Commemorazione dell’Accademico Lancisiano Prof. Antonio De Laurenzi
Nicola Petti
Questa sera ci ritroviamo qui per ricordare una persona a tutti molto cara, il prof. Antonio de Laurenzi. Questo è un posto consono, a lui caro e noto. Questo ambiente lo sentiva suo, lo frequentava sempre con piacere e rispetto. Quando partecipava alla scuola medica ospedaliera, di cui era stato parte attiva e promotore. Quando partecipava alle sedute dell’Accademia Lancisiana stessa. Era cresciuto come medico ospedaliero del Pio Istituto Santo Spirito e ne è sempre stato fiero.Questa sala storica dell’Accademia, in questo contesto, ben rappresenta l’atmosfera, quasi nobile, di quella sensazione di appartenenza alla comunità ospedaliera dell’ Istituto Santo Spirito, di cui tutti ci sentivamo un po’ orgogliosi. In realtà sappiamo come non ci sia bisogno di scegliere una data ed un luogo e quanto una commemorazione sia ben poca cosa in questa circostanza. Il prof. De Laurenzi non vive solo banalmente nei nostri ricordi, ma è presente e continua ad esserci attraverso l’opera che ha costruito e che per suo merito fondamentale è progredita, cresciuta e si è affermata. Mi riferisco principalmente al centro di Ematologia dell’Ospedale San Camillo. La sua instancabile volontà ha creato dal nulla una realtà, in quell’Ospedale, che ha cambiato la storia ed il destino di migliaia di persone, che dal 1979 sono state curate ed assistite e che tuttora, inconsapevoli del merito iniziale, continuano ad essere trattate e seguite con standard di cure, che sin dall’inizio, sono state considerate di eccellenza. Nella prima metà degli anni Settanta, io ancora studente interno di ematologia del Policlinico universitario, nelle riunioni serali del giovedì, che il prof. Mandelli organizzava a Via Lancisi, allora sede del Day Hospital ematologico, vedevo comparire, puntuale, il professor De Laurenzi.(Il titolo di Professore gli era dovuto, poiché era in possesso di libera docenza in medicina interna). Si trattava di riunioni in cui si discuteva di organizzazione e ci si aggiornava sui protocolli clinici e di laboratorio specialistici. I partecipanti erano quasi tutti interni alla cattedra e ricordo che mi colpiva la presenza di questo ospedaliero, già affermato “primo aiuto” (come venivano definiti una volta i vice primari) di una divisione di medicina di un grande ospedale come il San Camillo, che pazientemente e tenacemente prendeva appunti e minuziosamente annotava quanto veniva discusso. Raramente interveniva solo per porre quesiti concreti e precisi, con atteggiamento sempre misurato ed attento. Solo anni dopo avrei capito quale forza e determinata intelligenza si nascondeva in quel medico, che sebbene esterno, era così presente e concentrato. Tra le sue molte caratteristiche c’era indubbiamente una grande intuizione, una capacità di immaginare e pianificare un futuro ancora tutto da costruire, associate al coraggio ed alla volontà di realizzarlo, magari dedicandoci la vita intera. Già da diversi anni aveva previsto le grandi possibilità di sviluppo dell’ematologia e con l’entusiasmo e la tenacia, che tutti conosciamo, si preparava, poneva le basi per un progetto ambizioso, che solo una persona come lui poteva immaginare: una nuova e moderna Ematologia ospedaliera. Coniugava così la sua passione per questa materia e la sua esperienza internistica, con la precisa volontà di andare oltre alla semplice assistenza, seppure qualificata, ma di intervenire in prima persona all’arricchimento della ricerca clinica, allo sviluppo di terapie di avanguardia partecipando alle sperimentazioni cliniche più moderne, come poi ha dimostrato, creando anche un centro trapianti di cellule staminali emopoietiche, già nella prima metà degli anni ottanta. C’è poco da sofisticare, affermando che nessuno è indispensabile, io e con me penso tutti i colleghi che lo hanno conosciuto bene , sono convinto che se non ci fosse stato Antonio De Laurenzi, non ci sarebbe stata alcuna Ematologia al S. Camillo, o forse, prima o poi una qualche pallida tardiva parodia. Un primo contatto più diretto con il Professore lo ebbi all’inizio del 1979, a quel tempo lui stava portando avanti la battaglia sul suo fronte interno dell’ospedale, per la costituzione di un servizio autonomo di Ematologia. Erano i tempi in cui stava scomparendo il “Pio Istituto” e la sanità romana andava dividendosi in entità autonome. La sua capacità di muoversi anche in quel campo minato, che sono gli ambienti politico-amministrativi, aveva cominciato a dare i suoi frutti. Non deve essere stato facile per il Professore mantenere il suo alto profilo professionale e contemporaneamente battersi per la creazione di una nuova medicina specialistica. Ma anche in questa situazione la sua totale dedizione all’ideale, la sua coraggiosa tenacia oltre alla sapiente capacità di relazionarsi, quando era in gioco una giusta causa, l’ebbero vinta sulle difficoltà preconcette e gli ostacoli burocratici. L’Ematologia era entrata nella pianta organica dell’Ente Ospedaliero Monteverde, di cui il S. Camillo faceva parte. Quindi la leva era stata inserita nell’ingranaggio, sarebbe stato ora spettato agli uomini ed a lui “in primis” agire su quella leva con tutta la forza possibile. Fu così che tra il settembre del settantanove e i primi mesi dell’ottanta, il dott. Leonardo Pacilli, il dott. Aldo Montuoro ed io, come strutturati e il dott. Valerio Zoli, il dott. Paolo Ferraro e la dott.sa Daniela Ingletto come volontari ci inserimmo come ematologi nel San Camillo. Successivamente ci rafforzammo, costituimmo una guardia e un ambulatorio specialistici, già l’anno dopo ottenemmo un reparto autonomo al padiglione Morgagni; a metà degli anni ottanta altri colleghi si unirono a noi, prima il dott. Luca De Rosa e il dott. Angelo De Blasio poi il dott. Fortunato Blandino, la dott.sa Luisa Pescador ed altri ancora, come la dott.sa Claudia Papetti e la dott.sa Alessandra Pescarollo . Nello stesso periodo si costituì l’unità di trapianto e cominciammo, tra i primi, a Roma e in Italia. Nell’arco dei successivi 10 -15 anni, sotto la spinta instancabile e sempre partecipe del Professore si era consolidata una Divisione di Ematologia con un reparto di degenza standard, un’unità trapianti funzionante a pieno regime, un Day Hospital / ambulatorio e tutti i più aggiornati laboratori specialistici indispensabili per un’ematologia moderna, compresa una sezione dedicata alla criopreservazione delle cellule staminali e che rappresentava un richiamo non solo per i malati provenienti da altre regioni, ma anche internazionale. Raccontare ora questa storia, dopo quasi 35 anni dall’inizio, sembra di parlare di un’era quasi mitica, ma quella era la sensazione che il prof. De Laurenzi ci aveva ispirato e quella era la forza che ci aveva coinvolti e con lui potemmo esercitarla su quella famosa leva, che lui stesso aveva posto, per far muovere l’intero ingranaggio e trasformare un progetto in realtà. Se come penso, il senso della vita di un uomo possa essere giudicato dalla sua opera, quella del prof. Antonio De Laurenzi si erge ora, come realtà fisica in un intero padiglione di ospedale e come entità ideale nella scuola da lui stesso creata, come medico e ricercatore, anche attraverso le sue pubblicazioni scientifiche e come maestro di vita, come eredità proiettata nel tempo, in tutti i malati che hanno usufruito, fruiscono e continueranno ad usufruire dell’assistenza ematologica dell’ospedale San Camillo, anche dopo che lui ha lasciato il timone, ma la rotta era già stata tracciata. Le parole di stima che esprimo per lui, non sono di circostanza, né prodotte dall’affetto di un legame pluridecennale, rappresentano l’obiettiva constatazione dei fatti e della conoscenza, frutto questo si, del lungo lavoro che ha unito tutta la sua equipe, non solo medica, e a nome della quale penso di sentirmi autorizzato a parlare. Concludo, ma solo per questo ci vorrebbe molto altro tempo, ricordando un’altra preziosa eredità che ci ha lasciato. Mi riferisco alla SANeS (Studio e Assistenza Neoplasie del Sangue) una ONLUS, da lui fondata con pochi altri nel 1984 cresciuta come una pianta rigogliosa all’interno e a fianco dell’Ematologia. La SANeS, con la sua partecipazione generosa ha integrato molte attività del centro ematologico, quando, spesso, le risorse istituzionali non erano sufficienti. Attualmente rappresenta un modello di come la solidarietà ed il volontariato possano realmente essere efficaci, provvedendo a portare gratuitamente l’ospedale a domicilio dei pazienti invalidi, permettendo loro di essere curati ed assistiti con la stessa attenzione e dagli stessi medici ed infermieri del centro di ematologia.
