LUCI ED OMBRE DELL'ISTITUTO GIURIDICO DELL'ADOZIONE

 

 

Graziana Campanato

(Consigliere della Corte di Cassazione – già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Venezia)

 

 

 

  

I   L’EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO

 

 

Nell’attuale significato del termine l’adozione si definisce come quell’istituto giuridico mediante il quale si creano rapporti di filiazione fra persone che non sono legate da un corrispondente vincolo naturale.

In realtà l’inserimento di soggetti estranei in un nucleo familiare ha assunto nei secoli forme diverse ed ha mirato alla soddisfazione delle più varie esigenze: personali, patrimoniali, religiose ed addirittura politiche.

Nel mondo preromano una forma di adozione si rinviene in leggi e documenti assiri e babilonesi e nello stesso Codice di Hammurabi;  secondo alcuni studiosi rientra nel concetto di adozione l’istituto presente nelle fonti ebraiche dell’assunzione di una concubina da parte della moglie legittima sterile perché partorisse figli legittimi al marito.

In Atene l’adozione era eccezionalmente consentita a scopi successori nel caso in cui alla morte del maschio titolare dei diritti familiari non rimanessero che donne.

L’istituto dell’adozione moderna trova le sue radici nel diritto romano che conosceva due istituti per l’ingresso nella nuova famiglia : l’arrogazione e l’adozione.

L’adrogatio, effettuata solo in Roma in forme solenni avanti i comizi curiati, aveva soprattutto un carattere sociale e politico perché consentiva ad assicurare l’interesse dei cittadini che dopo la morte vi fosse chi poteva celebrare i sacrifici sulla loro tomba e perpetuare nella famiglia il culto dei numi domestici; consentiva la possibilità di ottenere cariche ed uffici pubblici e di raccogliere liberalità testamentarie che erano riservate a chi aveva un certo numero di figli o la possibilità per un patrizio adottato in una famiglia plebea di raggiungere gli uffici riservati ai plebei.

Essa non consentiva l’adozione delle donne e degli impuberi.

Con l’adoptio l’adottante era  solo un maschio in quanto le donne non avevano  l’esercizio della potestà, ma oggetto dell’adozione erano indifferentemente un maschio, una femmina, pubere o impubere. Essa si attuava attraverso due fasi: la in iure cessio e la manomissio vindicta, vale a dire una finta cessione del filius da parte del pater familias, cui seguiva una rivendicazione in giudizio da parte dell’adottante  alla quale il pater non si opponeva.

Nel diritto giustinianeo la procedura viene semplificata: l’adoptio si fonda sul consenso e viene assimilata alla filiazione per cui i requisiti di età si avvicinano a quelli esistenti in natura.

Inoltre viene introdotta la forma dell’adoptio minus plena che non toglie al pater familias l’adottato consentendo allo stesso solo di succedere nel patrimonio dell’estraneo adottante.

Essa si trasformò nell’Alto Medio Evo nell’adoptio in hereditatem : si compiva con un atto scritto o per testamento e venne utilizzata dai popoli barbari per supplire al divieto di disporre per testamento, il che non consentiva di beneficare soggetti diversi dai componenti la famiglia

Con il codice napoleonico l’istituto dell’adozione, introdotto non senza polemiche, tendeva a soddisfare più interessi: quello del cittadino senza figli, che si assicurava un sostegno per la vecchia; quello di giovani di poca fortuna, che venivano beneficati ed educati; quello dello stato che in tal modo acquisiva un cittadino più formato e completo.

Conseguita l’unità politica dell’Italia si dovette procedere all’unificazione legislativa che portò all’approvazione del codice civile del 1865 in cui l’adozione era prevista solo  in favore di un soggetto adulto ( 18 anni) e da parte di un soggetto almeno cinquantenne che non avesse figli legittimi o legittimati.

Fu con il  Regio Decreto 31 luglio 1919, n. 1357, convertito in legge il 6 dicembre 1925 n.2317 che si capovolsero questi termini perché si volle dare un’assistenza agli orfani di guerra e quindi fu prevista una forma speciale di adozione diretta ai minori di diciotto anni, estesa anche ai figli naturali non riconosciuti.

Questa legge offrì lo spunto per una revisione dell’istituto che spostava l’ottica dell’adozione verso l’interesse primario del fanciullo e con il codice civile del 1942 alcuni principi rimasero fermi, come la necessità che l’adozione fosse  a vantaggio dell’adottando e l’abolizione del limite minimo dello stesso di diciotto anni. Tuttavia non veniva accolta una proposta di riforma che consentiva l’adozione anche nel caso in cui l’adottante avesse propri figli legittimi.

Accanto all’adozione veniva introdotto un nuovo istituto, quello dell’affilizione ( o piccola adozione), diretto a dare assistenza ai minori senza una famiglia o riconosciuti dalla sola madre, senza capacità economiche, o in stato di abbandono morale e materiali o ricoverati in istituti.

L’affiliato aveva diritto al mantenimento ed all’uso del cognome dell’affiliante che esercitava su di lui la potestà, ma non veniva a godere di diritti successori.

La promulgazione della Costituzione repubblicana incise profondamente sulla posizione del minore attraverso alcune norme, come gli artt.2,3, 29, 30 e 31 che disegnarono una strategia di intervento fortemente innovativo attraverso la promozione dei diritti del fanciullo inteso come un cittadino in formazione ed esso stesso soggetto di propri diritti individuali.

A livello internazionale risale al 1959 la prima Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo approvata dall’Onu che ribadiva i diritto del bambino di crescere in un ambiente idoneo che favorisca la sua crescita, individuando questo ambiente con quello familiare, dal quale tuttavia può essere tolto se, nonostante interventi di aiuto, i genitori e gli altri stretti congiunti si dimostrino incapace di educarlo.

Con la legge n.431 del 1967 si verifica un vero e proprio rovesciamento di mentalità perché al minore di otto anni viene riservata una forma particolare di adozione che crea tra l’adottato e l’adottante un vero e proprio vincolo di filiazione legittima  che si estende agli ascendenti con il conseguente pieno inserimento del bambino nella nuova famiglia.

Essa era consentita solo quando attraverso una speciale procedura veniva accertato lo stato di abbandono, di competenza del tribunale per i minorenni, co un provvedimento impugnabile davanti allo stesso tribunale e ricorribile in corte d’appello ed in cassazione.

La legge ebbe benefici effetti se si tiene presente che consentì di dare una famiglia a circa 40.000 bambini in quindici anni di applicazione.

Con la legge n.184 del 4 maggio 1983 si dà un nuovo assetto all’istituto dell’adozione con l’abrogazione dell’affiliazione, la configurazione dell’adozione legittimante con tutti i membri della famiglia adottante per tutti i minori indistintamente, purchè dichiarati in stato di adottabilità in quanto privi di genitori o parenti entro il quarto grado idonei alla sua crescita. Con la stessa legge si regola l’istituto dell’affidamento eterofamiliare, utilizzato nel caso in cui le problematiche familiari non abbiano un grado così pregnante e non siano di natura irreversibile.

Accanto all’adozione legittimante vi è l’adozione in casi particolari che non consente tutti gli effetti della legittimazione , ma permette di conservare all’adottato i rapporti con la famiglia di origine, non presuppone lo stato di abbandono e riguarda l’orfano di entrambi i genitori che abbia un vincolo di parentela sino al sesto grado con l’adottante; il figlio del proprio  coniuge  oppure lo stato di abbandono e l’impossibilità di pervenire ad  una adozione legittimante.

La legge 184/1983 regola per la prima volta anche l’adozione internazionale e l’espatrio di minori italiani per essere adottati all’estero, riempiendo un vuoto normativo riguardante un nuovo fenomeno che stava assumendo proporzioni di rilievo.

La normativa prevede una prima fase diretta ad ottenere la dichiarazione di idoneità all’adozione pronunciata dal tribunale per i minorenni; la pronuncia di adozione da parte dell’autorità straniera; la dichiarazione in Italia di efficacia di tale pronuncia come affidamento preadottivo; la pronuncia di adozione al termine di un anno di tale affidamento

Tale normativa viene perfezionata con la legge n.476 del 1998 di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale fatta all’Aja il 29 maggio 1993 che ha lo scopo dichiarato di recepire i precetti di detta convenzione e di adeguare la normativa italiana ai medesimi.

Nonostante, tuttavia, la Convenzione dell’Aja consenta l’adozione anche da parte di persone singole la legge italiana prevede il riconoscimento in Italia solo delle adozioni effettuate all’estero da coppie coniugate.

Infine con la legge n.149 del 2001 vengono introdotte alcune modifiche sia in tema di affidamento che di adozione riguardanti in parte anche i requisiti degli adottanti; requisiti che sono richiesti anche per l’adozione internazionale.

 

II  L’ADOZIONE  OGGI

 

Accanto all’adozione effettuata in Italia e pronunciata dal Tribunale per i Minorenni nei confronti di bambini che vivono nel territorio italiano negli ultimi anni si assiste ad un notevole aumento di adozioni effettuate all’estero secondo la procedura prevista dalle normativa richiamata.

In entrambi i casi le coppie aspiranti all’adozione debbono avere determinati requisiti  e debbono essere esaminate da un’equipe che valuterà la loro capacità di accoglienza di un minore, ma mentre nel primo caso tutto l’iter si svolge in Italia , nel secondo caso dopo una prima fase diretta all’ottenimento di una dichiarazione di idoneità da parte del Tribunale per i Minorenni, gli aspiranti genitori adottivi debbono rivolgersi ad un ente autorizzato dallo stato italiano ed accreditato presso uno stato estero per trattare l’adozione , non essendo consentita una ricerca personale del bambino da adottare. 

Effettuata all’estero l’adozione del bambino straniero l’ente effettuerà anche le pratiche necessarie per il riconoscimento in Italia di tale provvedimento e l’autorizzazione dell’ingresso del bambino adottato nel nostro paese.

Il primo controllo e l’autorizzazione di ingresso viene effettuato dalla Speciale Commissione per le Adozioni Internazionali, mentre il riconoscimento giuridico e la trascrizione della sentenza di adozione straniera viene delibata dal Tribunale per i minorenni.

Il grande incremento in Italia del numero di adozioni internazionali costituisce la riprova del desiderio di genitorialità ,ma anche dell’esistenza di importanti problemi connessi alle carenze di genitorialità naturale, perché è proprio tale situazione che il più delle volte costituisce il terreno psicologico che motiva l’adozione.

Ciononostante, se tale desiderio è apprezzabile e va tenuto in considerazione perché il soddisfacimento di un bisogno consente all’adulto una migliore realizzazione di sé e previene frustrazioni destabilizzanti , non è certo questo il fine primario di questo istituto, che si fonda piuttosto sul principio di garantire il benessere del bambino attraverso le cure di una coppia genitoriale

Non esiste, dunque, un diritto ad avere un bambino ad ogni costo attraverso l’adozione ed in particolare l’adozione internazionale, mentre esiste il diritto dei bambini di essere allevati dai propri genitori, per quanto è possibile ed in mancanza di ciò di avere altre forme di tutela ed eventualmente di essere adottati in patria o all’estero.

Questo principio è stato affermato in molteplici sedi ed è ribadito nella raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 26 gennaio 2000, in cui si ritrova una ferma opposizione alla “ trasformazione dell’adozione internazionale in null’altro che un mercato regolato dalle leggi capitaliste della domanda e dell’offerta e caratterizzato da un flusso a senso unico di bambini da stati poveri ed emergenti verso i nostri paesi sviluppati.” Inoltre la Raccomandazione denuncia che le “ attuali tendenze dell’adozione internazionale vanno contro la convenzione ONU sui diritti del fanciullo che prevede che nel caso di privazione da parte di un bambino della propria famiglia le soluzioni alternative prese in considerazione devono porre la dovuta attenzione alla desiderabilità della continuità nell’allevamento del bambino e al suo retroterra etnico, religioso, culturale e linguistico.

Infine la predetta Raccomandazione ricorda che nel 1993 la comunità internazionale adottò un “insieme di regole e principi etici nella forma della Convenzione dell’Aja sull’adozione, in cui il principio guida è quello della sussidiarietà, che significa che l’adozione internazionale può essere presa in considerazione solo se non ci sono soluzioni nazionali disponibili.

L’Assemblea si rivolge al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa perché inviti gli Stati membri a ratificare la predetta convenzione, a condurre campagne informative per la comprensione degli impegni assunti con la convenzione e delle loro implicazioni, a sviluppare la cooperazione internazionale bilaterale e multilaterale per l’effettiva applicazione della convenzione, aiutare i paesi da cui i bambini stranieri provengono a sviluppare le loro leggi d’adozione e a formare il relativo personale, a cooperare più da vicino con ogni mezzo possibile e specialmente attraverso l’Europol, per combattere il traffico dei bambini e gli abusi nel campo dell’adozione internazionale.

Inoltre l’Assemblea invita il Consiglio dei Ministri a porsi come garante della protezione e della promozione dei diritti dei bambini e sviluppare nell’ambito della cooperazione internazionale specialmente nei confronti dei nuovi Stati membri, politiche sociali e familiari attente all’infanzia, al fine di prevenire l’abbandono e promuovere alternative di tipo familiare.

La ratifica della Convenzione dell’Aja in Italia  effettuata con la  legge 476/98, oltre a fornire regole di garanzia e correttezza, dovrebbe aprire la società italiana ad un’effettiva cultura dell’accoglienza di chi proviene da altri paesi e ha diritto di conservare nella nuova famiglia quelle radici di esperienza ed educazione che ne fanno una persona con bisogni particolari : adattarsi ad un diverso sistema relazionale e sociale , senza cambiare completamente se stesso.

Deve mutare l’approccio degli aspiranti all’adozione ed il nuovo termine utilizzato dal legislatore “dichiarazione di disponibilità” anziché “domanda” riassume un’indicazione di revisione dell’atteggiamento con cui si deve affrontare un percorso di questo tipo.

 

III       I PRINCIPI INFORMATORI DELLA LEGGE N.476/98

I principi fondamentali della Convenzione dell’Aja che sono stati recepiti nella legge 476/ 98 sono anzitutto il già richiamato principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale, in base al quale il bambino ha diritto di vivere all’interno della propria famiglia e comunque del proprio paese di origine e di essere trasferito all’estero solo quando non vi sono alternative adottive in patria.

Ciò comporta l’obbligo di attuare un sistema di garanzie che assicurino il rispetto dei diritti fondamentali del fanciullo e il perseguimento del suo benessere, nonché sviluppare la cooperazione tra i paesi contraenti per prevenire gli stati di abbandono ed assicurare il rispetto delle garanzie e la lotta al traffico dei bambini. Ne discende come imprescindibile corollario il riconoscimento in tutti i paesi aderenti alla convenzione delle adozioni effettuati in conformità a questi principi.

Nel sistema delle garanzie è previsto il criterio secondo il quale tutte le adozioni internazionali di regola debbono avvenire attraverso le Autorità centrali, che possono delegare alcuni compiti ad enti a ciò autorizzati , operanti sotto il controllo dell’Autorità centrale, scelta che è stata effettuata dal legislatore italiano. Questi ha anche previsto una serie di controlli incrociati che da una parte sono di competenza dl tribunale per i minorenni e dall’altra della Commissione ( Autorità centrale), attraverso un’architettura procedurale piuttosto complessa, che dà luogo anche a difficoltà interpretative in ordine alle attribuzioni di competenza.

Ed ancora, è riconducibile al concetto di garanzia sostanziale la chiara indicazione in ordine ai compiti dei servizi sociali e di quelli sanitari, che dovranno servirsi della collaborazione degli enti autorizzati in varie fasi del percorso adottivo. Tutte queste attività presuppongono una formazione permanente degli operatori sociali e delle associazioni private, che sono delegate ad informare, formare, valutare e sostenere le coppie aspiranti all’adozione ed una corretta formazione richiede una riflessione attenta sui principi e gli obiettivi dell’adozione, una conoscenza degli effetti e dei risultati ottenuti attraverso questo importante istituto, la capacità di autocritica e di accettazione dei propri limiti, la ricerca e l’individuazione di nuove vie, suggerite dall’esperienza sul campo.Tutto ciò presuppone una speciale forma di organizzazione che è di competenza delle Regioni e delle Province autonome per espressa dizione normativa ( art.39 bis),  tenute anche alla predisposizioni di protocolli di intesa tra gli operatori e ad istituire i canali di collegamento stabili tra gli stessi e gli organi giudiziari.

Il legislatore italiano ha, inoltre effettuato un’altra scelta, applicando i principi della Convenzione dell’Aja anche alle adozioni di bambini che provengono da paesi non aderenti alla convenzione. Occorre ricordare a questo proposito che nel 1999 i due terzi di bambini adottati provenivano da questi paesi , con i quali l’Italia non ha un interlocutore ufficiale, con la conseguenza di gravi difficoltà di controllo su tali procedure. E’ compito della Commissione creare le premesse perché si pervenga ad accordi bilaterali con gli stati non convenzionati  al fine di attuare un sistema di garanzie  e di trasparenza il più ampio possibile.

 

IV  IL DECRETO DI  IDONEITA’ ALL’ADOZIONE

Il primo passo che gli aspiranti genitori debbono compiere per pervenire all’adozione di un bambino straniero è dichiarare all’autorità giudiziaria la loro disponibilità all’adozione di uno o più bambini, secondo il dettato dell’art. 29 bis., comma primo,  chiedendo alla medesima la dichiarazione di idoneità.

Occorre sottolineare la dizione  del legislatore che non si riferisce ad una coppia di coniugi, ma usa il termine “persone”, lasciando alle norme generali sull’adozione l’ulteriore scelta dei requisiti richiesti per poter accedere all’istituto, cosicché se vi fosse un’apertura alle coppie di fatto o alle persone singole, l’art.29 bis non necessiterebbe di modifiche lessicali , considerata la genericità del termine usato.

Quanto alla seconda novità terminologica ( “dichiarazione di disponibilità”, anziché “domanda”) già si è detto in ordine al significato culturale e di approccio al percorso adottivo che la stessa presuppone. Fin dall’inizio chi si propone non chiede un bambino per sé, ma si dichiara disponibile, se ritenuto idoneo, a svolgere un ruolo genitoriale per un bambino che ne ha bisogno.

I requisiti oggettivi vanno esaminati subito dal tribunale . Si tratta delle “ condizioni previste dall’art.6” L.184/83 , le stesse, dunque , necessarie per l’adozione nazionale, vale a dire lo stato di coniugio, la durata minima dello stesso, il permanere  della convivenza dei coniugi e la differenza minima e massima di età stabilita dalla legge.rispetto il bambino da adottare.

La manifesta carenza dei requisiti comporta l’immediata delibazione di inidoneità da parte del tribunale, senza alcuna previa istruttoria.( art.29 bis comma terzo)

La nuova formulazione dell’art.6 prevede che la stabilità del rapporto coniugale possa ritenersi realizzato non solo dalla durata almeno triennale di ininterrotta convivenza matrimoniale, ma anche dalla convivenza stabile e continuativa sfociata nel matrimonio durata per lo stesso periodo. Il che significa che andranno sommati i periodi pre e post matrimoniali quando la convivenza precedente al matrimonio abbia avuto i requisiti della stabilità e della continuità, accertati dal tribunale, con riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.

Quanto alla differenza di età tra adottanti e adottando, mentre il limite minimo è rimasto fermo, è stato portato a quarantacinque anni quello massimo, che non viene tenuto in considerazione in casi particolari,ovvero quando gli adottanti abbiano figli naturali o adottivi di cui almeno uno ancora in età minorile, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella di un minore già adottato dagli stessi coniugi (comma terzo e sesto).

Il limite massimo di età non preclude l’adozione quando sia superato da uno solo dei coniugi in misura non superiore a dieci anni.

I limiti di età possono essere derogati qualora sia accertato dal tribunale che la mancata adozione comporterebbe un danno grave per il minore.( comma cinque).

 

In sostanza resta affidata al giudice la valutazione in numerosi casi del superamento del limite massimo differenziale di età secondo il principio che è alla base del rapporto di filiazione che si instaura tra adottanti ed adottato per cui : adoptio natura imitatur

 

IL RUOLO DEI SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI DEGLI ENTI LOCALI

E DEGLI ENTI AUTORIZZATI

La nuova legge attribuisce un ruolo rilevante all’opera dei servizi socio-assistenziali degli enti locali, prevedendo dei compiti specifici loro attribuiti.

Nella fase iniziale della procedura, precedente l’ingresso del bambino straniero in Italia, essi svolgono un’attività prevalentemente informativa-formativa delle coppie aspiranti all’adozione.

Il comma 4 dell’art. 29 bis prevede espressamente tale funzione. Tuttavia va sottolineato che l’informazione deve riguardare non solo la procedura adottiva ed i suoi effetti, con riferimento anche all’azione svolta dagli enti autorizzati di cui all’art. 39, ma anche l’esistenza di altre forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà.

E’ particolarmente significativo questo richiamo attraverso il quale viene ribadito il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale così fermamente sostenuto da tutte le pronunce internazionali.

Al punto b) del comma quattro è previsto che l’attività di preparazione degli aspiranti genitori adottivi possa essere effettuata dagli operatori socio-sanitari in collaborazione con gli enti autorizzati

La norma ribadisce la necessità di un’azione coordinata ed integrata tra enti pubblici e privati, portatori entrambi di una esperienza e cultura molto specifica I primi lavorano nel campo dell’adozione da anni e conoscono le problematiche di tale istituto per l’attività di monitoraggio e sostegno delle coppie , oltre che per l’attività  istruttoria svolta per conto dei tribunali.Inoltre possono porre in campo le  competenze e professionalità acquisite attraverso i compiti di assistenza a favore della famiglia. I secondi conoscono le problematiche specifiche del bambino straniero, le difficoltà incontrate all’estero dalle famiglie adottive, le richieste delle autorità straniere, le diverse possibilità di intervento a favore delle famiglie in difficoltà dalle quali provengono i bambini adottabili: un panorama conoscitivo piuttosto estraneo alla formazione professionale degli operatori pubblici italiani che pone in luce aspetti di primaria importanza in tutte le fasi del progetto adottivo.

A tale norma va collegato all’art.. 39 bis che attribuisce alle regioni, oltre che alle province autonome, il compito non solo di sviluppare una rete di servizi adeguata agli obiettivi della legge., vigilandone il funzionamento e garantendone il buon livello professionale, ma anche di promuovere la definizione di protocolli operativi e convenzioni fra enti autorizzati e servizi che rendano possibile non solo in coordinamento delle varie fasi in cui gli stessi hanno compiti specifici e pressoché esclusivi, ma anche l’attività integrata espressamente prevista dalla legge all’interno di tali fasi.

a)      l’attività di informazione

E’ difficile fare informazione senza lanciare dei messaggi perciò le fonti informative, siano esse dirette alla conoscenza generica delle realtà connesse con l’adozione destinate a tutti i possibili utenti ( pensiamo  ad una guida territoriale), sia quelle destinate in modo più specifico a chi aspira all’adozione e ne ha i requisiti oggettivi dovrebbero essere improntate alla correttezza ed al rispetto dei principi che stanno alla base di questo istituto, perché esse hanno la funzione non solo di fornire una base conoscitiva, ma anche di avviare un processo di sensibilizzazione di chi si avvicina al problema.

b)      l’attività di preparazione all’adozione presuppone una informazione di base ed un successivo maggiore dettaglio su quei processi di adattamento del bambino straniero che non solo deve affrontare la crisi del distacco dal proprio ambiente familiare e culturale , ma anche trovare una propria nuova dimensione umana all’interno di un nuovo nucleo e di una nuova prospettiva sociale 

Inoltre gli aspiranti genitori debbono essere consapevoli del compito che li attende e della necessità di saper utilizzare delle proprie risorse di adattamento per favorire l’integrazione del bambino all’interno del loro nucleo familiare, conservando allo stesso un legame culturale con le proprie origini. Debbono perciò conoscere le condizioni di vita e gli stili educativi più comuni dei bambini adottabili; debbono essere invitati a riflettere sulle motivazione della loro disponibilità adottiva  e sull’autenticità della medesima, nonché a considerare e riconoscere in se stessi una flessibilità di giudizio e capacità di adattamento alle possibili dinamiche relazionali conseguenti all’ingresso del bambino in famiglia da poter garantire il superamento delle varie difficoltà .

 

c)      l’attività istruttoria

Il comma 4 dell’at.29 bis prevede che i servizi socio-assistenziali effettuino una vera e propria istruttoria che costituirà l’oggetto della relazione da trasmettere al tribunale atta ad acquisire ogni elemento psico- sociale –familiare utile a valutare l’idoneità della coppia all’adozione. La norma richiama una serie di elementi conoscitivi, a differenza di quella precedente che faceva un generico riferimento al concetto di “adeguate indagini”, tracciando agli operatori un percorso molto complesso e delicato.

E’ bene che nella relazione vengano riportati in modo molto chiaro gli elementi obiettivi personali e familiari della coppia, vengano acquisite notizie sullo stile di vita della medesima e le relazioni che  la stessa ha con i più prossimi congiunti e con l’ambiente sociale di appartenenza, sulle motivazioni che l’hanno determinata all’adozione.

Si tratta in parte di informazioni relative a situazioni obiettive ( la composizione familiare, lo studio , il lavoro, le attività ricreative, gli eventuali incarichi, le condizioni economiche e di salute), ma in buona parte anche legate a profonde relazioni e dinamiche psicologiche, che possono essere rilevate attraverso una conoscenza certamente non superficiale della coppia.

Anche il riferimento alle condizioni sanitarie va interpretato non solo come riferimento a limiti fisici di una certa consistenza, ma soprattutto a considerare come questo limite viene vissuto dalla persona e nel suo ambiente.

Le motivazioni non possono consistere solo in quelle coscienti, ma vanno individuate anche le spinte emozionali subconsce al fine di accertare se la coppia abbia o meno la maturazione psicologica che consenta di superare le frustrazioni e favorire l’adattamento del  nucleo familiare alla scelta adottiva e  del minore al suo ingresso in Italia.

Nello stesso modo il riferimento all’ambiente sociale è effettuato al fine di considerare le  condizioni che possono favorire o agevolare l’inserimento del minore.

Poiché spetta al tribunale esprimere la valutazione di idoneità ed il decreto è impugnabile avanti la corte d’appello è necessario che la relazione sia precisa, chiara ed ancori gli elementi valutativi ai dati obiettivi onde consentire al giudice di elaborare un decreto che si fondi su di una motivazione esauriente e non contraddittoria.

Al giudice non è riservato il compito di vagliare una generica capacità genitoriale , ma di verificare se la coppia che si propone all’adozione internazionale abbia la capacità di accogliere , crescere  ed educare un bambino che deve adeguarsi ad un nucleo familiare ed un contesto ambientale sconosciuto in un momento in cui gli è molto chiaro di essere stato abbandonato dalle persone con cui aveva instaurato dei legami affettivi. Infatti l’ingresso in un paese straniero significa per un bambino una cosa molto precisa: che la sua situazione precedente, qualunque essa fosse, non è più provvisoria e soggetta a cambiare con il ritorno in famiglia o l’affidamento a genitori della sua etnia, ma che vi è stato un abbandono anche da parte del suo paese e che questo è definitivo.

Anche i bambini adottabili hanno dei legami con figure di adulti e provano il dolore della separazione. Inoltre possono percepire in modo distorto i segnali di rassicurazione offertI dalla coppia adottiva, come quest’ultima può avere difficoltà a captare le modalità relazionali del bambino.

Decretare l’idoneità all’adozione significa accertare la preparazione e la capacità del soggetto adulto ad accettare queste difficoltà e a saperle superare con il sostegno delle equipe preposte dai servizi e dagli enti autorizzati.