“La Microchirurgia dei Linfatici Nella Formazione e Nella 'Best-Practice' in Chirurgia”
Corradino Campisi
Presidente della Società Italiana di Linfangiologia (SIL) e del Latin-Mediterranean Chapter of the International Society of Lymphology (LMC-ISL)
Presidente della Società Ligure di Chirurgia (SLC)
Professore Ordinario di Chirurgia Generale, Coordinatore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’Apparato Digerente (Sede di Genova, Confederata con Pisa, Firenze e Siena)
Direttore della Unità Operativa di Chirurgia dei Linfatici
Dipartimento Universitario di Scienze Chirurgiche e Diagnostiche Integrate (DISC)
Sezione Scientifica di Linfologia e Microchirurgia applicate in Chirurgia Generale
Centro di Ricerca di Chirurgia dei Linfatici, Linfologia e Microchirurgia
Dipartimento Assistenziale Integrato di Chirurgia Generale, Specialistica ed Oncologica
IRCCS – Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino – IST
Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro
Genova
Introduzione
I recenti progressi in microchirurgia, il perfezionamento dell’imaging non-invasivo e dinamico del sistema linfatico, unitamente a migliori approcci all’exeresi chirurgica hanno tutti beneficiato dei contributi pionieristici di linfologi chirurghi, facendo sì che la microchirurgia linfatica e la chirurgia delle patologie linfatiche diventassero un’opzione concreta e sicura nella cura di queste patologie sia congenite che acquisite, croniche, fastidiose, deturpanti, disabilitanti, a volte persino pericolose per la vita. Tra i progressi realizzabili in futuro, in termini sia di campo di intervento che di risultati di queste procedure, si annoverano interventi chirurgici mini-invasivi e robotizzati, abbinati eventualmente anche all’ingegneria tissutale , alle cellule staminali e ai trapianti di tessuti. Per tutti questi progressi, e, in ultimo, per arrivare ad interventi riparativi già a livello fetale, con l’obiettivo di prevenire o curare queste patologie linfatiche, c’è bisogno dell’intelligenza e delle competenze del chirurgo come membro attivo dei team di ricerca e di gestione multimodale degli aspetti clinici.
EVOLUZIONE DELLA MICROCHIRURGIA LINFATICA
I primi ad utilizzare la microchirurgia furono Cockett1 e Goodwin nel 1962, per il trattamento di un paziente affetto da chiluria, realizzando un’anastomosi tra un linfatico lombare dilatato e la vena spermatica. Dopo questo primo intervento, grazie al successivo sviluppo delle tecniche microchirurgiche (descritte qui di seguito), l’anastomosi linfatico-venosa è diventata un’opzione concreta nella cura del linfedema.
O'Brien e coll.2,3 nel 1977 descrissero l’impiego della microchirurgia linfatica nel trattamento del linfedema ostruttivo secondario, che prevedeva tre o più anastomosi linfatico-venose praticate all’altezza del gomito o del ginocchio, o sopra di esso, a seguito del quale gli autori osservarono una minore incidenza post-operatoria di cellulite. Questa tecnica di microchirurgia linfatica, che, secondo questi autori, richiedeva una considerevole esperienza in chirurgia microvascolare, era adatta sia per gli arti superiori che per quelli inferiori e fu anche praticata in pazienti con linfedema ostruttivo causato da trauma o da condizioni di costrizione congenita. Ulteriori avanzamenti in questo campo si ebbero quando, nel 1981, Degni4,5 introdusse una tecnica originale di anastomosi linfatico-venosa per il linfedema degli arti, con l’obiettivo, in caso di vasi linfatici ostruiti, di deviare la linfa in una vena, specialmente quando alla linfografia i vasi linfatici risultavano essere ancora ben funzionanti e senza problemi di permeabilità.
Quasi contemporaneamente (1982), Clodius6,7 riferiva che la microchirurgia nel trattamento del linfedema primario e secondario, consistente nella realizzazione di derivazioni tra i vasi linfatici e le vene, fosse già una tecnica chirurgica ben consolidata, benché incontrasse svariati problemi causati dalle modificazioni irreversibili del sistema linfatico e del tessuto connettivo e dalla distruzione dei linfatici profondi, condizioni che, tipiche dei pazienti con linfedema cronico, avrebbero potuto maggiormente beneficiare delle anastomosi linfatico-venose. Per queste ragioni Clodius raccomandava l’uso dei shunt linfatico-venosi in fase precoce della malattia, prima della comparsa di modificazioni fibrotiche.
Una revisione critica delle anastomosi linfo-venose con tecniche microchirurgiche per il trattamento del linfedema fu pubblicata da Gloviczki e coll. 8 nel 1988, gruppo che praticava le anastomosi linfo-venose (LVA) per il trattamento del linfedema cronico con un follow-up medio di 36,6 mesi. Gli Autori concludevano il lavoro dicendo che l’LVA rappresentava un trattamento fisiologico promettente, particolarmente in pazienti con linfedema secondario e che la linfoscintigrafia era una metodologia adatta sia per l’individuazione, prima dell’intervento, dei canali linfatici pervi, sia per la valutazione del buon funzionamento dell’LVA post-intervento.
Nonostante i progressi in microchirurgia, non era ancora chiaro quale potesse essere la tecnica chirurgica più adatta al trattamento del linfedema primario.
Materiale e Metodi
MICROCHIRURGIA LINFATICA E APPROCCI CHIRURGICI AL LINFEDEMA: ASPETTI CLINICI E TECNICI
Tecniche Derivative
I primi interventi di microchirugia derivativa consistevano nella realizzazione di derivazioni linfonodo-venose, in gran parte non più praticate (ad eccezione di zone come l’India, dove la filariasi linfatica è endemica), per via dell’alto tasso di deiscenza anastomotica provocata dall’effetto trombogenico della polpa linfonodale sul sangue venoso e dalla frequente riendotelizzazione della superficie del linfonodo.
Proprio per le difficoltà incontrate dai chirurghi in tutto il mondo con gli shunt linfonodo-venosi, si procedette successivamente con l’anastomizzazione dei vasi linfatici alle vene. Le prime operazioni di questo tipo condotte all’Università di Genova usavano la tecnica termino-laterale (linfa- sangue)9, con la quale venivano inseriti nella vena i collettori linfatici, per cui il bordo inferiore del vaso linfatico inserito nel lume della vena funziona da valvola per evitare che il sangue possa rifluire nel vaso linfatico e quindi provocare la trombosi. Secondo la tecnica preferita più recente, di tipo telescopico, e consistente in anastomosi linfatico-venose multiple, i vasi linfatici risultati sani all’osservazione nella sede dell’intervento vengono tutti inseriti direttamente nella vena con un punto a U e quindi fissati all’estremità tagliata della vena con altre suture tra il bordo della vena e il tessuto adiposo peri- linfatico (Figura 1). Alla fine, viene levato il primo punto a U per evitare la chiusura dei collettori linfatici. Utilizzando il colorante vitale Blue Patent Violet (un sale monosodico di metanolo) è possibile individuare i linfatici ancora funzionanti, i quali si colorano di blu. Con l’ingresso della linfa colorata di blu nel ramo venoso, una volta portata a termine l’anastomosi linfatico-venosa, ne si può verificare la pervietà al microscopio operatorio (Figura 2)
Per il trattamento del linfedema degli arti inferiori vengono preparate anastomosi linfatico-venose multiple (MLVA) nella sede di un’unica incisione nella regione sotto-inguinale (Figura 4), mentre per il linfedema degli arti superiori si realizzano le MLVA nel terzo medio superiore della superficie volare del braccio, utilizzando i collettori linfatici afferenti sia superficiali che profondi, visualizzati con il BPV (Figura 3). I vasi linfatici profondi vengono localizzati tra l’arteria brachiale, la vena e il nervo mediale. Per l’anastomosi, con l’impiego della tecnica telescopica, viene utilizzato un ramo pervio di una delle vene brachiali dotata di valvola funzionante.
