Mito e leggenda nella vocazione sanitaria dell’Isola Tiberina

G. De Paola

 

L’isola Tiberina, oggi sede dell’Ospedale Fatebenefratelli e, fino a qualche anno fa, dell’Ospedale israelitico, ha vocazione sanitaria da epoca romana repubblicana, in base a tradizioni leggendarie.

Ma la funzione sanitaria dell’isola è stata preceduta dalla sua funzione preistorica antecedente alla fondazione di Roma, che ai suoi inizi non comprendeva l’isola perché si fermava alla riva sinistra del Tevere. Per le tribù preistoriche l’isola era il punto dove il guado del fiume era più facile e perciò l’isola collegava all’entroterra la costa del Tirreno dove da epoca immemorabile si raccoglieva nelle saline il sale che gruppi umani portavano verso le zone dell’Italia interna preappenninica avide di sale per la cucina e per la conservazione dei cibi.

Ma che cos’è l’isola dal punto di vista orografico? Si è ritenuto a lungo che l’isola fosse una formazione di tufo litoide, propaggine della formazione geologica del vicino Campidoglio e certamente è litoide in profondità anche se più recenti sondaggi hanno dimostrato che la parte emersa è formazione sedimentaria da ghiaia, sabbia e residui vegetali che la corrente ha accumulato dove era di minor impeto, ai quali sedimenti l’intervento umano ha aggiunto massi di pietra. Ma la leggenda riferita da Livio (II, 5) riporta l’origine dell’isola alla cacciata di Tarquinio il Superbo (509 a.C.). Sarebbero state mietute in tale occasione messi di farro da terre dei Tarquini e il loro impiego fu giudicato sacrilego; le messi, buttate nel Tevere, avrebbero formato l’isola. Livio riferisce la leggenda, ma saggiamente, rimane scettico in merito. La riferiscono ancora con qualche convinzione Dionigi di Alicarnasso contemporaneo di Livio e Plutarco, a lui posteriore. La storia leggendaria dell’isola prosegue con l’inizio della sua vocazione sanitaria. Ancora Livio racconta che nel 463 ab urbe condita (per noi 291 a.C.) Roma fu colpita da una grave pestilenza. La consultazione dei libri Sibillini consigliò di far venire a Roma Esculapio dal tempio di Epidauro. Roma combatteva allora la terza guerra sannitica e si limitò a una supplica solenne al dio della medicina. Due anni dopo, perdurando l’epidemia, partì una spedizione guidata da Quinto Ogulnio. Gli abitanti di Epidauro accolsero benevolmente i supplicanti e li invitarono a prendere dal tempio qualcosa che ritenessero utile.

Allora il serpente che accompagna sempre la figura di Esculapio uscì dal tempio e spontaneamente si infilò a bordo della trireme romana. Il fatto fu considerato di buon auspicio. Gli inviati romani partirono, raggiunsero Anzio, poi la foce del Tevere, risalirono il fiume: all’altezza dell’isola il serpente scese in acqua e si rifugiò nell’isola stessa. Faceva parte della spedizione anche un medico: Lucio Rubrio. L’episodio fu considerato profetico e sull’isola fu costruito il tempio di Esculapio (Ovidio, Metamorfosi XV).

Dal punto di vista storico è probabile che la credenza nell’inverosimile episodio del serpente abbia avvalorato una scelta razionale da parte dei magistrati romani dell’isola come sede del tempio di Esculapio; si trovava per la Roma repubblicana fuori dal pomerio e poteva bene accogliere un culto inizialmente ritenuto straniero e anche un po’ sgradito per la diffidenza dei Romani nei riguardi dei medici specialmente di origine greca (ricordo Catone). Quando poi i costumi subirono una evoluzione Esculapio, come altre divinità straniere entrarono di pieno diritto nel panteon romano; nel frattempo l’isola era entrata topograficamente nell’area urbana della grande Roma.

D’altra parte l’isola si presentava adatta, perché circondata dal fiume, ad ospitare malati spesso infetti  e divenne con il tempio di Esculapio una specie di ospedale o anche di lazzaretto dove non solo accorrevano i malati fidando nel dio, ma anche venivano abbandonati schiavi vecchi e malati ormai inservibili. L’uso, riferito da Svetonio, indusse l’imperatore Claudio nel 54 d.C. a emanare una legge per cui gli schiavi esposti in tal modo in caso di guarigione dovessero essere considerati liberi (Staccioli R.A. L’isola della salute).

Per i malati desiderosi di cure che si recavano a supplicare Esculapio la medicina, oltre che in una farmacopea primitiva consisteva nelle abluzioni nella vasca di fronte al tempio e nell’”incubatio”: i malati, dopo aver compiuto i dovuti sacrifici dormivano sotto i portici del tempio e ricevevano in sogno i suggerimenti e l’intervento salvifico del dio.

Il tempio ora scomparso doveva trovarsi sotto l’attuale chiesa di S. Bartolomeo, un santo del quale non a caso si parlava come di un guaritore, ma questa localizzazione è ritenuta insicura perché invece sotto la chiesa di S. Giovanni Calibita sono stati trovati ex voto fittili a carattere anatomico, certamente riferibili al culto di Esculapio. La forma dell’isola che ricorda naturalmente una nave è stata già nel I° secolo d.C. artificialmente accentuata con l’apposizione di massi atti a dare alla struttura l’aspetto di una prua.

La vocazione sanitaria dell’isola non si è mai interrotta e perdura tuttora nelle nobili tradizioni dell’ospedale Fatebenefratelli fondato nel 1584.

Durante il Medioevo l’assistenza agli infermi era stata esercitata dagli ordini religiosi e nell’isola tiberina dall’insediamento dell’ordine benedettino da poco dopo la sua fondazione. Nell’isola esercitarono in particolare l’assistenza le monache benedettine dette “santuccie” dalla loro fondatrice Santuccia da Gubbio. Si deve tenere presente che nell’alto Medioevo Roma era scesa a un numero di abitanti di circa 30.000 rispetto al milione valutato all’epoca di Traiano. Tutti i conventi nel Medioevo avevano funzioni di assistenza agli infermi e così anche gli ostelli dei pellegrini stranieri. Vi ricordo che l’ospedale Santo Spirito dove ci troviamo sorse nel 1198 per opera di Innocenzo III sul terreno della Schola Saxonum.

La vicinanza del ghetto sulla sponda sinistra del Tevere ha favorito l’istallazione dell’assistenza israelitica fin dal Medioevo nell’isola Tiberina. Ma la trattazione degli ospedali rinascimentali come il Fatebenefratelli esula da questa breve trattazione e meriterebbe un altro contesto.

 

 

Dott.ssa Giovanna De Paola, ex Primario f.f. presso il reparto di Medicina Cesalpino, Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini