IGIENE E MEDICINA FRA NOMADI SAHARIANI E SAHELIANI: TUAREG, TUBU E PEUL “WODAABE” A CONFRONTO

 

Vanni Beltrami

 

 

1 - PREMESSA

    I popoli nomadi e/o seminomadi che da tempi spesso imprecisati occupano il Sahara oggi desertificato - nonché le più settentrionali pianure saheliane, che del Sahara continuano a sud vari aspetti geo-morfologici - hanno conosciuto soltanto all'inizio del secolo XX, se non più tardi, la prima invasione da parte degli occidentali: francesi soprattutto, ma in alcune accezioni anche italiani e spagnoli. La storia antecedente di questi popoli è stata ricostruita per lo più sulla base delle tradizioni locali e degli storici arabi, anche se non si può negare l'importanza dei contributi - poco frequenti ma certamente sostanziosi - dei pochi ardimentosi viaggiatori europei penetrati in Sahara nei secoli precedenti. E' peraltro a questi ultimi che si debbono le prime e intelligibili nozioni di tipo antropologico, che soltanto l'occupazione coloniale ha consentito di sistematizzare e che sono state  ancora incrementate negli anni successivi al 1960 da ricercatori ed esperti.

In questa nota ho inteso riassumere i dati dei quali disponiamo attualmente riguardo alle più comuni patologie, all'igiene ed alle terapie tradizionali di tre fra le maggiori etnìe nomadi saharo-saheliane presenti specialmente nel Niger e nel Ciad - Tuareg, Tubu e Peul Wodaabe - sulla scorta di alcuni principi generali (2,9,13,25,32,37,38), della bibliografia specifica esistente e di osservazioni personali. Ho ritenuto non inutile l'inserimento  nel testo di alcune sommarie informazioni circa le etnie in questione, a beneficio di chi non avesse avuto occasione di conoscerle direttamente od indirettamente e volesse comunque approfondirne la conoscenza.

 

2 - PATOLOGIE DELLE POPOLAZIONI SAHARIANE

    Ambiente, clima e condizioni di vita delle popolazioni sahariane seminomadi e/o nomadi - inclusi i Tuareg, i Tubu ed i Peul Wodaabe - sono oggi ben conosciuti e possono essere considerati assai simili: da questa constatazione deriva la possibilità di descrivere unitariamente le patologie più frequenti (2,7,9,10,12,15,27,31,37,38), mentre sarà invece necessario tenere distinti i paragrafi relativi all'igiene ed ai rimedi tradizionali, che presentano nei tre gruppi etnici differenze sostanziali.

     Si deve premettere che sia i Tuareg che i Tubu utilizzano un tipo di abbigliamento - prevalentemente costituito da cotonine - che è adeguato alle elevate temperature diurne ma risulta insufficiente nelle giornate particolarmente ventose ed in rapporto alle grandi escursioni termiche delle ventiquattro ore; i Wodaabe - che spesso avendo rifiutato le tele continuano ad usare gli abbigliamenti in pelle della loro tradizione - si trovano in analoghe condizioni. Per conseguenza, specialmente nei mesi invernali, le tre etnìe sono colpite da malattie da raffreddamento - cimurri, angine, bronchiti, polmoniti - aggravate dalla irritazione provocata nelle vie aeree dalla inspirazione della polvere di sabbia; inoltre, negli ultimi anni è stata segnalata la ricomparsa di casi di tubercolosi, con incidenza non chiaramente valutabile. Anch'essa correlata al freddo e pertanto elevata è  l'incidenza delle mio-artro-reumatalgie, lamentate anche da soggetti in età giovanile, il che spiega il particolare interesse di tutte le popolazioni per le fonti termali. Vento, sabbia e polvere sono infine responsabili delle frequenti affezioni oculari, in particolare di congiuntiviti traumatiche, che tendono a diventare croniche per la mancanza di rimedi adeguati.

    L'apparato digerente del nomade sahariano è per parte sua sede di due principali gruppi di alterazioni, le gastriti ed ulcere gastroduodenali, nonché i disturbi intestinali: costipazione e più spesso dissenterie e parassitosi. Le prime sono assai comuni in tutte le popolazioni africane e vengono in genere considerate conseguenza psico-somatica del contatto con le imposizioni della cultura europea e della conseguente perdita di identità: si veda in proposito l'esemplare saggio "The lonely african" di Basil Davidson (13). I Tuareg hanno sofferto certamente per la perdita di libertà che la presenza coloniale ha indotto fra l'inizio del secolo XX ed il 1960, ma ancora di più per la successiva forzata divisione dei loro territori; l'assoggettamento ai nuovi governi, aprioristicamente ostili al nomadismo e pertanto responsabili di atteggiamenti persecutori, ha comportato talora rivolte armate, più spesso migrazioni obbligate e lunghi periodi di esilio, soltanto di recente conclusi (8). Per i Tubu, ribelli per natura e poco soggiogati in epoca coloniale, sono stati piuttosto i conflitti intestini all'etnìa successivi all'acquisizione dell'indipendenza da parte del Ciad: conflitti che, unitamente anche qui alle complesse vicende della rivolta anti-governativa, hanno giocato un ruolo notevole nell'incremento delle psicosomatosi (10). I Wodaabe infine hanno soprattutto subìto le conseguenze delle gravi siccità del tardo XX° secolo, che hanno portato molti di loro ad una sofferta sedentarizzazione, mentre le famiglie che hanno persistito nella tradizione pastorale nomade hanno attraversato severissime vicissitudini. 

    Come si è detto, nomadi e seminomadi accusano spesso disturbi intestinali. Se da parte dei carovanieri - in particolare -  non è infrequente la denuncia di casi di costipazione, molto comuni sono invece i disturbi di tipo dissenterico, dei quali sono responsabili soprattutto le parassitosi intestinali, unitamente all'alimentazione incongrua ed insufficiente. La migliore igiene che si osserva presso i Tubu, sulla quale si tornerà, riduce almeno in parte l'incidenza del problema, ma la nutrizione carente e priva di elementi integratori contribuisce per i soggetti di tutte le età, ma specialmente per i bambini, ad aggravare ogni quadro patologico. Ne deriva una elevata mortalità infantile, denunciata in ogni regione africana come del resto in tutti i paesi cosiddetti "in via di sviluppo" (2,9,17,19,29,31,33,38).