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Commemorazione dell’Accademico Lancisiano Prof. Roberto Passariello
Giovanni Simonetti
Ho conosciuto Roberto alla fine degli anni ’60 quando ero ancora studente della Facoltà di Medicina e Chirurgia mentre Lui era già laureato e specializzato alla Scuola di quell’impareggiabile Maestro, per noi due è stato importante come un Padre, che era il Prof. Adamo Grilli, col quale Roberto ha trascorso i primi anni all’Università di Perugia nel ruolo di Assistente incaricato.
Al trasferimento di Grilli a Roma, nel 1970, incontrai ufficialmente il Professore, accompagnato da Roberto, a cena a casa di mio zio Casimiro, durante la cena il Professor Grilli chiese a mio zio di indicargli dei validi collaboratori per poterli indirizzare alla carriera universitaria.
Zio Casimiro fece il nome di due validi assistenti ma si guardò bene di fargli il mio nome.
Roberto alla fine della cena chiese a mio zio come mai non avesse indicato me come possibile candidato; zio Casimiro sorrise e disse: “Caro Roberto non farei mai uno scherzo del genere nè al mio amico Adamo né a Te, figlio del mio amico Bruno” (anche il padre di Roberto era un valente Radiologo).
Roberto, facendo roteare i masseteri disse: “Scommetti che te lo raddrizzo io?”
Così incominciò la nostra vita insieme: venni “arruolato” insieme ad un altro “giovane italo-americano” Plinio Rossi con un concorso al quale parteciparono 16 concorrenti.
Si formò allora il trio dei “Tre Moschettieri” come ci chiamava il nostro Direttore Prof. Grilli.
Con Roberto e Plinio iniziammo una attività innovativa in Italia: l’angiografia diagnostica per cateterismo.
Nel decennio ’70-’80 nel nostro Istituto al Policlinico Umberto I di Roma si formarono la maggior parte dei Radiologi Vascolari italiani, con i quali Roberto strinse un rapporto di amicizia e rispetto, che ha sempre avuto, soprattutto per i Colleghi professionalmente validi.
Organizzammo insieme il 1° CARVAT nella Aula Magna del CNR facendo venire a Roma tutti i Colleghi stranieri che avevamo avuto modo di conoscere nei lunghi e ripetuti soggiorni che avevamo passato all’estero presso gli Istituti più prestigiosi dove si eseguivano gli studi angiografici e dove si facevano le prime esperienze di Radiologia Interventistica.
Sarebbe lungo ricordarli tutti ma per alcuni è doveroso, in quanto per noi sono stati prima che Maestri, dei cari Amici: Ralph Alfidi, Joseph Rösch, Charlie Dotter, Stanley Baum, Herbert Abrams, Ole Olsen, Andres Lunderquist, Erik Boisen, Manuel Viamonte, Jean Louis Lamarque e tanti altri ancora.
Un simpatico ricordo di quegli anni, mi riporta indietro quando squattrinati, avevamo ciascuno una borsa di studio del CNR di 700.000 lire (€ 350) che doveva bastarci per un soggiorno a Portland (da Dotter e Rösch) di tre mesi, convinsi Roberto a costituire tra noi una società per lavorare il venerdì pomeriggio in un Car Wash: guadagnavamo 1 $ per auto lavata ed io 1 $ lo rimediavo come mancia in quanto, mentre asciugavo l’auto, facevo “il filo” alle conduttrici delle auto (quasi sempre con bigodini e foulard: era la moda delle donne americane, prepararsi con la messa in piega, per accogliere i loro mariti a casa dopo il lavoro.)
