La Chirurgia dell’Insufficienza renale cronica:
Valutazione nefrologica
Dott. Paolo De Paolis
Nel corso degli ultimi anni stiamo osservando un aumento dei pazienti affetti da insufficienza renale cronica ed un corrispettivo aumento di pazienti nefropatici cronici che necessitano di essere avviati a trattamento renale sostitutivo ( sia emodialisi che dialisi peritoneale).
Le cause di tale aumento sono legate all’aumento della vita media della popolazione con una maggiore esposizione a fattori di rischio sistemici quali ipertensione arteriosa, diabete e stili di vita a rischio ( quali dieta ricca di sale, fumo di sigarette etc). Infatti nel corso degli anni le cause di nefropatia cronica sempre più, sono legate a queste malattie mentre le patologie primitive renali mostrano stabilità nelle percentuali di incidenza annuale. Dati del Registro Dialisi e Trapianto del Lazio per l’anno 2008, confermano tale aumento, mostrando un tasso di inizio di trattamento sostitutivo di circa 900 pazienti, con un’incidenza del 20% su un totale di pazienti in dialisi nel Lazio di circa 4400 pazienti. Il Registro conferma anche come sia aumentata l’età media di pazienti che iniziano il trattamento sostitutivo renale: più del 37% degli incidenti hanno un’età superiore a 75 anni ed circa il 28% un’età compresa tra i 65 e 75 anni, percentuali in costante aumento negli ultimi anni.
Il Registro mostra in questa popolazione una presenza di patologie associate le più frequenti delle quali sono: il 65% con ipertensione arteriosa, il 25 % con con una vasculopatia coronarica, il 27% con diabete mellito, il 15% con una vasculopatia periferica agli arti inferiori ed il 11% con una condizione di scompenso cardiaco.
Questo quadro viene confermato anche dai dati della letteratura internazionale.
Per esempio negli USA, circa il 13% della popolazione presenta un danno renale e circa il 6% presenta un filtrato glomerulare < 60%, valore soglia per la definizione di insufficienza renale anche se grado lieve (1). La prevalenza poi tende ad aumentare fino al 30% negli anziani (2). Simili percentuali sono state confermate anche in altre nazioni quali Olanda, Gran Bretagna, Belgio e Norvegia (3-6)
Da sottolineare inoltre l’aspetto di un riscontro tardivo del quadro di insufficienza renale cronica, dato confermato anche in Italia (7) che determina un più rapido deterioramento della funzione renale con successivo aumento della percentuale di pazienti che arrivano alla fase terminale con necessità di iniziare un trattamento sostitutivo renale.
Le cause che più contribuiscono al deterioramento della funzione renale sono riconducibili a patologie sistemiche quali ipertensione arteriosa e diabete. Infatti circa il 72% dei pazienti in dialisi nel mondo presentano, quale causa dell’insufficienza renale cronica, il diabete e/o l’ipertensione arteriosa. Dati prospettici per il 2010 ipotizzano circa 2 milioni di pazienti che inizieranno la dialisi nel mondo e circa 50.000 in Italia proprio per Insufficienza renale cronica legata più percentualmente a diabete o ipertensione arteriosa.
Questi fattori di rischio che in prima istanza, colpiscono i reni, sono anche la causa delle problematiche cardiovascolari che più coinvolgono i pazienti con Insufficienza renale cronica, che a sua volta è un fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo (8).
Infatti la prima causa di morte in pazienti nefropatici ed in dialisi, è propria la morte per problemi cardiovascolari.
La patologia cardiovascolare del nefropatico include numerosi eventi e processi patologici che sono diversi tra loro per sede anatomica e per sintomatologia clinica. Lo spettro di malattie ad interessamento cardiovascolare può essere descritto in termini anatomici, in base alla sede interessata: il miocardio o vasi periferici o sulla base di processi patologici ( malattia aterosclerotica e/o arteriosclerosi) e/o delle loro conseguenze ( angina, infarto del miocardio, claudicatio).
L’interessamento cardiaco, a sua volta può essere dovuto a processi che compromettono la perfusione (processi ischemici) o la funzione del muscolo cardiaco ( fibrosi del miocardio, modifiche metaboliche e strutturali come l’ipertrofia ventricolare sinistra, dilatazione) spesso presenti nello stesso paziente.
Pertanto nella letteratura scientifica si fa riferimento alla malattia cardiovascolare nel nefropatico e nell’uremico, includendo in tale patologia, una serie di diagnosi specifiche: infarto del miocardio, pericardite, malattia cardiaca aterosclerotica o malattia cardiaca coronarica, ipertrofia ventricolare sinistra, scompenso cardiaco congestizio, arresto cardiaco, malattia cerebro-vascolare, “stroke”, vasculopatia periferica.
Per tali motivi anche la diagnostica strumentale per l’individuazione delle problematiche cardio-vascolari in questi pazienti, deve essere particolarmente più accurata e specifica prediligendo l’esecuzione di test da stress farmacologico o da sforzo o cardio-Tc fino ad arrivare ad esami più invasivi quali Arteriografia o Coronarografia con indicazioni più allargate rispetto a quelle poste per la popolazione generale. Con il risvolto di offrire, oltre all’aspetto diagnostico, anche quello terapeutico (angioplastica, posizionamento di stent) in caso di necessità e selezionando al massimo i casi da proporre ad un trattamento chirurgico.
I fattori di rischio cardiovascolare a cui sono esposti i soggetti affetti da insufficienza renale cronica sono molteplici ed in parte diversi da quelli della popolazione generale ( 9-11).
I fattori di rischio tradizionali o cosiddetti di Framinghan sono: sesso maschile , età, stile di vita, ipertrofia ventricolare sinistra dislipidemia, ipertensione arteriosa, diabete, e valgono per la popolazione generale cosi come per i pazienti nefropatici. Altri fattori di rischio peculiari della insufficienza renale cronica sono invece: infiammazione, malnutrizione, resistenza periferica all’insulina, anemia, tossicità uremica, stress ossidativo, disfunzione endoteliale, calcificazioni cardiovascolari, alterazioni del metabolismo calcio-fosforo.
Tra i fattori di rischio tradizionali l’ipertensione arteriosa ha un’elevata prevalenza nei pazienti con insufficienza renale cronica, prevalenza che aumenta con il peggiorare degli indici di funzione renale ( GFR: filtrato glomerulare renale) fino a raggiungere il 50-80% dei pazienti nelle fasi terminali. In Italia la prevalenza dell’ipertensione raggiunge il 50% nei pazienti in emodialisi. Cosi come nella popolazione generale, l’ipertensione arteriosa è un fattore di rischio anche negli uremici, per ipertrofia ventricolare sinistra, scompenso cardiaco, malattia aterosclerotica coronarica, aritmie, eventi cerebro-vascolari e malattia vascolare periferica. Nelle fasi avanzate dell’IRC, è stata descritta una relazione a U tra la pressione arteriosa sistolica e mortalità cardiovascolare e ciò sarebbe dovuto almeno in parte, al fatto che i pazienti con IRC sono esposti per anni alle conseguenze dell’ipertensione arteriosa che a lungo termine, conducono ad alterazioni strutturali del muscolo cardiaco, scompenso cardiaco ed ipotensione arteriosa ( “ reverse causality”) (12).
Tra i fattori di rischio non tradizionali focalizzeremo la nostra attenzione su quelli legati ai disordini del metabolismo minerale ed osseo. Questi disordini sono stati indicati tra i più importanti per lo sviluppo di patologia cardiovascolare nel nefropatico cronico e sono stati indicati tra quelli a maggior correlazione con la morbilità e mortalità di questi pazienti.
Per anni la patologia ossea e del metabolismo minerale era stata definita come “Osteodistrofia renale” limitando all’osso, l’espressione di tale disturbo nei nefropatici cronici ed uremici. Negli ultimi anni un crescente numero di studi hanno spostato l’interesse su un aspetto sistemico e strettamente legato a calcificazioni cardio-vascolari come cause più saliente di morbilità e mortalità.
Per tale motivo un panel di esperti mondiali ( Kidney Disease: Improving Global Outcomes – KDIGO) ha coniato una nuova definizione che integra in un contesto più ampio, le anomalie del metabolismo osseo e minerale e calcificazioni extrascheletriche definito come Disordine del metabolismo minerale ed osseo ( CKD-MBD: Chronic Kidney Disease - Mineral Bone Disorder)..
Mentre nella popolazione generale le calcificazioni vascolari sono un evento non comune, nell’IRC è una condizione frequente che si associa a “ ossificazione dell’intima e della media delle arterie” (13). Con tecniche sufficientemente specifiche e sensibili (quale la TAC o Rx diretta), la presenza di calcificazioni delle grosse arterie è stata evidenziata nel 30-70% dei pazienti con IRC (14) e nel 15% dei nefropatici pediatrici (15)
Esistono due diverse forme di patologie vascolari coronariche: l’aterosclerosi e l’arteriolosclerosi calcifica.
La prima è estremamente comune nel nefropatico cronico e nel trapiantato, ed è caratterizzata da formazione di placche su base infiammatoria per l’azione delle lipoproteine e di altri mediatori pro-coagulanti e infiammatori.
La seconda, che coinvolge la tunica media della parete vasale, conduce alla calcificazione del vaso coronarico. Tale riscontro si ipotizza che sia mediato: dalla trasformazione delle cellule muscolari in osteoblasti, sotto l’influsso dell’intossicazione uremica, e dalle alterazioni del metabolismo calcio-fosforo (16).
Molti fattori sono stati associati al riscontro di una più alta percentuale di calcificazioni vascolari. Tra questi, sono rilevanti l’età anagrafica ed il tempo di dialisi (17-20). Fattore importante è anche la presenza del diabete (18).
Alcuni AA (17,18,21,22) hanno ipotizzato un ruolo importante dell’iperfosfatemia, dell’ipercalcemia, dell’aumentato prodotto calcio-fosforo e dei livelli di Paratormone sullo sviluppo delle calcificazioni vascolari. Analogo interesse viene riposto nella dose totale utilizzata di leganti del fosforo a base di calcio (17). La recente introduzione, nella pratica clinica, di farmaci leganti il fosforo che non utilizzano i sali di calcio, ha permesso di dimostrare la riduzione della progressione delle calcificazioni vascolari e della mortalità in emodializzati trattati con tali farmaci rispetto al gruppo di controllo sottoposto ai tradizionali leganti a base di sali di calcio (23-25).
La presenza di tali calcificazioni inoltre è stata correlata ad alterazioni disfunzionali delle arterie quali la ridotta vasodilatazione OssidoNitrico-dipendente nei pazienti in dialisi, alterazioni delle velocità dell’onda sfigmica (pulse-wave), che esse stesse aumentano i rischi di mortalità. Recenti studi hanno anche identificato marcatori biologici per la diagnosi precoce delle calcificazioni vascolari quali: Indoxil solfato, Osteoprotegerina, Pirofosfato plasmatico, Fetuina-A) che vengono associati ai tradizionali marcatori da sempre riconosciuti quali livelli plasmatici di calcio, di fosforo, di Paratormone intatto e di Vitamina D. In merito a questi parametri clinici nel tempo, sono state redatte linee guida in seguito a diversi studi studi che evidenziarono i livelli ottimali di tali parametri, da raggiungere in pazienti soprattutto in pazienti dialzzati. Il raggiungimento e la stabilizzazione di tali parametri nei livelli consigliati nel tempo, sono stati correlati alla riduzione delle percentuali di complicanze cardiovascolari. Le prime raccomandazioni furono pubblicate nel 2003 attraverso la National Kidney Foundation che con il “K-DOQI- Clinical Practices Guidelines for bone metabolism and disease in Chronic Kidney Disease” (26) sottolinearono i livelli ottimali per i parametri clinici quali fosforemia, calcemia, prodotto calcemia x fosforemia e livelli di Paratormone intatto.
Perciò è sempre più fortemente consigliato il precoce inizio della terapia per il controllo delle alterazioni del metabolismo osseo e minerale utilizzando anche nuove molecole (nuovi chelanti del fosforo non contenenti calcio, analoghi della Vitamina D e Calcio-mimetici) che hanno evidenziato il loro beneficio nel breve e lungo termine non solo sul metabolismo in questione ma anche con benefici risvolti sulla morbilità e mortalità in questo gruppo di pazienti.
La valutazione medica di questi pazienti deve tener presente queste problematiche renali e soprattutto quelle cardio-vascolari. Le peculiarità etio-patogenetiche di questo gruppo di pazienti, impone al nefrologo, una valutazione e delle conoscenze più allargate per la definizione del grado di malattia renale e delle complicanze cardio-vascolari, tanto che il nefrologo collaborando sempre più strettamente sopratutto con i cardiologi, comincia ad avere sempre più dimestichezza con problematiche specifiche cardiologiche che in passato erano solo ed esclusivamente appannaggio della branca specialistica cardiologica.
Queste nuove conoscenze stanno sempre più inducendo una stretta collaborazione ed integrazione di più branche specialistiche nella gestione clinica, con beneficio per i pazienti.
In questo nuovo contesto clinico, il nefrologo nei confronti del paziente nefropatico ed uremico, è diventato la figura di raccordo per la gestione di problematiche cliniche apparentemente tra loro distanti e che devono essere viste - gestite e trattate in modo integrato ed un nuovo bagaglio di conoscenze è sempre più richiesto al nefrologo per assolvere con “scienza e coscienza” il suo compito di specialista.
Bibliografia
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