, nelle donne è l’eziologia ischemica che ci permette di selezionare quelle a più alto rischio di morte (5).
Nello SC cronico, sostanzialmente i dati della Survey Europea ci dicono che l’età è il fattore prognostico più importante e nelle donne la mortalità post-dimissione è lievemente migliore (ma statisticamente non significativa) (6).
I dati dello studio BEST, che ha arruolato solo pazienti con disfunzione sistolica, hanno suggerito che il vantaggio in termini di prognosi delle donne – se esiste - sembra limitato alla eziologia non ischemica, mentre sarebbe simile all’uomo nella eziologia ischemica. Quindi questo studio dimostra che l’eziologia ischemica è un potente modulatore di prognosi anche in cronico nelle donne, come nello SC acuto e il vantaggio di sopravvivenza nelle donne è limitato a quelle con eziologia non ischemica (13).
Probabilmente il ruolo del sesso è più complesso. Infatti, se consideriamo lo studio I-PRESERVE, che ha arruolato solo soggetti con FE>45%, la prognosi delle donne era significativamente migliore. Quindi non si può concludere che la prognosi dello SC nella donna sia meglio dell’uomo. Dipende di quale setting clinico prendiamo in considerazione: acuto vs cronico, eziologia ischemica vs non ischemica, SC diastolico vs sistolico. Quello possiamo dire che in uno stesso fenotipo (in questo caso a funzione sistolica conservata) la severità del quadro clinico e l’insufficienza renale rappresentano sempre fattori modulanti la prognosi rispetto al sesso (14).
Differenze fisiopatologiche
Ci si è chiesti quindi se esistano differenze fisiopatologiche fra uomo e donna che possano spiegare le differenze osservate in termini di manifestazioni cliniche e di prognosi. Queste riguardano sostanzialmente i seguenti aspetti: le modalità di invecchiamento, le manifestazioni della cardiopatia, i fattori di rischio, ma soprattutto, i diversi meccanismi di adattamento della funzione ventricolare sia sistolica che diastolica e dell’accoppiamento ventricolo-vascolare che sono alla base delle due diverse forme di SC. Ciò può fornire anche una spiegazione del perché le donne sviluppano più spesso SC a funzione sistolica conservata rispetto agli uomini (15).
Ad esempio, con l’invecchiamento i cuori delle donne tendono ad avere una minore perdita di miociti e di massa miocardica rispetto agli uomini e ad avere un più basso indice di apoptosi. Ciò avverrebbe anche per per gli effetti specifici antiapoptotici dei recettori estrogenici e/o una diversa espressione miocardica di enzimi glicolitici e mitocondriali (16).
Gli ormoni sessuali sembrano influire anche sulla struttura e sulla funzione miocardica: nel modello animale gli estrogeni esogeni migliorano la funzione cardiaca mentre gli androgeni la deprimono, e il cuore femminile presenta una contrattilità maggiore di quello maschile. Inoltre, studi di popolazione condotti con risonanza magnetica, suggeriscono che, nelle donne la FE “normale” è in genere più alta (75% vs 70%) rispetto agli uomini, e quindi, già al disotto di 55-60% nelle donne si potrebbe parlare di disfunzione sistolica (17). Ma le differenze maggiori si rilevano per quanto riguarda la funzione diastolica: nelle donne con FE normale, infatti, le curve pressione volume sono più spostate a sinistra e in alto e la camera ventricolare è più rigida (stiffness) rispetto all’uomo il cuore in diastole nella donna ha un comportamento diverso nel senso che nelle donne, per un minore incremento di volume si ha un maggiore incremento di pressione diastolica e il cuore è piu rigido (18). Inoltre, poiché la rigidità dell’aorta ( Zc) è maggiore nelle donne, e si associa sia agli indici di disfunzione diastolica (E/A) che di accoppiamento ventricolo-arterioso, possiamo spiegare il fatto che lo SC con FE normale è più frequente nelle donne anziane (19).
Le peculiarità fisiopatologiche dello SC nel sesso femminile sono riassunte nella Tabella 1.
Tabella 1. Peculiarità fisiopatologiche dello scompenso cardiaco nel sesso femminile
• Diversità a livello molecolare e cellulare con differenti risposte del sistema circolatorio agli agenti patogeni e ai fattori di rischio
• Gli steroidi e i loro recettori sono i determinanti fondamentali delle differenze di genere del sistema cardiovascolare:
• Essenziali per il mantenimento di una normale funzionalità dell’endotelio vasale
• Regolano le alterazioni del profilo lipidico che portano allo sviluppo dell’aterosclerosi con un deciso incremento del rischio cardiovascolare in menopausa
• Influiscono anche sulla struttura e sulla funzione miocardica : gli estrogeni esogeni migliorano la funzione cardiaca mentre gli androgeni la deprimono; il cuore femminile ha una contrattilità maggiore di quello maschile
• Ritardano la deposizione di collagene nella matrice extracellulare.
• I recettori estrogenici hanno effetti antiapoptotici e la massa miocardica nelle donne con l’invecchiamento è maggiormente conservata.
• La coagulazione e l’emostasi sono diverse nella donna
Nell’insieme, i fattori elencati fanno sì che la presentazione clinica delle cardiopatie correlate alla malattia ischemica, e quindi anche dello SC, sia ritardata di circa una decade nelle donne rispetto agli uomini, essendo associata alla perdita della protezione estrogenica conseguente al declino della funzione ovarica con la menopausa. Nello scompenso cardiaco, e in particolare in quello a FE normale, la caratteristica morfo-funzionale più importante è l’ipertrofia miocardica, dovuta all’aumento di volume del miocita e la presenza di uno stroma fibrotico più ricco e più spesso perche prevale oltre alla fibrosi di tipo reattivo (espressa dal collagene di III tipo) la degradazione del collagene normalmente presente per una riduzione di attivita della metallo proteinasi che portano al catabolismo del collagene. La rigidità del muscolo cardiaco dipende essenzialmente dalla rigidità del miocita stesso e da quella matrice extracellulare. La rigidità della matrice extracellulare è una conseguenza di 3 fattori: a) aumento della quota di collagene tipo 1; b) aumento delle connessioni fra le fibrille (cross-linking) per azione della lisil-ossidasi (LOX); c) una ridotta degradazione del collageno stesso per uno squilibrio fra il suo enzima catabolico, la metalloproteinasi (MMP) e il suo inibitore (TIMP) (20-22).
Si affiancano modificazioni delle caratteristiche del sarcomero, tra cui la più importante è la modificazione delle caratteristiche della titina, che è l’ammortizzatore interno del miocita deputato ad assorbire le forze della contrazione. La titina si comporta infatti come una “molla” che viene messa in tensione quando nella sistole il sarcomero si accorcia e quando inizia la diastole restituisce l’energia elastica accumulata facilitando il rilasciamento del sarcomero stesso. La caratteristica essenziale di un ventricolo disfunzionante, (in cui si passa da una forma normale N2A ad una isoforma più rigida, denominata N2B) è la maggiore rigidità che si esprime dal comportamento della diastole. Quindi, il rilasciamento del miocita dipende da un insieme di fattori: a) il distacco dei ponti miosina-actina alla fine della sistole; b) il reuptake di calcio sarcoplasmatico, che è un processo energia dipendente (mediato da NO e GMP); c) dalla elastanza del miocita, determinata in gran parte dalla titina.
Una ulteriore spiegazione delle differenze di genere proviene dai diversi effetti degli estrogeni nell’espressione dei geni che codificano per le metalloproteinasi, che sono gli enzimi fondamentali nel turnover della matrice interstiziale e quindi fondamentali nei meccanismi di rimodellamento e fibrosi miocardica. La presenza di estrogeni sembra ritardare la deposizione di collagene nella matrice extracellulare (23-24).
Pertanto, molte delle differenze fra uomo e donna possono essere spiegate dai diversi effetti degli ormoni sessuali sulla funzione del cuore e di altri organi essenziali per la funzione cardiovascolare. Infatti con la menopausa, la riduzione degli effetti protettivi degli estrogeni sulla fibrosi e ipertrofia ventricolare e sull’elasticità dei vasi arteriosi comporta un aumento del rischio di SC diastolico. Gli androgeni nell’uomo esercitano un effetto protettivo sulla diastole e poi vengono prodotti per tutta la vita anche se con calo lineare e non improvviso come nella donna (25).
La Tabella 2 riassume le principali differenze che ci sono fra uomo e donna: ne consegue che, in seguito a un danno miocardico che comporta disfunzione e sovraccarico ventricolare e conseguente attivazione neuro-ormonale, le donne tendono a sviluppare rimodellamento più frequentemente con ipertrofia concentrica che dilatazione e ipertrofia eccentrica rispetto al maschio (26).
Tabella 2. Differenze fra uomini e donne nello scompenso cardiaco.
