IL TRATTAMENTO MEDICO DELLA ISCHEMIA CRITICA

 

A.Carlizza

 

L’ischemia critica cronica degli arti inferiori (CLI) è una condizione clinica grave che registra, ad un anno dalla sua insorgenza, un tasso di mortalità del 25%, un tasso di amputazione del  30%, persistenza in vita con conservazione degli arti per il 45% dei pazienti.

La Trans-Atlantic Intersociety Consensus (TASC II) riporta che il trattamento primario prevede nel 50% dei casi la rivascolarizzazione, nel 25% l’amputazione primaria, nel restante 25% dei casi, non rivascolarizzabili, la sola terapia medica. In realtà l’approccio terapeutico primario è condizionato dall’esperienza dei centri a cui afferisce il paziente. In centri interventisti attivi, un tentativo di rivascolarizzazione periferica viene fatto in circa il 90% dei casi.  A un anno il 25% del totale dei pazienti ha risolto l’ischemia critica, mentre nel 20% dei casi rimane questa condizione.

L’indicazione terapeutica prioritaria dell’ischemia critica è la rivascolarizzazione: rivascolarizzazione endovascolare, chirurgia “open”, trattamenti ibridi.

La terapia medica costituisce l’unico approccio terapeutico nei pazienti non riva- scolarizzabili; ha altresì un ruolo periprocedurale per il miglioramento dell’outcome della rivascolarizzazione.

Poiché l’aterotrombosi è una malattia sistemica, i pazienti con arteriopatia periferica frequentemente presentano un coinvolgimento aterotrombotico delle coronarie e dei vasi cerebroafferenti sia pur con percentuali e sovrapposizioni diverse.

Alla terapia propria dell’ischemia critica va affiancata la terapia della malattia aterosclerotica in senso più ampio con lo scopo di ridurre la morbidità e mortalità cardiovascolare agendo sui fattori di rischio e comorbidità.

I principali fattori di rischio sui quali è necessario intervenire sono il fumo e il diabete, seguiti da dislipidemia, obesità, ipertensione arteriosa, IRC, eventuali sindromi da iperviscosità (policitemia, trombocitosi, paraproteinemie), ed eventuale trombofilia (APLAs, iperomocisteinemia). E’ fondamentale la correzione dello stile di vita con abolizione del fumo e una dieta alimentare corretta. Un controllo metabolico appropriato prevede per i diabetici un target di emoglobina glicosilata intorno al 7%; per tutti gli arteriopatici, considerati una popolazione ad alto rischio cardiovascolare, un colesterolo LDL <100, impiegando le statine che hanno anche effetti pleiotropi. La pressione arteriosa andrà mantenuta a valori ≤ 140/90, impiegando preferibilmente ace-inibitori o sartani.  

La terapia medica dell’ischemia critica, come indicato dalle linee guida, si avvale dei prostanoidi. Questi inibiscono l’attivazione piastrinica e leucocitaria, proteggono l’endotelio vasale ed esercitano un’azione vasodilatante.

E’ prevista una somministrazione parenterale per tre-quattro settimane (da 1a4) a cicli.

Gli effetti collaterali più frequenti sono il“flushing”, cefalea, ipotensione. Vanno impiegati con cautela nei pazienti dializzati per il rischio di ipotensione, riducendo la posologia fino ad un quarto.

Come riportato nella TASC II i pazienti non rivascolarizzabili in trattamento con prostanoidi hanno maggiore possibilità di sopravvivenza con conservazione dell’arto (55% vs 35%). L’Iloprost ha un effetto favorevole in circa il 40% dei pazienti non rivascolarizzabili nella pratica clinica.

Non esistono altre terapie farmacologiche raccomandabili per il trattamento dell’ischemia critica (grado B TASC II).

Nelle linee guida Chest 2012, 9°ACCP, è indicato per pazienti in ischemia critica non candidati alla rivascolarizzazione, l’uso di prostanoidi in aggiunta alla terapia antitrombotica (aspirina 75-100 mg al dì o clopidogrel 75 mg al dì) (Grado 2C).

I prostanoidi di uso più comune sono la PGE1 (Alprostadil αciclodestrina) e la PGI2 o meglio l’Iloprost, analogo stabile della prostaciclina, che originano dall’acido arachidonico con percorsi lievemente diversi.

Hanno un’azione inibente sull’attivazione, adesione e aggregazione piastrinica, un’azione inibente sui leucociti, sulle cellule muscolari lisce delle pareti vasali e un’azione citoprotettiva sull’endotelio.