   La malaria, presente sia nelle oasi settentrionali algerine e libiche dove non risulta sia stata mai totalmente debellata, è notoriamente assai diffusa a sud del Sahara, nella fascia saheliana, frequentata specialmente dai Wodaabe. L'elevata incidenza dei rapporti che i Tuareg e i Tubu mantengono con le zone ora citate comporta l'osservazione di casi di malattia in zone dove la si riterrebbe del tutto improbabile. Da segnalare - in area Tubu - la presenza di acque stagnanti nel territorio dello Djado, cioè nel nord-est nigerino al di là del Tenerè: al punto che le relative oasi sono notoriamente frequentate dai proprietari limitatamente ai periodi di cura e raccolta dei datteri.

    A livello tegumentale, molto spesso i nomadi soffrono di micosi cutanee  mentre si possono osservare casi di filariosi, contratta in genere durante trasferte nel sud, nonché di bilharziosi, data la contaminazione abbastanza frequente dell'acqua delle vasche naturali rocciose sahariane, dette aguelman o - in arabo - ghelte. La vita a contatto con una natura tanto severa non risparmia lesioni ed affezioni superficiali di carattere più particolare, quali le ferite da taglio o lacere, le ustioni, le punture di insetti - specialmente di scorpioni - nonché i morsi di animali, fra i quali si segnala per pericolosità la vipera delle sabbie. Come si vedrà, la frequenza di queste patologie - così come delle lesioni  traumatiche dello scheletro - comporta presso i nomadi una certa competenza terapeutica: il buon risultato di molti trattamenti è peraltro favorito dal clima arido e dalla luce solare, che esercitano una efficace azione antibatterica.

   La riservatezza femminile - comune alle tre etnìe - non ha in genere consentito di disporre di sufficienti informazioni sulla patologia ginecologica e della gravidanza nonché sulle malattie sessualmente trasmesse. Da alcuni osservatori occidentali si è ritenuto che almeno in passato le donne delle tribù nomadi o semi-nomadi - come del resto di gran parte delle popolazioni africane - apprendessero di essere incinte più per la deformazione addominale che per la inco­stante cessazione delle mestruazioni; attualmente, la dipendenza fra amplesso e gravidanza è diffusamente  nota, anche se i comportamenti sessuali pre-coniugali sono molto diversi a seconda dell'appartenenza. Una ragazza Tubu è completamente soggetta al padre e mantiene fino al matrimonio la sua verginità (10,12). Stridente il contrasto con le consuetudini delle altre due etnìe. La giovane Tuareg infatti appena dopo la pubertà è completamente autonoma e libera da remore e la sua vita intima è molto vivace (19,26): come dimostra la sua partecipazione autonoma alle riunioni giovanili significativamente denominate "corti d'amore". I comportamenti sessuali delle Wodaabe, sia nubili che coniugate, sembrano per parte loro - come si avrà occasione di sottolineare - improntati ad una notevole libertà, sia per quanto riguarda le possibilità di fidanzamento e di divorzio sia in determinate occasioni di appuntamento inter-tribale ed inter-familiare, quali la riunione detta gerewol (15,36).

 

 

3 - I TUAREG

a - Notizie generali

   I Tuareg, noti anche come “uomini blu” o “gente del velo”, abitano le regioni centrali  e centro-meridionali del Sahara, regioni esemplari di tutto il deserto in quanto territorio immenso ma decisamente disomogeneo dal punto di vista morfologico. Si tratta dei nomadi forse più famosi del mondo, probabili discendenti di popolazioni rivierasche mediterranee emigrate verso il sud in epoca imprecisata. La loro area di espansione riguarda oggi cinque diversi stati sovrani - Libia, Algeria, Burkina-Faso, Mali e Repubblica del Niger, ma prima dell'invasione coloniale francese - essendo quella italiana del tutto marginale - essi erano i padroni incontestati del loro territorio, che include quattro importanti massicci montuosi - il Tassili, l’Hoggar, l’Adrar e l’Air - nonchè, più a sud, l'infinita distesa stepposa dell’Azawak prospiciente la riva sinistra del fiume Niger (7,11,26,30).

   I fattori che costituiscono il denominatore comune di questa gente sono la lingua di ceppo libico-berbero, cioè mediterraneo; la discendenza da un’unica antenata quasi mitica conosciuta come Tin-Hinan od Antinea; un importante patrimonio culturale; ed infine una stratificazione sociale per caste tradizionali. Si è spesso paragonata l’organizzazione sociale dei Tuareg al nostro antico sistema feudale, con il quale indubbiamente si osserva qualche superficiale analogia, per la presenza di precisi livelli di nobiltà e di vassallaggio che si collocano in un sistema di tribù: questa struttura duplice naturalmente comporta un certo tipo di ereditarietà e di gerarchia e l’esclusione rispettiva fra i vari gruppi sociali. 

    Nucleo di ogni singola classe è la famiglia, che vive sotto la “tenda” o nella capanna di stuoie della madre; un ridotto numero di “tende” è sede di un gruppo di stretta parentela, che con altri si riconduce ad  una “stirpe” ovvero “tribù”; l’insieme di diverse tribù, appartenenti a classi sociali differenti ma strettamente collegate,  costituisce una Confederazione che prende in genere il nome dalla regione di provenienza o talora quello dell'area di residenza attuale. Si distinguono così Originariamente cinque, numero che identifica come la tradizione vuole le cinque dita della mano di Tin Hinan, oggi le confederazioni sono più numerose, per il frazionamento subito da alcune di esse. Si distinguono i Kel Ajjer ("Gente" del Tassili Ajjer), i Kel Hoggar, i Kel Air, i Kel Iforas, gli Iullemenden dell'est (Kel Dinnik) e dell'ovest (Kel Ataram) ed infine i Tuareg del Fiume ed altri gruppi minori, per un totale probabile che non raggiunge i 450.000 individui: dei quali i due terzi divenuti ormai quasi sedentari al margine del Sahel.

   La società dei Tuareg - dove è generalmente in uso la monogamia - è declinata “al femminile”: e la discendenza tradizionale è stata per secoli collegata alla matrilinearità. Poiché  “è il ventre che dà il colore al neonato”, il figlio appartiene alla casta della madre, anzichè a quella del padre. Del resto i diritti della donna sono notevoli : può ottenere il divorzio, la separazione dei corpi, la custodia dei figli; concorre con le sorelle all’eredità paterna con diritti di 2 a 1 rispetto ai maschi; gode della possibilità di ricevere donazioni da zii viventi in nome dei figli. Se i beni della famiglia permangono nella discendenza “uterina” e non possono andare dispersi, analogamente può essere conservato nella discendenza uterina il potere “politico”. Come risultato, la figura materna diviene simbolo della tradizione, garanzia della sopravvivenza economica del gruppo nonchè dell’appartenenza del gruppo stesso ad una linea etnica, sociale e politica uniforme. A ciò si può aggiungere che la donna di classe elevata sa anche leggere e scrivere e pertanto è custode gelosa del le tradizioni della stirpe.

    La lingua parlata dai Tuareg consiste in una forma evoluta di berbero, con un lessico di 3500 radici che consente molte derivazioni. Essa riconosce varie forme dialettali (tamascek, tamahak, etc), ma in tutte le sue forme utilizza una scrittura, unica nel suo genere, chiamata nel suo complesso tifinagh. Scritte arcaiche, somiglianti all’attuale tifinagh sono già presenti nei graffiti e nelle pitture rupestri. I caratteri tifinagh attuali servono soprattutto a trasmettere dei messaggi e solo raramente a tramandare dei testi letterari per i quali vale tuttora la tradizione orale.

     I Tuareg si definiscono mussulmani e certamente lo sono, anche se varie credenze  per nulla islamiche non sono mai state sconfessate. Essi ritengono che dormendo presso una tomba se ne ottengono oracoli; che esistono spiriti o "geni" delle acque, dei monti, degli alberi e dei sepolcri, dai quali occorre difendersi; che nel corso di una trasferta di carovana si debba scegliere il luogo del campo notturno dopo aver fatto  scongiuri contro la presenza di fol­letti malevoli; che vi sono individui che portano sfortuna, altri che sono capa­ci di divinazione, altri ancora che sanno preparare filtri ed rimedi efficaci contro i malefici e contro la malattia: e questo fatto ci porta all'argomento della medicina.

                

 

 

b - L'igiene 

    Anche se notoriamente di fisico attraente e abituati ad atteggiamenti sobriamente eleganti, nonché dotati di abbigliamento spesso a tali atteggiamenti conforme - specialmente quando si tratta di appartenenti alle classi elevate - uomini e donne Tuareg dimostrano uno scarso interesse per l'igiene. Può trarre in inganno il fatto che si vedano spesso in vicinanza delle sorgenti e dei pozzi indumenti e tele ad asciugare, ma la pulizia personale è molto sommaria ed è notorio che gli uomini detestano qualsiasi lavaggio: da ciò deriva il colore spesso bluastro della cute - che è in contatto con tessuti tinti con indaco non "fissato" all'origine - e che ha valso ai Tuareg uno dei loro più comuni appellativi. Fra le donne l'igiene (7,17,18,19,26,31) è assai relativa, anche se esse amano molto esibire vesti di una certa eleganza ed esibire numerosi e pregevoli monili d'argento mentre le pettinature sono assai elaborate: il fatto che esse vengano sciolte raramente e siano rese lucenti con burro rancido non contribuisce fra l'altro alla pulizia del capo. Le donne usano spesso accentuare la profondità dello sguardo con polvere di carbone o altro, in compenso non è del tutto raro incontrare delle giovani con le gambe sporche di sangue mestruale. L'interno delle abitazioni - tende o capanne che esse siano - lascia per parte sua molto a desiderare quanto ad ordine e pulizia; sacche di provviste, oggetti d'uso, stuoie e fagotti giacciono sul terreno in assetto del tutto casuale ed anche il letto tradizionale - per quanto sollevato da terra su appositi ed elaborati sostegni - raramente ha un aspetto decente. I vari recipienti della cucina e le ghirbe di pelle per l'acqua, nonché i sacchi con le provviste, sono abbandonati in un canto, senza dare l'impressione di essere trattati con qualche cura.

  

c - Le terapie

  A differenza di quanto detto per quanto riguarda l'igiene, i Tuareg sono molto attenti alla cura delle malattie (torrennawen) e ne hanno una nozione complessa ed elaborata, che è stata oggetto di studi approfonditi anche in anni recenti  (7,9,17,18,19,21). In primo luogo essi distinguono le malattie in due tipi: le "malattie fisiche o naturali" e le "malattie straordinarie", dovute all'azione di esseri soprannaturali. Da notare come si adombra in questa concezione un metodo di classificazione, quale Levi-Strauss citava quale "un inizio del porre ordine nell'Universo" da parte delle popolazioni africane. A questa suddivisione corrisponde anche la separazione di coloro che praticano le terapie (inassafaran), che sono spesso donne anziane appartenenti alla famiglia od al gruppo di famiglie e curano le malattie "naturali", sulla base della necessità di ristabilire un equilibrio naturale del corpo, che è perturbato. Quando si sospetti che la malattia sia "straordinaria" viene in genere interpellato un ineslemen, cioè qualcuno che appartenenga alla classe dei religiosi.

    Per quanto riguarda la prima categorie di affezioni, esse sono spesso oggetto di classificazioni ulteriori, che sono state studiate in particolare da B.Fiore fra i Tuareg del Mali (18), dove ad esempio tutta la patologia viene nettamente distinta in "fredda" e "calda", con varie conseguenze terapeutiche. Presso quasi tutte le confederazioni vige una classificazione meno rigida, che riconosce ad esempio alcune malattie come prodotte da cattive abitudini alimentari (amaghres) ed altre da sottonutrizione (iba-n-mesiwan); essa divide le malattie dovute al caldo eccessivo (takussè) da quelle provocate dal freddo intenso (tasendé) e dal vento (adu),   mentre all'umidità vengono direttamente attribuite le otiti, le cefalee, la tosse, il male alle ossa e molte altre affezioni. L'isolamento precedente all'invasione europea ha fatto sì che tutte le tribù disponessero di una farmacopea vegetale estesa e tramandata come si è detto a livello femminile. Pozioni composte da erbe diverse, succhi e farine di bacche, radici seccate e frammentate (21,28) vengono somministrate in forme e dosi specifiche in tutte le immaginabili patologie sia gastro-intestinali; analogamente, pomate protettive e curative che si ottengono mescolando prodotti vegetali a burro e latte vengono usate nelle affezioni cutanee e nelle ferite. Mentre bagnoli di sale e latte sono impiegati nelle congiuntiviti traumatiche, le affezioni delle vie aeree vengono trattate facendo respirare al paziente vapore di acqua bollente contenente semi e pepe rosso e cauterizzazioni al petto sono meno razionalmente imposte nei casi di tosse insistente.  Per quanto riguarda questa categoria di malattie "naturali", la presenza prolungata di sanitari europei nelle oasi maggiori, la creazione più recente di piccoli dispensari e la presenza di qualche infermiere anche in zone più isolate, hanno consentito l'accettazione da parte dei Tuareg di alcune terapie razionali e l'impiego di taluni farmaci essenziali quali l'aspirina, gli antibatterici e gli antispastici.

    Si è detto che la terapia medica spetta alle donne: spesso gli uomini della famiglia danno prova di abilità in alcune circostanze traumatiche, come la sutura sommaria di ferite e l'immobilizzazione di arti frattu­rati. Fra di loro ve ne sono che hanno reputazione di esperti per quanto riguarda affezioni tipicamente locali, come per esempio la presenza pulci penetranti sub-ungueali o di ascessi da filaria (dracunculus medinensis), nei quali ultimi eseguono l'estrazione completa dalle lesioni cutanee delle gambe dei parassiti, avvolgendoli gradualmente su un bastoncino secondo una tecnica ben nota in Africa tropicale.        

    Del tutto diversa è la situazione per quanto riguarda quelle che i Tuareg definiscono "malattie straordinarie" e ritengono causate da contatto con esseri malevoli soprannaturali: in questi casi - spesso si tratta di malattie psicosomatiche o neuropsichiche vere e proprie - molte capacità vengono ancora riconosciute a persone in reputazione di religiosità od appartenenti come si è detto alla specifica classe sociale. Questi ricorrono alla meditazione, alla preghiera ed anche ad esorcismi: è molto difficile dare un giudizio su tutta la problematica, in quanto la particolarità delle manifestazioni cliniche e l'ombrosità dei terapeuti tende ad escludere ogni intromissione.

     La libertà dei costumi femminili pre-matrimoniali, la consapevolezza del rapporto amplesso-gravidanza, il numero limitato - almeno per quello che si è riusciti a sapere - dei figli illegittimi e degli aborti, sono tutti elementi che hanno fatto ritenere che siano conosciute ed efficaci delle vere metodiche anticoncezionali: anche se a domande precise in argomento viene talora risposto maliziosamente che la protezione è dovuta all'uso di filtri magici. Con l'aiuto di un amuleto protettivo per gravidanza e parto, le donne coniugate portano la loro condizione come simbolo nobilitante, mentre  le sterili  usano pregare  accanto ai sepolcri di qualche sant'uomo islamico o - più spesso - portano offerte a spiriti non meglio identificati, che si immagino reperibili come si è detto presso le tombe preistoriche, cosiddette preislamiche.

    Il parto viene affrontato in ginocchio; le Targhie di tribù nobile usavano un tem­po rifiutare ogni aiuto e dare alla luce il figlio da sole, fuori dall'area abitata; negli altri livelli sociali l'assistenza viene comunque prestata soltanto dalla madre e da qualche anziana esperta. Al neonato di alcune tribù viene fatta assag­giare la polvere amara del tamarindo, quale simbolo delle difficoltà della vita, poi quella dolce del dattero, perché la vita può essere anche buona. Mentre la mortalità neonatale rimane elevata, la patologia del puerperio è abbastanza ridotta; la donna  per tradizione viene nutrita abbondantemente "perché il suo ventre si è vuotato".

 

 

4 - I TUBU

a - Notizie generali

    La seconda popolazione sahariana della quale ci occupiamo in questa sede è quella dei Tubu, che costituiscono una etnia abbastanza omogenea con abitudini caratteristicamente nomadiche o meglio semi-nomadiche, che ha le sue basi nel Tibesti (3,4,5,10,12,20,23). E' questa una imponente area montuosa situata nel Sahara orientale, ove costituisce la parte più settentrionale della repubblica del Ciad, con una propaggine in territorio libico. La sua origine è vulcanica e le sue dimensioni sono notevoli: ha una superficie di 100.000 chilometri quadrati, cime vulcaniche che  superano i 3000 metri ed altopiani di lava solidificata ad oltre 2500 metri di quota. L'attività vulcanica continua in sordina e infatti sorgenti termali calde sussistono in varie zone. Le sole aree davvero abitabili del Tibesti sono alcune lunghe vallate dove scorrono delle acque stagionali  e lungo le quali passano le poche piste. Le oasi più vicine al Tibesti sono Kufra in Libia e Faya nel sud, che distano oltre seicento chilometri dal piede estremo delle montagne.

    L'isolamento determinato dalla situazione geografica delle loro basi ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenere immutate caratteristiche fisiche e abitudini di vita degli abitanti: i Tubu infatti - anche se conoscono oggi una estesissima area di nomadizzazione - vengono considerati "una etnìa fossile vivente". Alti e magri, con fisionomie di tipo mediterraneo, naso sottile e capelli lisci od ondulati come i Tuareg, a differenza di questi hanno cute assai scura; e mentre hanno gruppi sanguigni di tipo nord-africano, la loro lingua è di tipo nilotico-sudanese. E' opinione corrente che essi siano il risultato ormai stabilizzato di una commistione di razze avvenuta moltissimi secoli fa e secondo una recente ipotesi potrebbero addirittura essere i discendenti di una popolazione neolitica stabilitasi in Tibesti alcune migliaia di anni fa.

   Le conoscenze ancora oggi relativamente scarse che si hanno riguardo ai Tubu dipendono sia dalle poche notizie che si trovano in proposito nei documenti arabi, sia dal fatto che ben pochi Europei sono penetrati in Tibesti prima dell'occupazione coloniale, sia per le particolari difficoltà offerte dal terreno sia per l'ostilità preconcetta manifestata dagli abitanti. La stessa presenza coloniale - francese nella

parte meridionale e centrale del massiccio, italiana nella parte settentrionale - è stata di fatto completata solo intorno al 1930: l'atteggiamento degli occupanti - di preparazione per lo più non elevata - fu di totale sottovalutazione nei riguardi della cultura locale, talmente “diversa” da non essere neppure sospettata di un qualche valore. Ne risulta che soltanto dopo la decolonizzazione, negli ultimi decenni, un approfondimento antropologico è stato attuato: e sarebbe ancora in corso, se le vicende politiche non lo rendessero a tratti assai difficile.

   Caratteristica primaria dei Tubu - che sono monogamo - è un individualismo esasperato si manifesta in ogni occasione, anche la più estrema: la carovana che affronta per più giorni passaggi desertici privi di qualsiasi punto di appoggio e ristoro è spesso formata da due, al massimo tre individui e da pochi cammelli. Coerente con tale atteggiamento è il fatto che l’unico elemento di coesione interpersonale è rappresentato dallo stretto nucleo familiare, dato che l'appartenenza al clan, altro legame tradizionale di un certo valore, è ben lontana dall’avere i risvolti che comporta l'appartenenza alla tribù ed alla classe sociale presso i Tuareg. Il clan è soltanto un "gruppo di  famiglie,  discendenti  per  filiazione patrilineare  da  un  antenato  comune"; l’appartenenza ad esso comporta un legame  indelebile di tipo morale acquisito per nascita. Il clan non ha un capo, ma gli appartenenti si riconoscono, anche attraverso grandi distanze spazio-temporali, in un patrimonio comune, rappresentato dal "nome" e da un soprannome particolare del clan, dal marchio di proprietà del bestiame, da taluni diritti  territoriali ed infine da una o più "interdizioni" particolari. Si ricorderà infine che le sole occasioni di riunione dei membri del clan sono date dalla partecipazione ai sacrifici (sadaga), retaggio dell'epoca pre-islamica, con i quali i Tubu celebrano matrimoni, nascite, morti, seminagioni, raccolti e implorazioni di pioggia.

     La religione "ufficiale" dei Tubu è  sicuramente islamica soltanto da un secolo circa ma rimane un fatto almeno relativamente formale. Se è vero  che il nome di Allah viene spesso invocato, che le feste religiose sono ricordate, che l'inumazione delle salme avviene oggi nella posizione prescritta, è anche vero che il pellegrinaggio alla Mecca è poco comune, l'osservanza del ramadan è discontinua e le interdizioni alimentari sono per lo più quelle del clan di appartenenza: e il vino di palma è proibito soltanto là dove non lo si trova. Per contrasto, i giuramenti si pronunciano sul nome o simbolo del clan  e non sul Corano; tutti credono nell'esistenza di spiriti invisibili più o meno benigni che albergano nelle rocce come nell'aria e nell'acqua, negli alberi e negli animali;  ogni individuo ha più anime, una per ogni principale parte del corpo, ma è la dipartita di quella del respiro che il momento della morte; ed infine, le anime dei defunti continuano a frequentare le loro sepolture, presso le quali i Tubu celebrano piccoli rituali di commemorazione che ricordano le libagioni degli antichi culti mediterranei.

                                                                                               

b - L'igiene

    Una particolare attenzione nella pulizia personale, delle abitazioni e degli strumenti della cucina - che "vengono sterilizzati" con il fumo del focolare - dimostra una tendenza che è propria dei Tubu e che li differenzia nettamente delle

altre popolazioni sahariane (10,12,33). Le abluzioni sono di fatto giornaliere - almeno nei mesi non freddi - e le donne le praticano anche dopo i rapporti sessuali ed ogni volta che il loro ciclo mestruale lo richiede; inoltre,  quando la stagione non è troppo rigida, è frequentissimo vederle appartate in vicinanza dei pozzi intente a lavaggi più accurati, mentre grandi quantità di tele e vesti sono distese ad asciugare. Ovviamente, d'inverno e quando il vento soffia gelido la pulizia personale si riduce per la poca disponibilità dell'acqua, che deve essere trasportata dal pozzo, che spesso non è vicinissimo, fino alle tende: in queste situazioni  prevale la tendenza a proteggere la pelle dalle screpolature mediante preordinati massaggi con burro o grasso ovvero con il mantenere unte le dita dopo i pasti. Delle sostanze grasse ci si serve inoltre per proteggere i capelli dagli eccessi del clima, sia estivo che invernale, che li renderebbero fragili.

     L’interno delle capanne è ordinato, oltre che pulitissimo;  spesso uno strato di sabbia isola l'interno dal nudo terreno e gli oggetti di arredamento e di proprietà sono disposti secondo uno schema sempre uguale e funzionale, mentre non vi è traccia di rifiuti. Anche in rapporto con tutto questo, poichè la situazione ambientale ed il clima comunque asciutto  non favoriscono lo sviluppo di germi patogeni, sono  meno gravi e frequenti che in altre zone anche non sub-tropicali le patologie infettive in genere. L’igiene e la cura della persona - che contrastano almeno negli uomini con una scarsa eleganza nel vestire - non possono comunque impedire del tutto lo svilupparsi di alcune malattie favorite dalla povertà, dal freddo e dalla scarsa nutrizione, che sono in linea di massima le stesse delle quali soffrono gli abitanti delle altre regioni desertiche.

 

c - Le terapie

    E' bene precisare che ai Tubu, isolati nelle loro montagne, è mancato sempre  - e probabilmente anche nel breve periodo coloniale francese ed italiano - qualsiasi razionale presidio sanitario che non fosse del tutto fortuito. Anche durante la guerra libico-ciadiana, l'opera dei pochi infermieri militari non sembra aver portato sostanziali contributi di conoscenza, mentre attualmente anche nelle piccole guarnigioni permanenti si rileva una sistematica carenza di reali mezzi terapeutici. La presenza di soggetti cui venga riconosciuta una particolare santità - e che di riflesso sarebbero dotati di eventuali competenze mediche - viene talora ricordata ma non è stata mai constatata dagli osservatori europei: l'islamismo abbastanza superficiale e la povertà fanno sì che il credito dei "religiosi" di professione - come quello di coloro che vantano di aver compiuto il viaggio alla Mecca - sembra assai ridotto. Infine, taluni "fabbri" che a quanto pare conoscerebbero le malattie e pretenderebbero di poterle curare, non sembra riscuotano alcuna fiducia. In sintesi, la medicina tradizionale praticata a livello famigliare sembra essere davvero la sola disponibile, ma a differenza di quanto si è constatato in territorio tuareg non sembra esista (12) una distinzione chiara fra le malattie ritenute organiche e quelle di origine malefica: inoltre, la quasi paranoica diffidenza e riservatezza dell'etnìa comporta che  il limite fra le terapie in qualche modo razionali e quelle non qualificabili come tali sia di difficile identificazione, così come del resto non sono chiari i risultati dei trattamenti (9,10,12,33). 

     Per le malattie da raffreddamento è rimedio tradizionale la respirazione del vapore - comune ai Tuareg - cui i Tubu associano però in genere l'assunzione di una zuppa bollente di cipolle e pomodori con pepe rosso e polvere di scorza d'acacia. La masticazione di un pezzetto di nguru - il "cyperus rotundus", particolarmente profumato - favorisce l'espettorazione, mentre contro la tosse insistente si attuano anche qui delle cauterizzazioni del petto e del dorso. Nelle mio-artro-reumatalgie si praticano massaggi con sostanze revulsivanti o con grassi animali, mentre è abituale la frequentazione delle fonti termali di Yi Yerba, Yebbi Bu e Gossorom che hanno reputazione di grande efficacia. Le frequenti affezioni oculari, per lo più  congiuntiviti di origine  traumatica, vengono trattate con bagnoli di acqua e sale e talora con salassi alle tempie.

    Analogamente a quanto si è detto per il mondo Tuareg, la farmacopea tradizionale non era evidentemente preparata ad affrontare le sofferenze gastroduodenali di origine psicosomatica, delle quali forse si ignorava fino a qualche decennio fà anche l'esistenza. Per le coliche in genere, si ritiene sia efficace il cervello di capra bollito con burro; inoltre, almeno in passato, taluni dolori addominali venivano trattati avvolgendo il sofferente con pelli di animali appena uccisi. Per quanto riguarda invece  tutti i disturbi di genere dissenterico, specialmente se dell'età infantile, essi sono da sempre trattati con decotti, l'antica  ricetta dei quali è assai diffusa fra le anziane, che vengono somministrati con molta disinvoltura e competenza ed i risultati dei quali vengono definiti localmente molto positivi.

    La presenza della malaria anche nello Djado da loro frequentato, oltre ai contatti carovanieri con le regioni dove la malattia è diffusa, fanno sì che i Tubu - come i Tuareg - siano in grado di riconoscerne i sintomi: il chinino è uno dei pochi farmaci che sia spesso disponibile anche nel bagaglio del più povero dei cammellieri, mentre non si è identificato alcun rimedio tradizionale specifico di precedente impiego, probabilmente perché la malaria stessa non era specificamente riconosciuta.  In tutte le malattie con manifestazioni cutanee i Tubu fanno largo uso di varie pomate, commiste di grasso animale e soprattutto tannino; quando si tratta di malattia esantematica, vaioloide o varicella, si fa bere al malato un infuso di kidi yeskou ("heliotropum undulatum") misto a succo di limone. Per il mal di denti, vengono usate sia le suffumigazioni con capperi spinosi sia gli impacchi diretti con una pasta di  grani di "amaranthus" bolliti in acqua.

   Anche in Tibesti non è facile sapere qualcosa delle malattie sessuali, anche se  l'infuso di ayagano ("solenostemma argol") è noto come rimedio per la blenorragia.   Di assai difficile rilievo sono naturalmente tutte le problematiche ginecologiche, data la particolare riservatezza delle donne; quali che ne siano le cause,  è indubbio che le patologie della gravidanza e del parto conoscano incidenze elevate, che si possono facilmente desumere in particolare dalla  mortalità neonatale, collocabile nelle medie dei paesi meno sviluppati.

     Varie erbe, fra le quali è indispensabile l' "artemisia judaica", trovano frequente impiego, come nelle ustioni e nelle punture di insetti, mentre per i morsi  delle vipere si applica un laccio a monte della lesione, a livello della quale si pratica un taglio profondo per ottenere una buona emorragia; contro le lesioni da scorpioni viene impiegata la "giesekia pharnoroides", sfregata sulla pelle e posta anche negli interstizi delle abitazioni per difenderne l'accesso. Per quanto riguarda infine le lesioni traumatiche vere e proprie, l’abitudine a trattare quelle degli animali comporta una certa abilità manuale: i Tubu sanno eseguire correntemente senza anestesia ma con buoni risultati - probabilmente favoriti dal clima arido e dalla luce solare che esercitano una efficace azione antibatterica - suture di ferite superficiali anche coinvolgenti  muscoli e tendini, nonchè immobilizzazioni di arti fratturati. E' stato osservato come in casi di frattura aperta, anche della volta cranica, i frammenti ossei e le parti tegumentali offese vengano rimossi e la ferita ben lavata venga lascia scoperta - anche se protetta da un velo leggero contro le mosche - ed esposta per quanto possibile al sole, fino a guarigione. Analoga disinvoltura si osserva nell'incisione anche profonda di ascessi e flemmoni, intesa ad ottenere l'eliminazione di tutto il materiale infetto ed eventualmente necrotico, quasi fosse noto il principio ippocratico.

 

 

5 - I PEUL BORORO O WODAABE

a - Notizie generali 

      I Fulbè o Fulani o Peul sono presenti in molteplici diverse tribù in tutto il Sahel, dal Senegal al lago Ciad: la loro origine rimane discussa e le teorie formulate al riguardo sono state spesso fantasiose (15,16,35,36). Di fatto si presentano come etnia  uniforme: che in talune aree ha subìto commistioni di sangue, in altre è  rimasta esente da meticciamenti, come per molto tempo i Tubu del Tibesti. Questa  sorte nettamente caratterizza i Peul Bororo detti Wodaabe, che per spirito ed abitudini  sono i più vicini ai grandi nomadi sahariani, mentre si differenziano dagli altri Peul, che li definiscono sprezzantemente "Woodabe", cioè gli scacciati. Questo, in quanto non hanno a suo tempo partecipato alla Jihad o guerra santa di Usuman Dan Fodio  nel XIX secolo: e avendone rifiutato l'integralismo, da allora praticano un islamismo moderato, talora addirittura ritornando ai culti che erano propri dei loro antenati.

     I Wodaabe sono per numero il secondo dei gruppi etnici del territorio nigerino: attualmente, specialmente a seguito delle grandi siccità dei decenni trascorsi, si distinguono in stanziali - presenti fra Tahoua, Agadès ed In Gall - ed in nomadi veri e propri, dispersi al limitare nord della savana saheliana. Seguendo un antichissimo costume (15,16,36), questi ultimi si spostano incessantemente, armati di spada, di pugnale, di arco e frecce, con il bastone tradizionalmente posto di traverso sulle spalle dietro la nuca. Molti rifiutano le vesti di tela di tradizione arabo-islamica, cui preferiscono le antiche acconciature in pelle, considerate barbare dai buoni mussulmani. Li seguono dappresso le vacche dalle grandi corna, poi in carovana qualche capra e cammello, alcuni asini ed un bue portatore del minimo bagaglio, rappresentato essenzialmente da pochi utensili da cucina, dai secchi di cuoio per trarre l'acqua dai pozzi e delle grandi o piccole conche fatte di mezze zucche dette calebasses; ultime vengono le donne, con carichi misteriosi sulla testa e bambini sul dorso, con altri bambini piccoli accanto, in fila silenziosa. 

    I Wodaabe, detestando i legami, i recinti ed ogni forma di limite - cui contrappomgono la libertà dei grandi spazi e di una vita errabonda - sono di necessità assai sobri. Grazie al latte ed ai suoi derivati possono soddisfare tutte le necessità alimentari giornaliere e solo in stagione secca - quando l'erba per gli animali è scarsa o inesistente e le vacche sono paurosamente magre - si rassegnano a mangiare un poco di miglio. Per gli acquisti indispensabili, si servono della vendita di qualche capra: il patrimonio in bovini - capitale assoluto di valore sociale - viene alienato soltanto per situazioni gravi, in quanto la coesione e la sopravvivenza tribale dipendono dalla conservazione di tale patrimonio. Ne deriva l’aspetto più particolare dell’economia delle famiglie le quali, pur possedendo capitali enormi in animali, in realtà ne traggono soltanto uno scarso vantaggio economico. La dieta che seguono contribuisce indubbiamente alla loro figura snella ed elegante; Marguerite Dupire, la maggiore studiosa dei Peul, li descrive così: "L'aspetto dei Wodaabe è assai caratteristico e può essere definito europoide. Hanno viso allungato, ovale, lineamenti fini ed eleganti, capelli ondulati e non crespi, orecchie grandi, colorito ramato chiaro. La loro architettura corporea - ossatura, muscolatura, proporzioni - determina una linea, degli atteggiamenti ed una andatura particolari - che sono loro propri e non hanno paragoni”.

   In effetti, il Wodaabe è caratterizzato dai movimenti lenti ed aggraziati, dall’espressione austera e come distaccata, dalla camminata sciolta; le donne anch’esse hanno atteggiamenti morbidi e di naturale distinzione, che simboleggiano un aristocratico distacco, non disdegnoso ma sicuramente dimostrativo di una certa coscienza di sè. Misura di questo comportamento è l'abituale estrema riservatezza. Il padre, coricandosi per ultimo alla sera ed alzandosi per primo al mattino, evita che gli altri della famiglia sappiano con quale delle sue donne ha passato la notte; i pasti non vengono mai consumati in pubblico ed è assai poco elegante parlare di cibo; analogamente, il Wodaabe non vanta mai il numero dei propri animali né rivela i percorsi che ha conosciuto ed ancor meno la propria destinazione.

    La stratificazione sociale dei Peul in genere non è così chiaramente eviden­te come quella dei Tuareg. Marguerite Dupire dice testualmente che «i tipi di re­lazione fra  individui sono asimmetrici e gerarchizzati» e che «nella sua generazione ogni individuo diventa superiore ai fratelli e sorelle mino­ri, ai cugini e cadetti paralleli, come ai figli delle zie materne». Sem­brerebbe così che le suddivisioni sociali in aristocratici, liberi e servi siano più attenuate in quanto inserite in un più importante sistema di caste. Le caste stesse sono in realtà presso tutti i Peul orientali, dei quali i Wodaabe fanno parte, basate sull'organizzazione del lavoro e del­la collocazione nello spazio sia dei giacigli nell'accampamento, sia delle abitazioni nel villaggio stanziale: secondo un codice rigido, la gerar­chia sociale sembra trarre la maggiore influenza dagli elementi di pa­rentela che alle caste stesse sono collegati. La solidarietà del gruppo migratorio è d'altra parte di tipo volontario, il capo che mantiene i rapporti con l'esterno è un primo "inter pares", il tutto si basa su una residenza attuale e su un passato migratorio comune.

     Le stagioni del nomadismo dei Wodaabe hanno un ritmo immutato da secoli, con alcune occasioni particolari di riunione delle famiglie, che sono interruzioni provvide dell’isolamento:  in tali occasioni biannuali dette gerewol l'appartenenza al gruppo tribale viene riconfermata, si celebrano i fidanzamenti ed i matrimoni, ma soprattutto si ha l'occasione di una grande libertà reciproca dei già coniugati: ed in effetti, sembra che durante i giorni del raduno l'erotismo dei Wodaabe sia molto vivace fino ad essere esasperato. Durante il gerewol, inoltre, si svolgono combattimenti con bastoni e soprattutto concorsi di bellezza maschile, dato che il culto della virilità ma anche dell'estetica personale è un altro elemento distintivo dell'etnia: i canoni relativi sono talmente accettati che alcuni gruppi tribali arrivano a riconoscere ad altri una superiorità quando sia evidente in loro un maggiore accostamento ai canoni stessi.

 

b - L'igiene   

   Le informazioni delle quali disponiamo relativamente all'igiene personale dei Wodaabe sono a tutt'oggi piuttosto scarse (15,24). La quasi ininterrotta migrazione da un pascolo all'altro in aree non ricche di acqua consentirebbe di supporre che la pulizia individuale non sia eccezionale: poichè però ogni sosta avviene di solito vicino ad un pozzo, dato che il bestiame deve essere abbeverato, è ovvio che quando si sia adempiuto questo compito primario una certa quantità di acqua resti disponibile per gli usi del vicino accampamento provvisorio. L'accampamento stesso, del resto, è rigidamente strutturato in pianta, con un'area maschile ad ovest ed una femminile ad est, divise da una corda stesa da nord a sud cui si possono legare le vacche. Nella parte riservata alle donne si creano delle piccole zone separate, delimitate sommariamente da cespugli spinosi, che sono ostacolo facilmente superabile che serve da frontiera fra lo spazio abitato e quello degli spiriti misteriosi della notte esterna; soltanto raramente, in periodo invernale, le donne costruiscono per se ed i più piccoli delle rudimentali e del tutto provvisorie capanne di frasche. E' fatto interessante comunque che all'interno degli spazi femminili gli oggetti di proprietà siano disposti secondo un ordine costante, incentrato sui due letti, uno dei quali serve sostanzialmente per mantenere sollevate dal suolo le masserizie, i recipienti e qualche indumento, oltre che per far dormire i bambini più piccoli.

   Tornando all'impiego dell'acqua, si deve ricordare che i lavaggi personali sono parte integrante di alcuni rituali di preparazione ritenuti essenziali in alcune circostanze della vita sia individuale che comunitaria. Tipico il caso del giovane che si propone di far visita alla donna desiderata o con  la quale è già in rapporto; la sua toeletta richiede che all'acqua preparata nella calebasse vengano mescolati pimento nero di Guinea, erbe profumate e natron rosso; seguiranno dei suffumigi ottenuti spruzzando acqua su un braciere nel quale sono stati posti grasso di agnello e varie foglie di piante accuratamente selezionate. Anche la lotta con i bastoni, che fa parte delle celebrazioni stagionali del gerewol richiede una preparazione con abluzioni ripetute, isieme all'assunzione di un infuso di tabacco, corteccia di euforbia nonché varie erbe e radici, che permetteranno di sopportare il dolore e dimostrare il proprio coraggio. Si deve infine ricordare come molte norme ed interdizioni alimentari, specialmente quelle che riguardano i bambini,  abbiano a che fare con l'igiene (24).

 

c - Le terapie

     Ancora più che presso i Tuareg ed i Tubu, la malattia viene spesso considerata dai Wodaabe il risultato di incantesimi da parte di spiriti malefici o di malocchio ad opera di nemici (14,15,16): ne deriva che una sorta di prevenzione viene esercitata con l'uso di amuleti specifici, assimilabili ai gri-gri di largo uso fra gli altri nomadi. Alcuni di tali amuleti sono peraltro pittorescamente innovativi, come il piccolo frammento di vecchio pneumatico legato ad una caviglia per evitare i morsi dei serpenti. La superstizione ha anche altre manifestazioni particolari: ogni Wodaabe spacca in due la scapola dell'animale comunque da lui ucciso - sia esso la capra o un selvatico - per non fornire al nemico eventuale una tavoletta per sortilegi ai suoi danni (14).

    La pratica della medicina più semplice - che è appannaggio del singolo capo-famiglia - comporta comunque molti rimedi che hanno una base razionale. Tipico è il possesso da parte di ogni nomade di una scorta importante di erbe, foglie, semi e radici detta magani, che vengono impiegati per la cura sia dei famigliari che delle preziosissime vacche (14,22,28,34). Anche le donne posseggono spesso una loro scorta di magani che portano in un lembo arrotolato della veste. L'uomo è sempre in grado comunque di trattare abbastanza razionalmente le ferite, ustioni, lesioni da parte di animali che derivano dalla vita nomade, ma ogni atto terapeutico viene accompagnato da formule specifiche di scongiuro. Dei guaritori di professione, detti bokaddo, vengono comunque consultati di tanto in tanto, così come dei soggetti con fama di religiosità, specialmente in relazione a fenomeni con base nelle superstizioni: e le terapie lasciano largo spazio in tali casi a rituali di tipo esorcistico. E' il caso delle sterilità  femminile, trattate con varie formule magiche pronunciate nell'accompagnare l'assunzione da parte della donna di un infuso preparando una mescolanza di scorze di baobab, cenere ed almeno un uovo di uccello (14).  

    Nelle circostanze create dalla vita nomade, i Wodaabe fanno largo uso di scarificazioni e cauterizzazioni; per i morsi di serpenti praticano incisioni anche profonde, onde ottenere buone emorragie locali. La cicatrizzazione delle ferite - così come quella delle circoncisioni cui i maschi vengono sottoposti in età per-pubere - viene favorita con applicazioni di polvere di sabbia fine. Molto popolari per varie affezioni sono delle ventose dette ampul, preparate con un corno di montone (27). Sui gonfiori da trauma vengono applicati decotti bollenti di "acacia rabdiana" e latte (28), mentre i reumatismi si curano con massaggi con sabbia calda. Nelle malattie da raffreddamento è molto usato un infuso di "tamarindo", nei disturbi intestinali una bevanda che contiene sale e natron rosso - preferibilmente di Bilma - per la malaria un diverso infuso con scorza di "acacia rabdiana" bollita nel latte. E' bene ricordare comunque che ogni trattamento terapeutico, per quanto razionale e sperimentato possa essere, non verrebbe mai considerato dai Wodaabe se non accompagnato da formule ed enunciazioni tradizionali.   

 

6 - COMMENTO E CONCLUSIONE

     Pur appartenendo ad etnie dissimili, strutturate in società non assimilabili,  Tuareg, Tubu e Peul Wodaabe - che per inciso si rispettano reciprocamente, riconoscendo gli uni agli altri l'appartenenza "ad una razza nobile" - hanno derivato dall'ambiente in quanto nomadi e seminomadi sahariani e saheliani condizioni di vita abbastanza simili. Non fanno eccezione a questa affinità le patologie delle quali essi soffrono e le circostanze che le favoriscono, in particolare climatiche ed alimentari. Una sostanziale iniziale differenza che l'osservatore esterno può notare, in relazione al problema sanitario, è data dall'estrema attenzione alla pulizia personale, delle abitazioni e degli strumenti propria dei Tubu, che contrasta con i costumi più trascurati delle altre due etnìe. D'altra parte, ad una ricerca più approfondita - favorita peraltro da una buona bibliografia sull'argomento - si rileva facilmente come i Tuareg dimostrino una più estesa conoscenza dei problemi della salute, in  base ad una classificazione delle malattie e ad una più elaborata farmacopea. Sia i Tubu che i Wodaabe, peraltro molto preparati ad affrontare le lesioni traumatiche, sembrano meno edotti sulle affezioni di altro tipo, che specialmente da questi ultimi vengono affrontate con larga applicazione di esorcismi ed enunciazione di formule di tipo magico.

   In assenza di presidi sanitari mirati di tipo occidentale, sia i Tuareg che i Tubu ed i Wodaabe impiegano una singolare combinazione di rimedi offerti dalle circostanze - evidentemente razionali anche se semplici - con pratiche di dubbio valore logico: è peraltro assai difficile comprendere quanta parte abbiano magia e superstizioni nel campo della malattia in genere. Le scelte terapeutiche avvengono quasi sempre a livello famigliare e meno frequente è il ricorso ad individui che traggano una qualche reputazione sanitaria da situazioni non strettamente specifiche, quale può essere l'alone di religiosità conferito dall'aver compiuto il pellegrinaggio alla Mecca; presso i Tuareg,   comunque, la presenza di veri  "esperti locali"  che conoscano la medicina tradizionale è comunque meno rara che presso i Tubu ed i Wodaabe.

   Come conseguenza della complessità del problema, non è un caso che una delle poche figure occidentali che gode di qualche prestigio sia presso queste etnìe quella del medico, il tubib, così come del resto spesso avviene presso le più orgogliose popolazioni africane. Ne deriva una pronta accettazione dei rimedi offerti da occasionali visitatori con qualificazione sanitaria, cui viene accordata piena fiducia:  circostanza questa che rende certamente maggiore la percezione della propria insufficienza che ogni medico che sia cosciente dei propri limiti  non può non provare nel porgere il proprio modesto aiuto in circostanze spesso drammatiche. A tale percezione si associa spesso una sensazione di inadempienza e di diserzione morale, quando le forzate circostanze lo distaccano dai luoghi e dalle persone che hanno creduto per un momento in lui. 

 

 

 

SUMMARY

HYGIENE AND MEDICINE OF SAHARAN NOMADIC TRIBES: TUAREG, TUBU   AND  PEUL WODAABE (WODAABE) COMPARED.

  Environment, climate and habits of many saharan nomadic and partially nomadic tribes are similar: and diseases they suffer from are consequently similar. An outline is presented of three of these tribes, Tuaregs, Tubu and Peul Wodaabe, the most interesting because of their historical and anthropological features. The first are mainly settled in the mountain ranges of central Sahara (Tassili, Hoggar, Iforas and Air) and in the huge plain at the north of the Niger river. The Tubu people are originally from the Tibesti mountains, but are now spread farther afield and tend to be found in small number in other areas of Tchad and in oases of eastern Niger desert. The Peul Wodaabe are totally nomadic along the border between South Sahara - in the Niger Republic territory - and the correspondent sahelan plains. The medical system that these tribes developed before the colonial presence is a mixture of logic and effective practical conduct with supertitious and ineffective spells. The use of natural drugs and the treatment of  traumatic events are similar, but the hygienic customs are totally different. 

 

 

 

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