Sul ruolo delle donne e l’associazionismo femminile

 

A. Bonifacino, S. Mari

 

 

La testimonianza che segue è stata presentata in occasione del meeting del 1 febbraio u.s. tenutosi a Pavia in vista della nascita di un Comitato scientifico nazionale che si occupi principalmente di rischio genetico.

 

In tal senso l’impegno della professoressa Bonifacino, anche in veste di Presidente dell’associazione IncontraDonna onlus, è volto ad affrontare le problematiche legate al rischio genetico su tutti i fronti,  non da ultimo il versante normativo, il riconoscimento giuridico pieno di questa condizione e le conseguenti tutele ad oggi gestite con discrezionalità se non quando totalmente disattese.

 

 

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“Le pagine del libro testimonianza “Il Rischio” raccontano in modo più vivido di quanto la memoria mi consenta di fare oggi, il percorso affrontato a partire dalla mia adolescenza, non appena persi mia madre all’età di 12 anni,  e non appena mi fu palese che ero parte di una famiglia segnata in modo massiccio dal cancro al seno e all’ovaio.  L’ho scritto proprio per questo. Non soltanto per alleviare la mia fatica emotiva, non solo per raccontare di me, ma perché fosse documentata con precisione la strada di una paziente che non è paziente, di una donna sana che viene da una famiglia piena di malattia, dell’incontro con un medico e poi un altro ancora a caccia di mediazioni, di ricette o di un bollino di guarigione o anche solo di speranza. Perché di tutto questo ho sofferto più che del problema in sé. Ho sentito solitudine e oggi più che mai sono cosciente del fatto che se non avessi avuto una determinazione a tratti ossessiva, mi sarei persa e non avrei saputo la verità. Ho voluto scattare una fotografia, un’istantanea che non trascurasse niente e nessuno: la persona affetta dal problema, ogni specialista coinvolto, l’accoglienza dell’ospedale, la burocrazia che mai come in questi casi di difficile collocazione clinica arranca, sbaglia o anche semplicemente omette. Perché posso affermare senza esitazioni che peggiore della paura è l’incertezza e l’invisibilità e oggi la più grande vittoria è conoscere altre donne come me, è questa giornata, è il lavoro delle associazioni.

 

Il prodotto di quelle pagine sono io oggi. 33 anni, un’operazione preventiva scelta a 28 anni, una vita che trascorre più serena con una sorveglianza ben organizzata in cui sono accolta e non soltanto controllata, un codice di esenzione 48 come fossi una paziente oncologica e una legge 104 che mi ha riconosciuta una parziale invalidità come donna operata. Tante contraddizioni in campo come vedete, ma la visibilità normativa e clinica di un caso che solo pochi anni fa, almeno in Italia, era percepito come un’anomalia, una stranezza. Mi sta a cuore, e credo sia fondamentale che, a prescindere dalle decisioni che ciascuno prende per vivere al meglio, non si facciano sconti o approssimazioni sul piano della conoscenza.

Le persone affette da mutazioni fanno molta fatica a convincersi di avere un problema perché sono sane, non hanno malattie in atto, ma un insidioso e prezioso vantaggio di conoscenza. E’ questo limbo che, se non gestito adeguatamente, può o disperderli o schiacciarli su quella sigla genetica. Per questa ragione è fondamentale, forse anche più che per una paziente affetta da malattia che è motivata dalla battaglia per la vita, offrire un percorso solido e ben organizzato, multidisciplinare, dedicato dove non sia la persona “sana a rischio”ad avere l’onere di ricordare la sua specialità. Se la medicina questa condizione di differenza dagli altri la riconosce attraverso la genetica, non può negarla con la clinica o nell’assistenza sanitaria. La scusa della crisi che spesso sento come una filastrocca va respinta al mittente per due ordini di ragioni: i numeri non riguardano quote maggioritarie della popolazione e, soprattutto, la gestione preventiva di questi casi a rischio genetico consente di ridurre l’impatto dei costi di cura per persone che hanno altissime percentuali di ammalarsi da giovani. E questo dato indica una strada e un principio di ordine generale : la sanità senza una lungimirante politica per la sanità non va lontano.

 

Va combattuta inoltre, io credo, la resistenza culturale a riconoscere la questione genetica come parte integrante del diritto alla salute, va combattuta la pigrizia che oggi induce spesso a rifiutarla o a sottovalutarla con il pretesto delle discriminazioni sociali per nascondere piuttosto l’impreparazione diffusa a tutti i livelli a gestire la novità della medicina predittiva anche nel merito del trattamento clinico, ma anche culturale e normativo. Il rischio genetico peraltro non riguarda solo il cancro, ma diverse patologie e diverse altre predisposizioni e scopriremo, chissà quando,  che ognuno ha il suo e che quindi la differenza che ora sembra etichettare una categoria ristretta della popolazione è destinata a riguardare tutti.

Non vorrei espandere il discorso a questioni di ordine troppo universale e filosofico, ma questa battaglia di riconoscimento è l’occasione di ripensare culturalmente, almeno per quanto tocca le corde più intense del fatalismo italiano, il concetto di salute, di malattia, di cura e il principio di autodeterminazione che li governa. 

Come donna sana a rischio io mi aspetto di trovare qualcuno che sappia individuare se non prima di me almeno insieme a me le anomalie che appartengono alla mia storia, che le famiglie “speciali” finiscano subito in un percorso di candidabilità al test, che esistano ben individuati centri abilitati sul territorio e non sperdute isole virtuose in mezzo al nulla dell’informazione, che il percorso di sorveglianza sia dedicato e preveda il fondamentale supporto psicologico, che a ciascuno infine sia restituita tutta la libertà di decidere cosa fare, ma che il rischio non sia più una questione solo personale e privata, ma un tema di ordine pubblico, un elemento intrinseco al diritto alla salute e che come tale esiga una gestione condivisa, omogenea a e sistematica.

 

L’unica possibilità di esistere è parlare di noi, trovare un nome, fare letteratura, riconoscere in toto una condizione speciale della vita che è una condanna solo se viene negata e che diventa penalizzazione ed esclusione solo se si rimane impreparati ad affrontare questa specialità.

 

In fondo è il tradizionale destino della scienza che si rinnova: la scoperta che oggi suscita nelle persone biasimo e scandalo e paura, un giorno a quelle stesse persone apparirà per quello che è davvero:  una chanche, un vantaggio, una libertà in più”.

Silvia Mari 1 febbraio 2013

 

 

Prof.ssa Adriana Bonifacino Unità diagnostica e terapia senologica, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma