LE SPONDILOENTESOARTRITI:
inquadramento clinico ed approccio terapeutico
DONATELLA FIORE
U.O.S.”Attività di Reumatologia” - ASL RME – Roma
Ospedale Santo Spirito in Sassia - Polo Villa Betania
INQUADRAMENTO CLINICO
Le spondiloentesoartriti (SpEA) fanno parte di un gruppo di malattie reumatiche infiammatorie croniche, immunomediate e sieronegative, accomunate fra loro da alcuni aspetti clinici e sierologici, dei quali i più caratteristici sono: l’interessamento del rachide, l’artrite infiammatoria periferica, di solito asimmetrica e localizzata agli arti inferiori, le entesiti, la sieronegatività (intesa come assenza, nel siero dei soggetti affetti, del fattore reumatoide), la sacroileite, i quadri radiologici e una serie di manifestazioniextrarticolari cutanee, oculari, mucose.
Le entesiti sono processi a carattere infiammatorio che possono interessare varie componenti fibrocartilaginee dell’apparato locomotore ma, prevalentemente, le inserzioni al periostio degli achillei e delle fasce plantari, con conseguente formazioni di speroni ossei.
Nell’ultima classificazione delle malattie reumatiche, definite ora con la terminologia “malattie osteoarticolari e dei tessuti connettivi”, compilatadi recente dalla Società Italiana di Reumatologia, le SpEA figurano, insieme con l’artrite reumatoide, nel secondo gruppo del lungo elenco, sotto la voce: “Artriti primarie” – malattie dovute all’infiammazione delle guaine tendinee e delle membrane sinoviali-articolari.
E’ bene sottolineare subito lo stretto rapporto che esiste tra le spondiloartriti e le artriti definite reattive, malattie caratterizzate dall’essere artriti non infettive, sterili, che insorgono in concomitanza o poco dopo una infezione batterica o virale, più spesso a localizzazione genito-urinaria o enterica, ma nelle quali la sintomatologia articolare nonè dovuta alla presenza di germi all’interno delle articolazioni colpite, come accade invece nelle artriti infettive.
Le artriti reattive possono guarire o cronicizzarsi; in questo secondo caso talune di esse (quelle già a rischio perché associate all’antigene di istocompatibilità HLA-B27) possono evolvere in spondiloartriti.
Il morbo di Reiter, per esempio, caratterizzato dalla triade uretrite-artrite-congiuntivite, è una tipica artrite reattiva che può evolvere in spondiloartrite. Al contrario, l’artrite del reumatismo articolare acuto post-streptococcico, HLAB27 non associata, non si trasforma mai in una spondiloartrite.
Le SpEA vengono così classificate:
Tab.1-
La loro forma paradigmatica è rappresentata dalla spondilite anchilosante che, insieme all’artrite psoriasica, è la più frequente e la più severa. Fra di esse e tutte le altre possono esservi quadri clinici comuni o sovrapposizioni.
Le SpEA enteropatiche sono quelle associate a malattie croniche intestinali come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, il morbo di Whipple.
Fino a non molti decenni fa la spondilite anchilosante era considerata da molti reumatologi una variante dell’artrite reumatoide ma oggi sappiamo per certo che si tratta di due forme morbose sicuramente diverse l’una dall’altra.
I caratteri che fanno differenziare le SpEA dall’artrite reumatoide (AR) sono i seguenti:
frequente coinvolgimento dello scheletro assiale
interessamento pauciarticolare
impegno delle grosse articolazioni degli arti inferiori
distribuzione asimmetrica delle artriti periferiche
scarsa erosività
L’elemento biologico che maggiormente caratterizza queste forme sieronegative, così definite, come già accennato, per l’assenza del fattore reumatoide, è senza dubbio la loro associazione con l’antigene di istocompatibilità maggiore HLA-B 27; esso, raramente associato alle forme artritiche sieronegative senza sacroleite, lo è in percentuale decisamente più alta nelle forme con sacroileite maggiormente predisposte ad evolvere in spondiloartrite.
E’ verosimile ritenere che il numero delle SpEA definite indifferenziate o inclassificabili sia destinato ad aumentare, includendovi il gran numero di casi non diagnosticati in quanto incompleti ma che pure posseggono taluni dei requisiti sufficienti per entrare nel gruppo.
L’alto grado di variabilità clinica fra i diversi soggetti nelle varie espressioni della malattia e la frequente osservanza, come già accennato, di quadri clinici comuni o di sovrapposizioni, rendono particolarmente difficoltoso il monitoraggio delle SpEA e la loro valutazione, il che ha reso necessaria l’adozione di una serie di strumenti atti a stabilire lo stato globale della malattia, il dolore, la valutazione dell’impegno articolare e della mobilità del rachide, e gli effetti dell’ intervento terapeutico intrapreso. Gli indici clinimetrici sono costituiti da scale numeriche, criteri e questionari finalizzati a garantire la massima riproducibilità e la standardizzazione delle valutazioni cliniche.
SPONDILITE ANCHILOSANTE
La spondilite anchilosante (SA) colpisce elettivamente lo scheletro assiale ed in particolare le articolazioni sacro-iliache, con progressione ascendente, preferendo nettamente i maschi rispetto alle femmine (9:1).
Tab.2
La prima localizzazione della malattia alle sacro-iliache provoca dolore di tipo infiammatorio alla regione presacrale ed alle natiche, con possibile diffusione, di tipo basculante, lungo la coscia e fino al poplite ( “sciatica mozza”), dolore che compare caratteristicamente durante le ore notturne, non trae giovamento dal riposo a letto e persiste per diversi mesi.
La diagnosi di SA è tanto più difficile quanto più precoce è lo stadio della malattia, anche perché la dimostrazione radiologica della sacroileite è, in genere, molto tardiva e perché l’esordio non è sempre tipico come quello che abbiamo appena descritto. La graduale riduzione della mobilità della gabbia toracica e la comparsa a vari livelli delle entesiti caratterizzano spesso la fase iniziale della malattia. In caso di compromissione delle dita delle mani, il loro accorciamento provoca il caratteristico aspetto “a salsicciotto”, ben diverso da quello “a fuso” che si osserva nell’artrite reumatoide.
L’HLA-B27, espressione di una predisposizione ereditaria all’affezione, è presente negli spondilitici in una percentuale superiore al 90% e spesso lo è anche nei loro familiari; è bene però sottolineare che talora viene trasmesso l’antigene ma non necessariamente la malattia. Dal punto di vista radiologico, il cui reperto è fondamentale per la diagnosi, l’interessamento delle articolazioni sacro-iliache è quasi sempre bilaterale ma esso non hacaratteristiche patognonomiche per la SA; nelle fasi iniziali la sacroileite si manifesta con uno slargamento della rima articolare, successivamente con erosioni “a margini di francobollo” sui due versanti dell’articolazione ed infine con l’anchilosi ossea. Marchio inconfondibile della malattia è da considerare invece il sindesmofita, escrescenza ossea fine, sottile, lineare, regolare e acolata verticale, prodotto dalla calcificazione dei legamenti intervertebrali, da non confondere con l’osteofitaintervertebrale degenerativo, di forma grossolanamente triangolare, che è una neoformazione osteocartilaginea,espressione della proliferazione ossea ai margini dell’articolazione.I corpi vertebrali, specie a livello lombare, subiscono un’erosione degli spigoli, con successiva osteosclerosi reattiva (cosidetto fenomeno dell’ “angolo splendente”) edacquistano l’aspetto di “vertebre squadrate” mentre tutta la colonna tende ad assumere alla fine la forma ondulata caratteristica “a canna di bambù”.