Tecniche Ricostruttive
Nei casi di linfedema degli arti inferiori, se presente patologia venosa non trattabile chirurgicamente, è sconsigliato l’uso di tecniche linfatico-venose derivative, per cui vengono impiegati i metodi ricostruttivi 10-12 . La tecnica più comunemente utilizzata è l’interposizione di un innesto di vena autologa tra i vasi linfatici a monte e a valle dell’ostacolo che blocca il flusso linfatico (Figura 1). E’ possibile ottenere il segmento di vena dalla stessa sede oppure dall’avambraccio (nella maggioranza dei casi, la vena cefalica). La lunghezza dell’innesto varia dai 7 ai 15 cm. E’ inoltre importante inserire alcuni vasi linfatici all’estremità distale del segmento di vena reciso in modo che, riempito di linfa, non si possa chiudere a seguito di processi fibrotici. Le valvole della vena servono per mantenere la giusta direzione del flusso linfatico e per evitare il reflusso gravitazionale. La tecnica di anastomosi è di tipo telescopico, con l’inserimento dei vasi linfatici all’interno dell’estremità recisa della vena, fermati con un punto a U e quindi fissati con alcuni punti periferici.
Gli interventi di debulking praticati in passato sono ora meno utilizzati per trattare il linfedema, salvo nei casi di linfedema di stadio più avanzato per ridurre l’eccesso di pieghe, in modo particolare in quelle regioni del corpo (ad es. i genitali) non accessibili a trattamenti fisici compressivi efficaci cutanee, dopo una significativa riduzione dell’edema ottenuto con metodi medico-fisici conservativi e microchirurgici. Il debulking viene ancora praticato in casi di filariasi avanzata, a volte abbinato ad anastomosi linfatico-venosa o linfonodale-venosa, in presenza di canali linfatici fortemente dilatati 13, o in casi di lipolinfedema localizzato associato a grave obesità e immobilità forzata.
Negli ultimi anni le tecniche di liposuzione si sono affinate per potere essere impiegate nel trattamento delle patologie linfatiche. Nei pazienti affetti da linfedema di stadio avanzato, ovvero proprio quelli per i quali viene prescritta la liposuzione, i vasi e canali linfatici sono spesso dilatati e tortuosi 14, il che a sua volta rende più difficile utilizzare la cannula da liposuzione senza causare danni a questi vasi molto più vulnerabili. Abbiamo recentemente messo a punto una nuova tecnica di linfo-lipo-aspirazione (Fibro-Lipo-Linfo-Aspirazione (FLLA) con Lymph Vessel Sparing Procedure (LVSP), Corrado Cesare Campisi), atta a ridurre lo stato di edema cronico dei pazienti con linfedema di stadio avanzato, seguendo un approccio lymphatic-sparing, ovvero di risparmio dei vasi linfatici. Il tessuto adiposo in eccesso può essere accuratamente aspirato, grazie all’impiego del Blue Patent Violet (BPV) unito a fluorescenza al verde di indocianina (ICG ) con il sistema Photodynamic Eye (PDE), per visualizzare le vie linfatiche dell’arto (Figura 6).
Abbiamo anche introdotto un approccio di prevenzione primaria utilizzando l’LVA e l’ LVLA nello stesso tempo operatorio della linfoadenectomia per il trattamento chirurgico del cancro (il cosiddetto Lymphatic Microsurgical Preventive Healing Approach – Ly.M.P.H.A 15-17), un approccio inizialmente applicato in un trial controllato randomizzato di pazienti sottoposte a exeresi linfonodale per il trattamento del cancro della mammella, in tutti quei casi in cui, dagli esami pre-intervento, risultava un maggiore rischio di insorgenza del linfedema. Nelle pazienti sottoposte all’approccio Ly.M.P.H.A, si è registrato solo un edema transitorio nel 4,34% dei casi, mentre nel gruppo di pazienti sottoposte al trattamento standard, il 30,43% di queste ha sviluppato un linfedema permanente. Abbiamo anche applicato questa promettente tecnica preventiva, con eccellenti risultati 18, in casi di melanoma e carcinoma vulvare, con interessamento dei linfonodi ascellari/inguinali-crurali-iliaci-otturatori.
SINDROMI LINFANGIODISPLASICHE E REFLUSSO CHILOSO E NON CHILOSO
Le patologie da reflusso, ovvero un anomalo flusso retrogrado della linfa, possono generarsi al di fuori dell’intestino (nel qual caso si parla di reflusso non-chiloso) o all’interno dell’intestino (quindi reflusso chiloso, di aspetto lattescente).
Poiché il colesterolo e i trigliceridi a catena lunga contenuti nel chilo possono essere assorbiti solo attraverso il sistema linfatico, qualsiasi alterazione, compressione, ostruzione o fistolizzazione dei vasi chiliferi, della cisterna chili e del dotto toracico possono portare a chilotorace, asciti chilose, chiluria e a reflusso chiloso in altri comparti. In alcuni pazienti con grave ostruzione del flusso della linfa intestinale si ha una graduale dilatazione dei linfatici periferici, con perdita di competenza valvolare e reflusso di linfa lattescente nei tessuti molli della pelvi, dello scroto e degli arti inferiori (vescicole chilose), manifestandosi anche, ad esempio nei neonati, sottoforma di chiledema sottocutaneo generalizzato.
Approcci Terapeutici
Per potere rapidamente ripristinare un corretto equilibrio metabolico, si consiglia di iniziare subito una Nutrizione Parenterale Totale (NPT) mirante a ridurre il volume di raccolta chilosa. Nell’approccio iniziale a questa patologia complessa, specialmente nei casi con insorgenza acuta o sub-acuta, è utile sottoporre il paziente a video-laparoscopia, che può anche risultare utile per il corretto posizionamento di uno o più drenaggi peritoneali di calibro appropriato, che, una volta inseriti, possono servire per un uso “a richiesta”, ad esempio in caso di lavaggi con soluzione sterile di Trémolliéres (acido lattico concentrato) abbinata ad un antibiotico (250-500 mg di rifamicina sodica). L’effetto sclerosante di questo farmaco ha dimostrato la propria utilità, in particolare nel trattamento del chiloperitoneo post-operatorio.
Il chiloperitoneo primario causato da displasia o malformazioni rappresenta una condizione molto più complessa e richiede una valutazione diagnostica accurata per l’impostazione di una terapia corretta, a seconda delle caratteristiche cliniche associate a questa condizione, ovvero:
• test 51CrCl3 per l’individuazione di eventuali grosse perdite di proteina addominale (>2% di eliminazione fecale del radioisotopo entro 5 giorni dalla somministrazione della sostanza per via endovenosa).
•Clisma opaco dell’intestino tenue, per l’individuazione di eventuali ispessimenti dovuti al linfedema, generalmente maggiori a livello della sottomucosa della parete intestinale con conseguente protrusione delle pliche e dei villi intestinali;
•Endoscopia dell’intestino tenue, in particolare con biopsia del segmento duodeno-digiuno, che si presenta, al centro dei villi, con vasi chiliferi molto allungati;
•Linfoscintigrafia, per potere evidenziare non solo una perdita di tracciante nella cavità peritoneale, ma anche un’eventuale displasia, più o meno grave, che può interessare anche altri comparti, quali i genitali esterni e gli arti inferiori.
• Linfangiografia standard con mezzo di contrasto liposolubile ultrafluido iniettato con tecnica microchirurgica dopo isolamento e incannulamento dei vasi linfatici del muscolo estensore lungo delle dita. Se abbinata a TAC, la linfangiografia permette una valutazione più accurata dell’estensione della malattia, oltre all’individuazione del sito dell’ostruzione e della fonte di fuoriuscita di chilo;
•Risonanza magnetica che, con tecnica di sottrazione digitale dei tessuti adiposi, offre una dimostrazione più dettagliata dei vasi linfatici affetti da alterazioni displasiche (Linfangio-RM)
Trattamento Chirurgico
A questo punto l’intervento chirurgico dipende dall’esito dei vari trattamenti conservativi già in atto, cioè: dieta iperproteica e ipolipidica (ovvero con apporto lipidico limitato esclusivamente ai grassi a base di “Trigliceridi a Catena Media”) e Nutrizione Parenterale Totale (NPT); adeguata protezione antibiotica, necessaria per prevenire e trattare le non rare complicanze settiche, oltre anche a paracentesi seriale mirata al drenaggio graduale della raccolta chilosa per diminuire la pressione intra-addominale.
Pertanto, il trattamento chirurgico, da studiarsi caso per caso a seconda della natura primaria o secondaria del riversamento chiloso, della rilevanza clinica e del numero di spandimenti chilosi, può comprendere: l’individuazione della o delle sedi della chilo-linforrea e del chilo-peritoneo, il posizionamento di drenaggi per ridurre il chilotorace, la pleurodesi toracoscopica e decorticazione pleurica; legatura, cucitura, o chiusura con clip chirurgiche, a seconda del caso, dei vasi linfatici , eliminazione del linfocele, asportazione di cisti chilose e/o chilomi; exeresi di eventuale tessuto linfangectasico-linfangiodisplasico; le legature “scaglionate” antigravitazionali dei collettori linfatici chiliferi; l’uso della tecnica LASER CO2 che, se applicata a bassa potenza, ha un effetto welding, ovvero di saldatura, sia sui linfatici che su molti altri tessuti e vasi sanguigni con diametro fino a 1 mm. Molto utile per un migliore riconoscimento dei collettori chiliferi risulta la somministrazione di un “pasto grasso” secondo Servelle (60 grammi di burro in una tazza di latte) assunto dal paziente 4-5 ore prima dell’intervento. L’approccio videolaparoscopico a supporto di quello laparotomico, spesso in associazione alle procedure microchirurgiche LASER-assistite, rappresenta la condotta terapeutica oggi più accreditata dal maggior numero di successi. Nei casi più ribelli di chilotorace, può essere necessario uno shunt pleuro-venoso/pleuro-peritoneale, con l’obiettivo di offrire al chilo una nuova strada di efflusso, il che spiegherebbe la riduzione di pressione a lungo termine all’interno del sistema linfatico e della cavità peritoneale. Oltre alle sopra citate procedure, anche l’anastomosi linfatico-venosa derivativa o le anastomosi linfatico-venose-linfatiche con tecnica microchirurgia ricostruttiva, se tecnicamente fattibili, possono essere assai efficaci, poiché offrono una riparazione funzionale, su misura, dei riversamenti linfochilosi, con il ripristino delle vie linfatiche esistenti e la creazione di nuove vie in prossimità di quelle naturali. 19-23
Casistica e Risultati
La nosta casistica conta diverse migliaia di casi, avendo iniziato nel 1973. Per dovere di sintesi, non ci è possibile scendere nei dettagli, ma ci riferiremo, una per tutte, a quella dei linfedemi, che assume valore paradigmatico ( Figura 7). I risultati a lungo termine (da almeno 5 ad oltre 20 anni dopo l’intervento di microchirurgia) sono, soprattutto, significativi negli stadi più precoci, potendo raggiungere anche la guarigione o, comunque, garantendo un sensibile miglioramento della qualità di vita, negli stadi più avanzati (Figura 8).
Discussione
LE FRONTIERE DELLA CHIRURGIA LINFATICA
Con il continuo sviluppo delle conoscenze dei linfedemi periferici, sia primari che secondari, questo tipo di patologia sta diventando sempre più facile da gestire, grazie anche ad una maggiore sensibilizzazione e individuazione precoce. Mentre i trattamenti non chirurgici, che mirano a ridurre la morbilità, non riescono a eliminare la causa sottostante della patologia, la microchirurgia derivativa e ricostruttiva, che, se abbinata ai metodi di riabilitazione fisica, ottiene i risultati migliori, è in grado di ripristinare il drenaggio linfatico, sia a breve che a lungo termine.