Tali effetti sono più spiccati per l’Iloprost. In particolare è stato dimostrato che l’Iloprost riduce l’espressione di αMβ2 integrina sui leucociti con conseguente riduzione dell’interazione leucociti-endotelio e leucociti-piastrine, riduzione dell’attivazione della cascata coagulativa, riduzione della produzione di anione superossido. E’ stato anche dimostrato che l’Iloprost riduce la produzione di TNFα ed aumenta la produzione di IL6, inoltre induce un incremento del numero di cellule progenitrici endoteliali circolanti indipendentemente dai livelli di VEGF. Promuove anche il rilascio del tPA a livello endoteliale e contestualmente inibisce il rilascio del PAI1, favorendo così la fibrinolisi. Deprime l’attività procoagulante sulla superficie piastrinica. Dunque l’Iloprost interviene su molteplici punti del circolo vizioso che si viene a creare nel microcircolo, nell’ischemia critica, e che conduce alla fine alla microtrombosi con esclusione di capillari nutritizi, responsabile delle lesioni trofiche ischemiche.

Diversi studi sui prostanoidi hanno dimostrato: un incremento del flusso femorale comune, un incremento della densità e diametro dei capillari cutanei, un incremento della pressione transcutanea di O2 e decremento della CO2, decremento della viscosità plasmatica e aggregazione eritrocitaria, miglioramento della perfusione muscolare, miglioramento del metabolismo muscolare di fosfocreatinina durante l’esercizio.

Studi clinici controllati hanno documentato una riduzione delle dimensioni delle ulcere ischemiche fino anche alla guarigione oltre alla riduzione del dolore ischemico sia in soggetti non diabetici che diabetici.

Una review della Cochrane del 2010 ha identificato 532 studi e ne ha infine selezionato 20 per un totale di 2724 partecipanti.

Quattro studi hanno confrontato PGE1 e.v. con il placebo (Diehm 1987; Diehm 1988, Stiegler 1992; Telles 1984); due studi (Böhme 1989; Trubestein 1987) hanno confrontato PGE1 i.a. con ATP (adesina trifosfato). Cinque studi hanno confrontato Iloprost e.v. con placebo (Balzer 1991; Brock 1990; Dormandy 1991; Guilmot 1991; Norgren 1990). Uno studio (Beischer 1998) ha confrontato l’infusione di Iloprost a bassa dose con la dose standard e un altro studio ha confrontato Iloprost e.v. con PGE1 (Schellong 2003). Iloprost per via orale è stato confrontato con placebo in due studi (Dormandy 2000, Studio A, Studio B). PGI2 e.v. è stata confrontata con placebo in due studi (Belch 1983; Hossmann 1983). PGI2 i.a. è stata confrontata con il naftidrofuryl (Negus 1987). Infine, due altri studi hanno confrontato il lipoecraprost (Brass 2006), e ciprostene (Linet 1991) con il placebo.

Dagli studi di confronto dei prostanoidi vs. placebo, risultati significativi favorevoli hanno riguardato la riduzione del dolore ischemico a riposo (RR 1.32) e la guarigione delle ulcere (RR 1.54), senza variazioni significative per quanto riguarda le amputazioni e la mortalità. Significativa invece l’incidenza di eventi avversi (RR 2.35).

Nel dettaglio, la PGE1 ha raggiunto risultati significativamente positivi solo per il sollievo dal dolore ischemico (RR 1.52), mentre l’Iloprost rispetto al placebo ha raggiunto la significatività sia per la riduzione del dolore ischemico (RR 1.54) che per la guarigione delle ulcere (RR 1.8). Non differenze significative riguardo le amputazioni totali (RR 0.79) e maggiori (RR 0.69).

Anche se non raccomandato nelle linee guida, il cilostazolo può avere un ruolo nel trattamento dell’ischemia critica cronica. Il cilostazolo è un inibitore selettivo della fosfodiesterasi III con molteplici effetti: inibizione dell’aggregazione piastrinica, azione antitrombotica, azione vasodilatante, inibizione della proliferazione delle cellule muscolari lisce, riduzione dei lipidi plasmatici.

E’ segnalato, in uno studio su pazienti in ischemia critica non rivascolarizzabile, un effetto terapeutico positivo del cilostazolo nel 26% dei casi, una stazionarietà nel 20%.

E’ stato dimostrato che il cilostazolo riduce la “target lesion revascularization” dopo angioplastica femoropoplitea (p< 0.01). E’ stata dimostrata una riduzione della restenosi dopo intervento endovascolare femoropopliteo in pazienti trattati con aspirina più cilostazolo rispetto a pazienti trattati con aspirina più ticlopidina 200 mg/die (p=0.013   ).  In uno studio pubblicato nel 2012, è stata riscontrata con il cilostazolo una riduzione di restenosi, riocclusione, target lesion revascularization (p=0.001; p=0.02; p=0.01 rispettivamente) dopo rivascolarizzazione endovascolare infrapoplitea.

Ipotesi del meccanismo d’azione del cilostazolo nella restenosi contemplano l’inibizione dell’iperplasia intimale e della proliferazione delle cellule muscolari lisce dopo danno endoteliale, inibizione della up-regolazione delle P-selectine piastriniche e di Mac-1 leucocitaria (stent).

Il cilostazolo è controindicato nello scompenso cardiaco congestizio, aritmie ventricolari, insufficienza renale severa (Cr clear < 25 ml/min), insufficienza epatica moderata-severa, terapia concomitante con inibitori di CYP3A4 o CYP2C19.

Un altro farmaco, la L-propionil carnitina, sia pur non raccomandato per l’ischemia critica nelle linee guida, ha mostrato di potenziare gli effetti favorevoli della PGE1 a breve termine, quando somministrato in aggiunta a quest’ultima in pazienti con CLI non rivascolarizzabile.

Gli antiaggreganti piastrinici riducono il rischio di eventi cardiovascolari in tutti i pazienti con arteriopatia periferica (PAD). Non c’è evidenza che migliorino la CLI, hanno tuttavia un effetto favorevole sulla pervietà dei bypass periferici.

Nella TASC II è riportato che la terapia antiaggregante piastrinica dovrebbe essere iniziata preoperatoriamente e continuata dopo una procedura endovascolare o chirurgica diretta (Grado A). Se non controindicata, dovrebbe essere continuata indefinitamente (Grado A).

Nelle linee guida CHEST 2012, 9° ACCP, è raccomandato, per la prevenzione secondaria nei pazienti con PAD sintomatica, uno dei due seguenti trattamenti antitrombotici: aspirina 75-100 mg al dì o clopidogrel 75 mg al dì (Grado 1A). Suggeriscono di non usare la doppia antiaggregazione con ASA più clopidogrel (Grado 2B). Raccomandano di non usare un antipiastrinico insieme al warfarin a moderata intensità (Grado 1B).

Nello studio CHARISMA, ASA + clopidogrel in combinazione non hanno migliorato gli outcome nei pazienti con stabile coronaropatia, cerebrovasculopatia o PAD, o multipli fattori di rischio aterosclerotico. E’ stato invece registrato un aumento delle complicanze emorragiche nei pazienti con PAD.

Va considerata inoltre la variabilità della risposta al clopidogrel, problema multifattoriale legato a varianti genetiche, interazioni farmacologiche, condizioni associate a una maggiore reattività piastrinica.

E’ in corso uno studio randomizzato, in doppio cieco, multicentrico, lo studio EUCLID che ha lo scopo di confrontare l’effetto della terapia a lungo termine con ticagrelor, un antagonista del recettore P2Y12, vs clopidogrel sull’incidenza di eventi cardiovascolari (morte cv, IMA, stroke) e di interventi di rivascolarizzazione (coronarica, periferica) nei pazienti con PAD.

L’ACCP 2012 in caso di rivascolarizzazione endovascolare con o senza stent, raccomanda l’impiego a lungo termine di ASA (75-100 mg/die) o clopidogrel (75 mg/die) (Grado 1A). E’ suggerita la singola piuttosto che la duplice terapia antiaggregante piastrinica dopo stenting (Grado 2C).

La stessa raccomandazione dell’impiego di ASA o clopidogrel viene fatta anche per il by-pass (Grado 1A), viene raccomandata la singola terapia antiaggregante rispetto alla terapia antiaggregante e warfarin (Grado 1B).

Nei pazienti che si sottopongono a by-pass protesico infragenicolare è suggerito clopidogrel (75 mg/die) + ASA (75-100 mg/die) rispetto alla sola ASA per un anno (Grado 2C). Nell’edizione precedente dell’ACCP (2008) erano contemplati gli anticoagulanti orali in combinazione con ASA in gruppi selezionati di pazienti (by-pass infrainguinali ad alto rischio e venosi) (Grado 2B), sebbene il beneficio fosse associato ad un aumentato rischio di sanguinamento.

La terapia medica dell’ischemia critica contempla anche la terapia farmacologica del dolore che prevede i seguenti farmaci in successione ed eventuale associazione: paracetamolo, FANS, oppioidi deboli (tramadolo, codeina), oppioidi forti (ossicodone, buprenorfina, fentanyl, morfina, idromorfone), anticonvulsivanti (gabapentin, pregabalin), antidepressivi serotoninergici noradrenergici (SNRI) (duloxetina).

 

 

 

 


 

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Anita Carlizza

Direttore f.f. UOC Angiologia

Azienda Ospedaliera S.Giovanni-Addolorata