Riuscivamo a racimolare abbastanza denaro tanto da permetterci ogni 15 giorni di fare un fine settimana a S. Francisco o a Seattle.
Il nostro accordo non si interruppe più sia dal punto di vista accademico sia dal punto di vista professionale.
Sceglievamo insieme le sedi più prestigiose per aggiornare la nostra formazione con lunghi periodi trascorsi sia negli Stati Uniti (Cleveland, Miami, Boston, Pittsburgh, Portland, Chicago) sia in Europa (Parigi, Lund , Londra) sia in Giappone (Tokio, Osaka) sia in Sud America (San Paolo, Buenos Aires)
In quegli anni (1974) durante un nostro periodo di frequenza alla Cleveland Clinic da Ralph Alfidi, con Roberto avemmo la fortuna di poter effettuare le prime indagini di Tomografia Computerizzata Total Body: appena ritornati a Roma ci attivammo per acquisire una TC per studi di tutto il corpo, secondi in Italia dopo il nostro Amico di Ancona Ugo Salvolini (compagno di corso all’Università di Roberto), che peraltro aveva montato un “semplice” brain scan.
L’avvento della TC prima e della RM subito dopo, ci obbligò a cambiare il programma scientifico del CARVAT e spostarne la sede all’Hotel Hilton, dove riuscimmo ad avere oltre 2000 partecipanti per ogni edizione che si succedette annualmente.
Roberto ed in seguito i Suoi Allievi, sono stati i pionieri mondiali degli Studi TC ed RM della patologia osteoarticolare.
Per i Suoi studi innovativi e per i conseguenti lavori scientifici Roberto ricevette numerose gratificazioni internazionali con medaglia d’oro al merito divenendo Socio Emerito di tante Società Scientifiche.
Quando veniva insignito di queste giuste gratificazioni ho sempre cercato di stargli vicino per poter assorbire, anche in quei momenti, un importante insegnamento dal punto di vista comportamentale.
Nella nostra avventura professionale peraltro non perdemmo mai di vista il gusto del “buon vivere”: viaggi con ottimi alberghi, una buona cucina ed un ottimo vino, anche per mantenere gli insegnamenti del nostro Maestro; Grilli infatti ci ripeteva, quando avevamo occasione di stare con Lui in privato, che nella nostra Scuola “bisognava tenere sempre in buona considerazione una bella donna ed un buon bicchiere di vino” sia Roberto sia D’Artagnan (mi chiamava così il Prof. Grilli) abbiamo sempre cercato di non deluderlo.
Le nostre strade accademiche ad un certo punto ci hanno diviso: Roberto all’Aquila, Plinio a Milano ed il più giovane (D’Artagnan) a Sassari.
La divisione logistica non ci ha impedito comunque di creare una “singola” Scuola con Allievi di notevole spessore scientifico e professionale, che hanno sempre considerato reciprocamente Roberto ed il sottoscritto sia Maestri sia “zii”: i miei “figli” sono e saranno sempre Suoi “nipoti”.
Tutte le nostre esperienze con Roberto le abbiamo sempre messe per iscritto, non parlo solo delle numerose pubblicazioni ma soprattutto dei libri di cui andavamo fieri, perché erano l’espressione di un impegno che avevamo preso con il Maestro Prof. Grilli: quello di insegnare ai giovani Studenti di Medicina ed agli Specializzandi di Diagnostica per Immagini, tutto quello che nelle nostre Scuole è stato portato avanti come ricerca e modalità professionali.
Nel 1976 avevamo iniziato la nostra attività libero professionale continuando nel nostro accordo, cominciato a Portland, per cui tutto ciò che avremmo realizzato sarebbe stato diviso in parti uguali. Tale accordo è andato avanti in maniera perfetta fino all’11 Agosto: quando ho ricevuto alle ore 20 la “più brutta ed inattesa” telefonata della mia vita: era Pauline (moglie stupenda di Roberto e mia complice da 43 anni) che mi diceva che mio Fratello Roberto si era addormentato per sempre.
Mi hai lasciato solo Robertone, sono molto arrabbiato con Te ma Ti perdono perché so che eri stanco, Ti chiedo solo di guidarmi e proteggermi sempre dall’Alto.
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Commemorazione della Accademica Lancisiana Prof.ssa Anna Rita Todini
Flavio Grassi
Questo vuol essere un piccolo contributo ideato a più mani, che Stefania la nipote di Anna Rita ed il Personale Sanitario dell’Angiologia dell’Ospedale San Camillo hanno voluto dare in memoria della nostra professoressa.
Sin da bambina il tuo sogno era di diventare medico.
Eri dotata di un’intelligenza vivissima, di una curiosità insaziabile, di un grande senso di giustizia, di rigore morale.
Laureata in Medicina aspiravi a diventare medico missionario in Africa, ma una volta divenuta medico hai scoperto che, se si rivolge lo sguardo agli innumerevoli figli di un Dio minore, l’Africa è proprio di fronte ai nostri occhi.
Avevi un vivissimo senso di solidarietà umana e civile, che era alla base dela tua etica e deontologia professionale.
Il tuo auspicio era rendere la Medicina più umana, infatti per te i pazienti non erano solo dei numeri ma nei loro riguardi ti orientavi verso una valutazione solistica.
Univi all’imprescindibile e solida competenza professionale la partecipazione alla reazione emotiva del paziente stesso.
Eri certa che l’empatia di uno sguardo, di un sorriso, di una parola potesse aiutare il paziente ad affrontare meglio la malattia.
Con dedizione e impegno senza pari ti dedicavi ai tuoi pazienti, con tenacia all’apprendimento e all’aggiornamento continuo.
Per dedicare tutto il tuo tempo alla ricerca ed ai tuoi pazienti, hai sempre svolto la tua attività in regime pubblico ospedaliero.
Per noi allievi prossimi alla Laurea in Medicina o neolaureati tirocinanti alle prime armi, che frequentavano le corsie della Divisione di Angiologia del San Camillo, sei stata non solo un punto di riferimento professionale, per la tua indiscussa competenza clinica e nella diagnostica strumentale, ma allo stesso tempo eri come una sorella maggiore a cui confidare i propri dubbi, le incertezze, le eventuali decisioni per la nostra futura carriera, scortandoci lungo l’impervio sentiero della medicina.
A proposito di sentieri, nessuno avrebbe mai immaginato, che dietro quel volto dai lineamenti delicati, dagli occhi limpidi, dal sorriso disarmante, si celasse una personalità volitiva, determinata e indomita, grazie alla quale hai partecipato alla spedizione Everest-K2 C.N.R. nella Base di ricerca scientifica sul Tetto del mondo, al fine di studiare la circolazione cerebrale in condizioni di altitudine.
Ci raccontavi che l’aspetto più affascinante era che alla Piramide di cristallo, il Medioevo e la Fantascienza continuavano a convivere: le strumentazioni più sofisticate, per il loro funzionamento dipendevano da una colonna di sherpa e yak.
Inoltre nell’ambito del programma nazionale di ricerca in Antartide, sei stata una delle prime donne medico a sbarcare nella base italiana a Baia Terra Nova, con l’incarico di Responsabile Medico nella XIII spedizione. Prima della partenza hai dovuto affrontare un corso di addestramento e formazione, “un vero corso di sopravvivenza”. Dovevi sapere come reagire in caso di caduta nelle acque gelide o comprendere come gestire un incendio.
Questo non ti ha spaventato, così come non ti ha intimidito la vita nell’inospitale continente bianco.
Hai lasciato un raggio di luce in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerti.
Eri e rimarrai sempre suprema maestra di vita.
Avevi ancora tanta voglia di vivere…
Avevi ancora tanti progetti, lasciati incompiuti…
Avevi ancora tanto da trasmettere ai tuoi assistenti…
L’unica certezza che abbiamo è che la tua breve ma intensa vita sia stata spesa nel migliore dei modi.
Crediamo che i versi che rappresentano al meglio il tuo ottimismo imperituro siano: “Se niente può far sì che si rinnovi all’erba il suo splendore e che riviva il fiore, della sorte funesta non ci dorremo, ma ancora più saldi in cuore godremo di quel che resta”. (Wordsworth)