I contenuti della Medicina Interna
M. V. Lenti, G. R. Corazza
In ogni epoca storica, il sistema sanitario e l’organizzazione delle risorse disponibili hanno sempre dovuto adattarsi alle esigenze – sanitarie, economiche e sociali – del momento. Molti fattori contribuiscono al cambiamento, in particolare i nuovi stili di vita, l’introduzione sul mercato di nuove tecnologie, la disponibilità di nuove terapie e le politiche sociali.
Nei periodi di ristrettezza economica (spending review), risulta necessaria la razionalizzazione delle risorse disponibili, in modo tale da garantire elevati livelli di qualità assistenziale a fronte di un corretto utilizzo delle risorse disponibili.
A partire dagli anni 50 fino agli inizi degli anni 90, il sapere medico ha subito una progressiva parcellizzazione in specialità mediche e chirurgiche e poi ancora in sub specialità sempre più raffinate. Tale suddivisione della medicina è avvenuta sia per l’enorme progresso scientifico di quegli anni, sia per il boom economico che ha caratterizzato il periodo post-bellico. Le conoscenze mediche si sono espanse così tanto che il solo internista non poteva più padroneggiare tutto lo scibile senza l’ausilio di specialisti e sub-specialisti.
La medicina interna viene considerata l’emblema del sapere medico e, negli anni, ha mantenuto un ruolo fondamentale nell’adattamento ai cambiamenti del momento e alle nuove sfide sanitarie. Nonostante ciò, i contenuti della medicina interna spesso risultano poco chiari e confusi, anche tra gli stessi professionisti, studenti e insegnanti. La stessa definizione originale di medicina interna risulta già di per sé poco chiara. Da sempre considerata la medicina delle cose “interne”, oscure, non visibili all’esterno e a colpo d’occhio (concetto già presente nella medicina degli antichi greci ed egiziani), il vero punto di svolta si ebbe con William Osler nella seconda metà dell’800 che traslò il termine “interno” dalla sua accezione meramente fisica a quella metodologica, introducendo il concetto di metodo interno, ovvero l’essenza del problema clinico. Da allora la medicina interna ha acquisito sempre più i suoi connotati definitivi, in particolare il fatto che si debba occupare con ampio respiro del paziente in toto, nella sua complessità multipatologica, contestualizzandolo all’ambiente in cui vive e ponendolo al centro dell’attenzione, stressando l’importanza del rapporto medico-paziente. Con il progressivo aumento della longevità e con il miglioramento continuo delle norme igienico-comportamentali, il paziente tipico è afflitto da più patologie ad andamento cronico-degenerativo, che richiedono terapie multiple e spesso con pesanti interazioni. Essendo le patologie prevalentemente croniche, anche la necessità di una migliore organizzazione a livello territoriale sta diventando sempre più impellente. Un altro profondo cambiamento tipico della nostra epoca è legato al cambiamento di mentalità del paziente stesso: oggi la popolazione richiede la salute, è bene informata e pretende sempre più le migliori cure disponibili al momento. Non ultimo, in epoca di globalizzazione, il medico deve sempre essere pronto ad eventuali cambiamenti repentini epidemiologici e deve essere attento nel considerare eventuali malattie “dimenticate” nelle nostre latitudini.
Come può dunque la medicina interna far fronte a tali cambiamenti? E come può rispondere?
La natura stessa di questa disciplina, in particolare il suo ampio respiro olistico e multidisciplinare e il suo ruolo fondamentale nell’organizzare un corretto iter diagnostico-terapeutico, fanno sì che possa rappresentare un modello appropriato alle esigenze attuali, in quanto l’internista deve essere considerato lo specialista del metodo, colui che antepone il ragionamento clinico all’utilizzo delle risorse tecnologiche (con un miglior rapporto costo/efficacia), è in grado di far fronte ai cambiamenti epidemiologici delle malattie e, non ultimo, è versatile nell’ambiante lavorativo, sia esso sul territorio, in ambulatorio o in ospedale.
Da non dimenticare infine che, la qualità della prestazione sanitaria, viene percepita dal paziente tanto migliore quanto migliore sarà il rapporto di fiducia instaurato tra il medico e il paziente. Non dobbiamo dimenticare che nella storia numerosi medici, col loro approccio umanistico, hanno dato un loro importante contributo alla società.
In conclusione, viste tutte le premesse, si può affermare che, per far fronte al recente periodo di crisi economica, l’internista dovrebbe rappresentare il cardine centrale dell’organizzazione sanitaria su più livelli: organizzativo, medico in senso stretto (razionalizzazione dell’iter diagnostico-terapeutico), economico (utilizzo delle risorse), umano e sociale. Il tutto mantenendo sempre elevati livelli di prestazione e garantendo a tutti l’accesso alla salute.
Marco Vincenzo Lenti, Gino Roberto Corazza
Clinica Medica I, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Università degli Studi di Pavia