GIACOMO CASANOVA
E LA MEDICINA DEL SUO TEMPO
Vito Cagli
Che cosa ha a che vedere Giacomo Casanova con la medicina? Probabilmente è questa la prima domanda che molti si porranno di fronte al titolo di questa conferenza. Per ben altri interessi è conosciuto quest’uomo: avventure galanti, seduzione di donne le più diverse. Questo è quanto tramanda la vulgata e quanto ritiene la generalità delle persone. Non che Casanova non sia stato davvero gran donnaiolo e libertino, ma certo fu molto di più che questo.
Le occasioni di incontro tra Casanova e la medicina in tutti i suoi aspetti furono davvero numerose. Il Nostro sperimentò, infatti, come qualsiasi altro mortale, la sofferenza fisica e, nello stesso tempo, da uomo curioso di ogni forma di sapere e non digiuno di conoscenze scientifiche, intervenne con i suoi consigli, osservò il comportamento dei medici e ne dette giudizi talora lusinghieri e talaltra sprezzanti, tacciandoli da ignoranti e – quanto ai chirurghi – da macellai. Appare quindi un po’ strano che pochissimi tra gli studiosi e i “casanovisti” si siano occupati degli aspetti medici della vita di Casanova. Qui ci limiteremo con il breve racconto di due episodi narrati nella Histoire de ma vie (l’autobiografia di Casanova) a dare un’idea di come il Nostro affrontasse i problemi medici, rinviando chi volesse approfondire l’argomento a un nostro recente libro indicato nelle Note bibliografiche.
Nella primavera del 1758, Casanova, è a Parigi, frequenta tra gli altri il conte di La Tour D’Auvergne, un’amicizia che non gli impedisce di scontrarsi con lui in un duello alla spada in cui lo ferirà leggermente, per poi riappacificarsi. Quando, successivamente, il conte è colpito dalla sciatica Casanova, insieme a una comune amica di nome Camilla, si reca a trovarlo, fanno colazione insieme e poi:
Dissi [è Casanova a parlare] con aria seria che se mi avesse lasciato manipolare come volevo la coscia lo avrei guarito, perché ciò di cui soffriva non era una sciatica, ma un vento umido di cui lo avrei liberato con il talismano di Salomone e con una formula di cinque parole. Il conte si mise a ridere ma mi disse di fare quel che volevo.
[…]
Andai a comprare un po’ di nitro, del fiore di zolfo, del mercurio e un piccolo pennello. Appena a casa dissi al conte che occorreva un po’ della sua urina, freschissima.
[…] Mescolai gli ingredienti e pregai Camilla di massaggiargli la coscia con le mani mentre recitavo una formula magica, ma di non ridere, altrimenti tutto sarebbe stato inutile. […]
La Tour offrì la sua coscia a Camilla che, immaginando di recitare una parte, cominciò a massaggiare il malato mentre pronunciavo a mezza voce frasi che certo loro non comprendevano, visto che non sapevo nemmeno io quel che dicevo. […] Finalmente decisi di annunciare che il massaggio era durato abbastanza, immersi il pennello nell’intruglio e con un solo tratto disegnai la stella di Salomone a cinque punte. Fasciai quindi la coscia con tre salviette e dissi al conte che gli garantivo la guarigione se fosse rimasto a letto per ventiquattro ore senza togliere la fasciatura. (II/235-6)
Dopo qualche giorno il conte andò a trovare Casanova, gli comunicò il proprio sbalordimento per il felice esito della cura e aggiunse: «Sono tutti esterrefatti, perché non ho potuto fare a meno di raccontare questo miracolo a tutti i miei conoscenti»
Abbiamo assistito ad uno spettacolo che ben merita il nome di «farsa» con cui lo stesso Casanova lo definisce, una farsa, egli aggiunge,: «che avevo inventato e recitato senza premeditazione alcuna». È il suo temperamento di protagonista a rifiutare la parte di un semplice spettatore in qualsiasi scena e allora eccolo intervenire con il suo misto di erudizione, esperienza e improntitudine, mescolando provvedimenti che appartengono a piani diversi. Casanova, infatti, comincia proponendo il talismano di Salomone che consiste in una stella a cinque punte, come nel caso in esame, o anche a sei, scritta su una pergamena animale o incisa su metallo, e che Casanova adatta alla situazione limitandosi a tracciarne il disegno sulla coscia del paziente per mezzo di un pennello che egli scrive di aver immerso in un «intruglio». Dei componenti di questo intruglio, il nitro (nitrato di potassio) e i fiori di zolfo (zolfo sublimato) non avevano indicazione alcuna per tentare di curare una sciatica; soltanto il mercurio poteva essere una prescrizione in linea con la medicina del tempo, visto che veniva talvolta adoperato per calmare il dolore in associazione al miele o alla belladonna per costituire una pomata lenitiva. Quanto all’urina, il suo valore terapeutico è stato affermato sin dall’antichità: ne parlano antichi testi indu tremila anni prima di Cristo. Plinio raccomandava l’impiego delle urine nella cura delle ustioni, delle infiammazioni e delle malattie cutanee. Troviamo indicazioni all’uso dell’urina nella medicina empirica popolare di cui resta traccia in testi come la Raccolta di vari ma sicuri secreti, uno scritto anonimo del 1718, in cui è presente l’indicazione di applicare alla parte colpita da artrite una stoffa imbevuta di calce, spenta con l’urina del paziente. Si trattava, probabilmente di produrre un effetto vescicante (mediante la calce spenta) che rappresentava un indirizzo di cura presente in trattazioni mediche autorevoli, come l’opera di Domenico Cotugno (1736-1822) De ischiade Nervosa (Napoli 1764), in cui alla base della cura della sciatica stava il concetto di ridurre i liquidi accumulati attorno al nervo infiammato, derivandoli all’esterno per mezzo di revulsivi (vescicanti), o anche della causticazione della zona o dell’incisione di vasi sanguigni a livello della sede dolente o anche del dorso del piede o del malleolo. Quest’ultima pratica ha trovato posto nella medicina empirica fino a non molti anni fa.
Nell’Ottobre del 1765, Casanova, dopo essere tornato a Pietroburgo, dove incontra la grande Caterina II, lascia la Russia,. Si mette in viaggio e, raggiunge Varsavia. Grazie alle solite lettere di presentazione entra subito in rapporto con l’aristocrazia della capitale polacca e persino con il Re. Tra cene, festeggiamenti del carnevale e spettacoli teatrali conduce una vita brillante, ma non può evitare di essere coinvolto in piccoli intrighi e gelosie. Il conte Branicki Postoli, colonnello di un reggimento di ulani, lo insulta pubblicamente «a cuor leggero, senza avere né ragione né diritto di agire così», come il Nostro gli scrive nella lettera in cui chiede spiegazione. Ne segue un duello alla pistola in cui entrambi rimangono feriti. La ferita più importante di Casanova riguarda la mano sinistra e richiede l’intervento del chirurgo. Ma, in quarta giornata, racconta Casanova,
La sera i chirurghi arrivarono in quattro e mi sfasciarono il braccio che era grosso due volte il naturale: vidi che era livido fino al gomito, ma quando mi estrassero il drenaggio, notai che la parte superiore era vermiglia e vidi anche un po’ di materia. In ogni modo non dissi nulla. […] I quattro chirurghi decisero che il braccio era già in cancrena: secondo loro non c’era più tempo per l’amputazione della mano, e dunque bisognava tagliare il braccio entro l’indomani mattina. Stanco di discutere, risposi loro di tornare pure l’indomani con gli strumenti necessari perché mi sarei sottoposto all’operazione ed essi se ne andarono tutti contenti. (III/295-6)
In realtà il mattino dopo il Nostro diede l’ordine ai suoi domestici di non fare entrare i chirurghi e con una cura su cui non fornisce dettaglio alcuno la ferita guarì. Così Casanova si tenne la sua mano e il suo braccio e divenne oggetto di ammirazione da parte di tutti per aver avuto ragione sui più importanti chirurghi di Varsavia: «La mia fermezza inoltre – egli scrive – mi procurò un onore immortale e i quattro chirurghi dovettero ammettere di essere tutti e quattro dei volgari ciarlatani».
Tuttavia, le cose non andarono esattamente così. Infatti, nel manoscritto è presente un lungo brano, cancellato, ma leggibile, da cui risulta come lo stesso Casanova avesse mandato a chiamare un medico francese, il quale aveva escluso che la mano fosse minacciata dalla gangrena e aveva convinto i chirurghi polacchi a desistere dall’operazione.
Possiamo ben dire che anche nel suo approccio alla medicina, si tratti di curare altri o se stesso, Casanova cerca soprattutto il mezzo di mettersi in luce, di affermarsi come uomo capace di risolvere problemi e anche come esperto di malattie e di rimedi. Una personalità, dunque che non manca di tratti esibizionistici e che unisce, senza alcuno scrupolo magia e scienza, verità e menzogna. .Un avventuriero, certo, ma, altrettanto certamente un uomo non privo di talento,
Nota bibliografica
L’ edizione integrale, dell’ Histoire de ma vie, nella lingua originale francese in cui fu scritta da Giacomo Casanova è pubblicata in Francia dalla Libraire Plon, Paris MCMIX.
L’edizione integrale in traduzione italiana, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, è pubblicata nei Meridiani Mondadori, Milano 1983. Da questa edizione sono riprese le citazioni testuali, inserite nel presente articolo, seguite dal riferimento al volume in numero romano e alla pagina in numero arabo.
Un’ampia trattazione degli aspetti medici presenti nell’Histoire de ma vie di Giacomo Casanova, si trova in Cagli V. Giacomo Casanova e la medicina del suo tempo, Armando Editore, Roma 2012, che contiene anche una ricca bibliografia sul tema.,