L’ERRORE E IL DUBBIO NELLA PRATICA MEDICA
IL DUBBIO COME PARAMETRO VIRTUOSO IN MEDICINA
Bruno Domenichelli *
* Cardiologo. Direttore della rivista Cardiology Science
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L’errore è sempre in agguato nella pratica clinica. Ippocrate afferma che: “l’esperienza è fallace, il giudizio difficile”. Fin dalla preistoria della medicina, i grandi del pensiero medico configurano il dubbio come elemento costitutivo inscindibile della pratica medica. Ippocrate aggiunge che: “la vita è breve, l’arte è lunga”. Già la medicina ippocratica era consapevole che, benché limitata, la vastità dello scibile medico del tempo era comunque sproporzionata alla durata della vita di un uomo.
Ippocrate afferma infatti: “E’ un’impresa difficile acquistare conoscenze tanto esatte da sbagliare di poco… ed io son disposto a lodare altamente quel medico che sbaglia poco”. Parole che già sottolineano alcune delle caratteristiche necessarie al medico nella sua pratica quotidiana: un atteggiamento di umiltà di fronte alla conoscenza, il timore di sbagliare, la necessità anche psicologica del compromesso.
Il medico e il dubbio filosofico
Che un buon medico dovesse essere non solo phisicus, ma anche philosophus lo aveva già compreso Galeno: “Quod optimum medicus sit quoque philosophus”. Lo stesso Ippocrate afferma: “Iatros philophos isotheos”: il medico che si fa filosofo diventa pari ad un dio.” (1).
Il dubbio è strumento di conoscenza anche per Mosè Maimonide, medico e filosofo del XII secolo, di cui si disse che trasformò l’incertezza in principio di salute dell’anima” (2). Scrive infatti Maimonide: “Avevo pensato in un modo perché mi ero fidato di quanto era stato scritto da altri, ma poi sono ritornato sulla questione, l’ho compresa meglio e ho capito che le vecchie idee dovevano essere respinte e così ho fatto”.
Ancor oggi, lo scetticismo è considerato “una delle forze motrici dietro la maggior parte delle teorie filosofiche più importanti dal tempo dell’antica Grecia ad oggi, tanto da far parlare in filosofia di dovere del dubbio” (3-4), un illuministico “scetticismo costruttivo” che è tipico della mentalità empirica e scientifica (5).
Il dubbio come strumento di conoscenza e di autocoscienza
Così Platone si rivolge a Socrate: “O Socrate, avevo udito, prima ancora di incontrarmi con te, che tu non fai altro che dubitare e che fai dubitare anche gli altri: ora, come mi sembra, mi ammalii completamente, così che sono diventato pieno di dubbio.”
Il dubbio, come parametro costitutivo dell’intelletto è alla base di ogni ricerca di verità, atteggiamento mentale virtuoso sulla via della conoscenza: Dubito ergo sum. (6)
Una fiducia eccessiva nei traguardi raggiunti dalla scienza è viceversa sclerosi dell’intelletto. La dinamica della vita è susseguirsi di punti di partenza dai quali ogni volta prendere lo slancio per nuove esplorazioni.
Il progresso medico e l’errore in medicina
Il progresso medico sta vivendo oggi il suo periodo più esaltante. Ma nel contempo si parla di crisi della medicina. Spersonalizzazione dei rapporti con il malato, estensione esponenziale dello scibile medico, complessità dei sistemi sanitari, con relativa riduzione dei tempi dedicabili all’assistenza, carenze di risorse economiche, costituiscono il terreno favorevole per il fenomeno apparentemente paradossale del diffondersi dell’errore in medicina. Luci ed ombre della medicina.
Anche ai tempi di Asclepio, il limite fra soma e psiche, fra realtà e sogno non era facilmente definibile.
Gli errori ospedalieri
I dati attuali sugli errori ospedalieri assumono valori impressionanti. Le attuali statistiche statunitensi stimano ad esempio fra 44.000 e i 98.000 gli eventi mortali annui per errori ospedalieri (7). La percentuale di eventi avversi iatrogeni ospedalieri si aggira fra il 3 e il 10 % e l’80 % di essi sono evitabili (8).
“Si calcola che in Italia quasi il 4 % dei ricoveri sia gravato da un errore, il quale una volta su dieci ha conseguenze mortali” (9).
Salireste su un aereo in cui il 4 per mille dei passeggeri non giungerà vivo a destinazione? Addirittura meno “virtuosi” sarebbero gli ospedali inglesi nei quali i ricoveri con “errore” sono il 10 % del totale. Negli USA i morti dovuti a cause relative alle strutture sanitarie sono quasi centomila all’anno (9).
Un più diffuso senso di prudenza, figlia prediletta del dubbio, farebbe risparmiare solo in Italia migliaia di lutti.
Tipologia dell’errore in medicina
Nella pratica medica, una certa quantità di errori è inevitabile. Secondo Murri (10): “L’uomo che non erra non c’è”.
Il medico può prendere decisioni sbagliate per carenze culturali personali. In questi casi la responsabilità è variabile in rapporto al livello di questa carenza. Esistono cognizioni fondamentali che ogni medico ha il dovere di possedere, altre che sono appannaggio dello specialista. L’errore in questo caso può essere di tipo omissivo e sta nel non aver chiesto l’opinione dello specialista, per presunzione o superficialità.
La storia della medicina ci insegna che la maggior parte delle conquiste del sapere non possono essere considerate definitive. Anche nella cultura medica attuale, l’ Evidence Based Medicine (EBM) comincia a palesare i suoi limiti. Un’eccessiva fiducia sulla certezza della scienza può essere fonte di errori da presunzione intellettuale, errori che solo una posizione di costante umiltà consentirà di evitare, specialmente quando i problemi si addensano al limitare del fine-vita (11).
Altrettanta responsabilità, anche giuridica è da considerare per gli errori basati sulle condizioni che configurano la “colposità” dell’operato del medico e cioè la negligenza, come omissione colpevole di un comportamento dovuto, l’imperizia, quando l’errore è causato dall’incapacità del medico di mettere in atto procedure o comportamenti che richiedono competenze ordinarie, e l’imprudenza, spesso ascrivibile al voler andare al di là dei propri limiti di capacità professionale. Un sano atteggiamento di dubbio dovrebbe precedere ogni atto medico. Entriamo a questo punto nel campo dell’etica della cultura medica, nell’obbligo morale da parte del medico di mettere in dubbio in ogni momento l’adeguatezza del proprio livello culturale e di garantire un continuo aggiornamento professionale.
In molti errori medici ospedalieri entrano come componenti più o meno rilevanti cause ascrivibili alle strutture sanitarie o ai modelli organizzativi, come l’eccessivo carico di lavoro o l’insufficienza degli organici, cause spesso determinanti degli errori da stanchezza o da distrazione, l’inadeguata verifica del livello di competenza dell’operatore da parte dei responsabili delle strutture, i malintesi comunicativi fra operatori sanitari.. Si è stimato che nel 41% dei casi si riconosce nell’errore un difetto a livello della catena organizzativa che gestisce la presa in carico del paziente, la diagnosi e la terapia (12). Errori di trasmissione dell’informazione possono verificarsi fra medici e infermieri al momento della visita in corsia, nelle successive trascrizioni delle prescrizioni, fra reparti di degenza e servizi diagnostici e viceversa.
Gli errori peggiori, non sono forse gli errori “maggiori”, più facilmente evidenziabili, ma “i piccoli e banali errori le cui conseguenze possono però essere disastrose: scambi di radiografie o di prescrizioni, sviste nella compilazione della cartella clinica, imprecisioni o incompletezza nella refertazione, istruzioni malcomprese” (8). Si è stimato che l’errore farmacologico in corsia può arrivare ad interessare una somministrazione su dieci (9).
Il risk management
Per la prevenzione dell’errore ospedaliero sarà compito del sistema mettere in dubbio la propria efficienza e verificare periodicamente la sicurezza dell’assistenza. A questo scopo le più avanzate strutture ospedaliere hanno messo a punto strategie di risk management che implicano l’analisi dei possibili fattori di errore e la messa in atto di misure preventive atte a ridurre la probabilità del verificarsi di errori. Momenti preliminari al risk management sono quelli del risk assessment, con il quale i potenziali rischi sono identificati e quantificati, e che consente di definire la “soglia di accettazione del rischio” (9). L’identificazione di questa soglia consente di non rinunciare a priori “ad attività assistenziali in cui sono presenti dei rischi noti, a patto che si abbia piena consapevolezza della loro esistenza e che si mettano in atto tutte le misure necessarie per evitare che si manifestino” (9).
La storia della medicina dimostra che il progresso medico è spesso basato su atti di audacia non esenti da rischi. Un corretto risk management consente al medico di convivere con questi rischi e di affrontare con serenità etica anche le pratiche mediche più pericolose.
L’errore in positivo e la formazione medica continua
Per il medico che si renda conto di avere sbagliato, l’errore deve essere uno stimolo per coltivare in sé la “cultura del dubbio”.
Per un sistema sanitario più sicuro è necessaria una cultura che consideri l’errore come un’opportunità di migliorare il sistema e prevenire il danno (7). Errando discitur: imparare dagli errori.
Alcuni ospedali hanno fatto di tale opportunità uno specifico programma di apprendimento. In molti reparti ospedalieri, accanto alle tradizionali discussioni sui “casi clinici”, sono state introdotte discussioni periodiche sugli “errori clinici” (8).
“E’ particolarmente importante riflettere sugli errori dovuti a mancata conoscenza. Il medico… deve domandarsi in quanti settori del suo patrimonio culturale egli sia carente o superato e deve pertanto mettere in atto delle strategie di apprendimento che gli consentano di colmare queste lacune” (13,14). E’ opportuno che le iniziative di autoaggiornamento del medico siano integrate dalla partecipazione a programmi di formazione periodica organizzati dalle Istituzioni sanitarie.
Ma gli adulti sono discenti difficili! Sono state sollevati a questo proposito interrogativi sulle metodologie ottimali da applicare nei programmi di Formazione permanente del medico (15).
Gli organizzatori dei programmi di formazione dovranno stimolare nell’operatore sanitario la fiducia nel proprio potenziale di risorse, per affrontare l’impegno formativo “non come un’impossibile impresa personale, ma come una normale domanda di formazione, comune a molti altri colleghi… stimolando… la motivazione, la disposizione, il coinvolgimento e l’attivazione dell’apprendimento” (16), attraverso tecniche didattiche pratiche e fondate sull’interattività.
Il dubbio nella pratica clinica
All’università pochi ci hanno parlato di dubbio. Il medico deve essere uno che risolve i problemi. Il dubbio, quotidiano, l’abbiamo incontrato quando abbiamo cominciato a lavorare “sul campo”. E non eravamo preparati. Tantomeno a chiedere al malato di condividerlo con lui. Quando confrontavamo l’incertezza del caso clinico da risolvere con la certezza esibita dai libri di testo, spesso ci smarrivamo. E da queste incertezze non era infrequente che nascesse l’errore.
Poi abbiamo imparato a convivere col dubbio e abbiamo capito che certe volte è giusto condividerlo col malato. E abbiamo imparato che la soluzione del problema in medicina è (e deve essere) il compromesso. Quante volte, nel firmare una cartella clinica, ci siamo resi conto di formulare una diagnosi di probabilità!
“Quando la situazione pone delle certezze quantificabili entrano in gioco il rischio statistico e il ragionamento probabilistico e il più delle volte ci si deve accontentare di una decisione non ottimale, ma solo soddisfacente” (17).
Gli errori diagnostici vanno indagati nella loro dinamica, come eventi complessi che si costituiscono nel tempo con l’accumularsi dei dati clinici disponibili. Proprio per questo, per evitare l’errore, “la lista dei fatti pertinenti dovrà essere rivista in continuazione”. (18-19)
Il clinico deve imparare a rimettere spesso in discussione le proprie conclusioni, pronto a distruggere, in uno sforzo di autocritica, l’elegante ma fragile edificio appena costruito.
Nella clinica, come nella storia, nulla si ripete mai all’identico modo e dunque ogni evento rappresenta un unicum per il quale conoscenza ed esperienza possono valere fino a un certo punto… esperienza clinica che è costellata, oltre che di riconoscimenti e di decisioni esatte, anche di errori. (13)
La pratica medica attuale vive purtroppo all’insegna dell’urgenza del tempo (6). La rapidità delle decisioni sembra oggi irrinunciabile; così come la brevità delle degenze, che viene considerata dai dirigenti delle ASL come principale parametro qualificante dell’efficienza del primario.