Donne Uomini
Eziologia prevalente Ipertensiva Ischemica
Rimodellamento Concentrico Eccentrico
Funzione sistolica Preservata Ridotta
Sintomi Congestione, classe NYHA avanzata
Qualità di vita Più compromessa Meno sintomi psicologici
Terapia farmacologica Minor prescrizione di farmaci raccomandati
Procedure invasive Minor utilizzo di terapia elettrica
Prognosi Minor mortalità, più ricoveri Mortalità più elevata
Terapia
In generale, esistono aspetti di farmacocinetica legati al genere femminile potenzialmente in grado di influenzare una diversa risposta terapeutica rispetto agli uomini, quali la minore massa corporea, una più elevata percentuale di tessuto adiposo, un diverso profilo ormonale, che influenza il metabolismo epatico e il legame proteico dei farmaci, e una riduzione relativa della velocità di filtrazione glomerulare.
In sintesi, per quanto riguarda l’impiego dei vari farmaci evidence-based, i dati della Survey Europea ci confermano quello che già sappiamo da tempo e cioè che nella popolazione generale e specificamente nella disfunzione sistolica, le donne vengono trattate meno con ACE-inibitori, betabloccanti, spironolattone e agenti anti trombotici e ricevono più spesso digitale. Mentre nello scompenso con FE conservata non ci sono differenze per ACE-inibitori betabloccanti e spironolattone. Le donne, anche con FE conservata, ricevono più spesso digitale (27).
Se si analizza il setting dello SC acuto si osserva che, nella donna, vi sono differenze nell’utilizzo di terapie efficaci sia al ricovero che alla dimissione, con un minore impiego di inotropi e nitrati rispetto agli uomini (5).
La sottoprescrizione di terapie evidence-based riflette il fatto che le donne (in particolare quelle più anziane) sono state sotto-rappresentate nei grandi trial farmacologici (<20%) (28).
E questa tendenza si è protratta negli anni successivi, tanto che anche gli studi che hanno validato l’efficacia dei defibrillatori (SCD-HEFT ) e della resincronizzazione (CARE-HF) hanno arruolato rispettivamente il 23 e il 26% di donne. E ancor più recentemente, a settembre 2014, è stato pubblicato lo studio PARADIGM che ha dimostrato l’efficacia del nuovo inibitore angiotensina-neprilisina LCZ 696, e che ha arruolato come sempre solo il 21% di donne. In ogni caso, i dati disponibili in letteratura dimostrano che farmaci come i beta bloccanti sono altrettanto se non più efficaci nelle donne, come dimostrato da una sottoanalisi del CIBIS II (29), cosi come ACE-inibitori e sartani. Consideriamo ora gli antialdosteronici: Nello studio RALES, l’ulteriore soppressione neuro-ormonale con l’aggiunta di un anti-aldosteronico si è dimostrata capace di ridurre ulteriormente la mortalità in pazienti con SC in III e IV classe NYHA. Pur trattandosi di uno studio che ha arruolato soggetti di età media di 63 anni di cui 73 % maschi, l’efficacia era sovrapponibile nei due sessi (30).
Più recentemente, lo studio RELAX-AHF ha riportato un riduzione della mortalità a sei mesi di pazienti con scompenso acuto trattati con relaxina (un ormone della gravidanza con effetti di vasodilatazione e rilasciamento muscolare), e che questa riduzione è prevalente nelle donne e negli anziani. Questo è stato uno dei primi studi che hanno dimostrato una riduzione di mortalità a medio termine dopo un episodio di SC acuto (31).
Anche la terapia di resincronizzazione elettrica è ugualmente efficace se non superiore nelle donne rispetto agli uomini ma viene utilizzata solo nel 22,4% dei soggetti arruolati nei trial e nel mondo reale (32-33). A differenza della resincronizzazione, le metanalisi suggeriscono un impatto meno favorevole dell’ICD nelle donne poichè le donne con disfunzione sistolica hanno una incidenza del 31% in meno rispetto agli uomini di morte improvvisa aritmica (34).
Conclusioni
In conclusione, la maggior parte dei pazienti con SC nella popolazione generale sono donne, in particolare anziane e con FE conservata. Ci sono differenze tra SC nelle donne e uomini in termini di epidemiologia, patogenesi, trattamento risposta, e qualità delle cure. La prognosi sembra essere migliore nelle donne, anche se il meccanismo responsabile non è ben compreso e dipende da fattori modulanti come eziologia e funzione ventricolare. I meccanismi fisiopatologici sono differenti e complessi e comprendono differenti modalità di invecchiamento, assetto ormonale e rimodellamento cardiovascolare in risposta al sovraccarico di volume/pressione. I trial clinici hanno incluso un numero inferiore di donne rispetto agli uomini, e questo ha limitato la nostra comprensione della efficacia del trattamento dello SC in questo gruppo di pazienti.
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Donatella Del Sindaco*
Giovanni Pulignano**
*II Unità Operativa di Cardiologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma
**I Unità Operativa di Cardiologia /UTIC, Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma