LA VECCHIAIA
Ieri Oggi Domani
Giuseppe GUARINI
Gentili Signore e Signori, Illustri Accademici. Cari Amici e Colleghi.
Lasciatemi innanzi tutto ringraziare il Consiglio Direttivo di questa Accademia per avermi concesso l’onore di illustrarvi uno dei più attuali, complessi ed affascinanti problemi del momento: la vecchiaia.
Dirò subito che la vastità dell’argomento è tale da coinvolgere medici, demografi, economisti, sociologi, politici, psicologi per cui mi limiterò, anche per le mie ristrette competenze, ad esaminare solo gli aspetti storici e lo stato dell’arte del problema. Da ciò il titolo: la vecchiaia ieri oggi domani. Problema che è stato, che è e sarà sempre attuale in ogni momento della storia; problema antico quanto antica è l’umanità, destinato a coinvolgere, direttamente ed indirettamente, il divenire continuo di ogni essere umano.
Nella storia della vecchiaia possiamo distinguere tre periodi: il passato (preistoria, storia antica e storia medioevale e rinascimentale), il presente (storia moderna e storia attuale) ed il futuro (storia prossima probabile; probabile perché in campo biologico è sempre temerario ipotizzare il futuro, spingersi cioè oltre i limiti delle umane certezze anche se scientificamente prevedibili )
PREISTORIA
Nei 2 milioni di anni di evoluzione della società umana possiamo riconoscere nel passato remoto 3 periodi.
Il primo caratterizzato da uomini nomadi raccoglitori e poi anche nomadi cacciatori. Il secondo da allevatori e cacciatori ed il terzo da agricoltori allevatori e cacciatori.
Per molti millenni l’uomo primitivo aveva un solo problema: la ricerca del cibo per la sopravvivenza e così la conservazione della specie. Come in tutto il regno animale, solo i soggetti più forti e più resistenti sopravvivevano. Era un mondo ostile in cui l’alimentazione era confinata alla raccolta di bacche, tuberi e frutti ed alla caccia animali di piccola taglia. Invecchiare era un fenomeno raro, eccezionale: non un problema. Questo periodo storico fu certamente il più difficile della storia umana; la vita era solo sopravvivenza dura e sofferta. In questo contesto per il vecchio non c’era pietà. La caccia, principale fonte alimentare, richiedeva allora abilità, agilità, velocità e destrezza; ma anche un continuo peregrinare.
La famiglia primordiale forse rispettava il vecchio; ma guai se questo nel continuo deambulare rimaneva indietro o non reggeva il passo! E’ certo che i vecchi deboli per la salvezza della famiglia fossero abbandonati ai limiti della savana; neppure inumati. I reperti ossei più antichi di soggetti anziani sepolti, risalgono solo a circa 23.000 anni fa (dati riferiti nella letteratura antropoarcheologica).
Non sempre però il vecchio era abbandonato. Quando la cacciagione era scarsa e la sopravvivenza del gruppo era in pericolo, per fame, il vecchio era sacrificato e mangiato per…. assimilarne le virtù, la forza e la saggezza (antropofagia per la conservazione della specie, secondo la definizione data dagli storici dell’antropologia a questo costume). Quando l’uomo scoprì che la caccia “di gruppo” era più redditizia e meno pericolosa, nacquero i primi aggregati umani: le tribù, i clan (unione di più famiglie dello stesso ceppo) In questo contesto sociale le condizioni dell’uomo anziano migliorarono dato che divenne preziosa la sua esperienza nelle tecniche venatorie nell’uso dei primordiali strumenti di caccia nella cura delle ferite. Ma anche la caccia di gruppo era dura, faticosa e richiedeva un forte affiatamento dei componenti del gruppo (divisione dei compiti: comparsa delle prime forme di socializzazione).
Occorsero millenni perché l’uomo intuisse che era possibile allevare alcuni animali ad integrazione dei proventi della caccia. Nacque così una società seminomade di cui l’uomo anziano divenne un utile supporto. Il vecchio era un pastore affidabile quando i giovani erano a caccia.
In questa lunga storia millenaria ecco comparire appena 23000 anni fa i primi aggregati umani di tipo stanziale. L’uomo scopre l’agricoltura. Non è più solo la caccia la fonte del proprio sostentamento. In questo tipo di società rurale le condizioni dell’anziano sono pienamente integrate nel tessuto comunitario. La donna accudisce la prole, concia le pelli e bada al fuoco. L’anziano, non impegnato nella caccia, è la memoria storica della comunità (è la cultura verbale: racconti di caccia, esperienze di vita vissuta ecc.). A questo punto entra in giuoco una scoperta di gran peso nel condizionare la posizione del vecchio nella società di appartenenza: la scoperta della scrittura. Nei popoli che conoscevano la scrittura (la cui invenzione si fa risalire ad appena 3500 anni a.C.) il vecchio, se sano di mente e fisicamente valido, era considerato un adulto anziano utile alla comunità perché più esperto a scrivere, per i posteri, le memorie della comunità di appartenenza. Se invalido ad ogni proficua attività fisica e/o mentale, veniva considerato nulla più che un soggetto di scarso valore sociale di cui dovevano farsene carico, se del caso, i parenti prossimi o lontani. La scrittura è certamente lo strumento più importante, per la conoscenza del mondo antico. Purtroppo però le fonti storiche che oggi possediamo e che riguardano i problemi etici, morali, sociali ed economici della vecchiaia sono scarse e lacunosi. Le notizie che abbiamo, provengono nella maggior parte dei casi, da testi di carattere letterario, filosofico o religioso dove i problemi della vecchiaia sono casualmente discussi in modo marginale. Ancor più lacunosi e imprecisi sono i manoscritti che si riferiscono a riti usanze e consuetudini della vecchiaia elaborati da storici, seppure illustri, ma estranei ai popoli che non conoscevano la scrittura. Un esempio è il capitolo sui Celti delle Historiae di Erodoto, che non hanno trovato alcuna conferma nelle più recenti acquisizioni sui riti e le usanze di questo popolo.
Solo di una cosa siamo certi, in campo religioso la posizione dell’uomo anziano è stata sempre di primo piano, dato che l’età avanzata presupponeva un dono divino e, in base al numero degli anni, una posizione di vicinanza al mondo soprannaturale.
Ed ora esaminiamo più da vicino la posizione dell’anziano nelle diverse società antiche e cominciamo con quelle del medio oriente e mediterranee.
STORIA ANTICA
Civiltà mesopotamiche (Assiri, Babilonesi,ecc.)
Il comune denominatore di queste antiche civiltà era il rispetto per il vecchio. Se ricco e notabile godeva di grande prestigio. Se del medio ceto veniva onorato come il patriarca della famiglia. Se povero, compatito; ma sempre rispettato.
I vecchi svolgevano funzioni di amministrazione dei beni pubblici e della giustizia. Il “consiglio degli anziani” era l’organo di consultazione reale per la soluzione delle questioni più importanti da risolvere. Il parere di questo consiglio non era comunque vincolante per il re.
Società egiziana
Anche qui il vecchio godeva di notevole prestigio per la saggezza maturata nelle esperienze della vita trascorsa. Era onorato perché considerato come il testimone di una grazia divina a lui dovuta per una vita integerrima vissuta nel rispetto dell’ambiente (dono di Dio). dei propri simili e della autorità regale. Nel codice dell’insegnamento di Anii una regola attesta in modo conciso << non puoi stare seduto in presenza di un uomo che è in piedi e di età maggiore della tua>>.
Nei dipinti dei sarcofaghi delle mummie il defunto è sempre ritratto nelle sue fattezze giovanili (culto della bellezza).
Civiltà ebraica
Grazie alla Bibbia è questa la civiltà di cui conosciamo compiutamente, fra le antiche civiltà mediorientali, lo stato sociale e giuridico degli anziani.
Vi dirò che su questo capitolo ho condotto ricerche personali estraendo dalla Bibbia tutti i versetti in cui era riportato il lemma anziano/a vecchio/a escludendo, ovviamente, il lemma vecchio quando aggettivo qualificativo riferito a oggetti o cose. I versetti da me analizzati sono stati 298 riferiti ad un arco di tempo di circa 2000 anni ( dal 1850 al 60 a.C.) ho così potuto rilevare che nei versetti biblici più antichi la figura dell’uomo anziano è ammantata di maestosa regalità. Man mano che ci si avvicina ad epoche più recenti, la figura del soggetto anziano diventa più sbiadita e meno incisiva, come è possibile rilevare dall’importanza che viene attribuita al “Consiglio degli Anziani” nella regolazione dei problemi sociali ed economici che il popolo ebreo ha dovuto affrontare nella sua lunga storia.
Voglio ricordare a questo proposito l’episodio della casta Susanna citato nel libro di Daniele che è fra gli ultimi testi biblici. In questo episodio i due vecchi lenoni sono messi alla berlina e giustiziati. Un episodio che in epoca più antica non sarebbe mai stato pubblicizzato per il prestigio, sempre riconosciuto, agli anziani.
Civiltà greca
Dobbiamo distinguere gli ateniesi dagli spartani. Per gli ateniesi il soggetto anziano ha un indubbio prestigio anche se non gode certamente di quel carisma che gli è riconosciuto dagli egiziani e dai popoli mediorientali.
Pur se onorato e rispettato l’uomo anziano non ha una posizione centrale nella società greca in cui il mito della bellezza, della forza fisica e dell’agonismo dei giovani è esaltato e onorato. (vedi Olimpiadi)
Se l’Iliade è il poema del coraggio, dell’ardimento e della temerarietà dei giovani, l’Odissea è il poema omerico che canta la saggezza, l’astuzia e la sagacità dell’uomo maturo.
Nella città di Sparta già in età omerica esisteva il consiglio degli anziani “la gerusia”. Compito di questo consiglio era quello di assistere il re nella gestione delle attività economiche e amministrative della comunità e, in particolare, nelle decisioni di politica interna ed estera. I membri della gerusia erano 28, tutti per legge di età superiore agli anni 60. Erano eletti a vita, per acclamazione, dall’assemblea dei gerontes.
Civiltà romana
Nella Roma monarchica e repubblicana primeggiava il “pater familias” capo anziano indiscusso di tutti i componenti della comunità familiare, su cui esercitava la “potestas”. Aveva il diritto di vita e di morte su tutti i componenti della sua famiglia, sugli schiavi, nonché il diritto di vendita o di espiazione per un delitto da loro commesso. Qui in domo dominium habet
Il Senato era l’istituzione fondamentale dello Stato responsabile della politica interna e della politica estera. Decideva sulla proclamazione dello stato di guerra e sulle trattative di pace, Creato da Romolo, ampliato nel periodo repubblicano ed imperiale era costituito in epoche diverse da un numero variabile di membri di età comunque non inferiore, in tempi diversi, a 46-60 anni. Il senato era l’espressione del prestigio che l’anziano godeva nel governo della città repubblicana. Prestigio destinato a declinare in epoca imperiale. Già alla fine del 1° secolo a.C. il potere degli anziani risultava molto ridotto; lo documentano il “De Senectute” di Cicerone ed il “De Brevitatae Vitae” di Seneca che sono un amaro richiamo della società romana ai problemi della vecchiaia. Queste opere sono i documenti più antichi del mondo occidentale che trattano in modo organico un nuovo corpo di dottrina: la gerontologia: corpo di dottrina inteso come studio dei problemi sociali etici morali e fisici della vecchiaia.
Nel diritto romano non era prevista una remunerazione a vita (vitalizio) per gli anziani servitori dello stato. Era usanza dei romani premiare i funzionari ed i soldati che avevano servito la patria con onore, con la donazione di beni immobiliari come possedimenti agricoli, anche nelle terre conquistate.
Civiltà cinese
I cinesi hanno sempre avuto per gli anziani la massima considerazione. Ne danno testimonianza molti scritti di oltre cinquemila anni fa che dettavano rigorose norme di comportamento che ogni giovane doveva seguire nei suoi rapporti con una persona più anziana.
Il soggetto più giovane doveva alla persona anziana, con età pari al doppio della sua, lo stesso rispetto dovuto al proprio padre. Con una persona di 10 anni più anziana doveva comportarsi con gli stessi riguardi dovuti ad un fratello maggiore; con quella più anziana di 5 anni doveva camminare, per via, almeno un passo più indietro.
Infine va ricordato che il vecchio cinese indigente era, sin dai tempi più remoti, mantenuto di diritto, dignitosamente,dallo stato che provvedeva ai suoi bisogni in rapporto alle specifiche necessità di ognuno.
Civiltà indiana
Nella civiltà indiana il grande valore spirituale della vita dell’uomo ha giocato un ruolo non secondario nel rispetto dell’anziano.
Il grande rispetto per il vecchio è ben evidente ancora oggi nei Rom (zingari del centro sud) e nei Sinti (zingari del nord). E’ a tutti noto come ancora oggi queste popolazioni rifiutino sempre ogni commistione con l’ambiente che li circonda. Queste antichissime popolazioni di origine indiana il cui nomadismo si perde nella notte dei secoli, raggiunsero verso la fine del primo millennio l’Europa, l’Africa settentrionale e, nel XIX secolo, anche le Americhe, conservando gelosamente per secoli la propria identità razziale i loro costumi e la loro organizzazione sociale in cui l’anziano è al centro della comunità familiare
Civiltà incaica
Nell’impero degli Incas dopo la conquista della regione di Manco Pacac mutano le condizioni del vecchio fino allora emarginato e disprezzato. Dalle memorie del naturalizzato spagnolo Garcilaso apprendiamo che in questo impero, fondato su un regime totalitario che ignorava la scrittura, il lavoro era imposto dallo stato a tutti i membri della popolazione. In questo contesto i vecchi erano completamente integrati nella società in cui vivevano e, nel caso in cui erano inabili fisicamente al lavoro, acquisivano il diritto ad essere mantenuti dalla comunità purché svolgessero un qualsiasi lavoro utile agli altri e anche a loro stessi come, ad esempio, isolare i pidocchi dal cuoio capelluto e le zecche della cute per mostrarli poi al caporione del proprio mandamento.
Dalle antiche civiltà passiamo ora al medioevo ed al rinascimento
Civiltà medioevale e rinascimentale
In questo periodo storico sembra che gli anziani non siano oggetto di particolare attenzione. Sembra che il problema della vecchiaia non esista. uomini di 70-80 anni prendono ancora parte ai lavori agricoli, alle battaglie campali, ai pellegrinaggi in terre lontane o nel migliore dei casi esercitano il potere politico. La speranza di vita degli anziani è molto ridotta dato che le società di allora dovevano fare i conti con le carestie, le epidemie, ora più diffuse per l’espandersi dei commerci, e con le malattie di importazione divenute endemiche.
Beffarda è la letteratura sull’amore senile.(Boccaccio: Decamerone)
V’è comunque differenza fra Medioevo e Rinascimento.
Nel Medioevo la spiritualità del cristianesimo si esprime nella caritatevole accoglienza degli anziani, poveri ed indigenti, nelle comunità dei Monasteri e dei Conventi. I vecchi, spesso ammalati, trovano nelle cure offerte dal monacus infirmarius conforto e sollievo ai malanni della loro età avanzata.
Nasce così la medicina monastica che andrà sempre più espandendosi per concretarsi in strutture conventuali sanitarie che prenderanno poi il nome di ospedali con annessi ambulatori : le tabernae medicorum. Nell’ultimo decennio del 1400, Gabriele Zerbi. clinico di grande fama, pubblicò la più antica opera di letteratura medica che riguarda la geriatria: la “Gerontocomia”. L’opera venne pubblicata dalla Euscharius Siber il 27 novembre 1489 ed è stata ristampata dall’American Philosophical Society di Philadelphia nel 1988. Zerbi ovviamente è sconosciuto agli italiani tanto che la suo opera è stata riesumata e tradotta, come ho appena detto, dall’ American Philosophical Society.
Ho il dovere di ricordarvi che in questo ospedale Zerbi ha insegnato per 10 anni (1483 al 1494) e che oggi è universalmente considerato per la Gerontocomia come il padre fondatore della geriatria.
Nel Rinascimento le lettere e le arti esprimono il culto della bellezza fisica ed il vigore della giovinezza. Il vecchio è trascurato e la vecchiaia è interpretata come uno stato di malattia cronica di cui è bene nascondere gli aspetti negativi. E’ l’epoca dei profumi, delle parrucche delle creme e degli elisir di lunga vita. Tutto è finalizzato più all’apparire che all’essere. Gli anziani (uomini e donne) che fanno il “lifting” vengono amabilmente ridicolizzati nelle commedie di Goldoni.
In conclusione nel pensiero occidentale medioevale e rinascimentale la vecchiaia appare come una età triste caratterizzata da angosce e sofferenze. Il pensiero cristiano ha sempre mirato a riconciliare e familiarizzare i credenti con la vecchiaia intesa come un momento di passaggio alla vita eterna. Il pensiero laico vede invece nella vecchiaia un momento drammatico della vita tale da giustificare anche il suicidio. Si ripropone l’antica giustificazione precristiana del suicidio e dell’eutanasia.
STORIA MODERNA
Il 22 agosto 1790 è una data storica nella storia della vecchiaia. È la data in cui l’Assemblea francese sancì il diritto ad una remunerazione fissa per chi aveva fedelmente servito lo Stato per almeno 30 anni ed aveva raggiunto un’età superiore ai 50 anni. Questo assegno era:
vitalizio,
concesso solo a chi non raggiungeva un determinato reddito,
proporzionato alla retribuzione del lavoro svolto ed
asservito alle disponibilità economiche dello stato.
Il 22 agosto 1790 nasce quindi il principio del diritto alla pensione dell’anziano. Vale la pena ricordare che per millenni nella storia umana la concessione di un vitalizio, come la grazia, era una prerogativa insindacabile del Princeps (inteso come capo del clan, dello stato, della nazione, ecc.) Il vitalizio veniva codificato come “potere di giubilazione”. Era concesso all’anziano solo alla fine di un lungo fruttuoso servizio a favore della comunità di appartenenza o, come più spesso accadeva, come premio per un atto meritorio più o meno palese da parte di chi esercitava il potere.
La formulazione del concetto di pensione implica il riconoscimento all’anziano di uno stato giuridico e quindi l’implicita elaborazione di leggi, norme, diritti e doveri.
Su questa scia nacquero le prime casse pensionistiche, le prime organizzazioni sindacali, i primi circoli dei lavoratori e le prime organizzazioni operaie e professionali e le prime strutture assistenziali. Preludio allo stato moderno, che nella seconda metà del secolo scorso ha esteso il principio della pensione a tutti i compenenti della società civile che abbiano raggiunto una età prefissata (55-70 anni).
L’Istituto del pensionamento, che sembrava aver risolto definitivamente ogni problema socio economico dell’anziano, deve oggi confrontarsi con problematiche nuove non previste a così breve termine duecento anni fa, quali:
l’espandersi a ritmo esponenziale delle conoscenze
il diffuso miglioramento delle condizioni di vita
la liberazione dalla fame
la fine delle grandi carestie
le grandi conquiste della medicina che hanno determinato
l’aumento della vita media dell’uomo.
IL PROBABILE FUTURO
E qui è giocoforza richiamarci ai dati statistici che con il loro inoppugnabile valore matematico lasciano invero assai poco spazio a pretestuose illazioni ed interpretazioni
I dati del ONU “world population prospects” del 2000 (revision New York 1997) indicano:
nel 2001 popolazione mondiale oltre 6 miliardi
nel 2050 popolazione mondiale circa 8 miliardi
e nel contempo:
nel 2001 una popolazione > 75 anni pari a 162 milioni circa (2,7 % del totale)
nel 2050 una popolazione > 75 anni pari a 240 milioni circa (3 % del totale)
Ma ciò che può essere valido per una valutazione universale non è certamente valido per alcune popolazioni. In particolare per quelle economicamente benestanti e ad elevato tenore di vita.
Il benessere economico ha determinato in 24 paesi un aumento della quota percentuale della popolazione dei soggetti in età maggiore di 75 anni (rispetto alla media mondiale del 2,7 %) questo aumento è attualmente
più del doppio e in alcuni casi (USA, Norvegia ecc…) più del triplo in altri (Giappone Svezia, Italia) rispetto alla media mondiale. In queste popolazioni la speranza di vita alla nascita che si aggirava agli inizi del secolo scorso sui 45 anni si è quasi raddoppiato ed è, ogni anno, in netta crescita.
Se focalizziamo ovviamente la nostra attenzione all’Italia, (che nel mondo è, in questo campo, all’avanguardia), osserviamo che le previsioni sull’incremento della popolazione secondo i dati I.S.T.A.T la popolazione italiana
ultra 65enne è prevista nel 2021 pari al 18% di quella totale e quella
ultra75enne pari al 23%
Sempre secondo i dati istat pertanto nel 2001 dovremmo avere:
anziani > 65 a, 13.000.000
giovani 0-18 a. 14.000.000
inabili 500.000
per un totale di 27.500.000 a fronte di una una popolazione totale 58.000.000.
Purtroppo le previsioni I.S.T.A.T del 2001 sono già una realtà oggi, nel 2006.
È evidente che ci stiamo avvicinando precipitevolissimevolmente a quel punto di rottura dell’equilibrio economico che è stato definito da Rene’ Thom (creatore della teoria delle catastrofi) come la catastrofe pensionistica dove a fronte di 1 produttore di ricchezza sono presenti due carichi passivi.
In questa prospettiva è stata stata condotta dall’OMS una indagine demoscopia al fine di conoscere quale è l’atteggiamento di alcune popolazione nei confronti del pensionamento degli anziani. I risultati dimostrano chiaramente come alle domande: <Deve lo stato provvedere agli anziani ?> La maggioranza ha risposto sì: <La spesa pubblica per le pensioni deve essere aumentata?> Anche qui la la maggioranza ha risposto sì.
Ovviamente in questa indagine gli italiani, in cui il problema come abbiamo visto è più grave sono in testa nella percentuale dei sì a dimostrazione di un atteggiamento poco realistico da “carpe diem” .
Non a caso in questa prospettiva qualche anno fa il compianto Giorgio Gaber cantava in un monologo sulla vecchiaia questo ritornello
I vecchi bisogna ammazzarli quando sono bambini.
Ma è proprio vero che il destino futuro degli anziani deve essere quello delle vittime predestinate ad essere uccise e magari metaforicamente mangiate come avveniva appena 100.000 anni fa e come accadeva appena un secolo fa nelle popolazione dell’Africa equatoriale e fra i maori della Nuova Zelanda quando vagavano affamati i primi, nella savana e, i secondi, nella foresta? Certamente no. Vale la pena ricordare che:
Mosè ad 80 anni guida il suo popolo nel deserto del SIinai
Papa Giovanni ad 80 anni lancia la chiesa nel Concilio Vaticano II
Andrea Doria a 87 anni guida la spedizione militare per la riconquista della Corsica
Joann Wolfgang Goethe ad 81 anni compone il Faust
Giuseppe Verdi ad 80 anni compone il Falstaff
Michelangelo Buonarroti a 89 anni inizia a scolpire la Pietà Rondanini
Sigmund Freud ad 83 anni scrive l’Uomo Mosè e la religione monoteista
Giovanni Bellini a 91 anni dipinge la Madonna con bambino e Giovanni
Iacopo Robusti detto il Tintoretto a 90 anni dipinge il Paradiso nel palazzo ducale di venezia
Indro Montanelli ad oltre 90 anni scrive ancora editoriali per il Corriere della Sera
Riassumendo: per quanto riguarda il sistema sociale nel futuro più o meno immediato, fatto salvo il diritto ad una giusta pensione per il lavoro svolto nella sua vita passata ed in base allo stato dell’arte del problema, il vecchio dovrà contribuire in qualche misura, quando possibile, all’economia della società in cui vive con un lavoro intellettuale e/o manuale adeguato al suo stato di salute .Ciò facendo acquisisce non solo il rispetto reale e non ipocrita della società in cui vive; ma avrà anche una minore probabilità di cadere in quello stato di frustrazione che spesso accompagna l’anziano che si sente socialmente inutile. E questo lavoro, seppur modesto, sarà per l’anziano quell’agognato “elisir di giovinezza” che Adamo ancora rincorre da migliaia di anni.
Per quanto riguarda il sistema pensionistico prima o poi non sarà più possibile eludere l’assunzione, in modo coordinato delle diverse opzioni che sono state proposte per salvare questo sistema e che possiamo così riassumere:
elevare l’età del pensionamento;
ridurre il valore economico della pensione;
concordare personalmente un rapporto pensione/desiderio di lavorare;
introdurre una retribuzione aggiuntiva in rapporto alla produttività del lavoro svolto.
Solo così sarà possibile allontanare e forse evitare la paventata catastrofe pensionistica di Renè Thom.
Nel concludere desidero ringraziare innanzi tutto la dott.ssa Rita Aiello della biblioteca Casanatense per la collaborazione nella riesumazione dell’incunabolo scritto da Zerbi nel 1458. Orgoglio italiano, di inestimabile valore storico.
Un sincero grazie desidero rivolgere anche alla bibliotecaria di questa Accademia: la Signora Chiara Abruzzini ed al dott Luca Perrone per la cordiale amichevole collaborazione.
Infine desidero ringraziare Tutti voi che con cordiale amicizia e cortese pazienza mi avete ascoltato per tanti noiosi minuti.
Grazie!