Nel configurare il dubbio decisionale come aspetto negativo dell’animo, contribuiscono talora anche atteggiamenti psicologici e pregiudizi culturali. Troppo spesso il “Direttore” non ama palesare le proprie incertezze e il Primario è restio ad ammettere di avere bisogno di consigli!
Il timore di sbagliare genera invece dubbi salutari. Nella pratica medica un sano atteggiamento di dubbio significa dar tempo a una ponderata metodologia clinica di esplorare ogni angolo incerto della diagnosi; significa collegialità di ogni decisione importante, approccio interdisciplinare, disposizione mentale al mettersi in discussione, capacità del medico di considerare la soggettività del malato e le sue motivazioni esistenziali. Una soluzione tecnicamente corretta può non essere quella giusta per quel malato. L’obiettivo di buona una cura medica non è infatti “il bene in sé”, ma “ciò che è meglio per la singola persona”.
I dubbi in cardiologia
Anche il cardiologo, è costretto a vivere entro ampi margini di lacune cognitive di fondo. Linee guida ufficiali si susseguono, sottolineando la provvisorietà delle loro raccomandazioni. Ciononostante, in ogni congresso vengono riproposti interrogativi vecchi e nuovi: rivascolarizzazione: stent o by pass? Aritmie ventricolari: farmaci o defibrillatore impiantabile? Stent semplici o medicati? Dubbi per i quali l’evidenza dei grandi trial dà solo suggerimenti, ma che solo un approccio individualizzato consente di focalizzare.
Imponderabili variabili cliniche e fisiopatologiche, insondabili interferenze psicosomatiche, impreviste reazioni ai farmaci, rendono spesso non prevedibile, nel caso singolo l’evoluzione della malattia e difficili le decisioni. L’attitudine al dubbio può allora fare evitare l’errore. E salvare il malato.
Errori da cattiva comunicazione con i pazienti
Sia negli ospedali che nella pratica ambulatoriale è frequente rilevare che il paziente non abbia seguito esattamente le prescrizioni del medico. Una causa frequente è l’indecifrabilità della grafia delle prescrizioni del medico, che denota da parte del medico uno scarso rispetto per il malato e forse un’inconscia tendenza del medico a conservare per sé l’esclusiva dello scibile medico. Il problema può portare ad errori talora gravi, specialmente tenendo conto della politerapia alla quale sono spesso obbligati gli anziani.
Il medico dovrebbe inoltre sempre riflettere sulla necessità di entrare in sintonia con il livello di comprensione del malato mediante un linguaggio facilmente comprensibile.
Il dubbio bioetico
Ma il dubbio nel rapporto fra medico e paziente non si limita al problema in fondo banale della comprensione formale delle prescrizioni mediche. L’orizzonte dell’incertezza ed assume particolare rilevanza etica e pratica nel momento in cui devono essere affrontati problemi esistenziali e bioetici di fondo, per i quali un’unica verità non esiste e solo indagando nel profondo della soggettività del malato è possibile giungere insieme a lui non tanto ad una soluzione filosofica dei dubbi, ma almeno a decisioni pragmatiche rispettose della sua dignità umana e delle sue istanze spirituali più profonde. Pensiamo fra i tanti, ai problemi del fine-vita, alla fecondazione assistita, alla clonazione umana o all’aborto. E’ in questi casi che nell’attività del medico, il dubbio assume le forme più coinvolgenti e drammatiche. Incertezze laceranti che sono (e saranno sempre) parte costitutiva della pratica medica, come le decisioni che si addensano sul finire della vita. “Che cosa è appropriato? Quando tutto i possibile è troppo?... Quando le condizioni di sopravvivenza ci fanno rimpiangere una medicina meno potente?” (11).
In situazioni-limite come nel caso dell’accanimento terapeutico (21)il dubbio deve essere per il medico imperativo etico, affinché ogni decisione venga presa nel rispetto della personalità del malato.
Di fronte ad un malato in fase terminale, può essere forte nel medico la tentazione di non volersi ad ogni costo arrendere di fronte alle possibilità tecnologiche che la medicina ci offre di tenere a lungo in vita un corpo (22). L’affermazione deontologica e giuridica del “principio di autodeterminazione” sembrerebbe sgombrare il campo da ogni possibile dubbio sull’opportunità di “ astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici o terapeutici da cui non si possa fondatamente ottenere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita (art 16 – Codice di deontologia medica dicembre 2006). Il medico che accetta di fare del dubbio il proprio imperativo etico, rifiuta “la presunzione di voler definire quale sia e quale non sia il modo dignitoso di morire e vivere, e quali terapie accettare e quali rifiutare. Si tratta di poter lasciare la libertà ad ognuno di poterlo decidere liberamente e soggettivamente, in base a ciò che considera opportuno e giusto per se stesso.” (23)
Obiettivo è “l’umanizzazione dei percorsi assistenziali di fine-vita, basati sulla dignità del morire e soprattutto del vivere… Sarà indispensabile per questo medico la capacità di ascoltare, di essere empaticamente presente alle sue sofferenze (23)”.
In queste situazioni il dubbio è ineliminabile. “Non esistono regole etiche che possano determinare quando è giusto e buono resistere alla morte e quando invece è il momento opportuno per cedere arrendevolmente ad essa (24).
Di fronte alle decisioni ultime, anche il credente “può vivere la propria fede solo immergendosi nella storia e nelle sue contraddizioni, nelle sue problematiche, mai evadendo dalla storia che è l’ambito della presenza di Dio” (25).
Il dubbio etico nella ricerca scientifica
Ogni ricercatore dovrebbe saper convivere con il dubbio di poter sbagliare, nelle premesse della ricerca o nell’interpretarne i risultati, animato dalla stessa consapevolezza socratica del dubbio, secondo la quale vero saggio è colui che sa di non sapere.
In campo di medicina la ricerca dovrebbe essere finalizzata alla scoperta dei mezzi per promuovere la salute dell’uomo. Il primo dubbio è se la ricerca medica intrapresa è anche in grado di sondare e di rispettare il mistero della soggettività e della dignità della persona malata. Ulteriori moniti giungono in proposito da più parti sulla necessità che la ricerca rispetti gli impegni di onestà, trasparenza e coinvolgimento informato del paziente. (26-27-28-29)
L‘uomo ha bisogno di valori per dare un senso alla propria vita. Valori che anche il medico deve difendere dai pericoli che sempre più numerosi, dentro e fuori di noi, ne minacciano l’integrità, sotto la spinta di un eccessivo economicismo e di una fretta arida ed estraniante (26) e che possono riflettersi negativamente anche sulla correttezza della ricerca scientifica.
Assai opportuna è stata l’istituzione dei Comitati Etici, ai quali è demandata la preliminare autorizzazione di ogni ricerca (30).
Anche gli studi osservazionali, apparentemente meno impegnativi sul piano etico, pongono perplessità bioetiche, se non altro sul rispetto della privacy e necessitano di un’attenta analisi, soprattutto per stabilire a chi sono utili. “Sarebbe infatti ingenuo credere che non si prestino a distorsioni nell’interesse di qualche sponsor”. (31)
Dire la verità al malato
Il dubbio se “dire la verità al malato” in caso di malattia a prognosi infausta si poneva spesso ai medici di qualche anno fa, prima che, insieme al “consenso informato” si affermasse anche il diritto del malato ad una completa informazione sulla propria malattia, nel quadro più generale dell’affermazione della cultura dei diritti dei malati, recepita attualmente anche negli orientamenti prevalenti dei Codici di deontologia medica.
Convenuto ormai che è doveroso rivelare la verità, rimane comunque al medico l’incertezza sul come farlo. La psicologia del malato è infatti spesso contraddittoria. Nel suo animo si combattono ottimismo e timore, speranza e disperazione, fiducia e diffidenza nei confronti del medico. Di queste laceranti ambivalenze il medico dovrebbe farsi sensibile mediatore. Il paziente ha paura di soffrire e di morire, ma ha anche nel contempo, come ogni uomo, un inconscio desiderio di immortalità (32-33), che il medico ha il dovere di gestire con rispettosa delicatezza e realismo, conducendo umilmente il malato ad accettare la verità. L’informazione va offerta nell’ambito di una comunicazione umana più vasta e interpersonale.
”La verità da comunicare deve essere commisurata alla capacità del soggetto di riceverla salutarmente” (34).
Vi sono comunque “malati che non vogliono ricevere informazioni sgradite e lasciano che sia il medico a prendere ogni decisione… In realtà è necessario che il medico agisca con molta sensibilità e dedichi una parte del suo tempo a cercare di comprendere che cosa veramente vuole il paziente”.( 35)
Così come, se è vero che ogni paziente vorrebbe avere delle certezze… dovremmo però riflettere sul fatto che non è vero, invece, che sempre il paziente chiede solo questo. (36)
La capacità di fare accettare al malato l’incertezza rientra così negli obblighi etici del medico. Una capacità che avvicina la scienza medica all’arte empatica della comunicazione.
Gestire l’incertezza
Nonostante che l’Evidence Based Medicine (EBM) sembri proporre presunte certezze, ogni medico deve aver l’umiltà di riconoscere che la pratica medica si configura oggi come “scienza del probabile”.
La complessità e la mancanza di certezze assolute in medicina rende ancora oggi attualissima la questione relativa allo statuto epistemologico della medicina stessa, arte o scienza? (37)
Bisogna ammettere che “l’incertezza è l’orizzonte connaturale alla decisione clinica” (38) E’ con questa incertezza che il medico deve imparare a convivere. L’accettazione psicologica dell’incerto diviene allora per il medico virtù esistenziale.
Paradossalmente, solo la sicurezza del medico nel comunicare l’incertezza, aiuta il paziente a tollerarla, anche se quello che ha chiesto è la certezza. (9)
Il medico deve imparare a dire al malato:”Non posso darle certezza, ma solo affrontare con lei questa situazione difficile”. (36) Al dolore della malattia si aggiunge infatti spesso la sofferenza per l’incertezza di cui il medico dovrà sapersi far carico, almeno condividendone i perché, insegnando al malato che: “Bisogna imparare… a vivere l’oggi nel modo migliore possibile… esercitarsi ad apprezzare il momento fuggevole del presente, raccogliere il piacere del tempo di pace relativa e di serenità tra un ciclo e l’altro. Lieti del giorno presente… senza certezze assolute, ma con la volontà di andare avanti.” (39)
Ars medica è in questi casi trovare le parole giuste per “aprire un nuovo livello di comunicazione non basato sul sapere, ma sul fronteggiare l’incertezza del futuro”. (36)
La percezione dei limiti e il senso di umiltà
L’esperienza può essere spesso fonte di un eccesso di sicurezza. E la presunzione fonte di errore. Nella metodologia clinica, il dubbio entra allora di diritto come parametro virtuoso di valutazione, nella consapevolezza della vastità dei limiti della conoscenza, necessaria affinché il medico non si professi sophos, ma philo-sophos (1).
L’umiltà, come percezione dei limiti di ogni conoscenza e della crescente complessità della pratica medica, si pone allora per il medico come impegno professionale, oltre che come norma etica. Nella sua “Preghiera del medico”, Maimonide si rivolge umilmente a Dio chiedendo: “Allontana dal mio cuore la pretesa che nulla vi sia per me di inconoscibile.”
Il dubbio come antidoto all’onnipotenza della scienza
L’attuale medicina ha in sé i germi pericolosi del senso di onnipotenza della scienza e della sfida orgogliosa ai limiti naturali. Il progresso medico sposta continuamente in avanti i limiti dello scibile. “L’idea di un limite nella vita… sembra che non faccia più parte della nostra cultura”. (40)
Anche il rapporto fra medico e paziente rischia di degradarsi sotto i colpi di una fiducia illimitata nella tecnoscienza che ha contagiato medici, malati e l’immaginario collettivo della nostra epoca.
Il senso di onnipotenza della scienza ha nell’animo dell’uomo radici profonde: Mito e religioni ne forniscono antiche e suggestive metafore, tanto da far individuare il Complesso di Icaro (41,42,43,44) come metafora paradigmatica di un’illimitata fiducia individuale e collettiva nella possibilità della scienza e della tecnologia e nel contempo delle conseguenze devastanti dell’imprevidenza e della presunzione. Un atteggiamento di onnipotenza che può trovare un suo specifico antidoto in un equilibrato senso del limite e del dubbio culturale e spirituale.
Un dubbio che conduce il medico di fronte alle porte del Mistero dello sconosciuto e dell’inconoscibile, dove la Scienza non sa più dare risposte attendibili.
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