Ci si dovrebbe concentrare maggiormente sulla prevenzione del linfedema secondario degli arti attraverso la comprensione dell’eziologia multifattoriale della patologia, ad esempio dei fattori che distinguono le donne a maggior rischio di insorgenza del linfedema post-mastectomia. Modificando la gestione chirurgica della regione ascellare (o, in futuro, di quella inguinale e retroperitoneale) delle pazienti oncologiche per le quali è prevista la resezione o il campionamento dei linfonodi, senza comunque fare nessun compromesso sui principi di cura oncologica, si potrebbe avere un effetto positivo sulla riduzione delle complicanze linfatiche di queste procedure.
La chirurgia esiste per l’ignoranza della medicina nel ritenere di poter fare a meno della chirurgia. Con l’impiego di correlazioni fenotipo-genotipo, si potrebbero identificare quelle predisposizioni genetiche allo sviluppo del linfedema secondario post-chirurgico (ad esempio difetti genetici nei fattori di crescita/ recettori linfatico-specifici). Nelle famiglie con linfedema primario, nelle quali si sono individuati mutazioni o linkage genetici, attraverso dei test dei familiari più giovani ancora non affetti dalla patologia, si potrebbe fare una diagnosi precoce e una gestione preventiva dei linfedemi congeniti. La chirurgia terapeutica profilattica e personalizzata potrebbe basarsi sul genotipo individuale o tumorale, aprendo così la strada ad una “chirurgenomica” analoga alla chirurgia preventiva nei tumori endocrini con base eredo-familiare. Anche la terapia genetica, che ha l’obiettivo di stimolare la crescita di nuovi linfatici o migliorare le funzionalità linfatiche degli arti affetti, rappresenta un’altra possibilità per il futuro.
Conclusione
Per concludere, con il progresso della Medicina, oltre ad un migliore controllo dei tumori primari ed invasivi e delle infezioni/infestazioni quali, nel panorama mondiale, quelle causate dalla filariasi, che rappresentano la stragrande maggioranza dei linfedemi acquisiti, dovrebbero emergere delle opportunità nuove e preventive per la gestione non-chirurgica del linfedema e delle altre patologie linfatiche. Fino ad allora, con molta probabilità, la chirurgia e i chirurghi, guidati da sistemi sempre più efficaci di imaging molecolare e multimodale del sistema linfatico, svolgeranno un ruolo sempre più importante non solo nella ricerca, prevenzione e gestione (e, perché no, nelle potenziali "cure" delle patologie linfatiche sia primarie che secondarie), ma anche nella correzione, exeresi e/o eliminazione delle principali malformazioni e tumori che interessano il sistema linfatico.
Figura 1. Un disegno schematico della tecnica derivata MLVA e la tecnica ricostruttiva MLVLA con l'interposizione del un innesto venoso autologo tra linfatici sopra e sotto l'ostacolo al flusso della linfa (Campisi, 1982)
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Figura 2. MLVA: Il passaggio della linfa colorata di BPV nel ramo vena, come evidente sotto il microscopio operatorio, verifica la pervietà dell'anastomosi |
Figura 3. (A) Foto pre-operatoria di paziente con linfedema post-mastectomia dell'arto superiore sinistro (stadio IIA-IIB). Controllo a 5 anni dopo l’intervento (B) . |
Figura 4. Linfedema dell’arto inferiore sinistro (A: quadro pre-operatorio), con risultato a medio-lungo termine, significativamente evidenziato anche dalla pressocchè totale scomparsa del colorante vitale dalla sede di iniezione alla coscia (B) |
Figura 5. Microchirurgia e Tecniche Complimentari (LASER) nel trattamento di vari quadri di patologia dei vasi chiliferi (Chiloperitoneo e Peritonite Chilosa)
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Figura 6. Foto pre-operatoria di paziente con linfedema dell’arto inferiore (A), già trattata vantaggiosamente con MLVA. (B) Dopo l’intervento di FLLA |
Figura 7. Casistica dei Linfedemi trattati con Microchirurgia |
Figura 8. Risultati a lungo termine |
BIBLIOGRAFIA
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