ARTRITE PSORIASICA
L’artrite psoriasica (APs) è certamente la più complessa fra le malattie del gruppo e non solo per l’ampio spettro di manifestazioni cliniche che la caratterizzano. Il fattore sesso, di notevole interesse, com’è noto, in tante malattie reumatiche (basti pensare alla sua netta preferenza per il sesso femminile nell’AR ed ancor più nel LES e per quello maschile nella spondilite anchilosante e nel Reiter) è del tutto irrilevante nell’APs, nella quale il rapporto uomo-donna è alla pari. La sua eziologia e la patogenesi sono sconosciute.Anche la prevalenza dell’APs nei pazienti portatori di psoriasi è spesso in discussione tra dermatologi e reumatologi, a seconda se le casistiche sono state raccolte nei rispettivi ambienti ambulatoriali o ospedalieri.
Bisogna inoltre considerare che talora l’APs può manifestarsi in assenza di lesioni cutanee e che la psoriasi può concomitare in forme di poliartriti totalmente differenti dall’APs. Nella maggioranza dei casi la comparsa della psoriasi precede di anni quella dell’artrite, che in generale sarà tanto più grave quanto più estesa è la malattia cutanea.
La complessità delle manifestazioni cliniche e degli altri aspetti della malattia, dei quali abbiamo appena fatto cenno, nonché l’assenza di un dato di laboratorio specifico, spiegano la necessità di dover talora procrastinare la diagnosi definitiva, in attesa della comparsa di ulteriori, chiarificatori segni clinici.
Tab.3
La prima è la più frequente e colpisce più spesso, asimmetricamente, le metacarpofalangee e le interfalangee delle mani e quindi i piedi, le ginocchia e le caviglie. Caratteristica di questa varietà è la dattilite (dito a salsicciotto), tumefazione provocata dall’edema infiammatorio delle parti molli del dito, che talvolta può associarsi all’artrite delle interfalangee, sia prossimali che distali.
Nella forma classica la localizzazione alle IFD si associa quasi sempre all’onicopatia. L’artrite mutilante, rara, è caratterizzata dalla progressiva osteolisi delle falangi distali che può determinare la distruzione dell’intera falange, con il tipico aspetto radiologico “a punta di matita” e quello “a coda di pesce” della IFD.
La poliartrite simmetrica pone spesso seri problemi di diagnosi differenziale con l’artrite reumatoide ma per lo più essa ha caratteristiche meno aggressive, meno distruttive, meno deformanti, un minor numero di articolazioni colpite ed una minore evolutività. Nella spondilite psoriasica l’età d’esordio è più avanzata rispetto a quella caratteristica della SpA, il coinvolgimento del rachide è meno esteso, la sintomatologia meno intensa e la sacroileite è in genere monolaterale. Quando l’APs ha un esordio monoarticolare, la diagnosi differenziale va fatta con la gotta.
La prognosi è variabile; accanto a forme mutilanti e anchilosanti ve ne sono altre con localizzazioni limitate ai tessuti periarticolari. In generale l’APs ha un decorso meno grave dell’AR.
APPROCCIO TERAPEUTICO: LA TERAPIA BIOLOGICA
Nelle SpEA l’approccio terapeutico è multidisciplinare ed ha come scopi primari di ridurre l’intensità del dolore e della rigidità, migliorare la funzione favorendo un’attività motoria regolare, contrastare la progressione del danno radiologico e prevenire la disabilità. La fisiochinesiterapia, intesa come ginnastica respiratoria, del rachide e delle articolazioni periferiche va attuata senza discontinuità. L’indometacina rimane, fra gli antinfiammatori non steroidei, sicuramente il più efficace.
Le infiltrazioni locali di steroidi sono indicate in particolare per l’impegno articolare periferico agli arti inferiori e per le entesiti.
In casi selezionati in cui si verifichi una mancata risposta ad almeno due FANS (oppure ad un FANS più un DMARD) per almeno tre mesi ed a due iniezioni locali di steroidi in caso di oligoartrite, con indici di flogosi elevati, si possono utilizzare i farmaci biologici.
Questi devono il loro nome al fatto che derivano dalla sintesi in laboratorio di anticorpi e recettori in grado di mimare la normale funzione delle proteine naturali antinfiammatorie. Le linee-guida raccomandano uno screening accurato prima di iniziare tali terapie che comprende la ricerca di una tubercolosi latente tramite un Rx torace e test basati sul rilascio di interferon gamma (IGRA) o test cutaneo alla tubercolina; di non usarli nei soggetti con malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale, con scompenso cardiaco o con neoplasie maligne pregresse o in atto. L’effetto collaterale più frequente è certamente rappresentato dalla comparsa di infezioni soprattutto nei primi sei mesi di terapia, sostenute dalla depressione della risposta del sistema immunitario, delle quali la più temibile è certamente quella tubercolare. I dosaggi approvati sono quelli che hanno dimostrato il miglior rapporto tra rischi e benefici; dosaggi incongrui o ridotti espongono il paziente ad inutili rischi.E’ necessario uno stretto monitoraggio del paziente, per poter misurare il grado della risposta alla terapia. Purtroppo ancora non disponiamo di un fattore in grado di prevedere se un determinato paziente risponderà o meno alla terapia e quale sarà l’entità e la durata nel tempo della risposta.La presenza di un tale fattore sarebbe molto importante, considerando i costi ed i rischi di tali farmaci nonché la loro insufficiente quantità a disposizione dei malati.Sappiamo peraltro che quanto più sono alti gli indici di flogosi, in particolare la PCR, tanto maggiore è la probabilità di un loro più efficace effetto.
I farmaci biologici attualmente più utilizzati sono gli inibitori del TNF-alfa: l’infliximab (Remicade), l’etanercept (Enbrel), e l’adalimumab (Humira) e golimumab(Simponi). Ad eccezione del primo, usato per via endovenosa alla dose di una fiala ogni due mesi, gli altri vengono introdottiper via sottocutanea ogni una (l’Enbrel), due settimane (l’Humira) o mensilmente (Simponi). In generale la loro azione viene potenziata dall’associazione con il metotrexate, utile anche per prevenire il calo di efficacia nel tempo. Negli anziani gli anti-TNF sono particolarmente efficaci pur determinando in essi un maggior rischio di infezioni.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
L’introduzione in terapia, all’alba del ventunesimo secolo, dei nuovi farmaci biologici, indicati per il trattamento delle più importanti malattie reumatiche infiammatorie immunomediate, ha rappresentato un evento veramente epocale nella storia della farmacoterapia reumatologica ed ha modificato in maniera radicale il decorso e la prognosi di tali patologie, riuscendo ad ottenere, (pur essendo anch’essi, come gli altri farmaci che li hanno preceduti, privi di attività contro l’ipotetica noxa eziologica), il controllo della loro attività, l’arresto del danno strutturale, il recupero dell’abilità ed in definitiva un evidente miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
I buoni, e spesso ottimi, risultati che abbiamo finora ottenuto nei numerosi casi tuttora in osservazione, e regolarmente monitorati ogni tre mesi, presso la nostra Unità Operativa, ci confortano nel convincimento che è possibile ottenere evidenti vantaggi con i farmaci anti-TNF-alfa nei pazienti da noi attentamente selezionati fra quelli che avevano già dimostrato refrattarietà al trattamento con i FANS e con i farmaci di fondo più comunemente usati in tali patologie. Naturalmente per ottenere tali benefici sono fondamentali la precocità della diagnosi e la tempestività del trattamento; fattori determinanti, questi, non solo per l’artrite reumatoide ma anche, ovviamente, per le spondiloentesoartriti.
E’ doveroso dire che l’alto costo dei farmaci biologici ed il loro conseguente razionamento da parte dello Stato, hanno però rischiato di provocare una palese ingiustizia nei confronti di una parte dei pazienti arruolabili che pure vanno selezionati secondo complesse e rigorose modalità d’ingaggio.
La nostra speranza è che le nuove molecole, continuamente in arrivo, portino alla fine ad una loro più spiccata efficacia, a sempre più ridotti effetti secondari e ad una marcata riduzione del loro prezzo, permettendo così al reumatologo di usarle, senza condizioni, in tutti i casi ritenuti utili, per ottenere il massimo benessere possibile dei malati e la remissione della malattia.
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